Anton Giulio Barrili
Raggio di Dio
Lettura del testo

Capitolo X. "Soy Bovadilla".

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Capitolo X.

"Soy Bovadilla".

 

Siviglia, la bellissima Andalusa, è lontana da Segovia un buon tratto. Intercedono due catene di montagne, la Sierra di Guadarrama e la Sierra Morena; ma dall'una all'altra corre tutta la Nuova Castiglia, con le valli del Manzanare, del Tago e della Guadiana, con le città di Madrid, di Toledo, di Ciudad Real e Calatrava. Inoltre, varcata la Sierra Morena, non si può dire di essere a Siviglia, poichè c'è ancora da toccar Cordova, e da seguitare per molte miglia il corso del Guadalquivir, tortuoso fiume se altro fu mai. Viaggio lungo, adunque; assai lungo in quei tempi, che bisognava farlo a cavallo; più lungo per il capitano Fiesco, che aveva gran desiderio di far presto.

Per fortuna, ed aiutando alla fortuna la previdenza del cavaliere, egli aveva ritenuta con una parte degli uomini che lo avevano accompagnato da Barcellona a Segovia. I lunghi viaggi erano resi allora più difficili dalla poca sicurezza delle strade; onde, a cansare i cattivi incontri, bisognava andar bene accompagnati, ed armati di tutto punto. Non accadeva nulla; e si poteva anche dire "precauzioni inutili!" a viaggio finito. Ma erano state appunto le precauzioni inutili, quelle che avevano tenuto lontano il pericolo. Ora il capitano Fiesco, che viaggiava volentieri da solo, non credeva di aver troppa compagnia con cinque uomini di scorta, compreso il frate scudiero, perchè conduceva con il mozzo Bonito, luce degli occhi suoi, come si diceva in Italia, anima dell'anima sua, come si diceva in Ispagna. E il capitano Fiesco, per non usar preferenze, diceva spesso e volentieri in un modo e nell'altro.

Beatrice di Bovadilla viveva ritirata presso le monache di Santa Chiara, dove già una volta, quattordici anni addietro, era andata a rinchiudersi, in un impeto di generoso sdegno per la guerra sleale che si faceva al promettitore d'un mondo. Viveva da gran signora, come avrebbe fatto in ognuna delle sue terre, ma contentandosi di poche stanze, per e per le sue donne di servizio; piccola noia dopo tutto, e mancanza di spazio nemmeno avvertita. La gran dama, quanto è più dama, ed ha più vasto il palazzo, più vive ristretta nel suo quartierino, nel suo salotto, nel suo oratorio, nella sua cameretta da lavoro, dov'ella pensa e sogna, assai più che non lavori d'ago o d'uncino.

faccia maraviglia il ritorno della nobil signora al convento, per una dimora che pareva fissa oramai. Accadeva spesso a que' tempi che donne d'alto casato si ritirassero ne' conventi, per farvi a modo loro una vita monastica. Benemerenze antiche o nuove, legati, largizioni, protezioni costanti delle grandi famiglie a questa o a quella corporazione religiosa, rendevano ligio l'ordine ai suoi potenti patroni, e men severa la regola verso gli ospiti illustri, che cercavano nelle mura del chiostro la pace dell'anima, quella pace che il mondo non ha mai data a nessuno, e insieme colla pace vi guadagnavano la illusione d'esser fuori del secolo. Vedove, nubili, orfane d'insigne casato, vi riparavano come colombelle a rifugio, quali disfatto il nido, quali non fatto ancora, o disperando, o disdegnando di farlo.

Di dentro la marchesa di Moya aveva sfidati i nemici dell'uomo che l'amor suo aveva preconizzato Almirante dell'Oceano; ed anche, con quell'esempio di costanza, aveva insegnato fermezza alla sua regale amica e signora, Isabella di Castiglia. dentro era tornata a rifugio, dopo la morte di don Giovanni Cabrera, marchese di Moya e gentiluomo di camera del re Ferdinando. Mal maritata al vecchio soldato, che in lei aveva veduto uno strumento alla sua ambizione di cortigiano, male adatta alla vita di corte, che sempre più, in processo di tempo, le era occasione di sdegno per tante ingiustizie, di nausea per tante viltà, la nobile Beatrice di Bovadilla aveva portate dentro le sue tristezze, coll'amara voluttà di raccontarle a Dio, ascoltatore benigno, consolatore augusto d'ogni orgoglio ferito, d'ogni ambizione offesa, d'ogni amore deluso, che lascia intravvedere di dal santuario, tra nuvole d'incenso e luccichio di candele, uno spiraglio del suo paradiso, gloria inaccessibile ai tristi, calma solenne, perdono ineffabile, bella vendetta sull'ingiustizia e sulla viltà della terra.

