Anton Giulio Barrili
Raggio di Dio
Lettura del testo

Capitolo XVII. Sposi novelli.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Capitolo XVII.

Sposi novelli.

 

Dicono che l'uomo non intenda pienamente il suo bene, se non quando gli sia accaduto di perderlo, e che non sia maggior dolore del ricordarsene senza speranza, maggiore felicità del ricuperarlo dopo tanto sconforto. Ma il capitano Fiesco, per intendere il suo, non aveva mestieri di vederselo rapire a quel modo. Il doloroso esperimento, se mai, lo aveva già fatto una volta a San Domingo; e in verità non c'era bisogno d'insegnargli più nulla con un nuovo pericolo. E il pericolo era stato assai grave, ad onta delle speranze che gli faceva balenare davanti agli occhi il ministro Ximenes. Come sperare che Gian Aloise si mettesse per il suo disgraziato parente in una lunga peregrinazione e in uno spinoso negozio, se quel suo parente gli aveva poco prima ricusato di muoversi per lui a più breve viaggio e a più facile impresa? E se pure Gian Aloise si fosse lasciato persuadere per amor di Juana, da lui tenuta al fonte battesimale, da lui accompagnata all'ara nuziale, era da credere che sarebbe egualmente venuto a capo di una trattazione, che doveva essere tanto più malagevole, quanto più pareva premere al re Ferdinando? Se i negoziati fallivano a Parigi, addio speranze di Valladolid. E il capitano Fiesco si sarebbe ucciso, non potendo sopravvivere a Fior d'oro, irremissibilmente perduta. Triste chiusa al poema! Ed era questo il suo pensiero dominante, l'unico che lo tenesse in vita.

Un raggio di speranza lo aveva portato con la marchesa di Moya. Si era sentito rinascere all'annunzio che i nuovi sovrani di Castiglia sarebbero giunti a Laredo, togliendo al perfido Aragonese l'amministrazione del regno. Ma anche un animoso tentativo della generosa Beatrice di Bovadilla era andato a vuoto. Il prevosto delle carceri, pregato, minacciato da lei, aveva resistito a preghiere, a minacce; e donna Beatrice era partita per Burgos, promettendo molto al povero conte, animandolo a sperare da capo, ma neanche lei ben certa di promettere utilmente, di dargli speranze efficaci. E i giorni passavano, ed erano giorni d'angoscia terribile. Ferdinando era andato a Burgos, incontro ai nuovi sovrani. Accorto com'era, non avrebbe acquistato sovr'essi un ascendente che già gli poteva assicurare la sua condizione di padre? Ma no; i giovani sovrani avevano lasciato Burgos, per scendere a Valladolid. Quel padre astuto non aveva vinto ancora. Per contro, venuta a Valladolid con la regina Giovanna, la marchesa di Moya non si era lasciata vedere in casa dell'Almirante. Che voleva dir ciò? Una cosa sola: che la dama di palazzo non aveva potuto, nei primi momenti dell'arrivo in Valladolid, allontanarsi dal fianco della regina; che se avesse potuto farlo, non lo avrebbe neanche voluto, amando meglio restar , a vigilare, a spiar le occasioni, a cogliere il buon momento per tentare un gran colpo. La marchesa di Moya non era donna da dimenticare gli amici, da lasciarli in angustie.

Che gioia, quando il marchese di Lucena, comparso improvvisamente nella casa di Gil García, ebbe detto al Fiesco: "signor conte, andate subito alle carceri del palazzo di giustizia; la marchesa di Moya vi aspetta colà!" E che bella giornata era quella! com'era sereno il cielo! com'erano liete le strade, per cui egli passava, non andando, non correndo, volando!

C'era folla, sulla piazzetta delle carceri, e gli arcieri stentavano a contenerla. Gli si fece largo, nondimeno: era un gentiluomo, doveva appartenere al séguito dei sovrani di Castiglia, che erano andati dentro, per compiere un atto di grazia, di giustizia, di clemenza regale. Sì, c'era un po' di tutto questo, nell'atto, e non bisognava perdere il tempo ad almanaccarci su. Il capitano Fiesco sentiva le benedizioni, e il cuore gli si allargava in petto, mentre la persona si faceva sottile ed elastica, per scivolare in mezzo alla calca.

