Anton Giulio Barrili
Raggio di Dio
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Capitolo XVIII. In manus tuas, Domine....

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Capitolo XVIII.

In manus tuas, Domine....

 

La liberazione di Fior d'oro aveva recato un gran sollievo allo spirito dell'Almirante, che si accusava (e non sapeva darsene pace) d'essere stato cagione d'un guaio così grave agli amici suoi, invitando il capitano Fiesco in Ispagna. Egli sorrise al vedere la contessa vestita finalmente in modo conveniente al suo sesso e al suo grado, e gli parve d'intendere la ragione per cui la coppia gentile aveva tanto indugiato a prendere la via della casa: ma più sorrise del suo proprio errore, che era pur tanto naturale, quando seppe che i due "sposi novelli" avevano trovato il modo d'indugiarsi dell'altro a far le scorribande campestri, come scolaretti in festa. Poveri amici! e si capiva che dopo tanti giorni di pena non badassero ad altro che a prendere una boccata d'aria e d'allegrezza all'aperto.

- Siete contessa, signora mia, ma siete sempre una regina; ed anche tale da illuminare una corte del vecchio Mondo; - diss'egli a Fior d'oro, con quel suo bel sorriso, che gli rischiarava il volto, trasfigurandolo.

Per quel resto di giornata non parve sentir più i suoi dolori, che pure coll'inoltrarsi della primavera s'erano fatti più acerbi. A compir l'opera giungeva sul tardi la marchesa di Moya.

- -Voi siete il nostro buon angelo; - le disse, volendo ad ogni costo baciarle la mano. - Quanto vi dobbiamo, marchesa! e quanto vi debbo io particolarmente! Voi sola, infine, avete pagato il mio debito a questi "sposi novelli" che hanno dovuto soffrir tanto per la disgrazia di essermi amici. -

La serata passò in lieti ragionamenti. Non pareva di essere al letto di un infermo, bensì di un convalescente alla vigilia della sua partenza per un pellegrinaggio di ringraziamento a qualche famoso santuario. L'Almirante parlò lungamente di Genova, riandando tutte le memorie della sua infanzia lontana. E da Genova si spingeva volentieri più in , fino alla Gioiosa Guardia, che aveva in animo di visitare.

- Andremo, donna Beatrice; - diceva. - Perchè voi non mi farete il torto di lasciarmi andar solo, a visitare i nostri amici nel loro maraviglioso castello. E dicono che il nostro capitano n'abbia fatto un luogo di delizie, come ai tempi suoi Lancillotto del Lago, quando ebbe occupata la Dolorosa Guardia, e mutatole il nome. Son graziosi, questi cambiamenti di nome; e pare che allarghino il cuore. Chi si spaventa più del capo Tormentoso, del capo delle Tempeste, dopo che Bartolomeo Diaz lo ha girato, imponendogli il nome di Buona speranza? Nel castello di Gioiosa Guardia passeremo una settimana piacevolissima; anche due, se ci vorrete, amico Fiesco. E voi sarete anche tanto cortese da farmi capitare lassù tutti i vecchi marinai di Chiavari, di Lavagna, di Zoagli, di Rapallo, di Santa Margherita, di Portofino, perchè io possa ragionare con tutti, a modo nostro, parlando un poco la madre lingua di Lanzerotto Maluccello e di Ugolino Vivaldi, nostri precursori nobilissimi sulla marina d'Atlante. Ho ancora negli occhi le immagini d'una bella giornata nel golfo Tigulio, col suo specchio d'acque tranquille, e quelle tre punte verdi del promontorio in fondo. E l'abbazia di San Fruttuoso a Capodimonte! Che pace, dentro, sotto le arcate di quei portici, dove non c'erano neanche più i frati d'una volta! Ricordo che contemplando quel po' di mare turchino, chiuso tra due scogliere, e quasi senza orizzonte, non avrei voluto andarmene più via. Si stava così bene, non pensando a nulla, non desiderando più nulla! È vero che non avrei scoperte le nuove terre di dall'Atlantico, restando in contemplazione laggiù.

- Meglio dunque aver lasciata la vita contemplativa per l'attiva; - disse il capitano Fiesco.

