Camillo Berneri
Mussolini grande attore
Lettura del testo

CONCLUSIONE

«»

CONCLUSIONE

Quando si arriva alla conclusione di un libro, ci si accorge che bisognerebbe riscriverlo da capo. Nel mio caso reputo poi necessario un altro libro che potrebbe avere per titolo La psicologia del fascismo.

Un emigrato antifascista, il professor Carlo Rosselli nel suo Socialisme libéral (Paris, 1930) ha scritto questa grande verità:

«Il fascismo si radica nel sottosuolo italiano, esprime i vizi profondi, le debolezze latenti, le miserie del nostro popolo, del nostro intero popolo.

Non bisogna credere che Mussolini abbia trionfato solo per forza bruta. Se egli ha trionfato è anche perchè ha saputo toccare sapientemente certi tasti ai quali la psicologia media degli italiani era straordinariamente sensibile. In una certa misura il fascismo è stato l'autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto della unanimità, che fugge l'eresia, che sogna il trionfo del facile, della fiducia, dell'entusiasmo. Lottare contro il fascismo non significa dunque lottare solo contro una reazione di classe feroce e cieca, ma anche contro una certa mentalità, una sensibilità, contro delle tradizioni che sono patrimonio, purtroppo inconsapevole, di larghe correnti popolari».

Quando un avventuriero come Mussolini può giungere al potere, vuol dire che il paese non è sano maturo. Bisogna che gli italiani si sbarazzino di Mussolini, ma bisogna anche che si sbarazzino dei difetti che hanno permesso la vittoria del fascismo. L'Italia è il classico paese degli eroi. In un paese nel quale si è formata una coscienza collettiva, non si hanno dittatori attentatori. L'eroe che, come Lucetti, come Schirru, si leva, solo, contro il tiranno, è l'espressione di un bisogno ideale di un paese depresso; è la compensazione psichica di una degradazione collettiva. Tutto il Risorgimento è pieno di azioni individuali, di spedizioni folli d'eroismo, ma anche di numerose e prolungate viltà.

Noi abbiamo sempre avuto dittatori, demiurghi ministeriali, grandi agitatori e manipolatori di maggioranze parlamentari. L'individualità è sempre stata la nota dominante della vita pubblica italiana.

Avrei voluto illustrare i rapporti fra Mussolini e l'Italia in modo ampio e circostanziato, ma, ripeto, vi sarebbe in proposito materia per un secondo libro.

Mi sono limitato a pochi tocchi, ad alcuni tratti per delineare il profilo psichico del «duce». Questo profilo è tipico. Pilsudsky, Stalin, Horty, Primo De Rivera, tutti questi dittatori non hanno niente in comune con Mussolini. Il solo tipo politico che gli si avvicina di più è Hitler: ma si tratta di rassomiglianze superficiali.

Mussolini è «un italiano del XVI secolo, un condottiero» aveva detto George Sorel nel gennaio 1912. Non si ingannava, in fondo. Nel 1914, il 26 novembre l'Avanti! riconosceva la forza del suo ex-direttore:

«Noi vedremo presto formarsi un esercito di prodi che marceranno intrepidi – con alla testa Benito Mussoliniarmati di regi moschetti equipaggiati dall'oro borghese, a fare la guerra rivoluzionaria. Ma il generalissimo non ha la mano troppo felice nella scelta della sua gente. Le sue truppe sono raccogliticce. Egli non chiede ai suoi soldati chi sono, donde vengono. Li mette in rango, li riordina nelle ampie colonne del «suo» Popolo d'Italia, li espone al pubblico...

I bravi militi di Benito Mussolini debbono essere messi in mostra non tanto per il pubblico – il quale sebbene grosso, ha ormai capito di che si tratta – ma per coloro che sperano di strappare al Partito Socialista non soltanto il direttore dell'Avanti! ma con lui la grande massa della quale hanno maggiormente bisogno per la loro speculazione guerrafondaia».

Mussolini ha saputo crearsi un esercito di partigiani e metterlo al servizio della borghesia. «Per avere un capo intelligente, i reazionari devono sempre attendere che un socialista impazzisca» ha detto il socialista Loebe, presidente del Reichstag. Mussolini possiede quel grano di follia che occorre per essere un trascinatore, ma egli possiede anche una forza più grande: un raro intuito. Si è detto che Lenin abbia rimproverato i socialisti italiani di non averlo ingaggiato come loro duce. È possibile. Ciò che è certo è che Mussolini avrebbe saputo impiegare tutta la presunzione, tutta l'impudenza, tutte le menzogne, tutto il corredo di demagogia che mancarono in colui che nel 1919 e nel 1920 era salutato come il Lenin d'Italia: Errico Malatesta. Il Corriere della Sera del 20 gennaio 1920 scriveva scandalizzato:

«L'anarchico Malatesta è, oggi come oggi, uno dei più grandi personaggi della vita italiana. Le folle delle città gli muovono incontro solennemente, e non gli recano le chiavi delle porte, come usava un tempo, soltanto perchè non vi sono più chiavi e non vi sono più porte».

Malatesta non era un condottiero. Non poteva sfruttare la sua grande popolarità, poichè egli era un ragionatore, nemico del feticismo, amante della chiarezza delle idee e sdegnoso delle pose.