Entrò nel portico del chiostro, mentre la comitiva regale scendeva lo scalone. Si trasse indietro per darle il passo, e il cuore gli balzò in petto più forte, poichè vide in quella comitiva il mozzo Bonito. Anche il mozzo Bonito avea visto lui, e rizzando la sua bella testina in mezzo a quel barbaglio d'oro e di seta che scendeva con lui dagli ultimi scalini, si era recato la mano alle labbra; col sommo delle dita gli gittava il suo bacio, con un lampo degli occhi gl'illuminava quel bacio.

Dalla marchesa di Moya fu presentato alla regina; fece un profondo inchino, balbettò poche frasi rotte dalla confusione del momento; ma in quella confusione gli venne bene di poter salutare in lei "l'angelo di Castiglia." Angelo per la bontà, si capisce; ma gli angeli sono anche belli. E il complimento, fiorito così naturalmente sulle labbra del cavaliere, doveva tornar sommamente gradito al cuore della regina.

- Signor conte di Lavagna, - diss'ella amabilmente, - noi vi rendiamo un tesoro. Andate, e custoditelo, per vostra fortuna e sua. Se mai vi accada di abbisognare del nostro appoggio, contate su noi, che saremo sempre felici di rivedervi. -

Ciò detto, e baciato sulle guance il bel mozzo Bonito, congedò graziosamente gli sposi, che rimasero , contro il muro, per lasciarla passare. Ma ella volle che passasse prima Filippo; indi, tra gli applausi e le acclamazioni della folla, entrò nella sua lettiga, che tosto si mosse, per ricondurla al palazzo reale.

La marchesa di Moya aveva trovato il tempo di consegnare un foglio al conte Fiesco.

- Eccovi un salvacondotto, che abbiamo potuto aggiungere ad un biglietto di scarcerazione; - diss'ella. - Dov'è il più, non conta il meno: pure, sarà sempre bene tenerlo. Andate; ci rivedremo dall'Almirante, stasera. -

La folla si assiepava intorno ai sovrani, non badava più ad altro, e lasciava libero il passo rasente al muro dell'edifizio. Il capitano Fiesco, preso il mozzo Bonito sotto il patrocinio d'un braccio amoroso, scivolò destramente da quel vano in una viuzza laterale.

Andavano, andavano muti e palpitanti d'allegrezza profonda; andavano senza saper dove, felici di andare e d'essere insieme. Quante cose avevano a dirsi! ma tutte inutili, davanti alla gioia di trovarsi ricongiunti, ricuperati l'un l'altro, come rinati insieme ad un medesimo soffio di vita. Le strade tortuose, lunghe, malinconiche, erano sentieri di paradiso per essi; e lembi di cielo azzurro non ridevano dall'alto, tra le grondaie dei tetti? La gente guardava un po' troppo i due viandanti felici; ed essi, per quanto andassero spensierati, non potevano sempre esser tanto distratti, da non vedere quegli sguardi curiosi. Gente indiscreta! E non si dava mica pensiero delle coppie di colombi, che svolazzavano di continuo da una casa all'altra, venendo a grugare, a bezzicarsi sulle sponde dei cornicioni, sui davanzali delle finestre, sugli sporti dei tetti! Perchè pigliarsi cura di due felici mortali, che se ne andavano allegramente pei fatti loro, non dando noia a nessuno? Adagio, a non dar noia! L'uomo felice ne sempre un pochino al suo prossimo. E i nostri felici non istettero molto a capirlo, perchè bel bello, senza dirselo, un po' vergognosi, ma anche un po' sorridendo, si spiccarono l'uno dall'altro, muovendo il passo più svelto, e girando con tacito consenso verso le vie più deserte, finchè riuscirono sulla spianata delle mura di Valladolid. Ah, benedetto il cielo, che per intanto si vedeva più largo! e con molta campagna davanti agli occhi, e senza curiosi indiscreti dattorno, con un po' di giardini lungo la strada solitaria, e qualche modesta casetta qua e . Bel luogo campestre, tanto più bello quanto era più lontana l'ora dei vespri rumorosi del popolino! E come invitava bene un'insegna di posada, su cui era scritto in grosse lettere: a la Gaita Zamorana!

- Dovrebb'essere una piva, la gaita; - notò il capitano Fiesco. - A casa nostra, quando va a male un'impresa, si dice che l'uomo ritorna con le pive nel sacco. Mi par di vedere il re Ferdinando, e il suo ministro Ximenes. E non ti pare un'insegna di buon augurio, Fior d'oro? Non hai sete? non hai fame?

- Un po' di verde e un po' di pace! - esclamò Fior d'oro, traendo un lungo sospiro.