- Chi sa? - riprese l'Almirante. - Lo spirito umano non ha pur esso qualche diritto alla pace? Ed anche altre creature, a migliaia di migliaia, avrebbero avuto pace, se io fossi rimasto colà, nella vecchia abbazia, a conversare con le ombre dei Doria. Ma ecco, senza volerlo, incappo in un brutto pensiero.... quasi in una eresía. Se io rimanevo laggiù, come si sarebbero aperte tante regioni al Vangelo, e condotti tanti popoli alla conoscenza del Dio vero? Aggiungiamo che la vita è milizia, e che l'uomo è soldato. Il soldato ha diritto di posare un istante sulla sponda del ruscello, per prender l'acqua nel cavo della mano e ristorarsene. Ma niente più di così; Gedeone, forza demolitrice, li chiama, e bisogna saltare in piedi, precipitarsi nella notte, colla fiaccola e con la spada, sopra la gente di Madian. -

Così parlava quell'uomo semplice e grande, anima di guerriero e di poeta; e gli fioriva naturalmente sul labbro la immagine biblica, che è della più alta poesia onde sia stata mai rallegrata la terra. Ma fu l'ultimo giorno lieto di quell'uomo, che sopraffatto dal suo male, nutrendosi sempre più scarsamente, era diventato cereo, diafano, quasi l'ombra di stesso, non vivendo altrimenti che per gli occhi, animati tuttavia del raggio divino, e per le labbra, su cui si veniva spegnendo il vermiglio, ma donde spiravano sempre in calde parole gli elevati pensieri.

Beatrice di Bovadilla fu ancora un giorno presso la regina, che era ritornata da una visita a Medina del Campo e alla tomba di sua madre. Sperava di persuaderla a visitare l'Almirante, o almeno ad occuparsi di lui, come ella aveva promesso; ma Giovanna, tutta al suo Filippo, non aveva tempo da ciò. Si era anche sempre in negoziati col Ximenes, per riamicare i giovani sovrani col re Ferdinando; l'amministrazione di Castiglia, per essere ancora in mano al Ximenes, poteva dirsi abbandonata da Ferdinando, più attaccato che mai alla sua preda. Così la Corte, scambio di scendere nella nuova Castiglia, ritornava a Burgos, capitale della vecchia. E la marchesa di Moya, non volendo per un verso allontanarsi dall'Almirante, seccandosi per l'altro delle strane gelosie di Giovanna, non accompagnò la regina a Burgos, lasciando volentieri ad altre dame di Castiglia gli onori e le noie di una illustre servitù. Per tenere i nuovi sovrani in guardia contro gli artifizi di Ferdinando c'erano i nobili castigliani, coi quali Beatrice di Bovadilla era andata fino a Laredo; per ottenere il riconoscimento dei diritti di don Cristoval e la sua reintegrazione nelle pristine dignità, non bisognava neanche essere tutti i giorni a intronar le orecchie regali. E poi, l'Almirante deperiva ad occhi veggenti; gli assalti del suo male si facevano anche di giorno in giorno più spessi. Restando sola qualche volta al capezzale di lui, Beatrice di Bovadilla guardava con tenerezza e sgomento quel suo viso smunto; e gli parlava, sforzandosi d'esser tranquilla, sorridendo perfino, quando i vividi sguardi dell'infermo si volgevano a lei, con quella intensità che forse era desiderio di non perder nulla delle ore fuggenti, e che a lei aveva l'aria d'una paurosa interrogazione. L'ammalato pareva calmarsi a grado a grado nella vicinanza di donna Beatrice; specie quando ella posava la sua mano su quelle di lui, rattrappite dalla gotta, ma calde, scottanti di febbre.

Il medico appariva due volte ogni giorno; ma non sapeva che consigliare di nuovo. Citava di Galeno il poco che questi aveva scritto intorno a quel male; ricordava le opinioni d'Ippocrate e di Areteo sull'artritide; ma non sapeva neanche lui se si trattasse d'un catarro stillante a goccia a goccia nelle articolazioni, e cagionante dolori e gonfiezza, come il primo aveva creduto, o d'una infiammazione delle articolazioni, come avevano sentenziato quegli altri. Calma, molta calma, emollienti, torpenti, e sperare in Dio; ma certo ci sarebbe voluta la gioventù, e una macchina meno maltrattata da tanti travagli e burrasche.

