Anton Giulio Barrili
Raggio di Dio
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Capitolo IX. Spera di sole.

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Capitolo IX.

Spera di sole.

 

Segovia, nella Vecchia Castiglia, poco distante dalle falde settentrionali della Sierra di Guadarrama, è una città nobile e bella, come tutte le città molto antiche di qualsivoglia paese, che possono piacere e non piacere, secondo i gusti e gli umori, ma che bisogna accettar come sono. A buon conto l'avevano per bellissima i suoi dodicimila abitanti del 1506, tenendosi molto della sua zecca, che era la più vecchia della Spagna; delle sue diciotto chiese, compresa la cattedrale di stile tra gotico e moresco, non meno decorosa del duomo di Salamanca, e provveduta d'un campanile a gran pezza più alto; finalmente del suo Alcazar, saldamente piantato su d'una roccia dominante, antico soggiorno dei re Mori, e per allora della Corte spagnuola, nomade al solito, e già meditante il suo trapasso a qualche città meno antica, forse, ma più adatta a ricevere i nuovi sovrani di Castiglia, il cui arrivo dalle Fiandre si sperava sempre imminente.

L'orgoglio di Segovia era il suo acquedotto romano, di cento e sessantun arco, in due file sovrapposte, tutti di pietre riquadrate e senza cemento. L'aveva fatto costrurre Traiano, come i Segoviani affermavano? Poteva essere; ma in verità non era neanche necessario ricorrere a quel virtuoso imperatore, nato Spagnuolo, per intendere il fatto di quella maraviglia d'arte in Ispagna, essendo nota la imparzialità Romana in materia edilizia, e l'usanza costante di decorare di grandi opere di pubblica utilità ogni parte più lontana del vastissimo impero. L'acquedotto di Segovia non aveva altro torto che di fare tropp'ombra in certe strade della città per cui veniva a passare, tragittandosi dall'una all'altra delle due colline su cui ella era fabbricata, in forma di nave, a cui il fiumicello Eresma faceva uffizio di chiglia. Ma è detto che ogni gloria si paghi; e Segovia pagava la sua gloria a quel modo, come pagava la sua sicurezza antica con un giro di mura turrite, aperte da sette porte, quattro delle quali mettevano ad altrettanti sobborghi. Donde si vede che fin d'allora Segovia non capiva in stessa. E faceva mostra d'un'insolita animazione, in quella fine d'inverno del 1506, tra tanti fumi di grandezze cortigiane, quasi non sentendo più il freddo, ignorando perfino di avere tra le sue mura, all'ombra dell'acquedotto di Traiano, un grand'uomo, ma grande davvero, e non di quelli che si distinguevano per classi.

Povero grand'uomo, a sessant'anni già vecchio, mani e piedi rattrappiti dalla gotta, senz'altra energia che degli occhi sfolgoranti, senz'altra gioventù che della bocca, rimasta sempre bellissima! Stava a letto la più parte del giorno, poichè quell'anno l'inverno s'era mantenuto rigidissimo, invadendo anche ed usurpando i principii della primavera; ond'egli, latinista impenitente, soleva dire col suo malinconico sorriso: "in cauda venenum". Per poche ore, intorno al mezzodì, alzatosi con grave stento da letto, cercava di reggersi in piedi; per riflessione, diceva, e per avvezzarsi ad uno sforzo maggiore che un giorno o l'altro avrebbe dovuto pur fare. Intorno a lui poca gente: anzi tutto il figliuol suo Fernando, caro adolescente sui diciassette anzi, a cui traluceva dagli occhi la mestizia pensosa di una esistenza già provata alle sventure, e fors'anche il dolore profondo di non vedere accanto al padre venerato una madre ond'egli non aveva avute mai le carezze; indi un uomo di matura virilità, l'Aiace Telamonio d'un'altra Iliade, don Bartolomeo Colombo, uomo di poche parole e di molti fatti, più conosciuto sotto il nome di Adelantado, come a dir podestà, governator di provincia, prefetto; finalmente Geronimo, un marinaio fedele, che faceva i servigi della casa, e troppo spesso non avendo da far nulla, s'industriava a tener vivo con poche legna uno scarso fuoco, insufficiente a riscaldare la cameretta del signor vicerè delle Indie. Che freddo in quella casa! che tristezza, più dura a gran pezza del freddo!

