Giuseppe Giacosa
Tristi amori
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ATTO TERZO.

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ATTO TERZO.

 

La stessa scena dei precedenti.

 

 

SCENA PRIMA.

 

Ranetti, Marta e poi Giulio.

 

Ranetti è in scena aspettando.

 

Marta entra dallo studio.

 

C'era poi e non si era mosso!

 

Via.

 

Giulio.

 

Ah sei tu? Cosa vuoi?

 

Ranetti.

 

Ho bussato per un quarto d'ora alla porta del tuo studio.

 

Giulio.

 

Non ho sentito.

 

Ranetti.

 

Hai la faccia stravolta e gli occhi  grevi come uno che ha dormito. Anche a me succede spesso di fare un pisolino sulle carte. Dormivi?

 

Giulio.

 

No, lavoravo. Facevo la comparsa conclusionale per la causa degli eredi Morèna.

 

Ranetti.

 

Per Dio come c'eri dentro! Ho picchiato tanto!

 

Giulio.

 

È una bella questione.

 

Ranetti.

 

E così tu servi gli amici? Tu badavi alle comparse.

 

Giulio.

 

Che dovevo fare?

 

Ranetti.

 

E io aspetta al Circolo!

 

Giulio.

 

Oh! sono già le cinque?

 

Ranetti.

 

Sono le sei. E non mi hai nemmeno mandato Fabrizio.

 

Giulio.

 

Ah Fabrizio! Non l'ho veduto.

 

Ranetti.

 

Come? Se ero qui quando è venuto.

 

Giulio.

 

Ah già! Ma guarda! Scusa un po' eh? Ho la testa. - Andiamo allora.

 

Ranetti.

 

Dove?

 

Giulio.

 

Al Circolo.

 

Ranetti.

 

Oh sì adesso. È tutto accomodato. Ti aspettavo per dirtelo.

 

Giulio.

 

Oh bravo!

 

Ranetti.

 

Il colonnello l'ha saputo. Non glie l'ho detto io veh! Ma Béssola avea visto gli ufficiali entrare a casa mia. La questione era nata.... ti ricordi? te l'ho detto stamattina.... la storia delle farfalle.... che Béssola....

 

Giulio come trasognato.

 

Già. La madre di Béssola era una francese.

 

Ranetti.

 

E questo, cosa ci ha a che fare?

 

Giulio.

 

Nulla, così. Si sente una parola e la testa lavora.... eh! eh!...

 

Ranetti.

 

Béssola era sulla bottega di Pastone il ceraio che è proprio dirimpetto alla mia porta di casa: sai che fa l'asino colla moglie di Pastone, quella bionda....

 

Giulio fisso in qualche idea che gli sta in mente.

 

Eh! eh! eh!

 

Ride.

 

Ranetti.

 

Quando ha visto entrare gli ufficiali....

 

Giulio c. s.

 

Pastone è un cattivo soggetto.

 

Ranetti.

 

Sì. Un po' ladro, un po' cane, ma....

 

Giulio.

 

E sua moglie lo tradisce lo stesso. eh! eh! eh!

 

Ride.

 

Ranetti.

 

Mi stai a sentire?

 

Giulio.

 

Sono tutto orecchi, mio caro. Racconta.

 

Ranetti.

 

Adesso mi hai imbrogliato. Dov'ero?

 

Giulio sempre ridendo.

 

Tu credi che si diano degli appuntamenti? eh! eh! eh!

 

Ranetti.

 

Sei molto allegro!

 

Giulio.

 

Sì: è la primavera.

 

Ranetti.

 

Béssola ha capito che venivano per la quistione del Cotillon, e fila al Circolo a portar la notizia! Al Circolo c'era il colonnello che è una perla d'uomo!

 

Giulio.

 

Scapolo eh?

 

Ranetti.

 

No, Chinese, decorato dell'Ordine di Brama Putra.

 

Giulio.

 

Che dici?

 

Ranetti.

 

Rispondo a segno come tu domandi. Se vuoi farmi dire.... avanti.... musica!... tu batti, io ripicchio e andiamo d'accordo.

 

Giulio.

 

Seguita, va'.

 

Ranetti.

