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I tre Regali o la Novella, de’ Tappeti
(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
Ci fu una volta un Re che aveva una sola figliola bellissima e da marito, e a’ confini, del su’ paese ci steva un altro Re differente con tre giovanotti grandi, dimolto appassionati per la caccia, sicché gli andevano dappertutto e spesso capitavano anco in nella città del primo Re.
Dunque in nel vedere la Principessa se ne invaghirno e la volevano ognuno per su’ moglie.
– Ma ’gli è ’mpossibile contentarvi tutt’a tre. La chieda uno di voi la mi’ figliola, e se a lei garba, i’ nun m’oppongo allo sposalizio.
Que’ tre fratelli però nun si potiedano accordare tra di loro, tanto gli erano cotti ’nnamorati, e si trovorno in sull’undici once di contrastarsi; il Re allora per rappaciargli disse:
– Fate accosì. Andatevene ’n viaggio per il mondo, e quello che ’n capo a se’ mesi mi porta il regalo più bello e più maraviglioso, i’ lo trasceglierò per marito della Principessa.
Que’ tre furno ubbligati a sottoporsi alla volontà del Re, babbo della ragazza, e, fatti gli apparecchi necessari, partirno assieme per il su’ destino; e doppo camminato dimolti giorni, deccoti che arrivorno a un’osteria, da dove la strada maestra si spartiva in tre vie che menavano a tre diversi paesi. Pensorno dunque di riposarsi, e poi la mattina riprendere il viaggio, ma no più assieme, bensì ognuno per una di quelle tre vie, con patto espresso di far capo all’osteria in sul finire de’ se’ mesi e lì aspettare per poi presentarsi al Re co’ regali ritrovi.
Il fratello maggior ’gli era già l’ultimo mese del fissato che girandolava, e di cose propio maravigliose nun gli era per anco rinusco di vederle, quando una mattina dalla finestra del su’ albergo sente per istrada uno che bociava:
– Tappeti fini! [336] Chi vole de’ be’ tappeti?
S’affaccia, e il tappetaio gli domanda:
– Vole comperare un bel tappeto?
Dice lui:
– Che n’ho io a fare? In nel mi’ palazzo di tappeti c’è pieno per insino ’n cucina.
Ma il tappetaio gli arrispose:
– Pol essere; ma de’ tappeti con la virtù di questi che qui nun gli possiede dicerto, e ci scommetto.
– Oh! che virtù gli hanno i vostri tappeti?
– Gli hanno la virtù, – arrispose il tappetaio, – che quando ci si mette su i piedi e’ si fa cento miglia al giorno.
A questa nova scrama il Principe:
– Decco una maraviglia! Quanto ne volete, galantomo, d’uno?
– Cento scudi tondi, nemmanco un quattrino di meno.
– Sta bene e i’ lo compero, – disse il Principe, e tirata fora la borsa gli contò subbito i cento scudi; poi prendette il tappeto, ci mette i piedi su, e via, in verso l’osteria alla sforcatura della strada.
I su’ fratelli nun c’erano per anco arrivi.
Il fratello mezzano in quell’istesso tempo ’gli aveva girandolato quant’uno Zingaro, ma nun aveva neppure lui avuto la sorte di scontrarsi in un regalo degno della vittoria, e quasimente era sgomento, perché già all’ultimo mese del fissato; steva soprappensieri, e a un tratto sente bociare:
– Canocchiali perfetti. Canocchiali di bona qualità, ohé! chi gli compera?
Va dunque il Principe per vedere chi fusse il mercante, e questi gli domanda:
– Signorino, che gli garberebbe un canocchiale?
– Che n’ho io a fare? A casa mia de’ canocchiali, e delle meglio fabbriche, ce n’è a dovizia.
– Eppure, i’ fo scommessa, – dice il canocchialaio, – che de’ canocchiali con la virtù di questi lei nun ne possiede nemmanco l’ombra.
– Che virtù?
– La virtù, – arrisponde il canocchialaio, – che anco a cento miglia da lontano si vede quel che si fa, no soltanto allo scoperto, ma serrati pure in nelle cammere.
– Sì sì, i’ la cercavo una maraviglia a codesto mo’! Quanto v’ho io a dare?
Dice il canocchialaio:
– Cento scudi tondi, nemmanco un quattrino di meno,
– Sta bene, e i’ ne compero uno, – disse il Principe, e a male brighe che l’ebbe ’n mano lo strumento, arritornò alla solita osteria, e ci trovò il fratello maggiore. Il più piccino nun era arrivo.
[337] Venghiamo dunque al più piccino de’ tre fratelli, stato ’n viaggio come gli altri per l’acquisto del regalo; e nun ci mancavano che quindici giorni soltanto alla fine de’ se’ mesi, e lui pur troppo nun aveva trovo nulla che lo contentassi, sicché quasimente credeva nun poterci più rinuscire nella ’mpresa: ma una mattina passò dinanzi la casa in dove il Principe steva a alloggio un venditore, sbergolando con quanta n’aveva ’n gola:
– Uva salamanna, chi ne vole? Uva salamanna virtudiosa, compratela, compratela! E’ nun son quattrini butti via.
