Camillo Berneri
Mussolini grande attore
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PREMESSA

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PREMESSA

Un italiano antifascista che fosse invitato da uno straniero ad esprimere con sincerità e con serenità la sua opinione sul valore della personalità politica di Mussolini, si troverebbe spesso in imbarazzo. Se egli nega al «duce» una personalità eccezionale, abbassa il suo paese al rango delle nazioni balcaniche, ne fa una specie di Messico europeo; se riconosce che Mussolini è un grande uomo politico, le critiche mosse, d'altra parte, al suo metodo di governo e al fascismo possono correre il pericolo di scivolare come l'acqua sul marmo, per poco che lo straniero curioso simpatizzi con la «maniera forte», quando la creda necessaria.

Nei paesi dove la democrazia parlamentare e il liberalismo all'insegna «les affaires sont les affaires» rendono assai difficile, a causa di alchimie ministeriali, logomachie accademiche, lungaggini e complicazioni burocratiche, la vita amministrativa della nazione e ne rovinano, con gli espedienti e la corruzione, la vita politica, esiste una simpatia per il fascismo italiano, simpatia sommaria e con molte riserve, ma viva e diffusa. La nostra è un'epoca delle dittature: Pilsudski in Polonia, Stalin in Russia, Horty in Ungheria, Kemal in Turchia... Ed è d'ieri la dittatura di Primo de Rivera. In Germania, Hitler guadagna terreno. A un Mussolini omeopatico non si può paragonare un qualsiasi Tardieu che molti francesi della media ed anche della piccola borghesia si augurano?

L'antifascista italiano, cosciente di questa ondata di simpatia che il dittatore di Roma si è creata in certi strati dell'opinione pubblica straniera formata come si sa dalla «grande stampa», deve esagerare; è costretto a disarcionare il mito e a coprirlo di fango, cioè non solo a deprezzarlo fino a ridurre la personalità di Mussolini ad una sonante nullità, ma anche a presentarlo come un mostro di malvagità politica. Questo qualche volta è un artifizio propagandistico, ma più spesso è una tendenza istintiva, uno spontaneo eccesso per spirito di contrasto. In questo ultimo caso colui che parla è meravigliato della realtà del fenomeno che deve interpretare e descrivere. Questa dittatura gli sembra assurda e impossibile in un paese non inferiore ai più civili; e per sfuggire a questo intimo imbarazzo è tratto o a caricare le tinte del ritratto morale di Mussolini e del movimento fascista, o a incolpare i dirigenti dei diversi movimenti politici e sindacali sconfitti, rimproverando loro di non aver saputo «fare come Mussolini». Infatti è una reazione costante dei vinti quella di indicare la causa della vittoria del nemico nella sua slealtà o nella sua crudeltà e, nei momenti di maggiore scoramento, di credere alla viltà e alla stupidità dei propri generali. Tutto un assieme di preoccupazioni, di passioni, di pregiudizi, d'incomprensioni, d'interessi hanno accumulato sulla figura di Mussolini tante alterazioni da deformarla in modi diversi, talvolta opposti.

Così il biografo onesto deve lavorare con l'accetta in questa foresta vergine di aneddoti così ingegnosamente inventati che sembrano veri o così mostruosamente veri che sembrano falsi, oppure così grossolanamente esagerati che sembrano falsi anche se sostanzialmente veri. Quel biografo come potrebbe orientarsi se non fissando bene e tenendo costantemente presenti le linee fondamentali, il profilo per così dire, della psicologia di Mussolini? Questo libro più psicologico che storico-politico, tenta di rispondere alla domanda: Mussolini è un grande uomo politico? E risponde di sì. Ma aggiunge e spiega che per essere un grande uomo politico, è necessario essere un grande attore. La tesi non è originale: il nostro personaggio è già stato giudicato grande attore da parecchie personalità del mondo letterario, scientifico e politico. Se H. G. Wells ha visto in Mussolini un «volgare attore popolare» il professor G. Salvemini, lo storico del fascismo italiano, lo ha definito «un commediante meraviglioso» e il suo migliore biografo antifascista, Alceste De Ambris, disse di Mussolini: «Come istrione è veramente un genio». Si potrebbero raccogliere molti giudizi simili a quelli citati, ma questi giudizi non farebbero che delineare la figura di Mussolini, mentre è necessario dipingerla, situarla in una atmosfera: la psicosi di un popolo.

Non pretendo di aver fatto un'opera letterariamente brillante e storicamente completa, ma spero di aver fatto un libro utile. Oso credere che i lettori non italiani troveranno in queste pagine un po' di luce per l'intelligenza del fenomeno fascista-mussoliniano.

Ciò, a mio parere, non può che contribuire a sviluppare il disgusto verso il regime della dittatura, quale ne sia il colore e quale sia il cielo sotto il quale esso corrompe ed opprime.

Mussolini è un grande uomo politico perchè è un grande attore. Si può essere uomo politico senza essere attore? Penso di no. La politica non è una attività pienamente compresa e descritta dalla cinica definizione di Talleyrand («Un certo modo di agitare il popolo prima dell'uso»). La base della fortuna dell'uomo politico che arriva al potere, nel quadro di un partito o di un regime, fu, è e sarà sempre quella del tribuno, del giornalista, del tattico.