Il capitano Fiesco non ebbe più difficoltà d'entrare e di ottenere udienza, che non ne avesse incontrata quattordici anni prima don Alonzo Quintanilla. Anch'egli, il conte di Lavagna, e il suo mozzo Bonito, aspettavano di veder comparire la marchesa alla grata; ma anche per essi un uscio di fianco si aperse, e Beatrice di Bovadilla apparve nella sala. Bella ancora, quantunque presso a quei cinquanta, che più per le donne non si contano a primavere, ma disgraziatamente ad autunni! Qualche filo d'argento screziava i neri capelli, che le uscivano in lucide ciocche di sotto alla tocca di raso nero, orlata di trinette d'oro; ma per vedere l'argento bisognava cercarlo, e di cercarlo non poteva venire il desiderio in mente, tanto era fresca la carnagione e scevra di rughe, tanto nere le sopracciglia, tanto lucenti gli occhi nerissimi, tanto vermiglio il fior delle labbra. La volontà si scolpiva in quelle sopracciglia; la intelligenza lampeggiava in quegli occhi; la bontà sorrideva da quelle labbra fiorenti. Gran dama sempre, quasi regina, con la sua lunga veste di velluto operato, il cui color nero appariva gentilmente attenuato dal bianco della gorgieretta e dei polsini di tela di Fiandra, era tale da destar l'ammirazione divota di chiunque la vedesse, e da mettere in vena di sonetti il più misero e stentato tra i poeti d'allora. Il frate scudiero, a buon conto, avrebbe messo mano alle canzoni, di cui sempre aveva ingombro il cervello, e sfrombolata questa quartina per saggio:

/*   Nobil donna in negra tocca, In gramaglia vedovil, Per un bacio di tua bocca Daría 'l regno Boabdil. */

Ma il frate scudiero, allora più scudiero che mai, non era entrato in convento; vegliava in istrada, aspettando gli ordini del suo grazioso signore. Beatrice di Bovadilla non ebbe dunque i suoi versi; ebbe per contro l'ammirazione dei due visitatori. Uno dei quali, essendo a lei noto, ottenne la stretta amichevole di una bella mano, che divotamente baciò; l'altro, in quella vece, la cui fine bellezza adolescente troppo contrastava con l'abito modesto del marinaio, ebbe un'occhiata curiosa, ed anche un po' diffidente.

- Siamo in viaggio, signora; - disse il Fiesco, a cui non era sfuggito l'atto della marchesa di Moya; - e Vostra Mercede mi perdonerà, se non ho voluto rinunziare a questa fedel compagnia. Ho l'onore di presentarvi il mozzo Bonito, come si chiama ora in Ispagna, come si chiamò per alcuni mesi di viaggio, dalla Giamaica all'Europa. Son cose, queste, che ad una gentildonna pari vostra si possono confidare, soggiungendo che il mozzo Bonito.... è donna, e si chiama Juana contessa del Fiesco.

- Volevo ben dire! - esclamò la marchesa, avvicinandosi con molta ed affettuosa premura. - Mozzo Bonito, voi siete tanto bello, da non poter ingannare del vostro sesso la gente. Bisognerebbe esser ciechi! Ed io vi consiglio, signora contessa, di ripigliare la vostra veste di donna, od altrimenti di tingervi il viso e le mani.

- La prima cosa non si può fare, signora marchesa; - rispose il finto Bonito; - e mio marito ve ne direbbe le ragioni, se fosse d'alcun pregio il conoscerle. La seconda l'avrei fatta ben io, ma col dispiacere di restare alla porta del convento. Venire a Voi col viso tinto di carbone o di pece!... che cosa avreste detto di me?

- Niente, bel mozzo; ma capisco che avrei avuto il dispiacere di non potervi baciare, come ora farò, se permettete, donna Juana mia dolce. Non ho più grazia, essendo morta la mia gioventù; ma di bellezza m'intendo ancora, e so apprezzarla dov'è. Che bei fiori sempre l'Italia, il giardino d'Europa!