Ma un po' di calore, un po' d'allegrezza doveva penetrare anche dentro. Irrompevano, con un raggio di sole mattutino, tre visitatori inattesi; un cavaliere di bell'aspetto, uno scudiero, un adolescente vestito da mozzo, ma con figura di paggio. Erano venuti con grossa scorta da Barcellona, per la via di Lerida e di Saragozza; ma passata la Sierra di Guadarrama, ne avevano rimandata una parte, per non lasciar troppo scarsa di numero la marinaresca del Paradiso, di quella bella nave che li aveva portati fino a Barcellona, e che laggiù, in quel massimo porto di Catalogna, doveva aspettarli.

Non venivano ad accrescere il numero delle bocche in quella povera casa, dove sicuramente, non che mancasse il superfluo, scarseggiava il necessario. Erano viaggiatori che potevano smontare alla migliore posada di Segovia, e prender magari un palazzo in affitto, se la folla dei gentiluomini e dei servitori di Corte avesse lasciato in quei giorni un posto conveniente a nuovi ospiti. Restando accanto al signor Almirante non sarebbero stati altrimenti a carico della famiglia, dove anzi portavano un po' d'agiatezza, e per intanto un raggio di sole; raggio benefico insieme e crudele, poichè metteva più in chiaro la nudità desolata d'una casa da poveri.

Alla vista di messer Bartolomeo Fiesco si rianimò, ed anche si commosse vivamente, il disgraziato vicerè delle Indie. Aveva stretta fra le sue braccia la testa dell'amico, l'aveva baciato e ribaciato sulle guance, come un padre il figliuol suo prediletto.

- Che Iddio vi benedica, conte Fiesco! - diss'egli, con voce mezzo soffocata da lagrime di tenerezza. - Ecco, vedete? è il primo raggio di sole che ci risplende, dopo tanti giorni di nuvole. Anche la primavera vuol mostrarsi, ora che voi ci arrivate. Ah, come siete stato buono a muovervi per me!

- Poteva dubitarne Vostra Eccellenza? - rispose il capitano Fiesco.

- Lasciate i titoli; - riprese Cristoforo Colombo. - Non me li Ferdinando; potete sopprimerli Voi. -

Non pareva al capitano Fiesco che il discorso del signor Almirante fosse conforme ai sani precetti della logica; e non volle lasciarlo passare senza protesta.

- Ecco, - diss'egli, - il re Ferdinando può molte cose, e potrà anche questa. Ma non possiamo sopprimerli noi, i vostri titoli, noi che vi abbiamo seguito, noi che abbiamo veduto come sapeste meritarli. Tornando a lui, siamo qui sulle terre del Cid; ed è venuto con me frate Alessandro, il quale saprà dirvi in canzone come fosse riconoscente un altro re ad un altro valentuomo.

- Eh, ci pensavo infatti, alla ricompensa che ebbe il valoroso don Rodrigo di Bivar dal suo re don Alfonso; - disse frate Alessandro, accostandosi al capezzale dell'infermo. - Mi astenevo dal parlare, per sentimento di rispetto. Mi permette ora Vostra Eccellenza che io le baci la mano?

- La guancia, buon frate, e siate il ben venuto anche voi; - rispose l'Almirante. - E mi pare, in tanta contentezza, di non sentire già più i miei dolori. Ospiti antichi e molesti, vorranno cedere il posto ai nuovi e cari che la provvidenza m'invia? Mi alzerò certamente un po' prima del solito. Ma quel ragazzo.... quel giovinetto che è laggiù.... Oh, sarebbe vero? il mozzo Bonito? -

Il mozzo si fece innanzi a sua volta; grazioso adolescente, vestito alla marinaresca, di panni grossolani e mal tagliati, ma dai quali prendeva disgraziatamente più spicco la sua bella faccia vermiglia, inghirlandata dalle indocili ciocche dei capelli neri abbastanza arruffati.

