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— Proprio io, signor Giuseppe.
— O come mai? Che miracoli son questi di vedere il signor Armando dalle nostre parti, a quest'ora, e con questa stagione I
— Se lo può immaginare I
— No, non so immaginarmi proprio nulla. Che è accaduto?
— Come! qui a pochi passi di distanza, non è giunto ai suoi orecchi l'affare di quel maledetto fagiano?
— Ma sì, ma sì. Conosco tutta cotesta vergognosa e ridicola storia e ne sono stufo; ma credevo che, a quest'ora, fosse ormai tutto finito e che non se ne parlasse più.
— Tutt'altro, signor Giuseppe! La settimana scorsa, pareva che ogni cosa si fosse quietata e, per dire il vero, me lo credevo anch'io; ma, tutt'a un tratto, cos'è cosa non è, eccoti che ritorna in ballo la voce del fagiano, eccoti che il bosco di Carraia s'empie un'altra volta d'usurpatori della bandita ed eccoti daccapo in movimento e contadini e guardie e carabinieri per cacciarli via; e, naturalmente: ribellioni, arresti, risse, accuse, sequestri di fucili a chi non ha il porto d'arme, ed eccoti nuovamente....
— Hanno fatto benone! — interruppe il signor Giuseppe — e, se volessero fare anche meglio, il Sottoprefetto dovrebbe mettere un avviso minaccioso all'imbocco di tutte le strade della bandita e, dopo, a chi s'azzardasse d'entrare armato là dentro, schioppettate a palla, e a veccioni come a cani arrabbiati!... Che si canzona! Da una quindicina di giorni, in quel bosco e nei poderi intorno, non c'è più pace nè sicurezza dal via vai dei branchi di canaglia che ci piovono da tutte le parti. Un letichìo, un urlìo, una cagnara continua da non saper più quando è notte e quando è giorno!... E se ne tocca anche noi confinanti.... noi confinanti che sui nostri terreni dobbiamo tollerare una processione di vagabondi che non finisce mai; e Dio guardi a fiatare! Non c'è rimasto un pollo nei capanni, non una frutta sulle piante; e nella vigna della Chiocciola è inutile che mandi a vendemmiarci. Dieci grappoli Tizio, venti grappoli Caio, una tascata quello, una pezzolata quell'altro, me l'hanno ridotta peggio che se ci fosse passata la grandine.
N'hanno arrestati sette per oltraggi e ribellione a mano armata, e hanno fatto benissimo! N'hanno accusati una dozzina per danni al bosco, e hanno fatto meglio. Hanno sequestrato otto nove fucili a chi non aveva il porto d'arme, e hanno fatto male perchè avrebbero dovuto sequestrarli tutti a questi scarpatori, a questa marmaglia d'ogni classe e d'ogni mestiere, che ha messo lo scompiglio in un Comune dove prima era una concordia e una pace che tutti c'invidiavano e che è stata segnalata perfino in Parlamento! Ma poi, domando io: questo fagiano c'è o non c'è? Chi l'ha trovato? Chi l'ha visto? Chi gli ha tirato?... Nessuno! Che ne pensa lei, sor Armando? che ne pensano tutti i grandi cacciatori di polli e d'uva matura di questi dintorni? —
Il signor Armando pensava e non apriva bocca. Ma quando il signor Giuseppe si fu chetato battendogli una gran manata sulla spalla, prese coraggio e parlò:
— Non c'è dubbio, signor Giuseppe, ella ha cento, ella ha mille ragioni, ma.... si metta nei miei panni, signor Giuseppe, consideri il mio stato....
Il signor Armando piegò la faccia fra le mani e, singhiozzando, raccontò che fra gli arrestati per oltraggi e ribellione a mano armata c'era anche il suo figliuolo, il povero Spartaco, quell'innocente creatura incapace di far del male perfino ad una mosca!
A quella rivelazione, il signor Giuseppe rimase turbato e, accarezzandolo, cercò di fargli animo. Ma il povero signor Armando, singhiozzando sempre più forte, seguitava a raccontargli di quel terribile disastro che sarebbe stato di certo la rovina della sua infelice famiglia. La sua moglie, la signora Umiltà, era a letto con la febbre, il suo fratello prete gli aveva sbacchiato l'uscio in faccia caricandolo d'improperi, la farmacia aveva dovuto chiuderla perchè non c'era chi mettere al banco, e lui era corso disperato a chiedere appoggio e consiglio agli amici:
— Non c'è che lei, signor Giuseppe, non c'è che lei che possa darmi aiuto in questo momento di disperazione! —
E buttandosi accasciato sopra una seggiola, continuò angosciosamente a raccomandarsi.