- Sempre, ben dice Vostra Mercede; ma questo è nativo delle Indie; - rispose il capitano Fiesco; - delle Indie scoperte da Voi. -

Beatrice di Bovadilla era rimasta colpita da quell'accenno al fior delle Indie, che mal s'accordava con una bellezza affatto europea; e già stava mentalmente accozzandolo coll'altro accenno al viaggio del mozzo Bonito dalla Giamaica all'Europa. Ma l'ultima frase del conte Fiesco doveva trarla ad un'altra forma di maraviglia.

- Da me! - esclamò la marchesa. - Che dite!

- Il vero, mia signora; - rispose prontamente il Fiesco, volgendo il discorso al punto che più gli premeva. - Se Voi non eravate, se il vostro alto patrocinio non assisteva il mio grande concittadino Colombo, sarebbe ignota la terra dove è nato il mozzo Bonito, e il mare tenebroso custodirebbe i suoi gelosi segreti.

- Sarà mia gloria; - rispose con bella semplicità la marchesa di Moya; - ed io sento qui tutto l'orgoglio che Voi mi concedete di assumerne.

- Non io solamente, signora; è il pensiero costante di don Cristoval. "Senza l'aiuto di quella donna sublime, sarei rimasto oscuro ed inutile uomo"; son queste le parole ch'egli mi diceva ancora sei giorni fa, nel triste tugurio dov'io l'ho ritrovato a Segovia. -

Al ricordo di don Cristoval il volto della marchesa di Moya si era rannuvolato, e il vivido sguardo nascosto sotto le palpebre. Ma le ultime parole la scossero; si dischiusero gli occhi, e tutto il volto si atteggiò ad espressione di doloroso stupore.

- In un tugurio, Voi dite? Molte nuove giunsero qui, del grande Almirante; non questa, ch'egli fosse in angustie. Non è egli presso la Corte?

- Presso la Corte, sì, e in un tugurio. A lui fu sempre destino passare accanto alle grandezze, e trascinare la sua gloria nel fango della strada. Ricordate? la sventura è con lui. Che ricompensa abbia ottenuta dei suoi maravigliosi servigi, non ignorate di certo; come sia ritornato dal quarto viaggio, donde ha recata la certezza di tant'oro quanto basterebbe a saziare l'avarizia di dodici Ferdinandi d'Aragona; come duri la slealtà, che lo ha spogliato delle sue rendite e delle sue dignità; come, essendo morta la regina, gli sia venuta anche meno la speranza di ottenere quando che sia la giustizia, che, nobilmente ostinato, continua a domandare. Delle rendite perdute non si duole, più che un uomo di gran cuore non abbia a dolersi di un furto patito: ben si duole delle sue dignità, de' suoi titoli, così nobilmente acquistati com'erano liberamente concessi, di vicerè governatore delle Indie ed almirante maggiore dell'Oceano. A questi non rinunzia; questi egli vuole; questi domanderà fino all'ultimo soffio di vita. Non lo ascolteranno gli uomini? Commetterà le sue ragioni, aspetterà le sue giuste vendette dal cielo. Ma Iddio, che è fonte di giustizia, Iddio che ha versato un giorno il tesoro della sua pietà nel cuore di una donna sublime, non ispirerà questa donna perchè si muova ancora una volta a soccorso del grande sventurato? Egli non ha bisogno di pane. È qui finalmente un suo vecchio ufficiale, un suo buon servitore, che farà il debito suo. Ma questo suo ufficiale, questo suo concittadino, è straniero, e non può nulla presso la Corte. -

La marchesa di Moya era stata ad ascoltare in silenzio, ma non senza sospiri, e con gli occhi pieni di lagrime.

- Ahimè! - diss'ella. - Beatrice di Bovadilla non ha più potere presso il re, poichè la regina è nella gloria di Dio. Non lo sa, questo, il signor Almirante?

- Lo sa, mia signora; e non voleva che per questo io venissi a pregarvi. Ma io gli ho detto che la giustizia dee farla chi regna sulla Castiglia. E sulla Castiglia non regna il re d'Aragona.

- V'intendo: ma chi dovrebbe regnare sulla Castiglia è lontano ancora da noi.

- Amore e pietà non conoscono distanze; e Beatrice di Bovadilla potrebbe....