- Sicuro, - diceva intanto il capitano Fiesco, - ecco il mozzo Bonito che avrebbe potuto venire in veste da paggio, ma si è fitto in capo di non indossare altri abiti che questi, per ripresentarsi al cospetto del suo Giocomina.

- Che idea! che idea! - mormorò l'Almirante, mentre, avendo presa la mano del mozzo, se la recava alle labbra, come in altri tempi la mano regale d'Isabella di Castiglia. - Venire fin qua!... tra questa gente.... a rinfrescare certe memorie dolorose!...

- Ha voluto; - rispose il capitano Fiesco; - ha voluto così, e non c'è stato verso di fargli cambiar proposito.

- Ebbene, - sentenziò l'Almirante, - sia fatta la volontà.... delle dame. Non è così che bisogna dire? E vi ringrazio con tutto il cuore, o mozzo Bonito. Perchè qui, naturalmente, l'abito fa il monaco, e non bisogna dir nomi, scoprire segreti.

- Così è, Giocomina; - rispose il bel mozzo, arrossendo; - resti il segreto, che mi ha permesso di accompagnare il conte Fiesco. Potevo io lasciarlo venire solo da voi? mentre il mio desiderio più vivo era quello di vedervi ancora una volta, e di portarvi l'attestato della mia gratitudine?

- Gratitudine! da Voi.... mozzo Bonito? E Voi, e i vostri, non avreste piuttosto ragione di maledirmi? -

Così parlava, non senza sospiri, lo scopritore di Haiti, mentre l'immagine di un popolo distrutto si affacciava agli occhi della sua mente turbata.

- Non dite, Giocomina, non dite! - ripigliò il mozzo Bonito, inginocchiandosi alla sponda del letto e prendendo amorosamente tra le sue morbide mani il pugno rattrappito del vecchio glorioso. - Tuttavia vi han reso giustizia, i figli d'Itiba; in Voi tutti hanno venerato un messaggero del cielo. Le vostre intenzioni erano pure; ed io ora posso riconoscere che erano sante.

- Amore vi ha illuminato, o mozzo Bonito, dandovi la conoscenza del Dio unico e vero. Fidiamo in lui; - conchiuse l'Almirante.

- E speriamo, per conseguenza; - soggiunse il Fiesco. - Non è già perduta ogni speranza?

- La speranza è l'ultima a morire; - disse l'infermo. - Ma ce n'è così poca.... così poca!

- Vediamo, signor Almirante; lasciate che ne giudichi anch'io. E per cominciare, permettete che io vi faccia qualche domanda.

- Fate, amico mio, fate; son pronto a rispondervi.

- Da chi aspettate giustizia? dal re Ferdinando?

- È l'unico oramai, a cui mi possa rivolgere, poichè la regina è nella gloria di Dio. Aspetto giustizia, ed egli la nega; giurando di volerla fare, la nega, proponendomi gran dominio e titolo di gran nobiltà in Ispagna, purchè io rinunzi agli uffici, alle dignità che sono la mia proprietà e la mia gloria. Mi sono richiamato alla sua lealtà, ma inutilmente; è uno sleale, quel re. Ho invocata la santa memoria della regina, che non poteva essere offesa col violare le sue volontà, col tradire le sue intenzioni. E così siam venuti al partito di sottoporre la mia querela alla Giunta degli scarichi. Sapete che cos'è?

- Ne ho sentito parlare abbastanza in otto giorni di viaggio attraverso Catalogna ed Aragona; - rispose il capitano Fiesco. - È una giunta che non iscaricherà nulla di nulla.

- È anche il mio pensiero, oramai; - riprese l'Almirante. - E per questo avevo tentato di questi giorni un'altra via, scrivendo a Diego, il mio primogenito. Doveva egli offrire in mio nome a Sua Altezza un patto assai conveniente. Mi tengano pure per straniero; rinunzierò alle mie dignità di vicerè delle Indie, di almirante maggiore dell'Oceano, ma a benefizio del figliuol mio; egli vada al governo della colonia e delle altre terre scoperte da me, assistito da un consiglio di persone scelte tutte quante dal re. A questo patto io non avrei chiesto più nulla; salvato l'onore, nient'altro poteva più importarmi, nessuna ambizione, nessuna vanità, nessuna idea di tornaconto passarmi pel capo.