- Questo prima di tutto; - riprese il capitano Fiesco. - Ma io ritorno anche al desiderio di vivere. E sarà, se tu vuoi, il primo boccone che dopo tanti giorni d'angoscia non m'andrà di traverso. -

Fior d'oro si strinse amorosamente al fianco del suo cavaliere. E tutt'e due entrarono nella posada della Gaita Zamorana. Due minuti dopo erano nel giardino attiguo, seduti sotto un pergolato di vigna, che incominciava a vestirsi di pampini.

Qui, mentre l'ostessa andava e veniva col meglio della sua cucina, scusandosi di non poter fare di più a cagione dell'ora bruciata, i suoi due forestieri si scambiavano le prime parole un poco ordinate, i primi pensieri un po' riposati, riandando i giorni dolorosi della loro separazione.

- Che orrore, Fior d'oro! E che angoscia, la mia, pensando a quello che tu dovevi soffrire! Come avrai pianto, mia povera bella!

- No, sai? Per te, mi sono afflitta; per me, non ho versato neanche una lagrima. Ero tranquilla. Come ciò fosse non so; ma dopo il primo momento di sdegno per la infamia del re Ferdinando, una gran pace si era fatta nell'animo mio, per effetto di una profonda sicurezza. Ti sentivo presente, Damiano, ti sentivo molto vicino a me, ed ero tranquilla. Vedevo tutti i tuoi passi, udivo quasi le tue parole. Tu hai parlato anche al re.

- Come lo sai?

- Ti ho veduto, ti ho seguito con gli occhi del cuore. Non ho bene inteso tutto; ma tu parlavi alto, come sai, come ti consigliava l'amor tuo per Fior d'oro. Anch'io col Ximenes....

- Ah, sì, egli è venuto infatti da te; - interruppe il capitano.

- Col miele sulle labbra, e non dicendomi il vero; - riprese Fior d'oro. - Mi avevano arrestata, perchè in ispoglie virili; che pretesti infantili! Lo avevo ben inteso io, che il mio delitto era più grave; d'essere Anacoana, la regina di Xaragua, e d'essere fuggita al loro capestro. Come l'hanno scoperto? o come l'hanno sospettato? Ma io, non dubitare, ho accolto per buono il loro pretesto, che mi toglieva dalla dolorosa alternativa di mentire davanti ad anima nata, o di nuocere a te con la mia sincerità.

- Dio! - esclamò il Fiesco, atterrito al solo pensarci. - E come avresti potuto tener fermo alle loro minacce?

- Avrei mentito a mezzo, tacendo. Conosci i figli d'Itiba, o Damiano, come siano saldi ai tormenti. Il cielo non ha consentito loro altra difesa che questa! Ma per me non fu necessario, e la mia povera persona non sarà tanto orgogliosa da ricusare la sua gratitudine alla giustizia del re. Avevo anche indovinato dalle parole del Ximenes che qualche cosa mancava ai miei carcerieri, e che quella cosa si voleva da te, o dal signor Almirante.

- Da me, da me; - rispose il capitano. - Io dovevo ottenere da Gian Aloise che andasse in Francia, per un trattato d'alleanza, onde fosse a Giovanna e a Filippo impedito di regnare in Castiglia.

- E per questo partivi, come annunziava il Ximenes?

- Sì, per salvarti. Anche il signor Almirante mi esortava a far ciò, per quanto danno gliene potesse venire. Scusami, Fior d'oro, ma io, per eccesso d'amore, son meno forte di te. Accetterei tutti i tormenti; non saprei rassegnarmi al rischio di perderti. Ah, gran fortuna, o provvidenza del cielo, l'arrivo della marchesa di Moya! E l'arrivo inatteso di Giovanna! e gli eventi precipitati, con tutto quello che tu hai veduto stamane!

- Beatrice di Bovadilla è una donna incomparabile; - disse Fior d'oro. - Che forza sugli uomini e sulle cose avrebbe avuta il Giocomina, con quella donna al fianco! Una donna, - soggiunse Fior d'oro, con un sorrisetto malizioso, - è spesso un impiccio, pei cavalieri in viaggio; ma è pure un grande aiuto, se ha cuore ed ingegno; non credi?

