Anton Giulio Barrili
Raggio di Dio
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Capitolo XVI. Grazia, giustizia, e un granellin di follìa.

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Capitolo XVI.

Grazia, giustizia, e un granellin di follìa.

 

Ma per ora, vittoria. Giovanna e Filippo sono entrati a Valladolid. Le accoglienze sono maravigliose; l'allegrezza della città non si descrive; essa è tanto più grande, quanto più lontana era in lei la speranza di avere tra le sue mura i sovrani. solamente per un giorno, come è toccato a Burgos. Valladolid li riterrà per parecchi, meglio prestandosi per una lunga dimora l'ampiezza del palazzo reale, e il non averci l'incomodo di un'altra corte, sempre molesta vicina, per quanto l'abbiano scemata di numero le diserzioni sollecite di tutti, o quasi tutti i gentiluomini Castigliani. Se poi l'altra corte volesse scendere anch'essa in Valladolid, non avrebbe a far altro che a prendere esempio da ciò ch'è avvenuto in Burgos, dov'ella si era già collocata, e i nuovi venuti erano smontati al palazzo di città. Venga pure a Valladolid, e smonti dove le pare; magari al palazzo di giustizia, dove abitava il Ximenes: l'essenziale è che non trovi alloggio al palazzo reale, che è proprietà di Castiglia e Leon, mentre Castiglia e Leon appartengono ai due giovani principi, ai sovrani adorati, che tutto il paese ha così prontamente riconosciuti, passando sopra alle minute formalità, alle vane cerimonie d'una trasmissione di poteri. Tutta roba, questa, a cui si potrà dar sesto in processo di tempo: per ora Valladolid non ha da curarsi di ciò; Valladolid è in festa, e sarà in festa finchè i giovani sovrani staranno tra le sue mura.

Beatrice di Bovadilla trionfa; quando passa lei per le vie, tutti i cittadini si scoprono il capo, le fan riverenze, l'acclamano. Si sa che il consiglio di scender subito a Valladolid è venuto da lei. Si vede che i duchi e tutti gli altri gran signori del cortéo regale, abbondando volentieri nelle belle forme della cavalleria spagnuola, si mostrano pieni di ossequio per lei; ed anche il popolo impara a riverirla, ad amarla. La regina Giovanna la vuol sempre al suo fianco; il re Filippo la colma di delicate attenzioni.

Troppe attenzioni, ahimè, quelle di Filippo il Bello, e troppo delicate! Giovanna ammette le cortesie, non riprova le garbatezze; ma ci vorrebbe più riguardo, più misura, più parsimonia. È gelosa, e la gelosia non ragiona; è gelosa, e ne soffre doppiamente questa volta, perchè la gelosia ha un argomento visibile su cui esercitarsi, e perchè infine ella ama la marchesa di Moya, e non vorrebbe privarsi di lei.

- Dio, come sei bella! - le disse al secondo giorno dell'entrata in Valladolid, non potendo più reggere alla sua pena. - Sei troppo bella, Bovadilla! -

Donna Beatrice diede in uno scoppio di risa, che mostrava tutta la sua bell'indole, ma ancora più i suoi bellissimi denti.

- Alla mia età, - rispose poscia, - non mi aspettavo più un simile discorso. È anche vero che Vostra Altezza ha il più bel cuore della cristianità.

- Oh, non è il mio cuore, quello che parla; sono i miei occhi; - replicò Giovanna, abbracciandola con tenerezza, come se volesse in quell'atto premunirsi contro la cattiveria del sentimento da cui si sentiva già invadere. - Tu hai bevuto alla fontana di giovinezza, che i maghi moreschi hanno fatta scaturire in qualche parte della Spagna. Dimmi dov'è, tu che lo sai; e dov'è la fontana della bellezza miracolosa. Perchè anche di questa ne hai bevuto, Bovadilla. Negalo, se puoi! C'è qualcheduno che ti vede troppo di buon occhio; ed io non voglio, Bovadilla, non voglio.

- Vostra Altezza si rassicuri anche contro le illusioni degli occhi; - rispose Beatrice di Bovadilla, mettendosi sul grave. - Io voglio farle qui una bella confessione.