- Perchè vi fermate? - domandò la marchesa. - Perchè, se volete consigliarmi di andare? Non è un bell'esempio, questo che Voi mi date; - soggiunse, mettendo nella tristezza di quella conversazione la timida nota d'un sorriso. - Andrei, non dubitate; andrei volenterosa, ad ogni preghiera che mi venisse da lui. Ma per questa volta non sarà necessario andar tanto lontano come Voi proponete. Ho notizie; notizie sicure; e restino qui tra noi, ve ne prego, come la ragione per cui la contessa Juana del Fiesco diventa in Ispagna il mozzo Bonito.

- Conoscerete il mio segreto; - disse Juana. - Non dobbiamo averne con Voi.

- Ma non sia come prezzo del mio; - replicò Beatrice. - E il mio sappiatelo subito. La regina e il re di Castiglia stanno per muoversi.... dalle Fiandre (diciamo così), cedendo ai voti di tutto il reame. Nessuno ancora lo sa; il re Ferdinando, che ne ha timore, crede che la probabilità sia ancora lontana; spera ancora negli amori di Francia; e frattanto va trasportando le tende dall'una all'altra città della Vecchia Castiglia, per amicarsi il popolo, se gli riesce, e scongiurar la tempesta. Da Medina del Campo a Segovia; da Segovia ritornerà indietro a Valladolid; da Valladolid a Burgos; poi, chi sa dove? Tanto ha paura di perdere il giuoco del regno! Questo sappiate per vostro governo, com'io l'ho da persona amica, che ha veduto Giovanna. Ma non ne dite nulla; resti chiuso con sette sigilli.

- Anche con l'Almirante dovremo tacere?

- Sì, anche con lui; - disse la marchesa di Moya. - E non per lui, s'intende, ma per gli altri che lo avvicinano.

- L'Adelantado suo fratello! - notò il Fiesco. - Il suo figliuolo Fernando!

- Ah, il suo Fernando! - esclamò la marchesa. - Caro innocente bambino, che ho tenuto in collo ancor io, come una nutrice; che ho veduto crescere in bellezza e gravità superiore agli anni, quando era paggio alla Corte! E non c'è altri in casa? uomini, donne?

- D'uomini sì, un vecchio marinaio, pei servigi di casa, che veramente son pochi; - rispose sospirando il capitano Fiesco. - Di donne, poi, neppur l'ombra. La casa del signor Almirante è un convento di Certosini. -

La marchesa di Moya2 rimase un istante sovra pensiero; poi scuotendosi ripigliò:

- Non importa; resti egualmente un segreto per lui, quel che vi ho confidato. È anche necessario per l'utile suo. Se anche fossimo sicuri che nessuno commettesse un'imprudenza, dobbiamo premunirci contro il pericolo che dal suo volto trasparisca troppa fiducia, e si trasfonda negli altri. Ferdinando è sospettoso, e sempre agli agguati; che almeno egli non sospetti il vero da una maggior sicurezza delle sue vittime.

- Ho inteso; - disse il capitano Fiesco. - Bisognerà parere più contriti e più umiliati che mai. "Cor contritum et humiliatum Deus non despiciet" direbbe il mio scudiero, che ho lasciato in istrada ad attendermi, e che è, indegnamente com'egli dice, un frate francescano. Porterò almeno il vostro saluto al signor Almirante?

- No, vi prego, neppur questo.

- Perchè, se è lecito domandarlo? C'è un segreto anche qui? Una nube, se mai, che sarà bene dissipare. Tra i nobili cuori non ce ne dovrebbero essere.

- Dite bene; ma la nube non c'è.

- Il segreto, dunque? Lo rispetteremo.

- Sì, un segreto; ma è quello del mio cuore, e voglio dirvelo. A voi solo, conte Fiesco, non avrei osato confessarmi, e neanche al vostro francescano, che pure, se sta con Voi, dev'essere un brav'uomo. Ma c'è qui tra noi una donna, che mi coraggio; che certe cose può intenderle, e darmi anche ragione. Parlerò dunque: ma voi ditemi prima una cosa. Perchè siete venuto a me, facendo a bella posta un così lungo viaggio da Segovia a Siviglia? Vi ha forse egli detto....

- Che siete sempre stata la sua protettrice. E questo io già lo sapevo.

- Ed altro non vi ha detto di me? Ed altro non sapevate Voi?

- No; - disse il Fiesco, che si era turbato un pochino.

Ma c'era tanta asseveranza in quel no, e tanto candore negli occhi del gentiluomo, che la marchesa di Moya non ebbe più ombra di dubbio, e prendendogli la mano ch'egli stava per mettersi sul petto a testimonio della sua fede, ripigliò in questa guisa:

- Vi credo. Del resto, il segreto mio non era tale per nessuno, alla Corte, quando il nostro amico partiva, quando fu ritornato dal suo portentoso viaggio nell'ignoto. Ho amato don Cristoval; lo amo ancora, come il mozzo Bonito deve amar Voi.