L'infermo aveva spesso la visione del passaggio imminente. Guardava davanti a nello spazio, con gli occhi sbarrati, dolendosi di non vedere più nulla.

- Gran nebbia! - mormorava. - Gran nebbia, che si muterà presto in tenebre fitte! Doloroso, il morire! E non ho mai temuta la morte; ed anche oggi l'avrò per una liberazione. Ma avrei voluto lasciar sicuro e degno uno stato ai miei figli. Donna Beatrice, vi prego, aprite quello stipo; c'è il mio ultimo testamento; voglio che lo leggiate, per dirmene il vostro parere, prima che io lo consegni al notaio. -

Un primo testamento lo aveva fatto l'Almirante otto anni prima, e appunto il 22 febbraio del 1498, innanzi di partire per il suo terzo viaggio di scoperta, istituendo un maggiorasco nella sua famiglia, e lasciando a Genova, sua città natale, il decimo delle sue rendite per isgravio dei dazi sul grano, sul vino, sulle grasce, e sull'altre vettovaglie. Arrivato poi dalla Spagnuola, dopo la sofferta prigionía, e ritornato in isperanza di cose maggiori, n'aveva scritto súbito a Genova, al Magistrato di San Giorgio, avendo anche fatto disegno che tutte le rendite sue fossero a mano a mano investite in quel banco. Ma alla sua lettera non si erano fatti vivi i magnifici Signori di San Giorgio; ond'egli, tornato dal quarto viaggio, scriveva il 27 dicembre 1504 a messer Nicolò Oderigo, amico suo genovese; ".... fu discortesia di cotesti Signori di San Giorgio, il non aver dato risposta; con ciò hanno accresciuta l'azienda; lo che ragione a dire che chi serve al comune non serve a nessuno". Veramente, dovevano aver risposto; perchè tra le carte del Banco si trovò poi la minuta della lettera loro, onorevole documento di patria riconoscenza. Ma certo non giunse a lui quella lettera; e fu cagione che un nuovo testamento lasciasse fuori il generoso legato.

Quello che Beatrice di Bovadilla era chiamata a leggere, era un codicillo, scritto dall'Almirante fin dal 25 agosto dell'anno 1505. In quella scrittura, egli chiariva e confermava le sue volontà per rispetto al maggiorasco, e a tutte le persone del suo nome, figli, fratello ed eredi. E lèsse tutto, la buona marchesa di Moya, anche un paragrafo che non le doveva piacere per le memorie che le suscitava, ma ch'ella poteva nondimeno ammirare come una bella testimonianza di delicatezza d'animo. Il paragrafo era questo:

"Dico e comando a don Diego mio figlio, o a chi erediterà, di pagare ogni debito di cui lascio qui espresso un memoriale, e tutti gli altri che sembreranno giustamente miei. Gli lego inoltre di avere special cura di Beatrice Enriquez, madre di don Ferdinando mio figlio, di provvederla affinchè possa vivere onestamente, siccome persona a cui sono di tanto aggravio. E questo si faccia a scarico mio di coscienza, perchè ciò molto mi pesa per riguardo dell'anima. La ragione di ciò non è lecito scriverla qui."

- Era obbligo mio, non credete? - mormorò l'infermo, come la vide giunta al fine della pagina.

- Sì; - rispose Beatrice di Bovadilla. - Povera donna! E Dio sa come io l'ho scongiurata di venire a voi!

- Lo so, generosa amica, lo so. -

altro disse egli più, su quel tema doloroso; e Dio solo seppe quante altre cose rivolgesse nell'anima. la più amante delle due Beatrici, che altamente sentiva, volle turbare con indiscrete parole la santità di quell'ora.