— Lei, signor Giuseppe, lo so, lei conosce il signor Sottoprefetto; lei conosce l'onorevole barone Puntelli-Grossi che fu qui a pranzo da lei anche la settimana passata, in vista delle prossime elezioni.... non c'è che lei.... lei solo, signor Giuseppe, che, per mezzo di questi bravi signori, mi possa aiutare.
— Si calmi, si calmi, signor Armando. Il suo caso, non v'è dubbio, è molto spiacevole; ma se lei non si mette un po' in calma, faremo molto rumore e non concluderemo nulla. —
Dopo i fatti del fagiano, divulgatasi la notizia che il signor Giuseppe era davvero in buoni rapporti col Sottoprefetto e col deputato del Collegio, accadde che, davanti alla porta di casa sua, per una quindicina di giorni, non ci mettesse erba. Fra cacciatori e non cacciatori, i compromessi nella brutta faccenda furono almeno una cinquantina; e tutti, uno dopo l'altro, o soli o accompagnati da amici e da manutengoli supplicanti, capitarono a battere alla sua porta. Sul principio, ci si divertì e rise; poi s'indispettì e brontolò; e, da ultimo, fece dire che era fuori e non aprì più a nessuno.
E tutti quelli che correvano da lui non erano soltanto la peggior canaglia delle borgate circonvicine, ma erano anche persone rispettabili e che nessuno avrebbe mai creduto capaci, data la loro età e la loro condizione, di perder la testa per la frenesia d'ammazzare un fagiano che era ormai diventato come la fenice della favola, perchè tutti dicevano che c'era e nessuno l'aveva ancora veduto.
La desolante scarsità di cacciagione di quelle campagne e la troppo lunga astinenza, avevano portato i loro effetti sugli animi di tanti cacciatori i quali, condannati da molti anni a non poter dare sfogo alla loro ardente passione che su qualche misero uccelluccio di passo nell'autunno, sulle rondini del tetto o su un foglio di carta fermato con gli spilli al tronco d'un albero, alla notizia che nel bosco di Carraia era stato visto un fagiano, persero l'uso della ragione.
Sbucaron fuori da ogni parte cacciatori che non avevan mai preso in mano un fucile, fucili che da anni stavano ciondoloni a un chiodo, rosicati dalla ruggine, e cani da caccia che non avevano mai visto nè annusato altra selvaggina che le pulci del pelo e gli ossi delle spazzature.
E veramente, se la presenza d'un fagiano nel bosco di Carraia era una rarità, non era una cosa impossibile perchè un uccello di quella specie, sviato da un temporale o dal rumore d'una grossa cacciata, poteva capitare facilmente a rifugiarsi dove nessuno l'avrebbe mai pensato. A dare certezza della cosa contribuivano le voci di molti che, per vanagloria, giuravano d'averlo visto, e più che altro vi contribuiva il racconto d'alcuni vecchi, i quali assicuravano che cinquantasette anni fa erano capitati in quel medesimo bosco due fagiani (maschio e femmina) e che gli aveva ammazzati il signor Gonfaloniere di Collalto, a quei tempi padrone di Carraia.
Fra le persone rispettabili compromesse nella brutta faccenda v'erano, oltre a Spartaco del signor Armando, l'Agente delle tasse, il Cappellano di San Giusto, il Medico condotto e, quel che pare proprio impossibile perchè lui la legge la conosce, il Marzi segretario comunale!
L'Agente delle tasse e il Cappellano avevano una citazione davanti al Pretore perchè, sorpresi a minacciarsi e a ingiuriarsi atrocemente per un cane che era stato avvelenato, s'erano rifiutati di dare ai carabinieri il loro nome e le loro generalità. Il Medico condotto era stato incriminato per aver medicato un ferito senza farne referto; e sul Segretario comunale pesava una grave querela per vie di fatto contro un guardacaccia che gli aveva intimato di legare la cagna e d'andarsene. Questo guardacaccia, un certo Bizzi, gobbo, romagnolo, che quando discorreva sotto a que' due baffetti ritti pareva che rosicasse coltelli, aggredito, disarmato e percosso da un branco di giovinottacci fu costretto a darsi alle gambe, rincorso, contuso e insudiciato a forza di sassi, di pino, di funghi marci e di fatte di vacca. Imbrancato con quei giovinottacci, c'era (nessuno sa formarsene una ragione) c'era, pur troppo, il Marzi segretario!