 

È bell'e finito. Il colonnello s'informòchiamò gli ufficiali, mandò a cercare di me, poi ci raccolse tutti a casa sua.... c'era anche il tenente Rovi, un bravo ragazzo! Se tu sentissi come imita Ferravilla! sai, quell'attore milanese. Io non ho mai sentito Ferravilla, ma.... tale e quale. Il colonnello mi dimandò: Cosa vuole lei dal tenente Rovi? Io gli risposi: Non voglio niente, ne ho già avuto; mi ha dato del villano. - E lei cosa vuole dal signor Ranetti? Mi ha preso per un braccio. - Bene, lo preghi di darle la mano e lo prenda per la mano. E fu che stringendomela, il tenente ha detto una frase.... non mi ricordo.... in milanese, ma così buffa, che siamo scoppiati a ridere tutti quanti. Bravi ragazzi! Pensare che loro vanno alla guerra! Stasera ho offerto da pranzo io.... e domani il tenente. Voleva esser lui il primo; ma il colonnello, sa anche il latino, ha detto: Cedant arma.... Tu ci vieni?

 

Giulio.

 

Io?

 

Ranetti.

 

Si sa! Tu certo, e vorrei anche Fabrizio. - Fabrizio non parte mica che tu sappia?

 

Giulio.

 

Perchè?

 

Subitamente attento.

 

Ranetti.

 

Ha accomodato l'affare della cambiale?

 

Giulio.

 

Non so.

 

Ranetti.

 

Non l'hai mica pagata tu eh?

 

Giulio.

 

No! no!

 

Ride.

 

no! no! fino no! eh! eh!

 

Ranetti.

 

Che hai?

 

Giulio.

 

È un nervoso che mi piglia.

 

Ranetti.

 

Tu lavori troppo!

 

Giulio.

 

Quando si ha la fortuna di avere una famiglia.... Ma non pago io, dillo pure. Paga lui. Ne ha.

 

Ranetti.

 

Ma paga, insomma.

 

Giulio.

 

Oh! Io credo!

 

Ranetti quasi a stesso.

 

Imbarcherà il padre forse.

 

Giulio insospettito.

 

Imbarcherà....

 

Ranetti.

 

Sì lo farà partire.

 

Giulio.

 

Perchè?

 

Ranetti.

 

Oh ti dirò. Lo cercavo per invitarlo e sono passato al Cannon d'oro per combinare il pranzo. Siccome Fabrizio sta proprio d'accanto, ho domandato alla padrona se lo aveva visto passare. Mi dice: è stato qui un momento fa a ordinare una carrozza. - Per quando? - Per subito. Una carrozza chiusa che deve trovarsi  al ponte del Vasco. Capirai che se partisse lui, salirebbe in carrozza all'albergo, l'ha sull'uscio di casa! Si vede che vuole imbarcare il padre senza farsi scorgere. Non ti ha detto nulla?

 

Giulio.

 

No.

 

Ranetti.

 

Ma non pare anche a te?

 

Giulio.

 

Sì, sì.

 

Ranetti.

 

È la meglio già! Che farne qui di quel mobile? Sai che tiene in casa la Gazza, la figlia del sagrestano del Duomo, quella che ebbe due processi per truffa!

 

Giulio segue il proprio pensiero.

 

È evidente.

 

Ranetti.

 

Se almeno se la portasse via, sarebbe un famoso repulisti.

 

Giulio.

 

Oh c'era da aspettarselo.

 

Ranetti.

 

Il repulisti? Non tanto! Se i creditori lo sapessero non lo lascierebbero partire....

 

Giulio c. s.

 

Perchè? Oh! se tu credi che io li trattenga! Per me.... guarda.... padronissimi!

 

Ranetti guardandolo stupito.

 

Sai cosa ti voglio dire?

 

Giulio.

 

Di' pure di' pure liberamente.... tanto o prima o poi....

 

Ranetti.

 

Mi fai paura!

 

Giulio.

 

Paura? Eppure no! non faccio paura.

 

Sorride tristemente.

 

Ranetti.

 

Che hai?

 

Giulio.

 

Nulla!

 

Ranetti.

 

Tua moglie è in casa?

 

Giulio.

 

Sì.... ci sarà ancora.

 

Ranetti.

 

Si può vederla?

 

Giulio.

 

No, lasciala stare. Vuoi dirle che ti sembro strano? Non t'inquietare. Sono stato due ore chino sulle carte, ed ho un po' di sangue alla testa! Ma l'aria mi farà bene. - Andiamo.

 

Ranetti.

 

Vieni a pranzo?

 

Giulio.

 

Con te?

 

Ranetti.

 

Se ti ho detto! Con me e cogli ufficiali.

 

Giulio.

 

Ah! perchè no? A che ora è il tuo pranzo?

 

Ranetti.

