Gherardo Nerucci
Sessanta novelle popolari montalesi
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NOVELLE

NOVELLA LII La Lieprina

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NOVELLA LII

 

 

 

La Lieprina

(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)

 

 

 

Una volta in ne’ tempi passi ci fu un Re con tre figlioli grandi, e questi tre figlioli avean tutti una gran smania di pigliare moglie. Su’ padre però nun era contento di dargliela, perché dientro al su’ core lui preferiva il più piccino; gli voleva più bene per esser lui bono e amoroso e quegli altri dua no, e l’idea del Re era di farlo erede della corona: ma per nun mettere dell’astio tra’ fratelli il Re steva zitto e trandugiava a cercargli donna, sicché quando loro gliela chiesano nun gli parse vero, e immaginò un modo per rinuscire nella su’ segretantenzione.

Dunque disse il Re:

– Andate a girare per il mondo; e quello che torna più galantomo, quello piglierà moglie.

I tre giovanotti subbito ammannirno le robbe e i quattrini per il viaggio e doppo se n’andiedano, chi di qua, chi di , per istrade diverse; ma il Re al più piccino gli diede di niscosto la potenzia della Corona, perché lui se ne servissi al bisogno.

Accosì, ognuno dalla su’ parte, camminavano in cerca della sorte per poi rivienire a casa e raccontare a su’ pa’ tutt’i successi, e che lui giudicassi chi era degno di moglie.

Il più piccino de’ tre giovanotti, e per nome s’addomandava Peppe, capitò doppo dimolti giorni a un’osteria in una città lontana, e rimase in nel vedere nel bel mezzo della piazza una bara con dientro un morto e che tutti sbergolando male parole lo strapazzavano. Chi gli strappava la barba, chi gli sbarbava i capelli, un altro gli portava via un orecchio, un altro il naso.

Peppe a un simile spettacolo corse tra la gente; dice: [431] Perché tutti codesti spregi a un morto? Mi pare una ’nfamità sprofumata. Che ’n questi loghi nun sanno nemmanco rispettare i morti?

Ma gli arrisposano:

– ’Gli è l’uso per quelli che moiono pieni di debiti. Questo birbone se n’è itonsenza pagare nimo, e però se l’è meritato questo gastigo.

Scrama Peppe:

– Smettete subbito, che i debiti del morto gli pago io e menatelo a seppellire diviato. Viengano i creditori all’osteria, e chi mi presenta le su’ carte ’n regola, sarà saldato d’ugni suo avere.

Ficurarsi! Nun stettano a farselo ripetere per duvolte lo ’nvito, e Peppe con di bone ricevute libberò quel morto da que’ malestrosi, e quando lo vedde sotterrato se ne partiede daccapo per il su’ viaggio; e camminò tanto e po’ tanto, che finalmente Peppensenza più un becco d’un quattrino, stracco e affamato, si sperse per un bosco, che era già buio fitto, e pioveva e gragnolava da parere quasi il finimondo.

Lui nun sapeva indove si trovava e in che mo’ sortire dalla macchia, e tutta la notte la passò ugni sempre in nel sospetto d’essere sbranato dagli animali, oppuramente di cascar giù steccolito per lo stento e il freddo.

Come Dio volse a bruzzolo rimbeltempì, e a un tratto deccoti apparisce una Lieprina co’ un paniere ’n bocca pieno di robbe da mangiare e da bere. La Lieprina s’accostò a Peppe, gli lassò il pianere a’ su’ piedi, e po’ via, fuggì più lesta del vento.

Peppe a quella vista riprendette coraggio e si mettiede a rifocillarsi ’n sallerba, e ’ntanto badava a almanaccare chi mai gli avessi mandato un simile aiuto miracoloso: ma da ultimo si persuadé che la Lieprina fusse nient’altro che l’anima di quel morto da lui libberato dalle mane de’ su’ barbari creditori; sicché tutt’allegro e bell’e riposato s’arrizzò e ritrovata la via maestra andeva di bon passo ’n cerca di qualche albergo o paese da potercisi fermare.

Cammina cammina, ’n sulle ventiquattro Peppe viense a un’osteria, tienuta da un oste che aveva per figliola una bellissima ragazza. Picchia e lo fanno rientrar dientro. Ma, poero giovanotto! all’aspetto e’ lo presano per uno straccione, e lui bisognò purtroppo che s’arraccomandassi per un po’ di ricovero per carità e s’offerì per servitore tanto per nun campare alle spalle di quell’oste. All’oste gli garbò la proposta, e accosì Peppe figliolo di Re si vedde arridotto a rigovernare e’ piatti ’n cucina e a tutte le più basse faccende della casa.

