Renato Fucini
Foglie al vento

NOVELLE

NONNO DAMIANO

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NOVELLE

 

 

 

 

 

 

NONNO DAMIANO

 

 

 

 

La sua casa, una misera catapecchia di tre stanze affumicate, sorgeva quasi nascosta dentro una ciuffaia d'ontani in prossimità di quella già da qualche anno abbandonata dal povero Tigrino bon'anima, sulla gronda del padule. La cucina e due camere, in una delle quali dormiva lui, in compagnia del suo decrepito cane; nell'altra il suo figliuolo Bobo, vedovo, e una nipotina, Teresa, che era la sua ultima e sola consolazione.

Con ottantaquattro inverni sulle spalle, la caccia non era più per lui, povero Damiano. Le gambe e gli occhi indeboliti dalla vecchiaia l'avevano costretto all'inerzia dopo tanti anni di quella vita misera e faticosa, ma pure così piena d'entusiasmi e di soddisfazioni.

«Quanti amici perduti! Quante illusioni, quante gioie che non torneranno mai più! Ah, povero Damiano, come ti sei ridotto! L'aria è piena d'anatre, di bozzoletti e di folaghe; il padule brulica di beccaccini, e tu non puoi andarvi a spedonare a sguazzo ad accucciarti nel tuo cesto, guardando la fiasca della polvere e il sacchetto dei pallini che ti parevano sempre pochi per le tue speranze!... Non più!... A dirlo si pena poco, ma a farlo!... Dio, Dio eterno, perdonatemi i peccati perchè la penitenza è grande».

Questo il lamento, queste le visioni del vecchio cacciatore impotente. A lui non rimanevano ormai che due consolazioni, ma tutt'e due pericolanti e dolorose: il suo cane che a stento si reggeva in piedi, quasi sordo, quasi cieco e pieno di guidaleschi puzzolenti; e la sua nipotina Teresa, anemica, tubercolosa e già abbandonata dal medico il quale, quando capitava per caso in quelle parti, la guardava senza fiatare, dava qualche mozzicone di sigaro a Damiano e tirava innanzi per il suo viaggio.

E il vecchio seguitava a parlargli supplichevole da lontano, finchè credeva che la sua voce fioca potesse arrivargli.

— Gli ordini qualche cosa, dottore, a questa creatura.... La medicina del mese passato l'ha finita e non ci ha trovato nessun giovamento.... Abbandoni piuttosto me, dottore, ma questa creatura non me l'abbandoni. —

Ma il dottore era ormai troppo lontano; e il misero vecchio, seduto sulla panchetta fuori dell'uscio di casa, restava desolato, con un braccio teso verso di lui e stringendosi al petto, con l'altro, la sua nipotina la quale, abbandonato il capo sulla sua spalla, dormicchiava respirando debole e affannosa.

Seduto presso una finestra quando il maltempo imperversava o su quella panchetta quando il tempo era buono, Damiano passava le sue lunghe giornate guardando col pensiero la malinconica distesa del padule, dalla quale salivano per lui tanti ricordi lontani. Il cane gli si accucciava accanto, da un lato, a russare; dall'altro, o seduta anche lei sulla panchetta o accoccolata per terra, la sua nipotina si gingillava come poteva o con una bambola messa insieme a forza di stracci, o facendo la treccia coi fili di paglia che il vento menava a portata delle sue manine gelide e scarne. Bobo, il babbo di quella misera creatura, era a caccia in fondo, nel mezzo al padule. Lei, coi suoi occhiolini acuti, di quando in quando lo scorgeva ora attraversare un fosso col barchino, ora sgambare nel fango, ora immobile presso al cane che s'era fermato a puntare. E lo additava al nonno impaziente; ma il nonno non lo vedeva. Allora parlavano.

— Sono sempre fermi?

— No. Si son mossi; e ora non li vedo più.

— Di certo una puntata falsa, o l'animale gli s'è alzato lontano! Se li rivedi dimmelo. —

Poi un lungo silenzio. Il cane seguitava a russare; Damiano, piegata la testa sul petto, s'addormentava anche lui. E la bambina, reprimendo a fatica qualche colpo di tosse, per non fare inquietare il nonno che le aveva proibito di tossire, si metteva silenziosa a guardare quella larga distesa di fango, d'acqua morta e di giunchi i quali, all'alito del vento, si piegavano in lunghe onde correnti come se i giunchi fossero acqua.

