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NOVELLA IX
* Il Figliolo del Re di Francia
(Raccontata da Giovanni Becheroni contadino)
Il Re di Francia ’gli ebbe un figliolo, di nome Ferdinando, che di moglie nun volse saperne mai niente, e il su’ babbo badava a dirgli:
– Se si spegne la stirpe con te, chi l’averà dunque lo Stato? I’ son vecchio, vedi, e tra poco non ci sarò più. Gnamo, scegliti una moglie, sicché i’ possa morire contento.
Ma Ferdinando a tutti questi discorsi faceva il sordo, sicché alla fine il babbo gli morì e lui era sempre giovanotto, e accosì lo incoronorno Re. Lui però s’annoiava della corona a quel modo solingolo.
Un giorno che ti fa? Chiama i Ministri e tutta la Corte, e gli dice:
– I’ m’annoio a far da Re. Sicché dunque vi lasso lo Stato in nelle mane e custoditemelo voi insino al ritorno: i’ vo’ andare a spasso per il mondo.
E insenza indugio, lui monta sur una nave e se ne va via; e quando si trovò in alto mare, deccoti che nasce una gran tempesta con contrasti di venti che strabalzavano la nave e la facevan girare com’un mulino. Salta di qua, salta di là, da ultimo picchiano sur uno scoglio e giù, la nave sprofonda e tutti affogano, meno Ferdinando, che a gran fatica col navicare si salvò e viense a proda a un’isola deserta.
Era lì Ferdinando in quell’isola, tutto molle d’acqua di mare a mezzo allocchito dalla pena durata; ma doppo rinviolì a poco alla volta, e in quel mentre anco in cielo rimbeltempiva e il sole si vedeva risplendere; sicché Ferdinando si cavò i panni d’addosso e gli mettiede a rasciuttare, e quando furno rasciutti si rivestì daccapo e principiò a camminar per l’isola, [74] e a cercare se caso mai ci abitassi qualche persona viva. Non vedde per allora nissuno, e soltanto in sulla spiaggia c’era un bel frutto fronzoluto, che pareva propio una maraviglia; e Ferdinando badava a guardarlo: quando abbassati a un tratto gli occhi in verso il mare, apparì lontan lontano un barchettino, che vieniva via più lesto d’una saetta. Lui ’nsospettito, lesto s’arrampica su per il frutto e si rimpiatta per bene dientro al fogliame, nun sapendo se in quel barchettino ci fussano de’ galantomini, oppuramente degli assassini.
Quando il barchettino arrivò in sulla spiaggia, scesan giù da quello un vecchio di sessant’anni almanco, un ragazzo di dodici e assiem con loro dodici stiavi mori; con seco avevano dimolte ceste piene di robbe da mangiare e da bere, e un materassino con delle coperte e altri attrazzi per un quartieri ammobigliato. Presan tutto e s’avviorno in verso il frutto addov’era Ferdinando niscosto, e lì a piè del ceppo i Mori si mettiedano a scavare un po’ di terra, insino a che scoprirno una lapida di pietra e la tirorno su; poi fatto ugni cosa, il vecchio calò il ragazzo dientro la buca e con lui tutta la robba portata, e da ultimo gli disse:
– Addio, sai? Sta’ allegro e a rivedersi a presto.
Chiusan la lapida, con della terra la ricopersano, e il vecchio e i Mori rimonti in nel barchettino telorno via, sicché in un mumento nun si vedde più nissuno ’n mare.
A male brighe sparito il barchettino, Ferdinando scese giù dall’albero e gli viense una gran curiosità di cognoscere, perché mai quel ragazzo l’avessan sotterro lì vivo; con le mane, dunque, principiò a razzolare la terra, e anco lui trovò la lapida, la prendette per la campanella e doppo due o tre strattoni gli rinuscì d’aprirla.
Quel ragazzo di dientro quando buttò gli occhi su Ferdinando si mettiede a urlare:
– Nun m’ammazzate! nun m’ammazzate!
– Nun aver paura, ché nun son mica un assassino; – e gli raccontò in che maniera lui fuss’in quell’isola; e poi aggiugné:
– Se tu vo’ ch’i’ ti tienga compagnia, i’ scenderò anch’io costì dientro e tu mi dira’ chi siei e chi son quelli che qui t’hanno condutto.
Arrisponde il ragazzo:
– A me nun mi par vero di avere un po’ di compagnia. Scendi pure, ma fa’ piano per nun isdrucciolare.
Dunque Ferdinando si calò pian piano in [75] fondo a quella buca, e c’era una bella cammera tutta accomida con quella robba del barchettino, e di mangiare ugni ben di Dio; c’era anco un cammino con il su’ foco e un bagno con dell’acqua.
Doppo guardato dappertutto, dice Ferdinando:
– Gnamo, raccontami un po’ chi siei e perché t’hanno rinserro quaggiù.