[432] Dunque, in nello star a quel servizio Peppe praticava a ugni mumento con la bella figliola dell’oste, e finirno tutt’addua come succede quando a dugiovani gli si scalda il sangue; s’innamororno a bono e in nel trovarsi soli si scopersano i su’ segreti. Peppe gli disse alla ragazza chi era e per che ragione lui viaggiava, e la ragazza gli arraccontò che per una disgrazia dovette fuggir via dal su’ Palazzo reale e da un Re lontano su’ vero padre, mentre che l’oste ’n scambio l’aveva raccolta spersa da bambina e rallevata per su’ figliola.

Scrama Peppe:

– Questa è una bella nova! E i’ ti prumetto che divierrai la mi’ legittima sposa a male brighe i’ ho finito il mi’ giro per il mondo e scontrato la mi’ sorte. E però ho fatto pensieri di rimettermi domattina ’n cammino, e nun ti dubitare, che la mi’ parola i’ te la mantiengo a ugni patto, basta che te mi siei fedele.

Dice la ragazza:

– I’ t’averò dientrol core giorno e notte. Va’ pure al tu’ destino, e al tu’ ritorno te mi troverai tal e quala mi lassi, sempre fedele in vita e in morte.

Accosì si dissano addio, e Peppe a bruzzolo, doppo d’essersi licenziato dall’oste, se n’andette e riprincipiò a camminare per indove la strada lo portava. Lui camminò delle settimane, insino a che viense in un altro Regno e fece motto a una locanda, e al solito per buscare il campamento s’allogò per isguattero; ma nun era passo dimolto tempo che la figliola del locandieri, ragazza piuttosto bruttina, s’invaghì cotta di Peppe e voleva che lui in tutti i modi la pigliassi per su’ moglie.

Dice:

– Te saracontento e nun ti mancherà ma’ niente, perché, vedi! i’ posseggo una borsa che basta ficcarci la mano per ritirarla sempre fora piena di munete d’oro.

A Peppe la borsa sì gli garbava, ma no la ragazza; e poi s’arramentava della su’ prumessa a quella prima dell’osteria:

– Che, che! I’ vo’ essergli fedele a ugni patto, – barbottava tra di sé. – Ma s’i’ potessi aver la borsa, i’ me ne ’ngegnerei.

Insomma, a forza di daddoli e di discorsi gli rinuscì davvero di farsela regalare quella borsa maravigliosa, e quando l’ebbe in nelle su’ mane, co’ una scusa si licenziò dal locandieri e si rimettiede in viaggio.

Ma questa volta i quattrini nun gli mancorno per trattarsi da principe, perché la borsa gliene deva a ugni frucata e ’nsin quanto lui bramava; e camminò tanto e po’ tanto, che sortì da quel Regno per rientrare in un [433] altro più lontano, e nun si fermò che all’albergo principale di una gran città.

L’albergatore pure lui aveva con seco una figliola da marito, ma brutta da nun si raccontare, e in ugni mo’ vogliolosa che qualcuno la sposassi.

In nel vedere quel bel giovanotto ricco di Peppe, lei nun potiede stare alle mosse, e un bel giorno a quattr’occhi gli palesò pane pane che s’era innamorata di lui. Dice:

– Se te mi pigli, i’ ti regalo un cavallino che corre più del pensieri e che è mio. I’ l’ho giù nella stalla.

A Peppe di possedere il cavallino gli sarebbe anco garbato, ma quella brutta ragazza civetta nun gli parse robba per lui; e poi il su’ core steva ugni sempre laggiù dalla figliola del primo oste. Dunque con de’ ripieghi e un po’ di furbizia s’arrabattò per avere il cavallinonsenzampegno con la su’ padrona, e siccome ’gli era affortunato finì con vienirne a capo, e doppo disse dientro di sé:

– Ora ’gli è tempo d’arritornarsene a casa.

Peppe con la borsa e’ montò in sul cavallino, ribattiede all’incontro la listessa strada per insino all’osteria della su’ dama e, per nun farla tanto stucca, si sposorno allegramente, e Peppe comperata una carrozza e presi de’ servitori e il cucchieri, s’avviò in verso il Regno di su’ padre. Deccoti arriva a un paese per riposarsi e sente a un tratto sonare una campana, sicché subbito domandò che c’era di novo:

– E’ c’è la giustizia stamattina, – gli arrisposano.

Dice lui:

– Che giustizia?

– Lei ha da sapere che tempo addietro viense un gran signore con dimolti quattrini, e la scialava con giochi, spassi, donne e gioco; ma quando, per su’ poco giudizio, ’gli ebbe dato fondo a tutto ’l suo, questo signore si metté al bosco a rubbare e a assassinare, e ora l’han preso e condannato a morte, e a mumenti gli tagliano la testa ’n mezzo di piazza.

Scrama Peppe:

– I’ voire a vedere.