Quei riposi del pensiero e degli occhi erano spesso lunghi quando il padule era vuoto di animali e di cacciatori; erano brevi quando la caccia abbondava. A ogni colpo di fucile che rimbombava nella scialba solitudine, il cane, Damiano e la bambina, alzavano di scatto la testa volgendo gli occhi da quella parte. Subito dopo, il cane si ributtava giù con un lamento; e Damiano, accarezzando la bionda testolina della nipote, si voltava a lei per chieder notizie.

— Che l'hai visto, bambina, dove hanno tirato?

— Sì. Hanno tirato nel quadro grande, di faccia.

— Li vedi?

— Sì.

— Quanti sono?

— Due.

— Li conosci?

— No.

— Che forse uno è lungo lungo e uno piccino?... Guarda bene.

— Mi pare.... Sì, sì! uno è lungo e secco, e uno è piccolo.

— Hanno due cani bianchi e uno nero?

— Due cani bianchi li vedo, ma quell'altro.... Sì, sì, hanno anche un cane nero.... Sì, sì, ora vedo bene anche quello.

— Il signor Giacinto col suo nipote!... Che bravo tiratore!... Ma ora è vecchio anche lui.... è invecchiato anche il signor Giacinto! —

Nuovo silenzio nel malinconico gruppo. Damiano, secondo il suo costume, piega il mento sul petto e si assopisce, russando lievemente. La bambina ripiglia la sua bambola, le discorre sottovoce e, accarezzandola, le avvolge intorno al capo dei fili di paglia come per formarle un cappello.

Una larga fumata di schioppettate si alza lontana lontana e, dopo qualche secondo, arriva la romba di tre coppiòle. Damiano si sveglia di sussulto, e brancolando per trovare il capo della sua nipote, le domanda, impaziente e agitato:

Dove, dove, bambina?

— Non ve lo so dire, nonno; è troppo lontano.

Guarda dove miro io col braccio. Hanno tirato in questa direzione?

— No; più a destra.

— Da questa parte?

— Sì.

Lontano di molto?

— Di molto; proprio laggiù dove si vede un ciuffo nero, e dietro non si vede più nulla.

— Il césto della Callaia vecchia!... Devono aver tirato quei ragazzi di Valente.... E forse ci sarà anche lui!... Occhio sicuro e gran galantuomo, Valente. I figlioli volevano che si comprasse un di que' trabiccoli novi che si caricano di dietro.... Ma Valente, duro! Anche lui, come me, non ha mai voluto abbandonare il suo bravo schioppo a bacchetta, e ha fatto bene!... Ne convieni, bambina?

— Sì, nonno.

— O uccelli per aria se ne vede punti dopo le schioppettate?

— Sì, nonno; un branco che si sono alzati di laggiù, e ora vengono tutti per in qua.

— Son di molti?

— Sì.

— Come volano?

— Un momento fa erano bassi e sparpagliati; ma ora si sono ammucchiati e vengono avanti che paiono una nuvola.

Alzavole!... Dove, dove?

Ora hanno piegato....

— Da che parte?... Qua, dammi un braccio, bambina, dammi un braccio e giralo dove vanno loro.

Uh, quante, nonno, uh, quante!... Eccole da noi, eccole da noi! —

E il vecchio, con gli occhi in aria, le seguiva sorridendo, senza vederle. Ma le sentì! Le sentì e fece l'atto di mirarle con lo schioppo quando, dopo lunghi giri, quel folto gruppo d'animali fuggenti passò di sopra alla sua testa, quasi rasentando il tetto della casa, con un sordo sibilo d'ali eguale a quello d'una grossa folata di vento. Allontanatosi il branco degli uccelli, Damiano abbandonò il braccio della nipotina, piegò di nuovo il mento sul petto e sospirò forte, chiudendo gli occhi.