 

Alle sei e mezza: subito.

 

Giulio.

 

Sicuro - va benissimo - guarda - va benissimo. Altro! Ci staremo un pezzo eh?!...

 

Ranetti.

 

Come vorrai, ci stiamo fino a mezzanotte se ti piace. Se sapessi dove trovare Fabrizio.

 

Giulio.

 

Oh non verrà. Questi guai del padre lo hanno molto colpito. È un uomo tanto delicato! Sì.... Sì.... è meglio così. Pranzo con te.

 

Ranetti.

 

Vieni allora!

 

Giulio.

 

Usciamo per lo studio.

 

Ranetti.

 

Non avverti in casa?

 

Giulio.

 

Oh!

 

Ranetti.

 

Ma no.... ti aspetterebbero.... tua moglie, la bambina.

 

Giulio colpito.

 

Ah la bambina!?

 

Ranetti.

 

Avverto io?

 

Giulio.

 

No - non vengo.

 

Ranetti.

 

Eh?

 

Giulio.

 

Mi ricordo ora che ho promesso a mia madre di portarle la bambina stasera. Mi rincresce ma non posso. Sarà per un'altra volta.

 

Ranetti.

 

Non insisto, ma guarda, vado via inquieto.

 

Giulio.

 

Ma no.... che pazzie?

 

Chiama.

 

Marta? Vedi? chiamo Marta perchè vesta la bambina.... ti assicuro.

 

Ranetti.

 

Va bene, va bene! Buona sera allora.

 

Giulio.

 

Buona sera e grazie.

 

 

 

SCENA SECONDA.

 

Marta e detti.

 

Marta.

 

Che vuole?

 

Giulio.

 

Accompagna il signor Ranetti e poi vieni qui.

 

Ranetti.

 

Se tu capitassi almeno a bere un bicchiere dopo pranzo.

 

Giulio.

 

Chissà! Al ponte del Vasco eh?

 

Ranetti.

 

Che dici?

 

Giulio.

 

Ah no! al Cannon d'oro!

 

Ranetti.

 

Sì. Ti aspettiamo. Guarda, il tenente Rovi ti farà ridere come un ragazzo. Gli facciamo rifare Ferravilla.

 

Giulio.

 

Perchè no?

 

Ranetti.

 

A rivederci allora.

 

Via con Marta.

 

 

 

SCENA TERZA.

 

Giulio poi Marta.

 

Giulio.

 

La bambina no.... per esempio! Ah no!

 

Marta.

 

Sono qui.

 

Giulio.

 

Metti il cappello a Gemma e il mantello.

 

Marta.

 

La vuole portar fuori?

 

Giulio.

 

Sì.

 

Marta.

 

A quest'ora? È quasi notte. E il pranzo?

 

Giulio.

 

Fa quello che ti dico. Pranzeremo più tardi.

 

Marta.

 

Io venivo per apparecchiare la tavola.

 

Giulio.

 

C'è tempo. Va'.

 

Marta.

 

Esce anche la signora?

 

Giulio.

 

No. Dov'è?

 

Marta.

 

Nella sua camera. L'avverto?

 

Giulio.

 

Gemma è con lei?

 

Marta.

 

No. Giuoca alla bambola nel corridoio.

 

Giulio.

 

Sei passata nella camera della signora?

 

Marta.

 

Ci sono stata un momento fa.

 

Giulio.

 

Che faceva?

 

Marta.

 

Metteva ordine.

 

Giulio.

 

Ah! Vesti Gemma. Devo condurla da mia madre. Presto. E non dir nulla alla signora: è inutile!

 

Marta.

 

Va bene.

 

Via.

 

 

 

SCENA QUARTA.

 

Giulio solo poi Gemma e Marta.

 

Giulio.

 

È evidente - Padroni!... tanto!... è evidente!...

 

Gemma entra correndo vestita con la bambola.

 

Giulio.

 

Ah sei qui!

 

La prende in braccio, la copre di baci.

 

Vieni.... lascia la bambola.

 

Getta la bambola sulla tavola di mezzo.

 

Torniamo subito. Vieni.

 

Via con Gemma.

 

 

SCENA QUINTA.

 

Marta poi Emma.

 

Marta apre l'armadio a muro e ne prende i piatti che porta sulla tavola a mezza luna, poi cava dal cassetto della credenza la tovaglia e si dispone a distenderla sulla tavola.

 

Emma.

 

Chi è uscito ora?

 

Marta.

 

L'avvocato colla bambina.

 

Emma.