- Se lo credo! Ma mi fai pensare agli impicci, adorata creatura. Mi fai pensare che bisognerà rinunziare a quello dei tuoi abiti maschili. Buoni laggiù, sulla costa di Maima, e sulla coperta d'un naviglio, con la giunta della pece e della fuliggine che vi faceva parere un diavoletto nero; non potevano andar più in Europa, tra gente più o meno civile, dove bisogna levarsi le croste d'attorno, e mettere in mostra la più bella faccia del mondo nuovo e del vecchio. E vedi, cara, come anche l'ostessa, quando ti viene davanti, non sa più spiccar gli occhi da te.

- Ma sì, ho ben veduto; e m'annoia. Dio sa che cosa s'immagina; che voi, per esempio, bel conte, abbiate piantata laggiù sull'Entella una povera castellana a struggersi in pianti e sospiri, per venire qua a rubar cuori in Castiglia, e portarveli attorno travestiti da scolaretti.

- Ella non vorrà far questa offesa alla contessa Juana del Fiesco, che, se Dio vuole, non è a pianger laggiù; - rispose il capitano, mettendosi volentieri sul medesimo tono. - Venite qua, padrona; - soggiunse, volgendosi all'ostessa, che non era lontana; - vi piace il mozzo Bonito, come gli fa comodo di chiamarsi in viaggio?

- Se mi piace? - esclamò la donna sincera, giungendo le palme ed accostandole al viso. - Per sant'Jago di Compostella, lo mangerei dai baci.

- Alla larga, dunque, e paghiamo lo scotto; - disse il capitano, ridendo di cuore. - Perchè, vedete, padrona? com'è vero che il mozzo Bonito è mia moglie, e si chiama la contessa di Lavagna, voi potreste essere sotto spoglie femminili un bel garzone invaghito di lei, e si dovrebbe far qui alle coltellate. -

L'ostessa della Gaita Zamorana parve molto felice della confidenza che quel gran signore si compiaceva di farle. Perchè aveva capito benissimo di servire un gran signore, che non dissimulava punto il suo essere, e una bella donna sotto mentite spoglie. Quella bella donna era per giunta una gran dama? Tanto meglio, quantunque a lei non glien'entrasse niente in tasca: è poi sempre piacevole di aver da fare con persone di conto; con dame, anzi che con pedine.

- Signor conte, - rispose l'ostessa, inchinandosi; - l'avevo ben capito io, che era una donna. Se la signora mi permetterà, le bacerò la mano, che è bella come il viso.

- Ma, niente divorare, mi raccomando; - gridò il capitano.

- E scusino, le Vostre Eccellenze; - ripigliò l'ostessa, animata: - siete sposi novelli?

- O giù di ; ma fate conto che ci serbiamo tali per tutta la vita. Due creature che si amano, sono sempre nel delle nozze.

- Cavaliero, - esclamò l'ostessa, - voi parlate come un angelo.

- E non vorrete mica divorarlo dai baci anche lui! - scappò detto a Fior d'oro.

- Eh, signora contessa, che dirvi? - rispose l'ostessa. - Si esprime in un certo modo, che tutte le donne dovrebbero volergli un gran bene.

- Ma non dirglielo; - replicò Fior d'oro. - Venite qua, baciate me, e facciamo la pace.

- Con che gusto, signora! -

Così dicendo, l'ostessa della Gaita Zamorana saltò al collo del mozzo Bonito, e gli stampò due bacioni, uno per guancia. Avrebbe ricominciato, se non fosse stata fermata da una osservazione del cavaliere.

- Ponete mente, padrona; - diceva egli; - avete baciate due guance, su cui oggi appunto si sono posate le labbra della vostra regina.

- Signore Iddio! è vero questo?

- Come è vero che qui c'è un castigliano per lo scotto.

- Vi rifaccio il resto, signor conte.

- No, cara; anzi, eccone qui un altro, per fargli compagnia. I castigliani si annoiano, da soli. Quanto a noi, abbiamo passate due belle ore in pace nel vostro giardino; e valgono certamente di più.

- Tornateci, allora.

- Se si potrà: ma temo di no.

- E allora, siate benedetti da Dio; e vi accompagnino tutti i santi del cielo. -

La povera ostessa non capiva più nella pelle. Li accompagnò fino sull'uscio della posada, e aveva le lagrime agli occhi, nel vederli partire.