- Ed egli?

- Ed egli neppur questo ha voluto accettare.

- Nessuno gli ha parlato per Voi, dei potenti amici che vi hanno in altre occasioni assistito? Il Quintanilla? il Santangel?

- Morti! - rispose Cristoforo Colombo, traendo un sospiro; - morti come il cardinale di Mendoza, che fu mio protettore costante, e nella cui bara dovevo io per grande fortuna essere trasportato da Siviglia alla Corte.

- E il nuovo arcivescovo di Siviglia?

- Diego di Deza? È ancor qui, ma inascoltato. Ferdinando lo venera, ma facendogli sentire che non ha da metter bocca in cose di Stato, specie ora che c'è una Giunta degli Scarichi, che ha ufficio di coscienza, e non può essere turbata da raccomandazioni di nessuno. Anche della coscienza si giova, il re Ferdinando, anche dell'altrui coscienza, per offendere la sua propria, per soffocarne le voci.

- Questo è dell'indole sua; - disse Bartolomeo Fiesco; - e servono bene gli scrupoli di coscienza a coloro che non vogliono por mente al più grave, che sarebbe quello di non mettersi in condizione di averne. Ma lasciamo queste sottigliezze, nelle quali si smarrirebbe anche la coscienza del vostro umilissimo servo, quantunque abbia fatto il suo corso di filosofia. I due Medina, che vi erano tanto amici, che pensano?

- Non si mostrano alla Corte da un pezzo; - rispose l'Almirante. - io so in che potrebbero giovarmi, se pure volessero. C'è la Giunta degli Scarichi, oramai!

- E con questa si può chiudere la bocca ad ogni onesta osservazione? - ripigliò il capitano Fiesco. - Io non lo credo; e vo' farne ad ogni modo l'esperimento.

- Amico mio, in questa speranza mi ero rivolto a Voi, ricordando le accoglienze cortesi, le larghe dimostrazioni di stima che vi aveva fatte il re, tenendovi in quel conto che meritate.

- Sì, come parente di Gian Aloise; - rispose il Fiesco, ridendo. - L'ho ben capito io, il suo giuoco. Gian Aloise è un gran signore, ha voce in capitolo laggiù, ed anche più verso qua, nei consigli del re Cristianissimo. Mostrarsi cortese ai Fieschi era un bell'accorgimento, ed assai naturalmente suggerito al re Cattolico, che correva il rischio di perdere la corona di Castiglia e Leone, se il re Cristianissimo non concedeva la sua amicizia a lui, ma in quella vece a Filippo d'Austria e alla consorte Giovanna. E chi sa? forse ancor oggi Ferdinando può credere la partita non del tutto perduta, ed un Fiesco esser buono ancora a qualche cosa. Vedremo, vedremo; - soggiunse il conte, che pareva riscaldarsi al giuoco anche lui. - Certo, se la parola di un uomo può servire a vincerne un altro, io dirò quella parola. Ma in verità, avrei più fede nell'efficacia d'una parola di donna.

- Di donna! e di qual donna?

- Di una gran donna; d'un miracolo di donna; della donna che vinse per Voi una battaglia campale. Rammentate, signor Almirante?... Quando i vostri alti disegni stavano per naufragare tra gli ostacoli messi avanti dai consiglieri della Corona, e Voi già eravate risoluto di lasciare la Spagna, quella donna, amata dalla regina, andò a chiudersi in un convento, non volendo più uscirne, se la Corona non accettava tutte le condizioni poste da Voi. La bella prova di amicizia si seppe, ed onorò grandemente quella donna nel cospetto del mondo. -

Il capitano Fiesco parlava, e la fronte dell'infermo si era offuscata; gli occhi sfolgoranti si erano ascosi sotto le palpebre; le vivide labbra, ultima bellezza di quel volto, contratte in uno spasimo d'agoscia profonda.

- Beatrice di Bovadilla! - mormorò egli con un filo di voce.

- Sì, la marchesa di Moya; - riprese il Fiesco; - la marchesa di Moya che io vidi a Barcellona, nelle solenni accoglienze che vi erano fatte dalla Corte.