L'uomo politico non è il pensatore-scrittore politico. Quest'ultimo o è l'utopista, di cui si può ripetere ciò che Luciano diceva di Platone: egli è il solo abitante della sua città, o è l'interprete della storia (Gobineau) o è l'apostolo-profeta (Mazzini) o è il poeta (Carlyle, Victor Hugo). L'arbitrio delle costruzioni ideali dell'utopista è giustificato dalla funzione del mito; l'interpretazione delle vicende umane è feconda come canone metodologico; l'apostolato del profeta può contribuire a creare situazioni storiche di grande importanza e ci figure esemplari di «maestri di vita». Le idealizzazioni storiografiche esaltano il valore estetico ed etico degli sforzi dell'uomo emendando la fredda e unilaterale interpretazione materialistica. Ma l'utopista non sarà mai uomo politico, nel senso che egli non sarà mai un vincitore nella realtà contemporanea. Potrà creare una setta, scatenare una agitazione, lasciare discepoli devoti e appassionati, ma il suo destino è di scrivere nella penombra di una prigione, come Campanella, di bruciare su un rogo come Bruno, di vivere una logorante esistenza di lotte continue, durante la quale il successo ha brevissima durata ed è seguito da una rapida caduta. L'utopista accende delle stelle nel cielo della dignità umana, ma naviga in un mare senza porti. La sua natura psichica è quella del mistico, la sua ingenuità è quella del poeta autentico; egli è fuori del tempo, volto verso un passato remotissimo e spento o fissato ad un impossibile avvenire. L'utopista può approdare alla città storica, ma non può conquistarla. In ogni tempo, Firenze uccide Savonarola.

L'apostolo-poeta è Mazzini che è il poeta della sua utopia, che vive nella lotta politica come la superstizione vuole che la salamandra viva nel fuoco. Egli sta nel presente col ricordo del più bel passato e con il sogno del migliore avvenire. Questi ricordi e questi sogni gli danno ali candide per non cadere nel compromesso, per scacciare il demonio delle seduzioni, delle vanità e delle ambizioni personali. La voce dell'apostolo-poeta è sempre giusta perchè essa è sempre sincera. Ma il suo destino è lo stesso dell'utopista. Vorrà passare dai Doveri dell'uomo alla Repubblica romana, ma sarà la disfatta. Mazzini, l'instancabile ragno delle cospirazioni e delle spedizioni, vive per quasi tutta la vita in esilio e muore sotto un falso nome, nascosto nell'Italia unificata sotto la monarchia piemontese. Ma la sua voce è ancora una colonna di fuoco: la si è udita fin nelle Indie e ora ci ritorna dall'Oriente. Che cosa ci ha invece detto Cavour? Quasi niente. Che cosa ci ha detto Bismarck? Quasi niente. L'apostolo-profeta è una vivente Bibbia finchè vive, un Cristo che continua a predicare dopo morto. I suoi errori sono un nonnulla, poichè verità eterne li coprono con i loro raggi. L'apostolo-profeta scrive pagine che non muoiono. Va al di del suo tempo, parla a tutti gli uomini della terra. È vincitore perchè è stato vinto. Non è l'uomo politico ma è l'uomo della polis: l'uomo che vive ed è pronto a morire per essa. Non è Alcibiade ma Socrate. Egli lavora nel presente, ma pensa all'avvenire; vede i cittadini ma non dimentica l'uomo; è il tribuno ma non il retore; può essere uomo di Stato, ma alla caduta della Repubblica, andrà, come andava Mazzini per le vie di Roma nel 1849, a cercare la morte.

L'interprete della storia è destinato a ingannarsi nelle sue profezie, come l'utopista. De Gobineau, scrivendo a Tocqueville, gli prediceva: «Il taglio dell'istmo di Suez sarà funesto all'Occidente, poichè tutti i vantaggi andranno alla Grecia, Marsiglia e Bordeaux saranno rovinate, l'Inghilterra si rovinerà finanziariamente e commercialmente nelle Indie, a vantaggio degli Indiani che diventeranno ricchi». Nel 1851, a Berna, predirà l'imminente fine della Svizzera davanti all'Austria. In quello stesso anno un viaggio in Piemonte gli farà sperare nella abdicazione di Vittorio Emanuele II a favore del duca di Genova e nel ritorno della casa di Savoia all'alleanza con l'Austria perchè la nuova politica commerciale di Cavour avrebbe rovinato l'industria locale a vantaggio di Genova e dell'Inghilterra. A suo parere tutto il problema era di sapere se sarebbe stata l'Inghilterra o l'Austria a dominare l'Italia, e vedeva la Russia aiutare l'Austria a costruirsi una potenza più grande di quella sognata da Carlo V. E si potrebbe continuare se non bastasse tutto questo a dimostrare che Gobineau era «presbite», come dice Romain Rolland. Tocqueville, meno geniale di Gobineau, vedeva con maggior chiarezza nel presente e nel futuro, e per questo non faceva troppo spesso profezie. Tocqueville comprendeva che la politica è storia, cioè un assieme di vicende dominate da leggi che non si conoscono, ammettendo la concezione deterministica, o costituite da una catena di casi che hanno infinite possibilità di determinazione.