 

Colla bambina?

 

Marta.

 

Sì - non ha voluto che l'avvertissi.... dice che si pranzerà più tardi.... io intanto apparecchiavo.

 

Emma.

 

Lascia pure, farò io.

 

Marta.

 

Più tardi.... cosa vorrà dire più tardi?

 

Emma.

 

Non so.

 

Marta.

 

Fortuna che c'è il lesso.... lo levo dal fuoco già.

 

Emma porge orecchio.

 

Hanno aperto lo studio. Guarda un po'.

 

Marta.

 

Sarà l'avvocato Arcieri.... ha la chiave. Guardo?

 

Emma.

 

No, lascia pure.... farò io.

 

Marta.

 

Pranza qui l'avvocato?

 

Emma.

 

No.

 

Marta.

 

Ah! perchè avvertono sempre all'ultim'ora!

 

Via dal fondo.

 

 

 

SCENA SESTA.

 

Emma e Fabrizio.

 

Emma apre l'uscio dello studio.

 

Fabrizio entra.

 

Emma.

 

Lo sapevo.

 

Fabrizio.

 

Ero nascosto sulla scala. L'ho veduto uscire e sono entrato. Tu parti con me. Ho pensato a tutto. Vedrai - ora sei agitata, ma....

 

Emma.

 

No.... non parliamo.... non parliamo. Dopo.... più tardi.... qualche cosa sarà.... ma non parliamo adesso. Come si fa?

 

Fabrizio.

 

C'è la carrozza fuori al ponte. Tu esci dal giardino.... si può uscire dal giardino?

 

Emma.

 

Sì.

 

Fabrizio.

 

Subito allora.

 

Emma.

 

Subito, subito. Dove andremo?

 

Fabrizio.

 

Dove vorrai.

 

Emma.

 

Non importa. Via di qui. Avremo tempo a pensare.... tutta la vita avremo tempo. Dovunque si vada è irreparabile, non è vero? E allora?

 

Fabrizio.

 

Vatti ad apparecchiare.

 

Emma.

 

Sì: tu aspetti qui?

 

Fabrizio.

 

Io faccio il giro e ti aspetto fuori dell'usciolo del giardino, non c'è mai nessuno.

 

Emma.

 

No - aspettami qui - non avrei coraggio e bisogna averlo. Che sarebbe di me in questa casa? Non ci posso stare. Dunque? - Hai visto? Ha portato via la bambina.

 

Fabrizio.

 

Sì.

 

Emma.

 

Sai perchè? ci ha indovinati.

 

Fabrizio.

 

No.

 

Emma.

 

Ci ha indovinati.

 

Fabrizio.

 

Ma no.... Come vuoi?

 

Emma.

 

Oh lasciamelo credere.... aiutami a crederlo; non è meglio? E poi ne sono sicura, queste cose si sentono. Perchè sarebbe uscito ora colla bambina? È così naturale. Non è più il mio posto questo! Con che diritto io?... Guai se non l'avesse indovinato! Pensa.... se rientrando.... credesse  di trovarmi.... se cercasse per la casa.... Oh! oh! oh! no.... no.... lo sa.... È tutta sua la casa ora. tutta tutta, tutta sua! Noi saremo già lontani.... tornerà, accenderà la lampada.... si prenderà la bimba in braccio.... le farà tante carezze.... la parte mia!

 

Fabrizio.

 

Vieni! vieni, vieni!

 

Emma.

 

Sì, vado; guarda c'è ancora un barlume di giorno. È meglio aspettare che oscurisca del tutto. È più prudente! - Povero Fabrizio! Che catena per te! che impedimento nella tua vita!

 

Fabrizio.

 

Oh sei crudele, Emma!

 

Emma.

 

Me lo dirai eh? il giorno che ti sarò di peso!

 

Fabrizio.

 

Vedi come sei! Se non ti strappi subito, tu rimani. Emma. Io son sicuro che tu rimani.

 

Emma.

 

Non vengo mica per te!

 

Fabrizio.

 

Non mi ami più?!

 

Emma.

 

Ci vengo perchè mi sento indegna di questa casa.

 

Fabrizio.

 

Sono stato io!

 

Emma.

 

Anche tu!... Ti voleva tanto bene!

 

Fabrizio.

 

Non mi ami più?

 

Emma.

 

Ti amo - ma ti perderò venendo con te.

 

Fabrizio.

 

Non importa.... vieni.... non andar più di .... vieni come sei....

 

Emma.