Va dunque, e legato con le mane rieto a una colonna e co’ un cartellone in sul petto, addove ci si leggevano scritti tutti i su’ delitti, ci steva un omo giovane, ma rifinito, scaruffato e sudicio, che propio nun mostrava più l’effigie del cristiano.

A Peppe in ugni mo’ nun gli parse una personagnota, sicché accostatosi di più alla colonna, pur troppo! ricognobbe che quel disgraziato ’gli era il su’ fratello maggiore. Rimané male a un simile spettacolo: ma ’nsenza trandugiare corse da’ giudici [434] e gli disse:

– Libberatelo quell’omo. I danni che lui ha fatto gli pago tutti io.

Dice il capo de’ giudici:

– Nun si pole: gli pare! Se nun c’erano che de’ rubbamenti, manco male, coquattrini si rimediava: ma lui ha morto tanta gente, e quella nun rinvivisce per le munete. Oramai ’gli è condannato con giustizia e a libberarlo nascerebbe qualche scandolo.

Dice Peppe:

– Ma i’ lo volibbero, perché qui comando io, – e tirò fora la potenzia della corona e si fece ricognoscere per figliolo del Re; sicché nun gli apposano più nulla e gli dettano il fratello nelle su’ mane.

però nun lo sapevano che fusse fratello del Principe, e lui nun volse palesarlo per rispiarmargli la vergogna. Peppe lo menò con seco alla locanda il fratello, lo rivestì di novo e il giorno doppo tutti assieme partirno dientro la medesima carrozza per seguitare il su’ viaggio; ma si vedeva bene che il fratello maggiore sentiva dell’aschero contro di Peppe per la sorte che lui aveva riscontrato, e steva rincantucciato e zitto ficurando di dormire.

Quand’ebbano viaggiato per altri otto giorni si fermorno a un paese, e appunto passava una pricissione d’incappati e di soldati, e su d’una carretta tramezzo a’ preti portavano un omo a impiccare.

Domanda Peppe:

– Oh! che ha egli fatto codesto sciaurato?

Dice uno:

– ’Gli è il più gran birbone del mondo. Da signore, finito i quattrini covizi, diviense ladro e assassino: ma finalmente lo chiapporno e ora paga la pena de’ suoi delitti.

In quel mentre la carretta rasentò Peppe e lui ricognobbe in quel condannato il su’ fratello mezzano; sicché scrama:

– Fermate! I’ vo’ la grazia di quest’omo: i danni che lui ha fatto gli pago io tutti.

Dibatterno un pezzo in sul si pole e il nun si pole; ma da ultimo Peppe disse, che lui era figliolo del Re e che la voleva a modo suo, e a’ giudici gli metté sotto agli occhi la potenzia della corona per persuadergli, e loro dovettano piegarel collo e nun far più accezione.

Guà! chi comanda, comanda, e a opporsi la rinusce sempre a male.

Dunque Peppe rivestì e rimpulizzì anco il mezzano, e po’ tatti ’n carrozza s’avviorno per ritornare da su’ padre, e per istrada Peppe volse sapere perché i su’ fratelli s’erano ridutti a quella disperazione.

– Eh! la miseria e la sorte contraria, – loro dissano: – ma ’n scambio a te la rota e’ t’è girata ammodo.

 [435] Dice Peppe:

– Basta fare il galantomo e nun aver de’ vizi, la ricompensa de’ boni portamenti nun manca mai.

Que’ dua però a un simile rimprovero si rodevano dientro e già si sentivano avvogliati di fargli qualche brutto tiro a Peppe.

Dice lui:

– Ma quando s’arriva a casa bisognerà bene che glielarraccontate al babbo i vostri successi, insennonò come darà sentenzia tra di noi, come lui e’ ci ha ’mprumesso?

Quegli però nun arrisposano a segno, e’ nfrattanto la carrozza s’era ferma dinanzi a una pescaia dimolto larga e fonda fonda, e Peppe disse:

– Scendiamo un po’ a rinfrescarci e così anco i cavalli s’arriposeranno.

Scesan dunque i tre fratelli soltanto e si dilontanorno ’n giro della pescaia, e quando il maggiore e il mezzano, che s’erano ’ntesi cogli ammicchi, crederno di nun esser veduti dalla sposa e da’ servitori, co’ un gran spintone buttorno il povero Peppe dientro l’acqua, e visto che lui era ito sotto e nun riappariva a galla, si diedano a sbergolare:

– Oh! che disgrazia, che disgrazia! ’Gli è casco Peppe giù nella pescaia. Corrite, corrite a soccorrerlo.