- Tacete, conte Fiesco, tacete per carità! - gridò l'Almirante. - Non toccate una piaga mal chiusa. Per avermi così animosamente protetto, la nobil creatura ha tanto dovuto soffrire!

- Caduta in disgrazia, forse?

- Non già, ch'io sappia, finchè visse la regina. Ella stessa si allontanò dalla Corte, non potendo sempre rispondere con quella sua fiera schiettezza a tutti i miei nemici, che si moltiplicavano ogni , guadagnando anche l'animo di coloro.... a cui non si poteva rispondere. Così, sdegnata con tutti, si ritirò nei suoi dominii; ed anche, io penso, sdegnata con , col suo nome. Anima eccelsa! Voi non ignorate di qual sangue ella sia; voi ricordate che se una Bovadilla fu l'angelo tutelare della impresa a cui mi ero votato, fu un Bovadilla lo sgherro che mi ribadì le catene ai polsi, quelle catene che non mi abbandoneranno mai più. Voi le metterete nel mio feretro, Adelantado, mio buon fratello; e tu, Fernando, figliuol mio. Me lo avete promesso con giuramento. Io le ritroverò, nel gran giorno; con esse mi presenterò al Giudice eterno....

- Si, sì, chiunque di noi Vi sopravviverà per disgrazia sua, come per legge di natura, non vorrà dimenticare i vostri desiderii, venir meno alle vostre volontà; - rispose l'Adelantado, con burbero accento, che male dissimulava la interna commozione. - Ma ora non vi turbate, fratello mio; sapete pure come ciò vi torni dannoso. E non vogliamo sperar poi che ne sia molto lontana l'occasione? -

Un sorriso d'incredulità sfiorò le labbra dell'infermo; e un moto del capo accompagnò quel sorriso.

- Ah, non la temo; - diss'egli. - Tante volte l'ho vista da vicino, la morte! Ma vorrei vivere quanto basta, fossero settimane soltanto, fossero giorni, per uscirne coll'onor mio, per confondere i nemici del mio nome, e del vostro. Di operare altre cose nel mondo non ho più speranza oramai. Vanno già tutti sulle tracce del Genovese, e trionfano. N'abbiano inni e corone dalla gran mentitrice, e conforto, se possono, nel fondo della loro coscienza. Ma voi dicevate, buon amico....

- Volevo chiedervi se la marchesa di Moya fosse ancora alla Corte. Mi avete detto anticipatamente di no. Nei suoi dominii, avete aggiunto. In quali? Moya, che apparteneva al marito, è in Catalogna. Bovadilla, che appartiene al suo nome, è in Andalusia; ma lontano da Siviglia, mi pare.

- Ed è a Siviglia, la nobil signora; - rispose l'Almirante; - ma non nel castello de' suoi padri. Per quel ch'io ne so, dovrebb'essere nel suo ritiro prediletto, fra le monache di Santa Chiara.

- Bisogna parlare a lei, muover lei; - disse il Fiesco.

- Lei? ci pensate? per vincere il re?

- Il re, o la regina; - replicò il Fiesco prontamente. - Lascio stare il re, a cui pensate Voi, e che per ora, se è re in Aragona, non è altro che un reggente in Castiglia e Leone. Sappia dunque Vostra Eccellenza che i denari del viaggio da Barcellona a Segovia non me li sono spesi troppo male, e del mio tempo ho usato con un certo giudizio. Alle posadas ho discorso con ogni sorte di gente, popolani e signori, e preti e frati, e monache e soldati. C'è un'altra querela in campo, che al re Ferdinando pare assai più grave della vostra, e che per lui certamente è più fiera. Essa era già forte negli ultimi giorni di vita della regina Isabella, a cui si voleva persuadere di lasciar reggente in Castiglia il re suo marito, finchè giungesse alla maggiorità il figliuolo di Giovanna. Era un bel colpo, che escludendo dal trono la figlia e il suo giovane marito, assicurava ancora un quindici anni di regno a danno della figlia e del genero. Ma la regina non ha voluto fare quest'offesa a sua figlia; non ha voluto con un atto simile di materna crudeltà ribadire alla povera Giovanna il nome di pazza, che i cortigiani di Ferdinando non si son peritati di affibbiarle. Nel fatto la povera Giovanna non è pazza se non d'amore per il suo maritino troppo bello. Gran colpa! anche Isabella si ricordò di aver amato il suo Aragonese, credendolo tutt'altro da quello che ben presto si palesò, astuto, bugiardo e senza cuore. Ma lasciamo stare gli aggiunti, che a far le cose in regola dovrei dargliene troppi. Sta il fatto che la regina non acconsentì al disegno di una reggenza prolungata in quella forma; e fece bene; e la nobiltà e il clero di Castiglia hanno avuto un'altra occasione di lodare il gran senno della regina Isabella, come l'amor suo intelligente per il popolo che Dio le aveva concesso in governo. Lei morta, e fallito il colpo della lunga reggenza, Ferdinando non si adatta alla breve: tenta il re di Francia, che a lui, non al genero Austriaco, assicuri la propria alleanza; un'alleanza che Ferdinando farebbe tosto balenare davanti agli occhi di Castiglia, per trarla ai suoi desiderii.