Per cacciare i tristi pensieri, la pietosa signora lèsse il memoriale dei piccoli obblighi che l'Almirante aveva ricordati con tanta diligenza, e insieme con tanto candore, dai centonovantacinque ducati complessivamente dovuti a parecchi suoi concittadini, come Luigi Centurione Scotto, Paolo Di Negro, e Battista Spinola del ramo di Luccoli e dei signori di Ronco, fino al mezzo marco d'argento ad un ebreino di cui non rammentava il nome, ma che indicava minutamente, come quello che soggiornava, vent'anni prima, alla porta della Juiveria, in Lisbona.

- Quanti vecchi debiti! - diss'egli, con un mesto sorriso. - E tutti di Lisbona, vedete? L'Almirante maggiore del mare Oceáno ebbe in principio da pensare a mettere la parte sua nelle spedizioni navali; quando ne poteva trar redditi, la Corona, sua partenevole, non si è curata di farglieli pagare. E fondo maggioraschi, e muoio nella miseria!

- Anche questa povertà ci voleva, per comporvi l'aureola; - notò Beatrice di Bovadilla, sollevando colla nobiltà della frase l'umiltà dell'argomento su cui era caduto il discorso. - Quanto al morire, ci sarà tempo. Vogliamo ancora veder succedere molte cose, e molta giustizia esser resa. -

L'infermo tentennò il capo sull'origliere.

- Sento che non avrò tempo di aspettarla. Che giorno abbiamo?

- È martedì, - rispose donna Beatrice, - diciotto di maggio. Doman l'altro, festa solenne; e speriamo che possiate scendere un pochino dal letto, per celebrarla con noi.

- Scendere, no; salire piuttosto; - diss'egli. - Non sarà l'Ascensione? il giorno che nostro Signore è salito al cielo, dopo aver tanto patito per la redenzione degli uomini? Vedrete.... morrò io, doman l'altro.

- Che pensieri son questi? Siate sempre il mio cavaliere, don Cristoval, e obbeditemi, cacciando i brutti pensieri. Volete proprio farmi paura? -

Fremeva, la povera donna, e parlava con tono risoluto, quasi ilare, come se non temesse di nulla,

Il medico ritornò quella sera, nell'ora che tornava più forte la febbre. Anch'egli fingeva d'esser tranquillo; ma, voltata la faccia alle persone della famiglia, batteva le labbra. Anzi, uscito dalla stretta dell'alcova, e andato nel vano della finestra a discorrere col capitano Fiesco, gli mormorò qualche cosa all'orecchio. Notò l'atto l'infermo, e coll'udito finissimo che sogliono avere in certe occasioni i malati, colse a volo le parole del medico.

- Che cosa consiglia il savio? - domandò egli, sollevandosi sulla vita. - Che Iddio venga a visitarmi? Ma io lo desidero, con tutte le forze dell'anima.

- Lo credo, lo credo; - rispose il medico, tornando prontamente verso l'alcova. - Parlavo d'altro, io; dicevo di voler provare un nuovo rimedio, per calmare la febbre. Ma la visita del gran consolatore si può ricevere ad ogni ora; e sia domani, o doman l'altro, come Vostra Eccellenza vorrà.

- Sì, doman l'altro; - disse l'infermo. - Sono avvertito di poterlo aspettare; e mi piace che sia il giorno dell'Ascensione; - soggiunse, con un accento che andò come una pugnalata al cuore di donna Beatrice. - Domani, intanto, vorrei pensare alle cose della terra, che sono pure a scarico della coscienza. Conte Fiesco, mio buon amico, vorrei per domattina un notaio. -

Il desiderio suo fu appagato. La mattina del 19 era chiamato al suo letto don Pedro de Hinojedo, "scrivano di camera delle Altezze Loro, scrivano provinciale nella loro Corte e Cancelleria, e loro scrivano e notaro pubblico in tutti i loro regni e signorie". Ricevette egli e trascrisse nel suo rogito il foglio consegnato a lui dall'illustre infermo; ed erano "testimoni presenti, chiamati e pregati, il baccelliere Andrea Mirmena e Gaspare della Misericordia, abitanti di questa città di Valladolid, e Bartolomeo Fiesco, Alvaro Perez, Giovanni d'Espinosa, Andrea e Fernando Vargas, Francesco Manuel, e Fernando Martinez, servitori del signor Almirante".

Partito il notaio, seguì una giornata di tregua.