Si messan tutt’e dua a siedere in sul letto, e il ragazzo disse:
– Tu ha’ da sapere ch’i’ sono il figliolo unico del Re d’Egitto. Quel vecchio che mi menò qui ’gli era appunto il mi’ babbo, e que’ Mori son gli stiavi di casa nostra che ci servono. Dunque, quand’i’ nascetti, il babbo mandò a chiamare una Strolaga famosa del paese di noi, perché lei mi strolagassi; e lei disse, che averei possuto avere dimolta fortuna, ma che, finiti i mi’ dodici anni, dientro quaranta giorni dovevo essere ammazzato dal figliolo del Re di Francia. Imperò la disgrazia nun sarebbe accaduta, a patto che in que’ medesimi quaranta giorni me ne stassi niscosto per bene fora della vista del mondo. Ecco perché il babbo volse serrarmi quaggiù in questa buca, e finiti i quaranta giorni, lui viene a ripigliarmi e mi rimenerà al palazzo reale in Egitto.
In nel sentire questo discorso Ferdinando s’isgomentò a bono: lui ’nfatti ’gli era pur troppo il figliolo del Re di Francia; ma nunistante stiede zitto e al ragazzo nun gliel’appalesò per nun ispaurirlo, e fra sé pensava intanto di starsene ’n sulle sue, perché la disgrazia annunziata dalla Strolaga nun avess’a succedere per su’ propria volontà.
Così passorno insenza imbrogli trentanove giorni, e a tutt’e dua, ognuno per la su’ parte, gli pareva oramai d’essere fora de’ pericoli; quando in sulla sera del quarantesimo giorno dice il ragazzo:
– Domani viene ’l babbo a pigliarmi. S’ha da fare un bagno e pulirsi, perché lui ci trovi a modo, e io ti presenterò a lui come il mi’ compagno che è stato con meco a spassarmi.
– Sì, sì, facciamo il bagno, e te ci nentrerai per il primo.
Scaldano l’acqua nella tinozza e il ragazzo ci si attuffa dientro, e ’n quel mentre che ’gli era lì, dice:
– Ferdinando, i’ ho sete. Che mi faresti una limonata?
– Subbito, – arrisponde Ferdinando, e piglia un coltello per affettare il limone.
I limoni gli avean messi su d’uno scaffale sopra la tinozza, e però Ferdinando ascese [76] su d’uno sgabello per arrivargli e tieneva il coltello in mano. A un tratto gli sbucchia un piedi e casca di tonfo addosso al ragazzo e col ferro gli trapassa la gola.
Figuratevi lo spavento e il dolore di Ferdinando! Cavò dal bagno quello sciagurato, si provò a medicargli la piaga. Ma che! Verciava sangue a vergaferro, sicché a levata di sole il ragazzo era bell’e morto, che nun ci fu rimedio.
Ferdinando allora doppo la disgrazia successa, che fu un destino, sortì fora dalla lapida, e lontan lontano eccoti che vedde il solito barchettino nel mare, che vieniva via insenza rembolare: lui lesto risale sul frutto e ci si rimpiatta per bene.
Il barchettino arrivò alla spiaggia e smontano il vecchio co’ su’ dodici Mori; ma in nell’accorgersi della lapida spalancata il vecchio s’insospettì. Chiama e richiama, e nissuno gli arrispose; sicché scende in nella buca, e, poero padre! ti vede il figliolo morto con quella coltellata a traverso la gola. Urli e pianti che nun finivan mai, nun ne mancorno: ma finalmente, presano il morto, lo rinvoltorno con de’ panni e, messolo in nel barchettino, tutti piagnendo se ne andiedano via.
Ferdinando, affritto anco lui per il male che aveva fatto insenza la su’ volontà, quando il barchettino nun si scorgeva più, scese dal frutto per cercare se c’era un modo di nuscire da quell’isola disgraziata. Dunque si mettiede a girarla, e di lì a un po’ deccotelo in una macchia folta su per un colle, e verso il tramonto del sole s’avvede che un raggio sbacchiava dientro la porta d’un gran palazzo e la faceva tutta luccicare com’uno specchio.
Ferdinando seguita a montare e arriva a un prato, addove nel mezzo steva quel palazzo; lui ci va e picchia forte, ma nissuno rispondeva. Aspetta, aspetta, tutt’a un tratto sente uno stropiccio di piedi; si volta e vede sette signoroni che vienivano su su zitti zitti, e quando gli furno vicini s’accorse che a ognuno di loro gli mancava un occhio.
Dice, doppo la debita riverenza:
– Signori, son un povero naufragato ’n mare: vorre’ un po’ di ricovero. Di chi è questo palazzo? C’è egli modo d’albergarci per almanco una notte?
Un di que’ sette gli arrispose: Il palazzo è la nostra abitazione, ma nun ci pole stare nissun altro, perché nun ci sono che sette strapuntini per dormire, sette sgabelli per siedere, e il mangiare e bere è appunto per [77] sette persone.
– Come loro veggono, i’ sono nel caso di sapermi accomidare a ugni cosa. Mi faccian, via, la carità d’albergarmi.
E quello de’ sette signori che aveva parlato, gli disse allora:
– Se t’adatti, nentra pure. Ma però a un patto, che qualunque cosa che tu vegga, bada bene di nun domandar di nulla.