- E a far riconoscere pazza la figliuola, non è vero? - domandò l'Almirante, che seguiva con molta attenzione il ragionamento del capitano Fiesco, tanto largamente istruito in viaggio.

- Così è, signor Almirante. Ma il re di Francia sta sul tirato; buone parole a Ferdinando, come Ferdinando a Vostra Eccellenza; nel fatto non vuol rendere un così grande servizio al suo caro rivale di predominio nelle cose d'Italia. Ed ecco un giuoco doppio, che forse si prepara per noi; o persuadere al re Luigi di concedere la sua alleanza al re Ferdinando, come più vecchio, e più da lui sperimentato in tanti incontri, piacevoli e spiacevoli che fossero; o persuadergli di riconoscere Giovanna e Filippo, legittimi sovrani di Castiglia, ed allearsi con loro. Dell'accordo con Ferdinando avrebbe forse buone ragioni il re Cristianissimo, se davvero non vuol contesa col re Cattolico nelle cose del reame di Napoli, e se questi non gli fa ostacolo nelle cose di Lombardia.... e della nostra povera Genova. Ma per render possibile un tale accordo, bisognerebbe che persona amica, in cui re Luigi molto si fida, mettesse una buona parola.

- Gian Aloise? - domandò l'Almirante.

- Lo avete detto, messere; - rispose Bartolomeo Fiesco. - Ma questa forse è la via più lunga; la più breve, per noi, sarebbe quella delle Fiandre.

- Lontane! - osservò l'Adelantado.

- Eh, pur troppo; fin che gli sposi regali stanno laggiù, non regnano qui, e c'è poco da sperarne, anzi nulla. Ma io ho anche sentito dire che si dispongano a calare in Ispagna. Forse l'inverno così lungo, e non largo che di fortunali nel golfo di Biscaglia, è cagione del loro indugio a risolversi. Ma pensate, messeri, se Giovanna di Castiglia viene ad occupare il trono di sua madre, che novità potranno essere per tutti! Ella sola può sgravare la coscienza regale, senza mestieri d'una Giunta che par fatta a posta per guadagnar tempo al re d'Aragona, e che del resto, vagliando minutamente ogni atto della defunta regina, cercherà sempre di intenderne l'animo con tutte le restrizioni possibili. Per me, il miglior modo di sgravar la coscienza regale è quello d'intenderla nel suo senso più largo, rispettandone gli atti, mantenendone le promesse. E sarà questo per la nuova regina il miglior modo di onorar la memoria di sua madre, mostrandosi degna di lei.

- Questo dovrebbe essere; - notò l'Almirante. - Ma sarà?

- Dobbiamo sperarlo; dobbiamo esplorar l'animo della nuova regina, se è risoluta di occupare il suo regno. E chi più forte sull'animo suo della marchesa di Moya, che fu dama d'Isabella, ed ha conosciuto Giovanna bambina? Beatrice di Bovadilla, che sa tutto, può istruirla di tutto.

- Ma non vorrà la nuova regina mostrarsi troppo ligia a suo padre? - domandò l'Adelantado. - Almeno sui principii del regno?