- Oh, bella sincerità! - gridò il mozzo Bonito in un impeto di ammirazione.

- Sei tu così sincera, Juana? - disse Beatrice di Bovadilla. - Allora siamo sorelle. Ti piace?

- Mi è caro; ma bada, - rispose Juana, - nella mia patria questi patti di fratellanza si suggellano sempre col cambio d'una goccia di sangue.

- Così anche faremo, se sarà necessario; - riprese Beatrice.

E tenendo sempre la sua mano in quella di Juana, così continuò, rivolgendosi al conte:

- Ho amato don Cristoval, ed ho avuto il bell'ardimento di confessarglielo. È così bello amare un uomo, stimandolo primo per ingegno, per lealtà, per valor vero e per vera grandezza, che è quella dell'anima! Nessun amore al mondo è stato più puro del mio; ma l'ho gridato ai quattro venti, come se fossi io la padrona del suo cuore. Non ero tale, pur troppo! Quel cuore s'era dato ad un'altra, non degna di possederlo. Notiamo per la storia, - soggiunse la marchesa, accompagnando le parole con un lampo degli occhi, donde traluceva la memore superbia d'una celebrata bellezza, - che ciò era stato prima di conoscermi; ed aggiungiamo che già quella donna aveva preso ad odiarlo, disconoscendolo. Tu intenderai queste cose, Juana. L'odio di quella donna cominciò insieme con una nuova vita, che ella sentiva agitarsi nel suo seno. Arcani del sangue, ha detto il gran medico Villalobos, a cui ne ho domandato più tardi. Rispettiamo gli arcani, aspettando che altri Villalobos li chiariscano alle generazioni venture. Quanto a me, appena seppi di quella donna, andai a cercarla; non ebbi pace fino a tanto non potei ritrovarla, per pregarla di ritornare a don Cristoval.

- Tu hai fatto questo, sorella? - disse Juana.

- Sì, non era il dover mio? - chiese Beatrice.

- Vederlo è d'anime grandi, se mai; - rispose Juana, inchinandosi. - Bacio nella tua mano l'anima tua.

- Ed anche il mio orgoglio, bada; - replicò Beatrice. - Perchè questo non manca mai, e guasta un pochino la tua Bovadilla. Non volevo l'amor suo intorbidato da un ricordo nemico. Pensavo ancora che quell'uomo era grande, e più grande sarebbe divenuto; onde volevo esser grande ancor io. Avrei desiderato che quella donna persistesse nella sua avversione; ed ho usata tutta l'arte mia, tutta la mia pertinacia, tutta la mia eloquenza per vincerla. Dovevo esser lieta della mia sconfitta, non ti pare? E non fu così: n'ebbi dolore; anch'io m'ero inebriata della mia magnanimità. Fino all'ultimo, sai? Don Cristoval partiva, e sulla spiaggia di Palos incontrai quella donna. Va, le dissi, prendi una barca, raggiungilo, è tempo ancora per te di riconquistare il tuo posto onorato. Ricusò, la disgraziata: e perchè? Questo io non so, l'ho domandato al dotto Villalobos.

- Amava un altro, forse; - entrò a dire Juana.

- L'ho bene pensato. Certo, un altro amava lei, e per lei faceva pazzie; mio fratello don Francisco Bovadilla, commendatore di Calatrava. Fu riamato? Sfruttato, sì, certo, da bisognosi parenti; ma se ne ricevette un grazie, si potrebbe anche giurare che una stretta di mano più calda dell'usato non accompagnasse quel grazie. Io lo argomento dall'ira che don Francisco serbò sempre viva contro don Cristoval. Rammentate con quale accanimento perseguitasse egli il suo rivale fortunato? rammentate le catene di San Domingo? Ah, le orribili catene, che hanno stretti i polsi dell'uomo grande e giusto!... E fu un Bovadilla, lo sgherro!...

- Calmatevi, signora! - disse il capitano Fiesco. - Il signor Almirante dubitò sempre di aver perduta per quel fatto la vostra protezione. E ricordava spesso e ricorda ancora che a don Francisco, se questi avesse voluto ascoltarlo, avrebbe salvata la vita. Di questo fui testimone, e potrei star mallevadore ancor io.