Fu breve quel riposo. Un nodo di tosse secca, che sopraggiunse alla bambina, forse per averlo provocato coi gridi di poco fa, lo fece voltare spaurito verso di lei. Se la prese sulle ginocchia e stringendosela al cuore in un'effusione di tenerezza, incominciò a parlarle, con voce rotta dal pianto:

— Non tossire, non tossire, creatura mia.... Obbediscilo il tuo povero nonno.... obbediscilo.... non tossire! —

Ma la tosse, per quanto la bambina si sforzasse di trattenerla, scoppiava sempre più forte e ostinata.

Prendila, bambina mia, prendila.... guarda, l'ho qui — e si frugava con la mano tremolante in una tasca della giacchettaprendila, l'ho qui la medicina che preparò apposta per te quella vecchia che è tanto brava e che n'ha guarite tante.... Guardala com'è bella questa boccettina rossa.... sentila come è odorosa e dolce.... creatura mia! —

Ma la bambina, contorcendosi e respingendo da l'odioso intruglio, si raccomandava, quasi soffocata dalla tosse:

— No, no!... Puzza.... è amara.... e mi fa vomitare. Non posso.... perdonatemi, nonno, non posso! —

Il vecchio, desolato, sospirava e guardava il cielo come se volesse pregare. Ma non sapeva che cosa chiedere ai suoi santi protettori. «Morire io prima di lei, non voglio per non lasciarla quasi sola nel mondo; morire lei prima di me, nemmeno: sarebbe troppo dolore!... Dio, Dio onnipotente, sia fatta la tua volontà».

Ma la tosse l'assaliva sempre più secca e ostinata, costringendola a divincolarsi fra le braccia del nonno, a bocca spalancata. Damiano le faceva cuore con le parole e con le carezze; ma si chetò all'improvviso e restò allibito dal gorgogliare strano di quella tosse e nel sentirsi sgorgare a flotti caldi sopra una mano....

Dio, Dio di misericordia! — Capì, si alzò rabbrividendo; e con la bambina fra le braccia, entrò in casa, barcollando, per adagiarla sul suo lettuccio.

Per una mezz'ora fu silenzio dentro; e anche la tosse di quella misera creatura, a poco a poco, tacque. Quando, a un tratto, si sentì il passo accelerato di Damiano il quale, affacciatosi sulla porta, gridò con voce cavernosa:

Aiuto! la mia creatura more! —

Nessuno udì quella voce, e nessuna voce le dette risposta. Ripeté il grido, girò intorno gli occhi disperati, e non sentendo anima viva, rientrò in casa donde uscì subito appoggiandosi ad un bastone, e si allontanò balzelloni nella campagna. Il cane sentendo il padrone allontanarsi, si alzò, e lentamente gli si mise dietro grattandosi, sbatacchiando gli orecchi e chiamandolo, sempre più a distanza da lui, con fiochi latrati, perchè l'aspettasse.

Verso il crepuscolo della sera, un piccolo gruppo di uomini e di donne, fermi sull'argine del canale, aspettavano, guardando il barchino di Bobo, che si affrettava verso la ripa. Il barchino, sì, era proprio quello di Bobo, ma il guidatore non era lui! Era, invece, Beppe di Salceto. Lo riconobbero dalla voce quando era sempre lontano, perchè cantava.

— E di Bobo che n'è?

Tornerà stanotte tardi. Ha mandato me a riportare questi animali — e cavò fuori, buttandoli sull'erba, un mazzo d'uccelli e una retata di pesci. — Ha mandato me perchè lui è dovuto restare alle nozze della figliuola di Gabirro che è stata sposa stamani.... Grande allegria di dal padule, stasera!.. Avvisate Damiano; e io bisogna che torni subito laggiù perchè m'aspettano a cena.... Ma.... che avete chè vi vedo tutti stravolti come anime in pena?... Che è stato?... —

Un giovanotto si staccò dal gruppo di quelli che aspettavano, e chiamò Beppe in disparte. Barattarono fra loro poche parole a bassa voce; poi, tornando pensierosi verso la ripa, Beppe domandò:

— E a Bobo che gli devo dire?

— Poco. Digli che oggi, a casa sua.... No.... Digli che venga subito via perchè quassù c'è bisogno di lui. —

Beppe, di solito tanto allegro e che cantava sempre navigando fra le nebbie del padule, saltò taciturno nel barchino e si allontanò senza voce, salutando col gesto gli amici che lo guardavano, seduti in fila sulla cresta dell'argine.

 

 

 

 

 

 


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