- Ah sì, sentiamo, Bovadilla! - gridò la regina, battendo le palme dalla gioia. - Tu hai pure un certo modo originale di dir le cose più fini!

- Ringrazio Vostra Altezza, e incomincio con una domanda, ch'ella vorrà perdonarmi. Che cosa ho fatto, io, che cosa ho detto io alla mia regina, appena ella è smontata sulla spiaggia di Laredo?

- Non so più bene; - rispose Giovanna, sconcertata da quel modo di cominciare, che veramente era più originale di quanto ella potesse aspettarsi. - Ricordo che mi hai presentato don Bartolomeo Colon.

- Con una lettera, non è vero?

- Sì, con una lettera di ossequio, di suo fratello l'Almirante.

- Almirante maggiore del mare Oceáno; - aggiunse a mo' di glossa in margine la marchesa di Moya, badando anche a batter bene l'accento sulla penultima di Oceáno, com'ella soleva. - E la lettera diceva, oltre le parole di ossequio? Non forse che l'Almirante aspettava giustizia dai nuovi sovrani?

- Sì, è vero; e la faremo. Ma che vuoi tu dire con ciò?

- Questo, mia buona regina: che anch'io, dopo l'ossequio dovuto a Vostra Altezza, non vedevo più altro fuorchè don Cristoval Colon, il grand'uomo, il luminare del mondo.

- Come ne parli! - esclamò Giovanna, guardandola fissamente negli, occhi. - E non temi, dandogli questo titolo, di far torto ad Apollo, il dio della luce?

- Non ho da render conto agli Dei; amo quell'uomo. Scendesse Apollo in terra, Apollo che è pure il dio della bellezza, della poesia e dell'arte, egli non avrebbe uno sguardo da me: non lo avrebbe avuto quand'ero ancor giovine, e bella davvero (posso oggi parlarne senza incorrere la taccia di superbia) e già amavo don Cristoval.

- Lo hai amato.... e lo ami sempre.... - disse Giovanna, seguendo a modo suo il filo di quello strano discorso. - Bella cosa, amar sempre.... ed essere amata! Perchè non lo sposi?

- Non posso; - rispose Beatrice Bovadilla, con accento di profonda tristezza.

- Non puoi? E chi lo impedisce? Posso io esserti utile?

- No, mia signora; - mormorò Beatrice sospirando. - C'è un triste segreto di mezzo, il segreto di Cordova!

- Posso io saperlo? Vuoi dirmelo? -

La marchesa di Moya non poteva ricusare alla innocente curiosità della pietosa regina il resto di una confessione, ch'ella stessa si era proposta di fare. Ed anche le pareva di sfogare la piena del suo dolore, narrandone ancora una volta le tristi cagioni. Narrò dunque, svelò intieramente il segreto di Cordova.

- E quella donna? - domandò la regina. - Se è libera, come tu dici, non darà la sua mano a don Cristoval?

- Non vuol saperne; - rispose Beatrice di Bovadilla.

- Non vuol saperne? e perchè, dopo il suo fallo? ed essendo questo l'unico modo di ripararlo?

- Non lo so; - disse Beatrice. - Pare che le sia entrata nel cuore una avversione invincibile contro il padre del suo Fernando, anche prima che questi nascesse. Misteri della povera carne! Ed io non cercherò di approfondirli. Pure ho tentato di ricondurla alla ragione, quella donna ostinata; e tanti anni fa, ed ancora in questi ultimi tempi. Dio mi è testimone che ho fatto ogni mio potere per convincerla. Non trovandola io, ed essendo chiamata dal segnale dei fuochi d'allegrezza a Laredo, ho posto sulle sue tracce una fidata persona, che l'ha ritrovata finalmente a Granata, consegnandole una lettera mia. Frate Alessandro, un buon francescano, che era il mio messaggero, è tornato iersera da me, senza aver nulla ottenuto. Le ha parlato da religioso e da cavaliere ad un tempo, ma senza alcun frutto. Gli ha risposto che è contenta così, e che vuol vivere in pace. Ma forse io m'inganno, sulla avversione inesplicabile di lei. Se don Cristoval fosse in auge, parlerebbe ella ancora così? Certo, non amerà esser la moglie di un povero abbandonato.