- So anche questo; - rispose la marchesa. - E gli ostinati nemici dell'Almirante gli han fatto colpa anche di questa magnanimità. Non era tempo da tempeste, sentenziarono; l'Almirante sapeva di non esser creduto; perciò ha fatto il magnanimo a buon patto. La tempesta, piuttosto, la tempesta non doveva egli chiamare, con le sue arti di negromante? E andate a persuadere gli stolti, quando i tristi hanno parlato! io mi dolsi per la morte di don Francisco, se non perchè portava il mio nome. Che dovesse finir male glielo avevo predetto io, senza aver arte di magia più del signor Almirante; glielo avevo predetto io medesima, dopo ch'egli era andato ad accusarmi al marchese di Moya. Bei fratelli, non vi pare? Ma torniamo a don Cristoval. Io piuttosto avevo dovuto temere ch'egli si fosse troppo volentieri dimenticato di me, per cagione della mia parentela dolorosa. Ed anche debbo dirvi dell'altro, che più mi stava sul cuore? Ero dolente, scorata, avvilita, di vedermi trattata così male da lui. Male, sì; non è un male la freddezza, la noncuranza e la fuga? Ed egli ha sempre sfuggita questa povera Bovadilla lebbrosa! Come? - continuò la bella marchesa di Moya, animandosi ai ricordi, e corrugando le nerissime ciglia. - Io l'amo, e son pronta al sacrifizio più grande che possa fare una donna innamorata, di cedere l'amor mio ad un'altra. Costei ricusa; io non ne ho colpa; e quell'uomo dovrebbe esser mio nella pura fede delle anime; dovrebbe darmi il premio che ho meritato, il premio d'una schietta parola; qua la tua mano nella mia, e camminiamo puri, baldi, sereni nel mondo, ed altrettanto sicuri, io di te, tu di me. Così la povera Bovadilla intendeva l'amore. Così non l'ha inteso l'Almirante del mare Oceano. Si può dir qui, tra gente che l'ama, e che nessun altri ci senta, ch'egli è stato in ciò molto minore di stesso, cedendo a piccole paure, a più piccoli scrupoli?

- Non vi rivolgete al mozzo Bonito; - disse il conte Fiesco, tentando anch'egli di mettere nel doloroso colloquio una nota men triste. - Egli non vi saprebbe rispondere, non essendo nato in Europa, educato dalla prima adolescenza alle leggi, alle consuetudini, ai riguardi del nostro mondo decrepito e saggio. Piccole paure? V'intendo; col vostro gran cuore non ce ne sono; e molta altezza di sentire, e il rispetto che meritate, potevano tenervi guardata come in una rocca inaccessibile. Ma egli, che ha l'anima grande, poteva temere di non aver così forte il cuore, e di non poter resistere alla violenza di un sentimento, che noi tutti sappiamo come sia indomabile. Qual uomo potrebbe giurare, amando davvero, di non varcare certi confini? E allora, vedete, le piccole paure ingigantiscono, gli scrupoli assalgono, e non sono più piccoli. Si pensa alle ciarle assassine del mondo, e si teme per la donna virtuosa, fino a quel giorno onorata, che l'amor nostro, eccedendo nelle sue dimostrazioni, che la sua divina bontà, non vedendo i pericoli, potrebbero in un momento offuscare. Io non so nulla di ciò dal signor Almirante; conosco l'anima sua, e giurerei che ha pensato così. -

Beatrice di Bovadilla stette alquanto in silenzio; segno che sentiva la forza dell'argomentazione. Ma non era vinta; ma non aveva vuotata la sua faretra.