Due ricordi personali illumineranno questa figura. Eravamo a Roma nel 1920. Un gruppo di Arditi del popolo, camicia alla Danton e a capo scoperto, armati di bastone, lo avevano affiancato. Non c'era da temere alcun attacco fascista, ma quegli uomini erano assai contenti del loro ruolo di protettori del vecchio e celebre agitatore. Malatesta era sgomento. Mi bisbigliò: «Bisogna levarseli d'attorno». Come fare? Era mezzogiorno. Entrammo in una trattoria. Sulla porta, Malatesta si fermò. «Vi ringrazio; arrivederci cari amici». Ma gli amici non vollero andarsene. Tutta la squadra entrò con noi e occupò i tavoli di fianco. Malatesta scosse la testa, con l'aria di dirmi: «È inutile». Finito il pranzo, gli arditi si affrettarono a pagare i loro pasti, ed eccoci di nuovo inquadrati. Ma il Lenin d'Italia ne aveva abbastanza. Mi propose di recarci al nostro quotidiano. E questa volta, il gruppo, all'ingresso della sede del nostro giornale, si decise ad andarsene. Malatesta dette una occhiata alla finestra: «Non ci sono più» mi disse, con aria soddisfatta.

Un giorno che ero da lui, si presentò un compagno, uno di quei giovani compagni di provincia, pieni di ingenuo entusiasmo. Durante il lungo viaggio egli aveva preparato il suo piccolo discorso. E cominciò: «Ti saluto, vecchia bandiera dell'Internazionale!...». Ma non continuò. Malatesta, sorpreso e irritato, gli indicò una sedia: «Siediti, siediti, parlerai meglio». Vedo ancora la figura sbigottita di quel povero neofita.

Un uomo simile non poteva, negli anni rossi, «salire a cavallo». In quel periodo quanti agitatori senza intelligenza, senza cultura, senza coraggio erano riusciti a diventare capi potenti. In quegli anni accadevano cose mai viste. Coloro che avevano lottato per tutta la vita per il loro partito erano soppiantati da giovani nuovi arrivati. Vi erano dei socialisti anarcheggianti e degli anarchici bolscevizzanti. Mi capitò di vedere, alla fine di un discorso da me pronunciato in una sezione socialista di Firenze, il segretario che proponeva il passaggio dell'intera sezione, cassa compresa, all'Unione Anarchica. E io non sono un oratore. Mi capitò di passare una giornata intera, a Carrara, con dei giovani repubblicani credendoli dei compagni. D'Annunzio mandava articoli al quotidiano anarchico e alcuni individualisti venivano arrestati a Milano per aver complottato con dei legionari fiumani. I sindacati cattolici praticavano il sabotaggio e il capo del futurismo, Marinetti, scriveva sui muri «Viva Malatesta!».

Si viveva in una atmosfera incandescente, in cui gli estremi contrari si confondevano, in cui tutte le possibilità più contradditorie si presentavano a catafascio, in cui tutti i miti si urtavano fra loro. In un momento simile, in un paese che usciva da una crisi profonda come quella della guerra e dopo quasi due anni di lotte feroci, Mussolini poteva imporsi. Egli era giovane. Nel 1922 aveva venticinque anni di meno di D'Annunzio, quaranta anni meno di Giolitti. Alla testa di squadre armate, formate in gran parte da gente che chiedeva solo di non tornare al lavoro o alla umile condizione sociale vissuta nell'anteguerra, egli fu il Garibaldi della controrivoluzione, l'uomo della borghesia. Si avvalse della protezione del governo di Giolitti, ottenne la complicità dello alto comando dell'esercito, della magistratura, della polizia. Egli non fu che l'attore principale di tutta una politica di schiacciamento delle forze operaie. Seppe restare alla finestra nel 1919, usare il ricatto verso la borghesia nel 1920, tradire la causa di Fiume, rinnegare il programma iniziale dei Fasci. Seppe essere l'«uomo dell'avvenire»: ciò che può essere difficile, ma resta sempre assai banale. Se Mussolini non fosse esistito, certamente la presente storia italiana non sarebbe stata la stessa. Ma non sarebbe stata molto diversa. Ci sarebbero stati al suo posto De Vecchi o Grandi o Balbo. Ciascuno di questi uomini possedeva le qualità e i difetti necessari ad un ruolo analogo a quello ricoperto da Mussolini. Il prestigio? Il mito? La stampa avrebbe provveduto a dare l'uno e a creare l'altro.

Tutta la situazione italiana ha portato alla dittatura, ha determinato le successive fasi del fascismo. È infantile il credere che tutto questo sia stato il prodotto della volontà e dell'intelligenza di un uomo. Mussolini non è stato e non è che un attore della tragedia italiana. Grande attore, bisogna riconoscerlo. Ma un paese non è un teatro, e il marasma economico, le carceri ripiene di innocenti, le isole del confino, il tribunale speciale, l'inquisizione poliziesca, la milizia, l'esilio: tutto ciò dimostra che arrivare al potere è più facile che essere un uomo di stato e che non si possono risolvere con la forza bruta i problemi vitali di una nazione. Mussolini ha voluto una politica finanziaria ed economica che ha rovinato il paese; ha strombazzato la «battaglia del grano» e questa battaglia è stata un disastro; si è fatto promotore del coniglismo demografico imperialista e le nascite diminuiscono; ha creduto di poter soffocare l'opposizione, ma la lotta antifascista persiste e sempre nuovi martiri ed eroi; ha creduto di poter conquistare la Chiesa e la Chiesa si inalbera contro di lui; ha creduto di poter fare il doppio giuoco delle alleanze successive e del pacifismo ad uso esterno, e del bellicismo ad uso interno, e oggi il mondo intero vede nell'Italia un barile di polvere esplosiva. La commedia diventa sempre più drammatica. Quale sarà la catastrofe?

Camillo Berneri


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License