- E se io lo rimettessi in onore? - disse Giovanna. - Se io gli rendessi, unita col mio Filippo, tutti i suoi titoli, i suoi diritti, i suoi privilegi?...

- Chi sa? forse allora si muterebbe il suo cuore.

- E tu ne saresti contenta? -

Beatrice di Bovadilla stette dubbiosa un istante: ma si pose una mano sul cuore, come per reprimerne le voci ribelli, e rispose con accento sicuro:

- Sì, perchè mi parrebbe di avere adempiuto l'obbligo mio.

- Ami tu in questo modo?

- Ma sì, mia dolce signora. Ognuna di noi ama in un suo modo particolare. Il mio non rifugge dal sacrifizio.

- Povera Bovadilla, come devi soffrire! Ed è sempre bello, il tuo Almirante? bello, come io l'ho veduto bambina, alto, maestoso, sereno, con quei grandi occhi azzurri e quelle labbra che facevano anche più bello il sorriso?

- Sempre! - rispose Bovadilla, chiudendo gli occhi con atto religioso; - sempre tale io lo vedo, attraverso la nebbia degli anni. Ed è bello come un dio antico, sul cui capo sia passato il dolore, lasciandogli i suoi segni augusti nel viso. I travagli della vita lo hanno estenuato; gli tremano le membra, e spesso ricusano di sostenerlo; ma i suoi alti servigi ne han colpa. La fronte, ampia e serena, è campo di celesti pensieri, di cui si vorrebb'essere a parte; gli occhi scintillano, dardeggiano, e passano i cuori; le labbra.... ha detto bene Vostra Altezza.... le labbra son tali da fare anche più bello il sorriso, la cosa più bella, forse l'unica bella sulla faccia dell'uomo. L'aureola dei suoi patimenti raddoppia quella delle sue imprese immortali; essa fa di lui il più grande fra gli uomini.

- Che ardore! - esclamò la regina. - Ma quando si ama, si pensa così. Niente val più del nostro amore; niente val più dell'uomo che amiamo. -

Giovanna era sul punto di cadere in una delle sue estasi frequenti, donde tornava poi tanto difficile richiamarla alle cure volgari della vita.

- Ed io non abbandonerò più quell'uomo; - ripigliò la marchesa, alzando la voce, come per trattenere lo spirito vagabondo della regina. - Anzi, mi ascolti Vostra Altezza, io dovrò pregarla ben presto di darmi licenza. Alla mia regina ho portato l'omaggio di un cuore devoto; ma ella non avrà più bisogno di me; resterò a Valladolid. -

Un moto involontario d'allegrezza agitò il cuore e tinse d'una fiamma fugace le pallide guance della gelosa regina. Ma la gelosa era buona, ed amava la sua Bovadilla; perciò represse a forza quel senso importuno di gioia, che sarebbe anche parso di brutta ingratitudine.

- Mia cara! - diss'ella. - Ciò che vuoi fare a Valladolid non si accorda troppo bene con ciò che speri di ottener da Granata. Ma speriamo che Granata persista nel suo rifiuto; non ti rifiuterò io ciò che domandi per il tuo Almirante. Lascia che si compongano queste difficoltà con mio padre, e che io sia libera di dar corso ai voti del mio cuore, ed io penserò a don Cristoval Colon in modo da farti contenta. Sarà questo il mio primo atto di regno.

- Faccia la mia signora che sia soltanto il secondo; - rispose la marchesa di Moya.

- Come? - gridò la regina. - C'è altro, che ti preme di più?

- Non già che mi prema di più, ma che può farsi prima, che può farsi fin d'oggi.

- Che cosa? Sentiamo.

- Una visita al palazzo di giustizia, o, per dire più veramente, alle carceri attigue.

- Per che fare?

- Per liberare una povera donna, che molto mi sta a cuore, come sta a cuore del signor Almirante, essendo essa la moglie di un degno gentiluomo, suo concittadino e fedele servitore.

- Che cosa ha fatto questa donna? ha commesso un delitto?