L'infermo sentiva ancora i suoi dolori, e ne dava cenno, ma ad intervalli, con un tenue rammarichìo. Come altre volte, notavano i suoi familiari; come altre volte, che gli assalti del male si erano fatti a grado a grado men forti, ed egli aveva superate le crisi più minacciose. A giustificare queste rinate speranze, nel pomeriggio il signor Almirante aveva preso un po' di brodo, mostrando di trovarlo gustoso; si era un po' sollevato sulla vita, e aveva sorriso amabilmente a tutti, riconoscendo i più umili, e ringraziandoli della loro assistenza. Chiedeva anche dell'Adelantado, che da due giorni non aveva più visto, e gli si dovette rispondere che il suo degno fratello era andato a Burgos, per presentarsi alla regina Giovanna e ricordarle una certa promessa fatta una settimana innanzi alla marchesa di Moya.

Veramente, don Bartolomeo Colombo era andato con altro proposito a Burgos, vedendo la necessità di avvertire il nipote don Diego dello stato di suo padre, che destava tante inquietudini, e ottenergli dalla corte un congedo, perchè potesse recarsi al capezzale dell'infermo. Ma nella stessa occasione il signor Adelantado voleva anche presentarsi alla regina Giovanna, che già una volta a Laredo aveva trovata così affabile e piena di buone intenzioni a favore del signor Almirante. - Se potessi portare con me quattro righe di scritto; - esclamava don Bartolomeo Colombo, - sarebbe per mio fratello un rimedio più efficace di quanti n'abbia inventati la medicina, da Esculapio fino al dottor Villalobos. -

L'annunzio del viaggio7 di suo fratello a Burgos fu accolto da don Cristoval con un mesto sorriso.

- Torni presto, il mio buon fratello, il mio fido compagno di pericoli; - diss'egli: - ma notizie di Corte io non ne aspetto più.

- Perchè? non è da disperare ancora; - notò la marchesa. - Dopo ciò che la regina mi ha detto!

- E non fatto! - replicò l'Almirante. - E dove non avete ottenuto voi, chi altri può sperar di ottenere? Del resto, Bovadilla, - soggiunse egli, chiamandola per la prima volta con quel nome, che a lei suonò dolce come una carezza, - alla vigilia di appressarmi a Dio, non voglio più accoglier pensieri di grandezze umane. Le ho sepolte nel mio testamento, per coloro che saranno dopo di me. Io aspetto giustizia da chi mi può usare misericordia. Non più dignità, non più onori; Cristoforo Colombo, pei miei concittadini.... Cristoval Colon, per chi m'ama ancora, in questa patria d'adozione; ecco ciò che deve restare di me. Non piangete, vi prego. Non piango io, Bovadilla! son calmo e sereno; sento una pace, qui dentro, che mi maraviglia.... e mi piace. -

Poco dopo reclinò la fronte, e si addormentò, d'un sonno leggero e dolce, come un bambino. Ah, se quel sonno avesse potuto ristorarne le forze!

Ma quel discorso aveva profondamente contristati gli amici. Che significava quel senso di rinunzia a tutto ciò che fino allora aveva animato, quasi tenuto in vita il signor Almirante? Non forse l'istessa rinunzia alla vita?

- Triste! - esclamò il capitano Fiesco, in un di quei brevi colloquii ch'egli e Fior d'oro avevano ad intervalli con la marchesa di Moya. - Anche la speranza l'ha abbandonato.

- È vero; e lo pensavo ancor io; - disse donna Beatrice. - È un brutto indizio. Ma se ha da morire, - riprese ella, con voce piena di sdegno e di lagrime, - è bene che muoia così, col sentimento della ingratitudine dei grandi. Giovanna è incapace di star due ore in un pensiero, che non sia la sciocca bellezza del suo sciocco marito; Ferdinando è perfido; e l'una e l'altra Corte proseguono le loro particolari ambizioni; chi può pensar oggi allo scopritore di un mondo?

- Gran macchia sarà per la Spagna, se egli muore così trascurato, vilipeso, senza aver ottenuto giustizia; - conchiuse Bartolomeo Fiesco, fremendo.