- Signore! Signore! - balbettava, seguendoli degli occhi, finchè non disparvero dietro una svolta della strada solitaria. - Tanta fortuna, alla Gaita Zamorana! chi l'avrebbe mai detto? Una al giorno, di queste coppie benedette, e in capo a un anno ci ho da comprarmi un poderuccio a Zamora. -

Il poderuccio! il sogno di tutti coloro che non l'hanno. Sarebbero poi più felici, quando l'avessero? Felici, no; ma certamente meglio provveduti, e più tranquilli, per aspettare il gran giorno che tutte le noie finiscano.

- Ma sai, amico mio, che sei matto! - disse Fior d'oro al marito, mentre camminava al suo fianco. - Butti via i castigliani, come se fossero maravedis.

- Ah, lasciami fare, lasciami sfogare! - rispose egli; - Son tanto felice! Questa giornata vale tutto l'oro di Veragua. Ed io, non potendo di più, ci butterei tutto un viaggio del Paradiso, che ho portato saviamente con me, scambio di collocarlo in San Giorgio. Ma anche tu, cara, butti via i baci, come se fossero bucce di limoni. Baci alle regine, baci alle dame di palazzo, baci alle ostesse; io solo, poveraccio, resterò a bocca asciutta. -

Fior d'oro s'accostò a lui, guardandolo in viso.

- Qui, vuoi? - gli disse.

- No, per carità! - esclamò egli. - Siamo nell'abitato, e a Valladolid, che è città dentro terra. Se fossimo in un porto di mare, potrebbe correr liscia, la cosa; si crederebbe che accompagnassi a bordo un ragazzo discolo, e non mi potessi trattenere da una ripresa di tenerezza paterna. -

Così folleggiavano, come due scolaretti in festa. E muovendo per le vie nella direzione del Campo Grande, che era il loro punto d'orientamento per ritrovar la via di casa, andavano col naso in aria, guardando le insegne. Cercavano una sastreria, una bottega di costurera, o qualche cosa di simile, da pigliar lingua, almeno, e trovare il fatto loro. Nelle vicinanze del Campo Grande s'imbatterono invece nel frate scudiero; proprio la mano di Dio.

Frate Alessandro, quel giorno più scudiero che mai (del resto, in quel viaggio di Spagna non aveva indossata la tonaca se non una volta, a Granata), fece festa al suo capitano, e più ancora alla contessa Juana. Sapeva già della liberazione di lei, essendo andato a girandolare intorno al palazzo di giustizia, e avendo avuto dalla gente del vicinato una descrizione del piccolo marinaio, bello come un angelo, levato di dentro dalla regina Giovanna. Ma a casa non erano tornati; ed egli andava aliando di qua e di , sperando sempre d'incontrarli.

- M'hai detto d'essere stato altre volte a Valladolid; - gli disse il capitano Fiesco. - Mi troverai dunque una bottega da sarta. La contessa non deve più oltre vestire da mozzo; un travestimento che non inganna nessuno, ed ha il guaio di attirar troppo l'attenzione della gente.

- Niente sarta da donna; - rispose il frate scudiero. - Ho il fatto vostro, se il vecchio Abner non è ancora andato a ricoverarsi nel seno di Abramo.

- Un rigattiere?

- Che! un drappiere, un banchiere, tutto quel che vorrete. Nella casa di Abner c'è un po' di tutto; perfino un lembo della casacca di Saul.

- Della quale non saprei proprio che farmi; - disse il capitano Fiesco.

- Eh, dico così per farvi intendere che in casa di Abner non manca la stoffa.

- E tagliata ad abito di donna?

- Anche tagliata ad abito di donna, e debitamente cucita.

- Dunque un rigattiere?

- Ma che rigattiere, se mai! Venite, la piazza del Mercadero è qui presso. -

Seguirono il frate scudiero, per due traverse di strada, e sboccarono nella piazza ch'egli diceva, tutta fiancheggiata di portici. Entrarono dietro a lui in un androne, che mandava odor di pannine il che non era da rigattieri, e conciliò l'animo del capitano con Abner, e perfino con la casacca di Saul.

Giunto in fondo all'androne, il frate scudiero levò la faccia in alto, verso una scala, e gridò:

- È qui il degno amico mio Abner Ben Meir Aben Ezra?

- Chi mi chiama amico? - rispose una voce nasale. - Son qua. Datevi la briga di salire; non più di venti scalini.

- Ma alti come i piuoli della scala di Giacobbe; - disse sotto voce il frate scudiero. - Madonna, vi faccio strada.

- Sei forte d'ebraico; - notò il capitano.