- Sì, e gravissimo; è moglie ad un uomo che non voleva prestarsi ad un tradimento contro Giovanna e Filippo, legittimi sovrani di Castiglia. -

Così avendo incominciato, Beatrice di Bovadilla narrò tutta la storia del conte Fiesco e della contessa Juana. L'anima mite della regina si turbò grandemente al racconto di quella prepotenza inaudita, che, com'ella disse, gridava vendetta a Dio.

- E giustizia ai suoi ministri in terra; - conchiuse la marchesa di Moya. - Così si è messo il coltello alla gola d'un povero gentiluomo, straniero di nascita, ma vissuto parecchi anni ai servizi di Castiglia. E si aspetta da San Domingo la prova che la contessa di Lavagna non sia stata suddita Spagnuola. E si aspetta da Genova la prova che sia veramente la moglie del conte Fiesco. Se poi il conte Fiesco si decide a far firmare questo trattato dal re Cristianissimo, non c'è più mestieri di prove da Genova, non c'è più mestieri di prove da San Domingo, e la prigioniera è restituita al povero conte. -

Così dicendo, la marchesa di Moya aveva cavato un foglio dalla sua borsa di velluto, e lo metteva sotto gli occhi della regina.

Giovanna lèsse, e strinse convulsamente le labbra.

- Pazienza per me, che sono sua figlia; - diss'ella. - Ma contro i diritti di Filippo! È orribile, sai? Son pazza.... pazza io, perchè amo! Così avess'egli veramente amata mia madre, che non vedrei sul trono di Aragona la sua Germana di Foix! Ed è della sua cancelleria, lo scritto; - soggiunse, guardando ancora il foglio malaugurato. - Conosco la mano del suo segretario Fernando Alvarez di Toledo; un Castigliano che non abbiamo ancor veduto alla nostra corte! Meglio così, dopo tutto; che io non lo vedrei di buon occhio. Mi lasci questo foglio?

- È commesso alla mia fede, signora. Questo posso giurare, che non andrà, per le mani d'un Fiesco, a Parigi.

- Ripiglialo, Bovadilla. Tanto, mi scotterebbe le mani. E mi dicevi che le carceri sono attigue al palazzo di Giustizia?

- Sì, e se Vostra Altezza ama davvero la sua Bovadilla....

- E la mia Bovadilla, e la giustizia del mio regno; - rispose con nobile accento la regina. - Andiamo senza perdere un istante. Dov'è Filippo? Si cerchi del re. -

Filippo non era a palazzo. Mezz'ora prima era montato a cavallo, in compagnia del duca di Ossuna. Per dove? Non si sapeva; ma certamènte non poteva andare lontano, non avendo accennato ad una lunga assenza. Era andato a passeggio; non si trattava dunque se non di una delle solite scappate mattutine, per veder la città. Il giovane re era come uno scolaretto, a cui pesino troppo le sue ore di studio, sotto gli occhi e la sferza del pedagogo.

Giovanna si addolorò di quella passeggiata, che si faceva senza di lei, e senza pure avvertirla. Ah, le belle di Valladolid! volevano farla disperare, come quelle di Brusselles, come quelle di Londra!

- Mia signora, - disse Beatrice, che non voleva altri indugi, - se il re Filippo non è a palazzo, lo troveremo fuori, facendo un giro per la città. E del resto, si fa presto a trovarlo. -

Era in anticamera il marchese di Lucena; la marchesa lo chiamò, e in presenza della regina gli disse:

- Lucena, siate oggi, con licenza6 di Sua Altezza, il mio aiutante. Uscite e cercate del re don Filippo; ditegli che la regina è andata fino al palazzo di giustizia, per visitare le carceri, e lo attende colà.

- Lo desidera; - corrèsse la regina.

- Vostra Altezza sarà obbedita; - rispose il marchese di Lucena, muovendosi tosto per partire.

- E veduto il re, - aggiunse la marchesa, - cercate del conte Fiesco. Lo troverete probabilmente in casa del signor Almirante Colon. Ditegli, vi prego, di venirmi a trovare alle carceri. Il ritrovo non sarà bello, - soggiunse ella ridendo, - ma non l'ho inventato io, e bisogna prender le cose del mondo come vengono. -

Il marchese di Lucena s'inchinò, e partì come una freccia.