- No, conte, non dite ciò; - rispose la marchesa. - Rimorso, sì, e non per stessa, ma per coloro che l'hanno in governo; macchia no, macchia no. La Spagna è più pura e più tersa che mai. Alla mente più eletta che Iddio mandasse in terra a glorificare il suo nome, la Spagna ha già reso giustizia. Pei suoi monarchi, vi basti Isabella. Per la sua nobiltà, vorrete dimenticare i Medina, i Quintanilla, i Santangel? Per gli uomini suoi di pietà e di dottrina, non ricorderete Giovanni Perez Marchena, Diego di Deza, il cardinale Mendoza? Quanto al suo popolo, rammentatelo, vedetelo tutto accalcato sul passaggio dello scopritore, del messo di Dio, da Cadice a Barcellona: fu mai nell'antica Roma trionfo più grande di quello? E vedetelo, il popolo spagnuolo, ammiratelo ancora con me, in questo povero Gil García, che senza sapere di guerre, d'ingiustizie, di viltà dei potenti, paga per tutti il debito della riconoscenza e dell'amore, ospitando l'Almirante in sua casa. È modesta, la casa; ma erano più modesti ancora i primi templi innalzati alla gloria del Dio vero. E voi lo vedete, il vecchio marinaio, quante volte passate per l'anticamera; fermo , che non osa entrare dal suo comandante, che non osa chieder notizie, per timore di averle cattive, ed ha sempre gli occhi pieni di lagrime. Questa è la Spagna, amico, e tutto il resto che sapete, lo potreste anche ignorare con me. Finalmente, - conchiuse la marchesa con accento di nobile alterezza, - se nessun altri qui, tra i Pirenei e l'Atlantico, avesse fatto il debito suo per quell'uomo, ci sarei sempre io, Bovadilla; e penso che potrei bastare, agli occhi della posterità. Vi lascio, amici; sento ch'egli mi cerca. -

E strette con moto convulso le mani del Fiesco e della contessa Juana, si avviò verso la camera dell'Almirante, asciugando in fretta le sue lagrime. Anch'ella, come Gil García, n'aveva sempre gonfie le palpebre. E doveva rattenerle, al capezzale del caro infermo; e la più parte del tempo doveva esser , con aspetto tranquillo. Quando non c'era, sentiva d'esser cercata; mai s'ingannava, e ne aveva la conferma nelle parole di lui, negli atti del viso, nel lampo degli occhi. Conferisce questi doni di seconda vista l'amore.

- Come soffre! - mormorò Fior d'oro. - Ed ha la virtù di sorridere, quando è vicina a lui.

- Per questo, - disse il Fiesco, - non ci siete se non voi, donne, che sapete vincer l'affanno, e mostrare il volto sereno. -

La notte del signor Almirante fu quieta, con pochissima febbre. L'infermo aveva potuto dormire, a parecchie riprese, un paio d'ore. I cuori si riaprivano alla speranza; anche quello di Bovadilla, che vide apparire l'alba del 20 senza troppo terrore. Ma come la prima luce del giorno penetrò nella stanza, il signor Almirante volle la visita di Dio.

- Non vi ho detto che lo desidero? - disse egli, a chi mostrava di non vedere la necessità della cerimonia religiosa.

Frate Alessandro andò tosto al vicino convento di San Francesco, e tornò col priore, che già aveva visitato don Cristoval durante il suo soggiorno in Valladolid. La confessione fu breve; ricevendo l'assoluzione, il signor Almirante espresse il desiderio che la sua salma fosse depositata nel chiostro del convento, per divozione al poverello d'Assisi, la cui vita terrena era stata tutta amore, sacrifizio, e glorificazione delle opere di Dio.