- Il marchese di Moya morì; - diss'ella finalmente, senza alzar gli occhi verso il suo interlocutore, e come proseguendo un suo ragionamento interiore. - Cessavano gli scrupoli del leal cavaliere. Bovadilla era sempre Bovadilla; rimaneva alla Corte, e vedeva ogni giorno il paggio Fernando, che già tanto somigliava a suo padre. I maschi per lo più matrizzano; quello no, era tutto l'Almirante; e Bovadilla lo divorava con gli occhi, come se fosse stata essa sua madre. Vi ho detto che il mio terribile orgoglio era diventato sforzo di non averne più. L'Almirante tornava dai suoi viaggi: misurato, severo, studioso di tutti i suoi atti. Intesi i riguardi, dopo il secondo viaggio; ancora viveva Giovanni Cabrera, nostro signore e padrone. Ma dopo il terzo!... dopo le catene!... Ah, gloriose catene, che del grand'uomo facevano un martire! gloriose catene, che avrei baciate, e diventavano sacre, com'è sacro il bacio della donna che ama! Oh, non mi dite nulla; non ci dovevano esser nubi, tra noi; io dovevo aver parenti, per lui; non ne avevo avuti, assistendolo contro tutti. Quel suo contegno fu un colpo atroce al mio cuore. Egli ama quella donna, pensai; più questo pensiero mi uscì dalla mente; l'amo ancora, e don Francisco non è più; egli ritornerà a quella donna. Che cosa avvenne? non so. Il favor della Corte gli veniva mancando sempre più: io osai farmi avanti non chiesta. Incominciavo a credere ancor io che fosse un delitto, mettermi tra lui e la Enriquez. La religione, a cui chiedevo conforti, mi sgomentava anch'essa colla imagine dei diritti dell'altra Beatrice. Ah, quella donna! è qui, nella mia vita, come un pugnale nel costato; e non mi uccide, ma geme di continuo la sua goccia di sangue nero. E quella donna è l'errore, com'era già la perfidia: son io, Fernandez di Bovadilla, son io la donna di don Cristoval, io che l'ho gridato Almirante del mare Oceano, prima, assai prima, che altri gli concedesse quel titolo, il più bello che uomo abbia portato mai sulla terra. Pensateci, conte Fiesco, voi che lo conoscete a prova, quel mare. L'Oceano, il grande, il terribile Oceano; e comandato da lui, che lo aveva domato, mentre da migliaia d'anni tutto il mondo ne aveva avuto paura! Moglie dell'Almirante, avrei fatto tremare molta gente, che rialzava più baldanzosa la testa. Vivente la regina, avevo saputo persuaderla ben io, che quell'uomo non era un avventuriero, e non covava il tradimento nell'animo. Questo infatti si perfidiava di lui. Voleva dare le Indie al Portogallo! le voleva dare a Genova, per vendicarsi di Spagna! Tutti avevano sentito; tutti avevano veduto; avrebbero posta la mano sul fuoco. Non era egli sempre a segreti conciliaboli con Francesco Rivarola e con Francesco Grimaldi, con Francesco Doria, con Pantalino ed Agostino Interiani?

- I suoi amici compassionevoli; - interruppe il Fiesco; - i suoi soccorritori nelle angustie, in cui lo avevano messo le angherie degli Aguadi, degli Ovandi.... e degli altri.

- E lo immaginavo ben io. Ma come chiuder la bocca a tutti? Anche lei, la buona Isabella, doveva qualche volta porgere orecchio a tante accuse, che venivano d'ogni parte al suo trono. E ne piangeva, ora credendo, ora discredendo. Sai, Bovadilla? mi diceva. Anche questo si dice; se mi fossi ingannata sul conto del tuo Genovese!... Mio! anche Vostra Altezza le crede? È così poco mio, che non mi guarda nemmeno.

- Ma egli, - notò il Fiesco, - vi temeva mutata troppo per lui!

- E se mai?... - ribattè la marchesa. - Non dovevo apparir tale, mentre egli seguitava a tacere? L'obbligo mio era di non attraversarmi alla Enriquez, di lasciargliela sposare. Non accennava a questo disegno, la sua deliberazione di togliere il paggio Fernando dalla Corte, levandomelo dagli occhi? E perchè non chiamare con il primogenito, destinato un giorno a succedergli, e perciò meglio indicato ad un viaggio d'esperimento, che gli facesse conoscere il suo futuro governo? Questa considerazione non l'avete fatta anche voi, signor conte?

- Un caso; - rispose il Fiesco; - un caso e non altro. Fernando aveva manifestato il desiderio di accompagnare suo padre. Era un ragazzo studioso, per l'indole sua meno adatto alla vita del cortigiano. E su questa semplice apparenza avete fondata la vostra argomentazione, donna Beatrice? e siete giunta fino a credere l'Almirante pacificato colla Enriquez? con una donna, che era diventata una immagine? con una immagine svanita e dimenticata?

- Dov'è ora quella donna?

- Non so; certo non è in Segovia; certo non l'ha egli riveduta dalla vigilia del consiglio di Salamanca. Son diciott'anni passati.