Lei, signor lettore, non può, di certo, immaginare l'origine di tanto trambusto: e io, per obbedire a un mio dovere e per un riguardo ai suoi meriti, gliela dirò.
Un vecchio e arguto buontempone, improvvisatore fortunato di burle, una sera, preso il fucile e il cane, capitò in quel bosco, per la sua solita passeggiata. Scendendo un ciglio scosceso, scivolò e cadde così malamente che, battendo coi cani del fucile su una pietra, le due canne si scaricarono senza fare a lui alcun male e destando la sorpresa di tutti i cacciatori dei dintorni, i quali, allo scoppio delle due bòtte scaricate quasi nello stesso istante, si fermarono, voltandosi, a occhi spalancati, da quella parte.
Mentre tornava a casa, il nostro burlone si vide venire incontro una quantità di curiosi ai quali, come se volesse farne un mistero, raccontò sottovoce, d'aver tirato a un fagiano, ma, per disgrazia, senza ammazzarlo. Gli s'era alzato in un macchione di marruche e d'ontani così folto da dargli a malapena il tempo di vederlo e di lasciargli andare due bòtte alla lesta, più al rumore che alle penne.
Non disse altro. Prevedendo quello che sarebbe accaduto il giorno di poi e nel seguito, se n'andò a cena e a letto, gongolante d'aver preparato per sè e per gli amici più intimi uno dei suoi soliti e tanto graditi passatempi autunnali.
Dopo una ventina di giorni la calma cominciò a ristabilirsi, in grazia delle nuove elezioni politiche. Il Sottoprefetto e il candidato barone Puntelli-Grossi fecero miracoli. Un mese più tardi, tutte le querele, tutte le denunzie e tutte le accuse erano state ritirate; e i pochi arrestati furono presto rimessi in libertà. Tantochè, otto giorni prima della votazione, capitato lassù l'onorevole barone per il suo giro elettorale, fu un tal delirio di acclamazioni che, senza dubbio, gli avrebbero staccati i cavalli dalla carrozza se la carrozza non fosse stata a benzina.
Quando passò dinanzi alla farmacia, contornato da un nuvolo d'ammiratori che l'assordavano, il signor Armando gli andò incontro con le lacrime agli occhi, e tanto lo pregò di accettare un modesto segno della sua eterna riconoscenza, che il candidato popolare, con quella bella disinvoltura che è privilegio esclusivo del vero democratico, e che lo faceva così accetto e simpatico a tutti, scese dall'automobile ed entrò sorridente nella farmacia dove, dopo avuta la presentazione del povero Spartaco e della signora Umiltà, ebbe a ingozzarsi, in fretta e in furia, un bicchierino di liquore stomatico, specialità unica e deliziosa del signor Armando il quale volle dargliene anche la ricetta.
Il signor barone protestò che si sarebbe tanto volentieri trattenuto a lungo in una compagnia così allegra e intelligente; ma costretto dalle grida del popolo che lo voleva fuori, si congedò dai suoi cari amici, e:
— Conto sul suo voto! — disse al signor Armando, stringendogli a due mani la mano. E il signor Armando, acceso da un entusiasmo che confinava con un erotismo morboso:
— Non solo sul mio, signor barone, ma conti anche su quello di mio figlio. Come potrei negarglieli?... —
E sprofondandosi in riverenze, lo accompagnò fino sulla porta. Avrebbe voluto dirgli chi sa quante altre cose, ma non gli fu possibile perchè, appena il popolo ebbe visto il suo candidato risalire sull'automobile e mandare in tondo baciamani e sorrisi, la voce del bravo farmacista restò soffocata da uno scroscio così formidabile di tonfi di grancassa e di grida da far tremare i cristalli delle vetrate come se desse il terremoto:
— Evviva il nostro deputato! Evviva l'amico del popolo! l'inno! l'innooo!!! —
L'automobile si mosse lentamente per prendere la via della campagna, ma quando passò davanti al palazzo comunale ebbe a fermarsi e a fare una lunga sosta per accogliere una pioggia di nuove acclamazioni, di fiori e di manifesti che venivano giù a bracciate dalle finestre.
Il Segretario, l'Agente delle tasse, il Cappellano di San Giusto e il Medico condotto, riuniti sul balcone, non avevano più nè voce nè braccia da bastare alla foga del loro entusiasmo.