Poi venne col viatico il parroco di Santa Maria l'Antigoa, sotto la cui giurisdizione ecclesiastica era la casa di Gil García. Tra le preghiere degli astanti genuflessi, a cui rispondeva con ferma voce l'Almirante, levato sui guanciali il capo e le spalle, gli occhi scintillanti di viva luce, e giunte le scarne mani sul petto, la cerimonia fu commovente; cerimonia paurosa per istrazio interiore a quanti ancor pieni di vita sono costretti a pensare una volta l'orribil momento che dovranno lasciarla; cerimonia solenne d'insegnamenti a chi vede in essa la chiusa del dramma oscuro dell'esistenza, il punto fatale che tutte le ambizioni soddisfatte vanno in dileguo sulla medesima china delle speranze deluse, e piacere e dolore, e bene e male delle nostre passioni, nobili o ree, ma tutte egualmente fumose, si estinguono nell'eterno silenzio, mentre un arcano conforto di promesse celesti entra nell'anima per quelle medesime labbra che si torceranno nello spasimo della morte terrena. Dio, il consolatore invisibile, è : si sente giungere, appressarsi, discendere, con la parola augusta che gli angeli hanno insegnata alle povere lingue degli uomini.

Partitosi di il religioso cortéo, al morire delle voci oranti sulla via, l'Almirante si assopì. Ma furono pochi minuti di tregua, che oramai non ingannavano più nessuno dei suoi familiari. Era grave, affannoso il respiro; apparivano contratti i muscoli della bocca, infossate le occhiaie; ardevano i polsi, battuti dalla febbre; la fronte e le tempie s'imperlavano di sudore gelato. Ad un tratto aperse le palpebre, e mosse gli occhi lentamente in giro, considerando l'uno dopo l'altro i presenti.

- Diego? - chiese egli poscia. - L'Adelantado? Non sono ancora arrivati? Poveretti!... -

E pareva volesse soggiungere: non mi vedranno più vivo.

Stette alquanto in silenzio; poi, volgendo lo sguardo al figliuolo Fernando, lo chiamò più vicino.

- Sei qui per tutti? - mormorò. - Sian tutti in te benedetti. -

Il giovane si era abbandonato, singhiozzando, sotto la carezza delle mani paterne.

- Perchè piangi? - riprese il morente. - È la legge. Obbedisci alla legge. Felice chi la intende da giovane, e ad essa conforma tutti i suoi atti, dominando tutte le sue passioni, perdonando, ed amando.... Va, sii forte, figliuolo; - riprese, dopo un istante di pausa. - Anche il tuo capo amato mi pesa.... Aprite, aprite quella finestra, ch'io respiri ancora una volta quell'aria... che tanti felici respirano. -

Ringagliardiva la febbre; ed egli ansimava, si agitava irrequieto, si levava sui fianchi, agitando le braccia, come se cercasse di aggrapparsi a qualche cosa.

- Povera creta! - esclamò egli. - A che ti affanni? Vuoi tu vivere per forza? -

Frate Alessandro gli si accostò amorevolmente, bisbigliandogli qualche parola di conforto.

- Fidate in Dio, signor Almirante. Egli, padre misericordioso e giusto, vorrà operare un prodigio per voi.... e per noi. -

Gli occhi del morente mandarono lampi d'insolita luce, alle amorevoli parole del frate scudiero.

- Dio! - gridò egli. - Dio! L'ho sentito sull'Oceano, dominare con la sua voce il fragore delle tempeste. Dio m'ha assistito, Dio ha voluto conservar la mia fama nel sale dell'amarezza. Dio la mia forza, Dio la mia gloria. A lui tutto; senza di lui non sarei nulla. E son passato nella vita ancor io, amato assai più ch'io non meritassi. Fu grazia di Dio che mi amassero a gara tutte le nobili creature di Spagna; il buon padre Marchena, il Quintanilla, il Santangel, consolatori benigni; Diego di Deza, mia spada; il santo Mendoza, mio scudo; Beatrice di Bovadilla, angelo mio tutelare; Isabella, onore del trono. Perchè vissuta, Isabella? Non forse perchè si schiudesse mercè sua un nuovo mondo alla legge di Dio, alla legge d'amore?... Ah, l'odio! l'odio livido e nero! ah, la sete dell'oro, sete inestinguibile, sete crudele!... Questo sanno far gli uomini, dei doni di Dio! Si muoverà dunque alla grande concordia della famiglia umana, passando per la strage e pel sangue? I poveri Indiani! i disgraziati innocenti, scannati senza pietà da uno stuolo di belve. Schiavi!... non più schiavi, sotto la legge di Cristo!... Pure, entravano nelle case del ricco; servi, facevano parte della famiglia cristiana, recitando insieme col padrone la preghiera che eleva, la preghiera che purifica, la preghiera che per un'ora fa tutti fratelli i nati d'un medesimo seme. Ma no, non più schiavi: è cosa iniqua, la schiavitù. Nobili cuori! E li lasciate liberi, voi; liberi di faticare al sole rovente, nelle vostre piantagioni; liberi di morire nel solco inondato del loro sudore; liberi di ricevere la nerbata, se le stanche membra rifiutano per un istante l'immane fatica; liberi di fuggire, per esser rincorsi tra le selve, addentati, lacerati dai vostri cani di Corsica: liberi di morire fra i tormenti, sui palchi infami, sui roghi, dove stride la fiamma e la carne.