- Eh, si fa quel che si può; - rispose umilmente quell'altro. - Del resto, qui non ci sono difficoltà. Abner, figlio di Meir, nipote di Esdra; tutti nomi di brave persone dell'antico Testamento. Abner, da non confondere col generale di Saul, discende, a sentirlo, da un gran rabbino di Toledo, che fiorì nel dodicesimo secolo. È dunque carico di gloria; ma più ancora di roba. E se vive, e gli è cresciuta debitamente una bella bambina, che egli aveva dieci anni fa, vedrete che bocciuolo di rosa.

- E san Francesco permette di badare a queste cose? - disse il capitano, battendo della mano sulla spalla al frate scudiero. - E di bazzicare col leone di Giuda?

- Il glorioso san Francesco non dubitava di andar dai lebbrosi; - notò il frate scudiero. - E vedere, e giudicare quel che si vede, non ha egli proibito a nessuno. Aggiungete che il vecchio Abner fu sempre un grande amico dei Francescani, a cui fece sempre elemosina.

- Di bene in meglio; - conchiuse il capitano. - Andiamo a vedere questa fenice d'Israele. -

Il vecchio Abner non riconobbe alle prime l'amico, che con tal nome lo aveva apostrofato dal fondo della scala, e frate Alessandro fu costretto a rinfrescargli la memoria. Del resto, il frate conduceva un buon avventore, di cui gli recitava nome, cognome, titoli, patria, e vita e miracoli; tutta roba da farlo diventare morbido e pieghevole come una pelle di guanto.

Per quel nobilissimo avventore, il vecchio Abner Ben Meir Aben Ezra ci aveva di tutto, e dell'altro ancora, com'egli si compiaceva di dire. Le sue stanze erano piene di banchi, e di scaffali, che andavano fino ai cornicioni delle vôlte Apriva cassetti, apriva forzieri, scopriva e metteva in mostra ogni ben di Dio; stoffe in pezza, d'ogni tessuto e d'ogni colore, damaschi e damaschetti, broccati e broccatelli, pannolani e pannolini, scarlatti, ferrandine, zendadi, camellotti, e via discorrendo. Ma il conte Fiesco voleva un abito da donna già fatto, che s'attagliasse alla sua signora, non avendo tempo da perdere. E il vecchio Abner lo fece passare in un altro stanzone, tutto forzieri, casse intagliate e ferrate, stipi, scrigni e bacheche. Era quello il sancta sanctorum del suo tabernacolo, dove, insieme con ori e gioie d'ogni specie, dormivano nello spigo nardo e nella polvere di giaggiólo intieri corredi da sposa, da gran dame, da maritate e da vedove. Parecchie di quelle vesti erano già state indossate, ed Abner sapeva la storia di tutte. Sciorinò per esempio sotto gli occhi del conte Fiesco una veste di broccato d'oro, nuova fiammante, che pur risaliva a quarant'anni addietro, o poco meno, e l'aveva indossata appena una volta la duchessa di Truxillo, alle nozze d'Isabella di Castiglia. Quell'altra, nera, di velluto a opera, era stata portata dalla contessa di Fuentes, dama d'onore di Giovanna di Portogallo, moglie ad Enrico IV di Castiglia, ed era stata ammirata per severa eleganza come abito da viaggio, nell'anno 1463, quando la sfarzosa corte di Castiglia era andata ad incontrare il misero cortéo del gretto e trasandato Luigi XI di Francia sulle rive della Bidassóa. Queste e tante altre ricchezze di vestiario, come si trovavano dentro a dormire? In tempi più tardi si sarebbe potuto ascrivere il fatto ai capricci della moda, e alla noia che dovevano sentire le dame per un abito di gala portato due volte. Ma allora? Ahimè, grandezze umane, assai più mutevoli dei capricci della moda! Non pure le fortune dei gran signori, ma quelle istesse dei re, in una età di rivolgimenti continui, andavano spesso a soqquadro; per ogni guerra da intraprendere, per ogni pericolo da scongiurare, si metteva in pegno il vasellame, le gioie, le vesti sfarzose, ogni cosa di prezzo. E non sempre, salvati o perduti i dominii, si riscattavano le cose impegnate.

Gli occhi del mozzo Bonito (chiamiamolo ancora una volta così) furono attratti da una gran veste di rascia fine, che tosto diventò nella parlantina di Abner il capo più elegante del suo magazzino. E bisognava notare che quella veste non era stata indossata mai; era nuova di trinca. La dama che l'aveva ordinata non era più venuta a ritirarla. Quella , con un mantello nero, di seta o di ferrandina, doveva andare a pennello, formare un vestimento senza rivali, severo e ricco ad un tempo.