- Questo non crederò io; - rispose il Fiesco. - Troppe ragioni dividono la figlia dal padre, ricordi d'offese antiche, ed offese recenti. Volete Voi che Giovanna s'inchini ai voleri di suo padre, ne sposi i rancori e ne faccia sue le vendette, rammentando ch'egli voleva farla apparire incapace di regnare? -

Bartolomeo Colombo chinò il capo, assentendo. Se la nuova regina appariva in Castiglia, niente era perduto. Anche il signor Almirante riconosceva la giustezza di quella argomentazione; e riaprendo il cuore alle più vive speranze, dimenticava ad un tratto i suoi mali. Non è salute di corpo senza gioia di spirito: dove questa risplende, se ne illumina l'altra, e rivive.

- Avete ragione; - diss'egli. - Giovanna sola può render giustizia.

- Si parli dunque a Beatrice di Bovadilla; - riprese il capitano Fiesco. - Se la nobil signora si rammenta di ciò che ha fatto per Voi, non vorrà certamente lasciar l'opera sua incompiuta.

- Ahimè! si rammenterà ella? - esclamò l'Almirante, traendo un sospiro. - Dopo quelle catene, ella non mi ha più riveduto; io ho cercato di avvicinarla.

- V'intendo, messere; si frapponeva tra Voi e donna Beatrice la torbida figura dello sgherro. Ma credete Voi che Beatrice di Bovadilla potesse mutarsi da quella di prima perchè il suo indegno fratello vi faceva una guerra codarda quanto feroce? Avevate Voi offeso quell'uomo, perchè l'onor della casa facesse tacere nel cuor suo le voci dell'antica amicizia?

- Ben dite; - ripigliò l'Almirante. - E Voi certamente la giudicate com'ella si merita, la mia buona protettrice. Ma dopo tanti anni passati!... Anch'io, trattenuto da tante paure, non ho più osato presentarmi a lei. La morte orribile di quell'uomo ne fu anche cagione. Pure, Iddio mi è testimone che io avevo fatto quant'era da me, per la salvezza di quell'uomo, che era suo fratello, e cristiano.

- Iddio lo vide, e quanti avevano orecchi a San Domingo lo seppero; - aggiunse il Fiesco. - Lo seppero, prima che i loro occhi vedessero la tempesta da Voi annunziata imminente. Ciò che fu saputo e visto laggiù, non rimase ignoto in Castiglia; ne è giunta notizia anche a lei, non dubitate.

- E sarà stato il mio premio; - ripigliò Cristoforo Colombo. - Ma da lei non mi venne una parola; e il tempo, che passa su tutte le cose umane, avrà cancellato dal cuore della nobil signora anche il nome del marinaio Genovese.... dell'Almirante del mare Oceano; - soggiunse egli, abbassando la voce, e fremendo involontariamente al ricordo. - Chi lo richiamerà alla mente di lei?

- Io, signore; - rispose il capitano Fiesco; - io che ebbi l'onore di parlarle, dopo il primo e dopo il secondo viaggio. Vorrà ricordarsene, spero, non essendo io l'ultimo degli uomini, e il nome dei conti di Lavagna potendo essere un buon passaporto al più umile della casata. Andrò dunque io, col mozzo Bonito, se egli vorrà accompagnarmi; - aggiunse egli sorridendo. - E glielo consiglio con tutta l'anima, poichè la più nobile creatura del nuovo Mondo avrà occasione di conoscere la sua più degna sorella del vecchio. -

Sorrise il mozzo Bonito, stringendosi con atto modesto al petto del suo dolce signore. Sorrideva anche il sole alla domestica scena, mandando un raggio più vivo nella povera stanza, che parve per un istante una reggia; e gli occhi dell'Almirante sfolgoravano di gioia.

- Voi recate la primavera con Voi, mozzo Bonito; - diss'egli. - Non ho mai visto così bello il sole, dacchè sono arrivato a Segovia. Iddio ha condotto qui il nostro amico; Iddio m'aveva bene ispirato a chiamarlo.

- Iddio ne assista sulla via di Siviglia; - conchiuse il capitano Fiesco. - La giornata è buona; ringraziamolo intanto di questa. -

 

 

 


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