 

Sì sì, come sono.... aspetta.... qui c'è uno scialle.

 

Sulla sedia presso la tavola da lavoro ci sarà uno scialle modestissimo, grigio, Emma lo prende.

 

Così....

 

Indica lo studio.

 

Usciamo di eh?

 

Si appoggia alla tavola di mezzo per reggersi e vede la bambola, la mostra a Fabrizio.

 

Fabrizio! guarda!

 

Fabrizio.

 

Che?

 

Emma.

 

Guarda. Lei, sì che crede di trovarmi tornando. Domanderà tanto di me! colla sua piccola voce cara. Tanto domanderà! che potranno risponderle?

 

Fabrizio.

 

Dio! Dio! Dio!

 

Emma.

 

Lei non sa nulla. Si avvezzerà certo a fare senza di me. Sì che l'amerà suo padre! E lei.... che adorazione!

 

Fabrizio scorato.

 

Resta.... resta, va!... povera donna! resta!

 

Emma.

 

E quando sarà grande....

 

Fabrizio.

 

Addio!

 

Emma lasciandosi cadere sulla sedia.

 

Addio!

 

Fabrizio.

 

Lo sapevo, sai, venendo.

 

Emma.

 

Sì, anch'io - volevo - ma sentivo che non avrei potuto. - Dove vai?

 

Fabrizio.

 

Non so.

 

Emma.

 

Parti subito?

 

Fabrizio.

 

 

Emma.

 

Che sarà di te?

 

Fabrizio.

 

Lavorerò.

 

Emma.

 

Mi scorderai?

 

Con sorriso triste.

 

Fabrizio.

 

Non lo spero.

 

Emma.

 

Tuo padre resta?

 

Fabrizio.

 

Sì. Io non l'ho più veduto. Ho pagato un suo grosso debito e gli ho lasciato....

 

Emma.

 

Penserò a lui.

 

Fabrizio.

 

Grazie!

 

Emma.

 

Non diciamoci nulla! eh?

 

Fabrizio.

 

No.... ci lasciamo per sempre.

 

Emma.

 

Pregherò tanto per te!

 

Fabrizio.

 

Addio, Emma!

 

Emma.

 

Addio, Fabrizio!

 

Fabrizio via per lo studio.

 

 

 

SCENA SETTIMA.

 

Emma sola.

 

Emma.

 

Così, così.

 

Si passa la mano sulla fronte, guarda piangendo la porta per cui è uscito Fabrizio. Singhiozzando prende la bambola, la bacia, la depone sul sofà, poi si dispone ad apparecchiar la tavola: d'un tratto scoppia in un dirotto pianto e si getta sul sofà col viso nelle mani. In questo, suono del campanello.

 

 

 

SCENA OTTAVA.

 

Detta, Gemma indi Giulio.

 

Gemma.

 

Ah ci sei!

 

Corre dalla mamma.

 

Emma.

 

Oh Gemma, Gemma! Sì ci sono! Credevi di non trovarmi!...

 

Prendendola in braccio.

Giulio entra ed osserva.

Emma seguitando.

 

Ti avevano detto che non mi avresti più trovata? No, bimba mia, no; non sono andata via, no, cara, non sono andata. Sono qui. La tua mamma sta qui sempre, sempre, sempre con te. Cara la mia bimba! Con te! Hai il viso freddo freddo, poverina! Qui che te lo scaldi! Qui! fa freddo eh fuori? Gemma! Gemma!

 

Si accorge di Giulio, depone la bambina e scatta in piedi.

 

Ah!

 

Giulio.

 

Perchè deponi la bambina? Gemma, va' di un momento eh?... un momentino!

 

Gemma via. A Emma.

 

Non sei andata via. - Hai fatto bene. C'è la bambina! Capisci che non perdono. C'è la memoria che non si può distruggere. Ho creduto che tu andassi: e non te lo avrei impedito! Ma così potrò far meglio la parte mia che è di procacciare uno stato a Gemma. Se un giorno sarà ricca, potrà forse sposare un uomo che non sia costretto a dare tutto il suo tempo al lavoro, e chi sa.... che non le riesca più facile essere un'onesta donna. - Noi siamo due associati in un'opera utile e sarà così per tutta la vita! Queste cose non finiscono.... si trascinano disperatamente. Ora chiama Gemma, e quando sarà pronto, chiamerai anche me. Io vado nello studio. Il mio posto è !

 

Si avvia allo studio, Emma rimane immobile.

 

Cala la tela.

 

Fine.

 


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