- Severo sì, ricco no; - disse il frate scudiero. - E poi, sarà vero che la veste sia nuova, non portata mai?

- Oh, per la barba....

- Di' pure, per la barba di Aronne....

- Ma sì, vi assicuro, frate Alessandro. Vedete la fodera, che è candida come la neve, ed intatta. Guardate l'orlo della balza!... Se non è nuova fiammante, e non mai escita dalla casa di Abner, possa io non veder più la mia figliuola Noemi!

- Ah, la piccola Noemi! Si sarà fatta grande, e bella come un occhio di sole.

- È tutta sua madre; - mormorò Abner, con un sospiro di reminiscenza.

- Meno male! - esclamò il frate scudiero. - Povera a lei, se somigliava al babbo!

- Frate Alessandro! frate Alessandro! Voi avete sempre voglia di scherzare. -

Mentre i due amici, l'uno del vecchio e l'altro del nuovo Testamento, si bisticciavano così allegramente, Juana fermò la sua scelta sulla veste di rascia. Per la statura le andava, ed anche doveva andarle per il taglio. In quel tempo il taglio delle vesti non offriva le dotte complicazioni, e non richiedeva i più dotti cincischiamenti dei secoli più tardi. Ancora non si assassinavano impunemente a colpi di forbice teli di drappo finissimo, che costava un occhio del capo.

- Ma ci vorrà biancheria; - disse il frate scudiero. - La signora contessa, venuta in abito da marinaio per la poca sicurezza delle nostre strade, non ha portato biancheria da donna.

- C'è tutto, qui, e dell'altro ancora; - rispose Abner colla sua vanteria di bottegaio. - Noemi! Noemi! -

Una bella fanciulla sui vent'anni apparve dal vano di un uscio; bianco dorata la carnagione, i capegli neri e ricciuti, gli occhi grandi, profondi ed accesi della sua schiatta.

Noemi aiutò il babbo a sciorinar biancheria, aprendo a sua volta forzieri e ceste. Juana scelse tutto ciò che poteva convenirle. E già il vecchio Abner preparava un canestro lungo, in cui collocare ogni cosa.

- Ma, veramente, non si vorrebbe portare a casa tutta questa roba; - disse il frate scudiero. - Non ci sarebbe modo d'indossarla qui?

- Ma sì, ma sì, caro amico, si può tutto, e dell'altro ancora; - rispose il vecchio Abner. - Noemi, conduci la signora contessa nella tua camera. Dico la signora contessa; e non ti stupire, se hai davanti agli occhi il più bel mozzo che mai si sia visto in Ispagna. -

Mentre le donne uscivano dalla stanza, per salire al piano superiore, il conte Fiesco mise mano alla borsa. Il vecchio Abner capì che poteva calcare sui prezzi. Non si mandava la moglie a vestirsi di tutta quella roba, se si aveva intenzione di lesinare sui prezzi, col risico di rimandarla a spogliarsi, per la differenza di pochi castigliani. Fece i suoi conti con molta diligenza, tirò la somma, e mise il foglio sotto gli occhi dell'avventore. Ma anche il frate scudiero ci volle dare la sua sbirciatina.

- Cinquanta castigliani! - gridò. - Ah furfante! Meriteresti d'esser trattato come quei due tuoi antecessori in Israele furono trattati dal Cid Campeador, che Dio l'abbia in gloria. Vuoi che te la canti io, la romanza?

- Lo so, frate Alessandro, non vi scomodate per così poco; - rispose il vecchio Abner, senza scomporsi. - Ed anche voi non riconoscete che quella non fu la più bella impresa del vostro eroe? Quanto a me, giuro che ho fatti i prezzi più onesti. Nessuno si è mai lagnato di me. E il signor conte, che conosce il prezzo delle cose, giudicherà da pari suo.

- Giudicherò.... - disse il capitano Fiesco, pacatamente. - Giudicherò quando la contessa ci sarà venuta davanti nelle nuove spoglie. Se starà bene così rimpannucciata, non leverò un maravedis.

- Mio signore!... - gridò il vecchio Abner, sgranando gli occhi. - Oh mio signore! Voi siete magnifico, da vero Italiano, da vero Genovese. Io son sicuro di avere i miei cinquanta castigliani. Così ne avessi chiesti sessanta, frate Alessandro, che mi fate gli occhiacci! La signora contessa parrà una regina, se anche avesse indossato una veste di saia. Con quella persona! con quella faccia! Rachele e la Sulamite ci scapiterebbero al paragone.