In nel paese del Principe dell’uva salamanna nun ce n’era; lui nun l’aveva ma’ sentuta rammentare, e per vederla scese giù in istrada e chiamò quel venditore.
Dice:
– Che è questa robba che vo’ vendete?
Arrisponde il fruttaiolo:
– Uva che si addomanda uva salamanna. ’Gli è un’uva squisita di per sé, ma questa che qui poi ’gli èn’anco virtudiosa.
– E ’n che consiste la su’ virtù precisa?
– La su’ virtù precisa, – gli disse il fruttaiolo, – consiste ’n questo, che a metterne un chicco ’n bocca a una persona ’n fin di vita, la rinviolisce e nun more più.
– Ma che ’gli è propio vero? Allora la compero subbito. Quanto costa?
– Eh! – dice il fruttaiolo, – il men ch’i’ la do sono cento scudi tondi per ugni chicco, e ’nsenza tara.
Per farla corta, il Principe con trecento scudi sonanti comperò tre chicca di quell’uva salamanna, gli mettiede con del cotone in una scatolina e pagato il conto nell’albergo, quanto più presto potette riviense all’osteria, in dove i su’ fratelli da un bel pezzo l’aspettavano.
Tutt’a tre que’ giovanotti dientro di sé pensavano d’aver la vittoria di sicuro e di sposarsi la Principessa figliola del Re a male brighe presentato il regalo; infrattanto si arracontorno i casi successi nel viaggio e si mostrorno le meraviglie trovate con vantarne ognuno le virtù.
– Prima di moversi da qui per il nostro ritorno, vo’ te provarlo il canocchiale? S’ha da guardare in ne’ palazzi del babbo e del Re, babbo della Principessa.
Subbito il mezzano tirò fora dallo stuccio il canocchiale e l’arrivolse in sul palazzo di su’ padre: tutto era al solito. Poi lo smosse in verso il palazzo di quell’altro Re, e vede un viavai di carrozze, gente che piagneva e [338] si picchiava le mane nel capo, e dientro una cammera il medico e il prete con la su’ stola che raccomandava l’anima alla Principessa distesa in nel letto.
– Presto, fratelli, o nun siemo più ’n tempo. La Principessa è lì che tira l’ultimo fiato. Presto, corriamo via, che c’èn’ più di cinquanta miglia da fare.
– Eh! nun sgomentarti, che a tempo s’arriverà. Su! tutti co’ piedi in nel mi’ tappeto.
E accosì in un battibaleno furno in cammera della Principessa, e il fratello più piccino a male brighe nentrato cava dalla scatolina un chicco d’uva salamanna e lo mette ’n bocca dell’ammalata. A quel tocco lei nel mumento si scoté e aperse gli occhi; al secondo chicco rinviolì, e al terzo ’gli era bell’e guarita da saltar giù ’n piedi e domandare che la vestissan le su’ camberiere.
Figuratevi che allegrezze! Ma doppo principiorno i contrasti de’ tre fratelli.
– La vittoria ’gli è mia e la Principessa tocca a me, perché insenza le mi’ chicca d’uva salamanna lei nun c’era arte che la potessi rinsanichire.
– Ma s’i’ nun avevo il canocchiale per vedere tanto da lontano la Principessa ’n fine di vita, le tu’ chicca non servivano a nulla; e però i’ ho vinta io e la Principessa ’gli è mia.
– Le vostre ragioni a petto del mi’ tappeto nun valgano, cari fratelli; perché se nun c’era verso di corrire qui subbito in cammera della Principessa, il canocchiale e le chicca dell’uva salamanna ve gli potevi anco friggere. Dunque, Sua Maestà la deve dare a me la su’ figliola.
E lì letica pare, e durorno de’ giorni a battibeccarsi, e nun ci fu giudice, che sapessi mettergli d’accordo.
Il Re propio aveva perso il capo, perché a lui i tre regali de’ fratelli gli parseno tre cose necessarie e che disseparati perdevano il su’ merito; sicché da ultimo almanaccò un rimedio. Dice:
– Bene! fate il gioco della balestra, e chi tira più lontano pigli la mi’ figliola per isposa, e finimogli accosì questi contrasti.
Al comando del Re viense subbito ammannito ano strebbiaccio per il gioco della balestra, e alla presenzia del popolo i tre fratelli si mettiedano alla prova. Tira il primo, e va col su’ ferro auzzo dimolto lontano; tira il secondo, e va più lontano del primo; tira il più piccino, e il ferro gli andette tanto ma’ lontano per il bosco, che a nimo rinuscì vedere in dove fusse [339] cascato.
Il giovanotto, per paura che nascessi qualche altro scangeo se il ferro nun si ritrovava, corse a cercarlo, e in nel frucare per le macchiole e per i botri, a un tratto gli manca il terreno sotto a’ piedi, e giù! ’nsino al fondo d’una buca, che a svoltar gli occhi per l’insù si durava fatica a scoprire un brindello di cielo; e in quel mentre che lui si sforzava di rampicarsi, abbeneché un po’ sfracasciato e sbalordito, alle roccie per rivienire all’aperto, deccoti gli apparirno un Mago smisurato che steva ’n guardia del sotterraneo, e un branco di Fate giovani, una più bella dell’altra.