Ma fu tutto inutile. Nimo sapeva navicare e nun ci fu modo che Peppe si ritrovassi ’n quel profondo: sicché stati ’n sulle sponde un bel pezzo con gran dolore della sposa, che s’era svienuta, i dufratelli traditori la portorno di peso ’n carrozza e a notte buia nentrorno nel palazzo del Re su’ padre; e prima di farsi annunciare dissano alla sposa:

– Bada bene di stare zitta e di nun ci scontradire, se la vita ti preme, e te sarà’ moglie d’uno di noi, se tu ha’ giudizio. Arricòrdati!

La mattina doppo i dufratelli si presentorno al Re.

Dicel Re:

– Peppe, il mi’ piccino, addove si trova?

– Ma! nun se ne sa nulla.

– E questa ragazza? – domanda il Re.

E quegli:

– ’Gli è una Principessa, e pole diventare sposa di quello tra noi dua che avrà la su’ sentenzia, signor padre.

Dice il Re:

– Dunque arraccontatemi i vostri successi.

I fratelli allora si messano a sfilare una storia tutta bugiarda, e il Re bisognò che se la bevessi, e quand’ebban finito, disse:

– Chi di voi se lo meriti più di pigliar moglie nun lo posso sentenziare, perché al mi’ parere tutt’addua ne saresti degni. I’ lo lasso il giudizio a questa Principessa: trascelga lei a su’ piacimento.

Ma la Principessa scramò:

– S’aspetti anco il [436] più piccino; ’nsenza lui nun è giusta la delibberazione.

E siccome i fratelli badavano a noiarla che si decidessi subbito, lei diede in un pianto, e se le donne nun eran leste a sorreggerla cascava ’n terra di tonfo stramortita. E’ gli prendette un febbrone che la tiense ’n fin di vita; e abbeneché si riavessi, nunistante fu obbligata a rimanere a letto e nun ci fu medico bono a cognoscere la su’ malattia. Parse un caso disperato e che, quella poera ragazza dovessi sbasire adagio adagio, com’una lucernina che gli manchi l’olio; nun faceva altro che piagnere, e soltanto si confidava nelle su’ pene co’ una camberiera fida che gli steva e notte al capezzale per custodirla. Infrattanto i dufratelli nun sapevan darsi pace e s’arrapinavano che ugni cosa gli andessi accosì di traverso, e gli avrebban dato chi sa che per rinuscire a persuadere la Principessa a sposare un di loro. Ma lei, che! “’Nsin che nun torna ’n vita ’l mi’ Peppe, i’ nun vonimo”, badava a rispondere; sicché i fratelli capirno che era più meglio lassarla ’n quiete, per nun risicare che lei ’ncattivita palesass’in qualche modo le bricconate che avevano loro commesso in nel viaggio.

Ora, accadette che a Peppe ’n fondo di quella pescaia ’gli apparì la Lieprina del bosco a male brighe che i su’ fratelli furno partiti, e diviato lo rimettiede a galla vivo tavìa e con a cintola la su’ borsa maravigliosa.

Peppe sortì dell’acqua, e gli conviense camminare a piedi, e, con gran fatica per lo strapazzo patito, doppo dimolti mesi arrivò pure lui alla città del Re su’ padre; ma siccome dubitava che i su’ fratelli gli avessen messo del male, e anco per iscoprire tutto il tradimento, nun si fece cognoscere; andette alla prima locanda e diede avviso che era un medico famoso capace di guarire ugni malattia.

La gente principiò a chiamarlo Peppe da tutte le parti, e ’l su’ nome si sparse tanto che finalmente pure il Re lo volse a visitare la Principessa. ’Gli era appunto quel che Peppe bramava.

Dunque una mattina co’ un tiro a quattro Peppe scende al Palazzo reale e salito a udienza dal Re gli disse:

– Sacra Maestà, i’ ho bisogno di vedere la malata a quattr’occhi per confessarla insenza soggezione, insennonò, se lei nun mi s’appalesa, le mi’ medicine nun gli fanno pro.

Dice il Re:

– I’ vi do il mi’ pieno permesso, e badate di guarirmela questa ragazza, perché mi preme.

Insomma, [437] quando Peppe fu solo ’n cambera con la Principessa, lei saltò giù dal letto bell’e rinsanichita, e chiamato il Re gli scopersano i mali portamenti de’ dufratelli maggiori e che loro avevano volsuto ammazzare Peppe per godersi della su’ donna e della su’ robba.

Il Re a quella nova intendeva di riffa che que’ dubirboni fussan subbito menati al supplizio; ma Peppe e la sposa lo supplicorno tanto di perdonargli, che lui s’abbonì, con patto però che loro rimanessano nel palazzo insenza mai pigliar moglie e sempre sottoposti al fratello più piccino.

E accosì successe; e Peppe, doppo mortol Re su’ padre, ereditò il Regno e la corona, e stiede allegro e contento a lato della su’ cara sposa.


 

 

 


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