- E Dio permette! - mormorò il capitano Fiesco, che stava ritto, immobile a piè del letto, ascoltando e fremendo, e stringendosi i pugni alla gola per non dare in singhiozzi.

- Sì, amico mio, sì.... - rispose il morente, che ancor riconobbe alla voce il suo vecchio ufficiale. - Dio ha un fine, che noi non possiamo intendere; Dio ordisce una tela immensa, di cui non vediamo altro che un tratto. Non dubitate.... E non vi sembri argomentazione di piccolo intelletto. Ha pure la sua grandezza il vedere in questo modo la giustizia di Dio; mentre non ne ha nessuna il negare ogni cosa, e il disegno e l'artefice. Egli vede e provvede, nell'arcano del suo pensiero; egli le mercedi. Trascura i buoni, che sicuri lo aspettano; ma invigila i tristi e le opere loro. -

Così parlando, si era stranamente animato. Inutile il tentare di calmarlo. Gli fiammeggiavano le guance; gli scintillavano gli occhi; ma in quella gran luce, ond'erano accesi, egli già più non discerneva nessuno. E incominciava a vaneggiare; e più confuse gli si offrivano le immagini delle cose; più rotte gli uscivano di bocca le frasi.

- Sono legione, i malvagi! E tutti contro il guerriero di Dio. La mia spada, conte Fiesco! dov'è la mia spada? Ch'io li assalga! ch'io li disperda! Roldano, che ho sempre beneficato, anche voi? Guevara, Porras, gente malnata! Aguado, Ovando, anime nere.... Don Francisco di Bov.... No, no; via la spada! L'uomo perdoni, e Dio giudichi. Ed egli viene.... egli viene.... incalza, in un gran cerchio di luce. Cieco, cieco chi non ti vede, gran luce dell'anima! O Signore, in cui ho sempre sperato, o Signore in cui ho sempre confidato!... I vostri santi, avvocati miei, dove sono? Ah, ecco, nella vostra gloria confusi, sorridono.... accennano.... chiamano. -

Ansava, e le parole si facevano più rade, più inintelligibili. Un moto convulso, veloce, turbinoso, gli agitava il sommo del petto, come se il cuore, ad un tratto impazzito, sventolasse sotto, tentando fuggir dal suo carcere. E fece uno sforzo ancora, il morente, uno sforzo sovrumano, per proferire le sue ultime parole.

- A voi, Signore.... a voi.... In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. -

Seguì un rantolo sordo; e un altro ancora, in cui le labbra si torsero. Gli erano tutti intorno, piangenti; Bovadilla innanzi a tutti, con la mano sulla fronte di lui, stillante il gelido sudore della morte. E le scoppiava il cuore, e avrebbe voluto dargli l'anima sua. La vide egli? la vide un'ultima volta, mentre alzava le palpebre, e le pupille stravolte cercavano ancora la luce? Si richiusero le palpebre, si ricomposero le labbra, cessò la danza spaventosa del cuore; l'anima grande di Cristoforo Colombo era volata incontro al suo Dio.

Un grido straziante ruppe dai petti; labbra avide cercarono la fronte marmorea e le fredde mani dell'estinto: baci si avvicendarono con lagrime su quella povera carne, che aveva cessato di patire. Poi, s'inginocchiarono tutti intorno al letto; e pregarono, lungamente, in silenzio.

 

 

 





7      Nell'originale "viagggio". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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