- O Abner, sapientissimo vecchio! - disse il Fiesco, ridendo. - Prega Dio che non ti sentano Giacobbe e Salomone. Quanto a me, tu hai la mia amicizia. E l'abbia in te la tua schiatta. Siete infine il popolo re.

- Fummo, signor mio, fummo; - rispose il vecchio Abner, abbassando la fronte.

- A buon conto, avete la storia più antica del mondo. La tua nobiltà, Ben Meir e.... il resto che non ricordo, va due mill'anni almeno più su della mia. Che siamo noi, conti e marchesi, al vostro paragone, o liberati d'Egitto? In Ispagna si fa molto, quando si rimonta agli ultimi dei Goti; più su sta monna Luna. In Italia si fa molto, quando si rimonta agli ultimi dei Longobardi, o ai primi dei Franchi; stirpe di soldatacci, di scorridori, di tagliacantoni, che Iddio ne scampi ogni fedel cristiano. Voi altri venite giù netti, diritti come spade, da Abramo. La vecchia religione con le sue benedizioni vi aveva tenuti fuori d'ogni contatto; la nuova, con le sue maledizioni, vi ha preservati da ogni miscela. Capisco, c'è l'odio, che qualche volta annoia. Ma gli odiatori prendono volentieri il vostro denaro ad imprestito. E voi arricchite. Un giorno o l'altro, io lo prevedo, sarete i padroni del mondo. Il nuovo Israele corre alla religione del vitello d'oro; e voi dal Sinai detterete la legge.

- Possa tu dire il vero! - mormorò il vecchio Abner, mentre sotto le ispide sopracciglia gli brillavano gli occhi d'insolita luce. - E vorrei che lo conosceste, il Sinai; - soggiunse ad alta voce, facendo bocca da ridere. - Ci ho di ancora qualche bottiglia d'un vino, che ridarebbe la vita ai morti; ed è stato spremuto sulla montagna sacra.

- No, grazie, vecchio Abner; non ho voglia di bere.

- Ma l'ho io, Ben Meir Aben Ezra; - disse il frate scudiero. - Sia questo almeno per la mancia, a chi t'ha condotto un così generoso avventore.

- Che è pronto a darti i cinquanta castigliani; - aggiunse il Fiesco, rimettendo mano alla borsa. - Dio santo! li hai ben guadagnati. -

La contessa Juana era apparsa sulla soglia, splendente di bellezza e di grazia, nella sua lunga veste di rascia finissima, e involta la testa e le spalle nelle morbide pieghe del suo manto di ferrandina. Entrò ridente, la bella, e con un rapido moto della snella persona venne a gittarsi nelle braccia dell'amante marito.

- Damiano! - gli bisbigliò tra due baci, che non la regina Giovanna, non la marchesa di Moya, l'ostessa della Gaita Zamorana ne avevano sentiti i più ardenti.

Abner Ben Meir, e tutto il resto, aveva finito di contare i suoi cinquanta castigliani, e si voltava a guardare, dopo aver sentite quelle vivaci dimostrazioni d'affetto.

- Sposi novelli, capisco; - diss'egli, ammiccando.

- Ecco la seconda volta che ce lo sentiamo dire in un giorno; - esclamò il capitano Fiesco. - E. l'abbiamo per una benedizione in tutte le forme, del nuovo Testamento e del vecchio. -

Ad un cenno del padre, la buona Noemi era andata a prendere quella tal bottiglia di vino del Sinai. Panciuta, per non distaccarsi ancora dal tipo dell'anfora antica, polverosa e non senza avanzi di ragnateli, la sacra bottiglia portava il suggello della sua autenticità in una piastra di ceralacca, segnata dall'impronta d'un convento di frati.

- Alla gloria di santa Caterina dell'Oreb! - disse il frate scudiero, quando ebbe pieno il suo calice. - Ed alla felicità degli sposi novelli! -

I quali, indi a pochi minuti, salutato Abner Ben Meir Aben Ezra e la sua bella figliuola Noemi, uscivano finalmente di , l'uno, o l'una, al braccio dell'altro. Il frate scudiero, per non perder l'usanza dei fardelli, aveva fatto un involto degli abiti del mozzo Bonito, e se li portava sotto il braccio, come tante altre volte la sua tonaca francescana.

 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License