Mezz'ora dopo, la regina Giovanna, seguita dalla sua dama di palazzo, da due cavalieri d'onore e da un drappello d'arcieri, si presentava all'ingresso delle carceri, detto il palazzo di giustizia.

- Sua Altezza la regina di Castiglia! aprite! - intimò il capo degli arcieri.

Il cancello si aperse, e la regina entrò in un cortile di vecchio convento, diventato prigione. Il prevosto delle carceri non tardò ad apparire dall'alto di una scala, e tutto confuso da quella visita inaspettata scese a precipizio, rischiando un paio di volte di fiaccarcisi il collo.

- Agli ordini di Vostra Altezza; - balbettò egli, piegandosi in due; - agli ordini di Vostra Altezza.

- Voglio visitare le carceri; - disse la regina, con piglio severo. - Precedimi. -

Il prevosto non osava passare avanti: ma Beatrice di Bovadilla gli fece notare che dove Sua Altezza ordinava, il cerimoniale portava di obbedire. E il prevosto si piegò in due una seconda volta, precedendo la comitiva fino al piano superiore del chiostro.

- Non aspettavate di rivedermi così presto? - gli disse a mezza voce la marchesa di Moya, mentre la regina si affacciava nell'intercolonnio, a guardare di sotto e d'intorno.

- Signora.... sa Iddio se avrei voluto contentarvi l'altro giorno; ma ho comandi superiori.... sono schiavo del dovere....

- Il vostro dovere lo vedremo quest'oggi; - ribattè la marchesa. - E preparatevi a farlo bene.

- Che cosa gli dici? - domandò la regina, avvicinandosi.

- Che si disponga a liberare il mozzo Bonito, secondo gli ordini di Vostra Altezza; - rispose la marchesa di Moya.

- Tale è infatti il nostro piacere; - disse la regina. - Dov'è egli?

- È , al numero sette, voltato quell'angolo del corridoio; - rispose il prevosto, più confuso che mai. - Ma.... voglia perdonarmi Vostra Altezza.... So bene che Vostra Altezza comanda.... Tutta Valladolid lo dice; ma io, povero vecchio soldato, schiavo del mio dovere....

- Vuoi dire che non hai libertà di obbedirmi? Colpa di chi non te lo ha fatto sapere in tempo; - replicò la regina, con più asseveranza che non fosse dato aspettare da lei. - Apri quell'uscio, e metti fuori il prigioniero, a cui faccio grazia, se forse non è meglio dire gli rendo giustizia. -

Il povero prevosto nicchiava. L'aspetto imperioso della regina egli lo vedeva, e ne tremava tutto: ma aveva anche agli occhi le immagini del re Ferdinando e del suo potente ministro Ximenes.

- Mia signora.... - balbettò egli. - Se almeno avessi un ordine in iscritto!

- Non c'è altra difficoltà? - disse la marchesa di Moya. - Portate qua penna e calamaio con un foglio di carta, e l'ordine è presto fatto.

- Capisco.... sì, capisco bene. Ma gli ordini, forse, andrebbero meglio se firmati da due.... dalla regina e dal re. Il re e la regina sono inseparabili. -

La marchesa di Moya stava già per rispondergli. Ma la regina fu colpita dalle parole dello scrupoloso carceriere.

- Hai ragione, buon servo della corona di Castiglia; - diss'ella, intenerita. - Tu pensi che Filippo debba esser sempre accanto a Giovanna? Ricordami queste tue parole, quando avrai qualche cosa da chiedermi, e ti sarà concessa, te lo prometto fin d'ora. -

Ciò detto rimase estatica, pensando e guardando fissamente davanti a . Era uno dei momenti pericolosi, per chiunque aspettasse qualche cosa da lei. La povera estatica non era più capace di nulla.

- Possiamo almeno entrare, a visitare il prigioniero; - disse la marchesa, alzando la voce. - Apriteci, signor prevosto. E Vostra Altezza si degni di entrare, - soggiunse, premendo con devota amorevolezza il braccio della regina. - La contessa Juana del Fiesco aspetta una buona parola dal bel labbro regale.