La mentalità politica si mostra impotente a prevedere. Cavour, nel 1859, non poteva credere all'Italia unita. Quando si vede George Sorel scrivere in una nota all'edizione del 1912 delle sue Réflexions sur la violence: «L'ipotesi di una grande guerra europea sembra al momento poco verosimile», ciò non stupisce, poichè molti ministri degli esteri saranno colti completamente di sorpresa dallo scoppio della prima guerra mondiale e molti «grandi uomini» politici degli Imperi Centrali e dell'Intesa dimostreranno durante il corso della guerra di non aver capito niente di ciò che stava per succedere. E non parliamo poi della suprema stupidità della pace di Versailles.

Tutta la storia è a dimostrare che gli uomini politici non fanno migliori previsioni – quando non ne fanno peggiori – degli uomini comuni. È assai raro che i fatti diano loro ragione. Avviene quasi sempre che essi si adattino, con molta abilità, a fatti mai immaginati, per dimostrare al pubblico d'essere stati i dominatori della situazione. Degli uomini politici si può dire ciò che Renan diceva dei «grandi uomini» della Rivoluzione francese: «Quegli uomini non furono grandi, furono solo gli operai di una grande ora». L'uomo politico è legato al momento storico in cui vive. La gloria di Napoleone è inconcepibile senza la Rivoluzione francese: la grandezza di Kant, di Goethe e di Beethoven è al di sopra e al di fuori delle vicende dell'epoca napoleonica.

La fortuna di Napoleone dipese essenzialmente dal suo opportunismo e dal caso. Lui stesso non ha detto di essere la creatura delle circostanze? E per lui vale anche l'affermazione di Thiers, che era buon giudice in materia: «Gli uomini di principio sono dispensati dal riuscire». Per caso Napoleone fu nominato dalla Convenzione comandante in capo del presidio di Parigi e marciò contro i Giacobini, fra i quali un tempo aveva militato, ciò che gli permise di sfondare. È anche grazie al suo «occhio d'aquila» che Bonaparte ha potuto diventare Napoleone. Inviato a comandare l'armata d'Italia, domina i generali, mal disposti verso di lui, fin dal primo incontro. Sul suo savoir faire con i soldati, gli ufficiali, i ministri vi sono molte pagine dei suoi contemporanei. Quanti dei suoi atteggiamenti, dei suoi gesti, dei suoi sguardi hanno avuto importanza nella sua personalità storica! Un fatto lo dimostra: egli è uno dei personaggi della storia che è stato più facile portare sulla scena. Talma, che lo conobbe semplice ufficiale e lo frequentò assiduamente quando era generale, console e imperatore, ha lasciato scritto nelle sue memorie che, avendolo osservato in circostanze speciali ed assai importanti, la sua mimica ed i suoi accenti gli servivano di lezione. E aggiunge di aver visto il vero volto di colui che si considerava come fantastico e fuori misura nella storia. A Emerson non è sfuggita questa preminente natura di attore in Napoleone, e, secondo questo profondo scrittore, Bonaparte fu un eroe volgare, cioè l'eroe dell'«uomo della strada» che, in , trovava le qualità e gli impulsi degli altri uomini della strada.

L'immensa popolarità è il segno della grandezza politica: segno che avvicina l'uomo politico all'attore tragico e comico, alla danzatrice, al grande banchiere. L'uomo politico è un mostro che può riuscire ad imporsi grazie ad una sola qualità: la eloquenza o la verve giornalistica o il coraggio ecc... Leopardi, il poeta-filosofo, si pose il problema della reale grandezza degli eroi e concluse che essi si elevarono «principalmente in virtù dell'eccesso di alcune delle loro qualità sulle altre». In effetti, mentre il genio non è riducibile a tipi inferiori, l'eroe può avvicinarsi a questi: il pirata poteva dire a Alessandro il Grande: «Tu fai in grande ciò che io faccio in piccolo». Il venditore ambulante delle fiere non occupa un posto molto lontano da quello del grande parlamentare. Il sordo Beethoven resta Beethoven, Lloyd George afono è fottuto. L'uomo politico dunque è un virtuoso: è l'eroe del successo, l'uomo del giorno, l'uomo pubblico. La sua fama è come una tromba. Egli sta, nella... gloria, fra il sorriso di Maurice Chevalier e i pugni di Carpentier. Il libro tipico dell'uomo politico è l'autobiografia, il genere letterario dei grandi imbroglioni e delle ballerine. Si è detto che i grandi uomini sono «i sostantivi nella grammatica dell'umanità»: penso che si possa dire che gli uomini politici non ne siano che gli aggettivi.

Dopo quanto ho detto, si vedrà che riconoscere in Mussolini la... grandezza politica non è, da parte mia, un complimento.


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