- I diciott'anni del mio tormento! - esclamò la marchesa. - E lunghi, lunghi, troppo lunghi per questo povero orgoglio! -

Povero orgoglio davvero, che si stemprava in un pianto dirotto. Pianse lungamente, la nobil signora, col viso nascosto tra le palme. E la contessa Juana, fattasi più presso a lei, con atti amorosi la veniva accarezzando, la baciava in fronte, le afferrava le mani, per distoglierle da quel viso; e consolandola de' suoi baci, beveva silenziosa le lagrime della sua sorella europea. Sapeva anch'essa, la bella figlia d'Haiti, che le lagrime fan bene, ma a patto che chi ci ama s'intenerisca con noi.

A poco a poco donna Beatrice si riebbe; rasciugò le sue lagrime, levò la fronte e disse:

- Che rimedio ci vedete voi, conte Fiesco?

- Rimedio? a che? ad uno stato di cose che quella donna ha voluto? Quella donna l'ha offeso; è fuggita da lui; ha perfino rinnegata la sua creatura. Che ci volete fare? Tanti anni sono passati oramai! Cade un edifizio, per qualsivoglia cagione, folgore, incendio, tremuoto. Si può vedere a tutta prima la necessità, la utilità di salvarlo. Ma quello che non si è veduto prima, si vedrà forse più tardi? Sulle vecchie rovine crescono i cardi, i rovi, le ortiche; tra le vecchie rovine si appiattan le serpi, e fischiano irritate al viandante. Si gira largo, e si edifica altrove; o non si edifica più in nessun luogo; - conchiuse il Fiesco, sospirando. - Povero signor Almirante! la vecchiezza è venuta precoce su lui.

- Ma il figlio?... come rimarrà egli, povero innocente?

- Il figlio, se ha senno, accetterà la sua sorte, che è bella ancora, e val meglio di quella che sorride a tant'altri. Non è egli stato ammesso a Corte, come già il figlio legittimo di donna Filippa Mogniz? Un decreto sovrano ha nobilitato quel ragazzo, e cancellato il vizio d'origine. Vizio, poi!... I tempi nostri non mi paiono fatti per badare a certe inezie. Una sbarra nello scudo, in vece d'una banda o d'una fascia, ecco tutta la differenza. La illegittimità non ha impedito a nessun valoroso di diventar cavaliere, conte, principe e re. Più illustre è la macchia, più porta in alto; e potrei citarvi esempi a migliaia, antichi e recenti. Lasciamo dunque il pensiero di voler aggiustare le cose che non richiedono di essere aggiustate, e sopra tutto di cercar quella donna. Che sarà poi diventata? D'un altro, senza dubbio; e chi sa? forse contenta, fors'anche felice.

- Lo saprò; - disse la marchesa, con gesto risoluto. - Devo saperlo. Ed anche mi ha maledetta, sulla spiaggia di Palos, mentre io tentavo una seconda volta di ricondurla a lui. Ella vedrà pur troppo come abbia fruttato la sua maledizione. Oggi stesso uscirò dal mio ritiro. Ma non ho se non donne, al mio servizio; un uomo mi manca.

- Per che fare?

- Per essere il braccio della mia volontà. Non debbo cercare? non debbo trovare, e subito? Lo avete voi, quell'uomo?

- Ho il frate scudiero, di cui vi parlavo poc'anzi, e che ci aspetta in istrada.

- Che uomo è?

- Forte e coraggioso, accorto e leale.

- Datelo a me; ve lo renderò presto.

- Sia, ma per la regina Giovanna?...

- Lasciatemi fare; per Giovanna, che è ancora.... lontana, arriverò sempre in tempo. Voi ritornate a Segovia; e se, giunto , com'io ne sono sicura, la Corte non ci sarà più, andate a Valladolid, dove si sarà trasferita. Anche questo lo so di buon luogo. Vi fa maraviglia? Pensate che Santa Chiara è di Castiglia, e per Castiglia; e sa tutto, e partecipa a tutto. Voi dunque non dubitate, poichè a me siete venuto per il signor Almirante; a voi a lui mancherà il mio povero aiuto. Egli ha seguita la Corte fin qui; la segua ancora, perchè io possa ritrovarlo. Addio, contessa Juana; addio, sorella, e contate su me, se anche non è stato fatto ancora il cambio del sangue. Soy Bovadilla; - conchiuse la nobil signora, mettendosi solennemente la destra sul cuore; - una cosa, entrata che sia qua dentro, non n'esce più; se ho dato questo, l'ho dato per sempre. Amami, e aspettami. -

 

 

 





2      Nell'originale "Maya". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License