- Bel labbro!... - mormorò la regina. - Bel labbro!... Come sei originale, Bovadilla! Andiamo dunque; - soggiunse, alzando a sua volta la voce; - e portiamo la buona parola. Bel labbro! - tornò a ripetere sommessamente. - Bel labbro! Così parlasse Filippo! -

La regina voleva visitare il prigioniero; era nel suo diritto, e adempiva anche uno dei precetti della santa madre Chiesa. Il prevosto non ebbe argomenti da opporre, e mise mano alle chiavi. La cella del numero sette fu aperta, e la regina passò.

Il mozzo Bonito era , nel vano dell'unica finestra onde prendeva luce la cella; e stava con la fronte appoggiata alle sbarre d'una inferriata, per sentire il fresco del metallo, e per bere un soffio d'aria, della buona aria del cielo, della eterna libera, che forse ignora la sua grande fortuna. Non si era volto, all'aprirsi dell'uscio, pensando che si trattasse d'una delle solite visite de' suoi carcerieri; ma si volse al fruscío delle vesti femminili, e ad una ondata d'insolita fragranza che penetrava in quel chiuso. Vide allora le dame, riconobbe la marchesa di Moya, e si gettò nelle braccia che essa gli tendeva in quel punto.

- Ecco la regina, mozzo Bonito; - fu pronta a dire la marchesa di Moya; - la regina Giovanna, che vi fa la grazia di venirvi a vedere. -

Il mozzo Bonito guardò quella dama dal malinconico aspetto e dai grandi occhi buoni; si chinò, le prese la mano, baciandola divotamente, e ruppe in uno scoppio di pianto. Erano le prime lagrime che Fior d'oro avesse versate dentro.

- Mozzo Bonito! mozzo Bonito! - esclamò la regina, commuovendosi. - O piuttosto, contessa del Fiesco.... Sappiamo tutto: non piangete; siamo qua noi. Dio! - soggiunse, volgendosi alla marchesa. - Come è bella! Se avesse i capelli biondi, non si direbbe?...

- La regina vi fa giustizia; - prese a dire la marchesa, cercando di rompere il corso dei pensieri regali. - Essa abomina una odiosa prepotenza, a cui il suo governo è straniero. La regina vi ama, e vi conduce a respirare un'aria più sana. Venite, contessa, e ringraziate la regina fuori da questa orribile stanza.

- Ci sa di rinchiuso; - aggiunse la regina, muovendosi. - E come è brutta la prigione! -

Uscita dalla triste stanzetta, la comitiva svoltò l'angolo del corridoio, avviandosi a quella parte dond'era venuta. Il signor prevosto delle carceri si trovò male a quella vista, e fu per cacciarsi le mani nei capelli. Come richiamar dentro il prigioniero, senza offendere la regina, che andava oltre, tenendogli per dimostrazione di benevolenza una mano sugli ómeri? La marchesa di Moya, che veniva dopo di loro a pochi passi di distanza, vide il comico agitarsi del disgraziato; ma non si diè cura delle sue smanie, e seguitò imperturbata un esodo che le pareva troppo bene avviato. Ma egli non la intendeva così; e fattosi animo, afferrò la marchesa per una manica ricadente della sua sopravveste di broccato.

- Signora marchesa.... mia buona signora marchesa.... - ansimava egli con voce soffocata. - È un tradimento.... Sono un uomo rovinato....

- Che cosa vi avevo detto io, signor prevosto? - ribattè la marchesa, traendo a la sua manica. - Carta, penna e calamaio, e vi si fa l'ordine di scarcerazione.

- Ma senza la firma del re?

- Ecco, voi non siete ragionevole nei vostri desiderii. La regina vi ha detto: ripetimi le tue belle parole, quando avrai qualche cosa da chiedermi, e sarai contentato. Avete voi chiesto allora che il re autenticasse la parola di lei? E non andrete un giorno o l'altro a chiedere un posto migliore, anche senza avere la firma del re?

- Ma ancora non è detto che io l'ottenga! - rispose il prevosto.

