Camillo Berneri
Mussolini grande attore
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CAPITOLO TERZO L'ATTORE – REGISTA

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CAPITOLO TERZO

L'ATTOREREGISTA

A Palazzo Venezia, il suo studio è molto ampio e severo. Il tavolo è disadorno. Un mappamondo di pietra e un busto di Giulio Cesare dominano l'ambiente e l'uomo dalle mascelle serrate è , circondato da alti dossiers, sullo sfondo del suo apparato. , egli recita ogni giorno la sua commedia. Vi sono alcune piccole modifiche nell'espressione, a seconda dei visitatori. E, sul tavolo, la foto appropriata con dedica.

Facciamo un passo addietro, nel 1914. Eccolo che troneggia alla redazione del Popolo d'Italia, il centro del movimento interventista, il suo quartier generale. In un'opera laudativa (Mussolini, Milano, 1922) Arturo Rossato lo descrive così:

«Il 15 novembre 1914 esce il primo numero del Popolo d'Italia ...Quando l'uomo si rintana nel suo "cubicolo" di redazione, ...allora sono ordini secchi e precisi:

Fattorino!...

Il fattorino si presenta all'apertura della tana.

Portatemi il caffè. Non deve entrare più nessuno, qui. Il primo che entra sparo.

– Un momentoribatte il fattorino. – Io entrerò per portare il caffè.

Sparo anche a te!...

L'uscio della tana si chiude. Silenzio... Sulla parete, dietro a lui, la gran bandiera nera degli Arditi, adorna del teschio candido e del pugnale; sul tavolo, fra le barricate dei libri e il comizio dei manoscritti, riposa una rivoltella da venti colpi..., un po' più lontano, sopra un volume di Carducci, un coltello da caccia...; più in , vicino al calamaio, un'altra piccola rivoltella elegante...; un poco più lontano ancora, sopra i manoscritti che non si pubblicheranno mai, si rizzano dei caricatori lucidi, quasi d'oro, che sembrano zampogne simboliche d'un fauno guerresco... Dentro quella armeria formidabile, spiccando quasi spettrale sullo sfondo funebre della bandiera, Mussolini si corica, stride, strepita, si aguzza ed esplode...» (pp. 26-27).

Nel 1918, ecco un ricordo di Settimelli, un futurista:

«Italiano puro sangue, era bello a vedersi, il giorno dello armistizio, nelle stanze della redazione trasformate in fortezza, mentre impartiva ordini agli arditi, col revolver sul tavolo. C'è in lui un lato pittoresco che è incantevole. Un italiano che ha perfettamente capito gli italiani».

Il lato pittoresco Mussolini l'ha sempre curato e lo cura oggi più che mai. Cécile Sorel, nel luglio 1931, si esprimeva in Comoedia: «Quale grande artista sarebbe stato1. Ma lo è, Signora. Disgraziatamente la sua scena è una nazione. Un grande giornalista americano, Percy Wirmer, che lo ha ben seguito ed ancor meglio conosciuto, lo ha definito: un maestro della posa!

«Mussolini posa. È un maestro della posa davanti a uno, a mille, a un milione di spettatori. La sua abilità è straordinaria e non gli fa mai difetto. I suoi artifizi sono inesauribili...

Egli ha curato con attenzione alcune pose per sostituirle al cipiglio minaccioso, che, ancora due anni or sono, figurava in tutti i suoi ritratti. Nel suo nuovo atteggiamento tiene la testa molto indietro e spinge avanti la sua grossa mascella. Chiude il pugno sinistro, appoggiandolo al fianco e si ferma a gambe divaricate. Cammina lentamente facendo ondulare i fianchi... Impiega la tecnica in uso nei teatri di posa per fare impressione sui visitatori: talvolta va loro incontro, cordialmente; talvolta li obbliga a traversare per tutta la lunghezza il suo immenso studio e li attende dietro il tavolo, immobile e rigido. Si potrebbe tracciare una linea fra il suo tavolo e la porta con le indicazioni della probabile qualità dell'accoglienza, entusiastica vicino alla porta, glaciale dietro il tavolo».

Che Mussolini reciti la commedia, si desume da tutti gli stranieri che l'hanno avvicinato.

Henri Béraud, nel Petit Parisien (giugno 1928) ne parla così:

«Gli occhi neri e secchi, aperti fino al bianco nei momenti di collera e di passione, e il passo, al tempo stesso deciso e danzante, e i gesti continui, con una mano che modella, accarezza, si agita, si rivolta nell'aria, si alza, si riposa e riprende a muoversi; i lunghi gesti da spadaccino italiano...». Arrivando nell'appartamento dove Cesira, la governante, stava preparando il tavolo da , gettò via cravatta, guanti, cappello e mi disse:

– Ho l'impressione di aver fatto un numero per il pubblico. Voi questo racconterete. Ma sì, ma sì... Oh! Sono stato giornalista, sapete! Andiamo, mi son meritato il premio?

Prima ch'io potessi rispondere, scoppiò in una grassa risata. Che risata! È proprio sua. Assolutamente silenziosa, scuote tutto intero il corpo e si prolunga decrescendo con un ondeggiamento quasi infantile della testa e delle braccia, per fermarsi secca su un'alzata di spalle, seguita subito da uno sguardo bruno e scrutatore che vi pianta negli occhi».

Maurice Bedel, nel suo libro fascista Fascisme An VII (Paris, 1929) dedica un capitolo al sorriso di Mussolini (Maurice Chevalier non ne siete geloso?) e assicura che questi «quando riceve... stende i suoi lineamenti, disserra i denti, si esprime con la più dolce voce del mondo in un francese leggermente modulato, canterellato, quasi cinguettato» dopo essergli andato incontro con «l'andatura leggera un po' danzante, le braccia aperte, le spalle dondolanti».

Ed ecco che Bedel ci mostra l'attore in piena azione. Ha parlato del divieto imposto alla stampa di occuparsi dei fatti passionali, soprattutto dei suicidi romantici:

«Mussolini si anima. Ho toccato un argomento che gli è caro. Con alcuni cenni immaginosi, mi descrive il suicidio come lo praticano gli amanti delusi. Le sue agili mani corrono sul tavolo, sembrano disporre i fiori attorno alla disperata; vedo le tuberose, le fresie, i lillà bianchi, ne sento i profumi mortali; scorgo il flacone del veronal...»

Tanto basta per convincersi che Mussolini è il Rodolfo Valentino della politica.

L'imperatore Augusto, racconta Svetonio, vicino a morte, si fece portare uno specchio, vi si rimirò e, aggiustandosi i capelli, domandò ai parenti che lo circondavano: «Vi sembra che abbia recitato bene la mia parte?».

Quando Mussolini morirà, sul suo letto di morte, reciterà la sua parte fino all'ultimo soffio. Dirà, con il più profondo sospiro: «Avevo ancora tante cose da fare!».


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