Loro insenza tanti discorsi presano il Principe e lo menorno con seco a un palazzo maraviglioso, e con grande amore e grazia gli feciano de’ medicamenti, gli diedano da ristorarsi e gli assegnorno una cammera e un letto, addove ugni notte una Fata gli tieneva compagnia.
Il giorno lo passava il Principe framezzo a divertimenti e spassi, e finì che della figliola del Re se n’era quasimente smenticato.
In ugni mo’ anco il bene stare viene a noia, e il Principe cominciò a dire:
– I’ bramere’ cognoscere che n’è successo de’ mi’ fratelli, del mi’ babbo e della sposa.
La Capoccia però delle Fate lo sconsigliava sempre da quelle voglie:
– Bada! nun andartene. Qui nun ti manca nulla, dell’allegrìa e de’ godimenti tu n’ha’ a dovizia; e se te arritorni da’ tu’ fratelli, te risti di capitar male o d’avere almanco di gran dispiaceri.
Ma il Principe ostinato nel su’ pensieri tanto pregò la Capoccia, che lei per accontentarlo gli permettiede di sortire, e prima gli disse:
– In sulla sposa nun ci contar più, perché lei è tocca al tu’ fratello maggiore, e il babbo della Principessa morì, sicché ora in nel Regno comanda il medesimo tu’ fratello. Anco il Re tu’ padre a quest’ora ’gli è bell’e morto da un pezzo. I’ t’avvertisco daccapo; nun partire, resta qui. Te sofferirai de’ patimenti dal tu’ fratello, che è geloso di te e t’astia a morte.
Ma nun ci fu versi di smoverlo, e il Principe volse andare a rivedere il fratello maggiore e la cognata.
Quando il fratello maggiore rivedde quel più piccino, scrama tra sorpreso e stizzoso:
– Addove t’eri ficco, che da tanti mesi nun s’è ma’ sentuto parlar di te? Tutti gli han creduto che te fussi morto seppellito in quella buca.
– E’ i’ ero vivo ’nvece, e vo’ nun m’ate nemmanco [340] ricerco. Un bel tradimento per godersi la mi’ vittoria! Fortuna ch’i’ ho trovo da star meglio con un branco di Fate giovani e belle, e in un logo d’incanto. Dell’astio a te nun n’ho punto, e non sbaratterei il mi’ bene con tutti e’ tesori del mondo.
A quella nova il fratel maggiore si divorava dalla rabbia, sicché disse con brutta grinta:
– Ma i’ son regnante e regno anco sulla tu’ buca, e se mi gira, i’ vi posso far subissare a mi’ piacimento. Intanto, che tu badi ’n capo a otto giorni di portarmi ’n regalo un padiglione di seta da albergarci sotto con trecento soldati, e insennonò i’ mando a buttar’all’aria la tu’ delizia.
Il fratello più piccino impaurito ritorna dalle su’ Fate e gli racconta le prutenzioni del maggiore.
– Te l’avevo detto, e nun m’ha’ volsuto dar retta. T’eran vienute a noia queste ragazze e le maraviglie del mi’ palazzo! Meriteresti ch’i’ ti lassassi al tu’ destino. In ugni mo’ per compassione della tu’ giovanezza ti s’aiterà.
E in capo a otto giorni il padiglione di seta era in nelle mane del fratello maggiore: ma nun fu contento, e ne volse un altro compagno per secento soldati o lui struggeva la buca delle Fate. Guà! bisognò che al solito le Fate con la su’ virtù lo fabbricasseno quest’altro padiglione e più bello e più ricco del primo.
Ma quando il fratello maggiore vedde che il più piccino nun trovava difficoltà a soddisfarlo, almanaccò una birbonata, e gli disse di portargli presto una colonna di ferro alta dodici braccia per rizzarla ’n mezzo a una piazza.
Il fratello più piccino era sgomento e temeva pure che le Fate si fussano seccate a aitarlo; le Fate però lo consolorno in scambio, e anzi la Capoccia disse:
– I’ volevo propio questo comandamento dal tu’ fratello. Lui sarà subbito servito. Ma che te porti addosso questa colonna ’gli è ’mpossibile; le tu’ forze non bastano. Ci penso io a tutto.
Dunque, la colonna di ferro alta dodici braccia in un momento fu pronta, e la Capoccia comandò al Mago guardiano di caricarsela in sulle spalle e con essa andarsene alla presenzia del Re assieme al fratello piccino, e a male brighe arrivi e che il Re scendette per vederla la colonna lì ritta, il Mago a un tratto con uno spintone gliela buttò addosso e lo riducette un cofaccino.
Accosì il fratello piccino con l’aiuto delle Fate diviense marito della cognata vedova e Re di tutto quel Regno.