- E il modo vostro è cattivo, se mai, per ottenere qualche cosa; - ribattè la marchesa. - Credete voi che fugga Giovanna stasera, e sia qui domani da capo il re d'Aragona? Ah, per buona sorte, e per rimettervi il fiato in corpo, - soggiunse ella, ridendo, - eccolo qua un re, signor prevosto, e migliore di quello che volevate servire. Animo! carta, penna e calamaio, se non volete che il re e la regina vadano via, senza lasciarvi due righe di biglietto. -

Il marchese di Lucena aveva fatte le cose per bene. Filippo, accompagnato dal buon duca d'Ossuna, era giunto allora nel chiostro, e stava a colloquio colla regina. Egli ebbe notizia di ciò che Giovanna aveva fatto, e stava rivolgendo qualche frase benevola al prigioniero liberato, quando la marchesa di Moya si avanzò per dargli spiegazioni più minute.

- Bene! egregiamente! - disse Filippo, a cui poco bastava, e che per si sarebbe anche contentato di niente. - Facciamo dunque un po' di giustizia? Mi par d'andare a nozze una seconda volta. Ma sì! - aggiunse lesto, vedendo oscurarsi la fronte di Giovanna. - Con la giustizia, oggi, come già ci andai con la grazia. -

Il prevosto aveva fatto portare uno scrittoio, con la carta, il calamaio e la penna. Gli fu steso l'ordine di scarcerazione, e Filippo si avvicinò allo scrittoio per apporre la firma: Yo el Rey.

- È la prima che faccio, in Valladolid; ed ora, mia cara Giovanna, a voi. -

Giovanna sussultò a quel dolcissimo aggiunto; e tutto il suo essere palpitava, radiava incontro a quell'uomo biondo e bello come un giovane iddio. Guardando a mala pena la carta, e subito levando gli occhi verso Filippo, scrisse accanto alla firma di lui: Yo la Reyna.

- Basta così, per voi? - chiese la marchesa di Moya al prevosto.

- Sì, signora marchesa; - rispose egli, chinando il capo più in giù delle spalle.

- Ma ancora non basta a me; - ripigliò la signora. - Questo scrittoio può servire a qualche altro po' di giustizia, se Sua Altezza permette. Ossuna, volete voi scrivere un salvacondotto per don Bartolomeo Fiesco, conte di Lavagna, per la contessa sua moglie, e per ogni altra persona che fosse con lui in terra di Castiglia e Leon, che nessuno li possa mai molestare imprigionare?

- Il re e la regina permettono; - disse il buon duca di Ossuna, vedendo sorridere i sovrani e far segno di assenso. - Dettate voi, marchesa, che sapete i nomi e i titoli, e il bisogno del conte. -

La marchesa dettò; Filippo e Giovanna firmarono ancora, l'uno di costa all'altro, e il duca d'Ossuna v'aggiunse il suo nome, entrando così in carica di segretario.

- Due buone azioni, e fatte insieme; - disse la regina. - Sono contenta, Filippo. -

Ma Filippo s'era messo e dire troppe garbatezze al mozzo Bonito, e già pareva non avesse più occhi se non per lui. Onde la regina strinse il braccio di Bovadilla, su cui s'era appoggiata per scender la scala; e stringendo il braccio, le disse all'orecchio:

- Odio il mozzo Bonito. È troppo bello; portalo via.

- Lo manderò, piuttosto; perchè vedo in fondo allo scalone il conte di Lavagna, che sarà più felice di accompagnarlo. Se pure, - aggiunse la marchesa, - Vostra Altezza non vuol liberarsi di me.

- No, no, rimani; son pazza; - mormorò Giovanna, stringendosi a lei. - Son pazza! son pazza! - seguitava sommessamente. - Lo ha detto anche mio padre.

- Pazza d'amore; - le sussurrò Beatrice di Bovadilla all'orecchio. - Ed è bello, in una donna, esser pazza così.

- Anche tu, non è vero, Bovadilla? Accompagnami a palazzo; non son gelosa di te. Ma oggi, piuttosto, per avere il tuo premio, o per darlo altrui con la tua dolce presenza, andrai dagli amici tuoi che t'aspetteranno, e dirai a don Cristoval che Giovanna di Castiglia farà giustizia anche a lui. Come è bello far giustizia! Piace anche a Filippo; ed è più bello ancora scrivere il proprio nome accanto al suo. Inseparabili! inseparabili nella vita! Ma bisognerebbe anche esser tali nella morte; non credi? -

 

 

 





6      Nell'originale "iicenza". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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