Con questo accordo rientrano nel palazzo, e quando fu ora di cena i sette signoroni diedano un zinzino delle loro pietanze a Ferdinando, che siedeva a coccoloni per le terre, nun c’essendo addove mettersi; loro doppo s’accostarno attorno ’l foco, e tutti que’ sette ciechi pigliavan la cenere a brancate e se la buttavano ’n capo, urlando:
– Per la nostra sciaura! per la nostra sciaura!
Ferdinando nun potiede stare alle mosse con quello spettacolo e domandò:
– Oh! perché fate voi codesto lavoro?
Ma uno de’ ciechi, tutto ’ncattivito, arrispose:
– Curiosaccio! nun ti s’è egli detto, che tu nun domandi di nulla?
Poi andorno a letto, e Ferdinando lo messano su delle foglie secche in uno stanzino.
A giorno, doppo che tutti eran levati e che culizionorno alla meglio, i sette signoroni scesano con Ferdinando a passeggiare nel selvatico.
Dice allora Ferdinando:
– Ditemi, per piacere, nun c’è egli modo di nuscire da quest’isola?
– È difficile; ma pure, se tu ha’ dimolto coraggio, ti ci poteresti anco provare.
E Ferdinando:
– Eh! del coraggio i’ n’ho da vendere. Insegnatemi come si fa, e vo’ vedrete.
– Ecco come si fa: – gli disse quel signore: – bisogna che tu ti rinvolti in una pelle di fiera e che tu ti metta sdraiato in quel vallone. A una cert’ora viene, un aquilone, ma grande, e a mala pena lei vede il fagotto, lo piglia e lo straporta di là dal mare. Ma bada, c’è il risico della vita.
– Per ritornare a casa mia, lo credo! ne arrisicherei no una, ma anco dua delle vite. I’ farò come vo’ mi dite.
Ecco dunque che Ferdinando si rinvolge dientro una pelle di bestia ben cucita e sdraioni aspetta l’uccello di rapina; e di lì a un po’ alla su’ ora comparse da lontano, e tanto era strasmisurato che pareva un ciuco; e a pena l’aquilone vedde la pelle rinfagottata, lui e’ la credé un animale. Fa una falcata, l’acciuffa e [78] se la porta via per l’aria: passa il mare, passa le spiagge, passa i monti, e arrivo a un vallone fondo, l’uccellaccio cala giù e posa in terra Ferdinando e con le grinfie strappa la pelle con l’idea di mangiarlo; bensì quando vedde l’omo vivo lo lassò stare, riprese il volo e sparì. Ferdinando allora si rizza e comincia a guardare in che logo lui era, abbeneché fusse mezzo sbalordito per lo strapazzo avuto; e dapprima nentra in una selva; poi, seguitando a salire, si trova in grandi praterie; poi vienivano delle vigne tutte cariche di grappoli maturi d’ugni sorta, e frutteti con alberi gremi di pere, di mele, d’aranci e che so io; alla fine arriva a de’ giardini, addove nun ci mancava nulla da desiderare, fiori, piante, vasche d’acqua, e ’n mezzo a que’ giardini ci si vedeva un palazzone maraviglioso. Ferdinando va diviato alla porta e picchia, e deccoti a aprire dua bellissime ragazze; anzi, al chiasso ne corsano dell’altre, sicché arrivorno per insino a quaranta.
– Ben vienuto! ben vienuto! Nentra, nentra, che c’è da rinfrescarsi.
A quell’accoglienza Ferdinando rimase quasimente ringrullito, e gli pareva propio d’essere in un mondo novo. Va dunque assieme con le ragazze e loro lo menano in sala, e lì gli portano sorbetti e biscottini, e robbe bone da mangiare e da bere, e un mazzo di sigari per fummare a su’ piacimento; e tutte lo servivano a un modo, che era una festa. Satollato che lui fu e riavuto, le ragazze condussan Ferdinando al passeggio in ne’ giardini, e quando poi viense la notte ritornorno a casa in branco, ché la cena si trovava imbandita, con vini d’ugni qualità e nun ci mancava nulla.
A una cert’ora disse quella che pareva la caporiona:
– Gli è tempo d’andare a letto. Qui delle cirimonie nun se ne fanno, Ferdinando. Se tu vo’, sciegliti pure quala più ti garba di noialtre e menala a dormire con teco.
Ferdinando nun intese a sordo; stese la mana a quella che lui aveva più vicina e la portò ’n camera; e, a farla corta, in quaranta notti dormì con tutte e quaranta le ragazze, e se mai se la godiede in quel tempo, i’ nun starò nemmanco a raccontarlo.
Vienuto il quarantesimo giorno, doppo culizione, disse la caporiona:
– Ferdinando, no’ s’ha per uso di fare tutt’assieme e da noi sole un viaggio di cento giorni ugni quarantina; [79] sicché no’ ti si lassa padrone spotico del palazzo, e bada di guardarcelo bene insino a tanto che si torna. Decco, quest’è un mazzo di cento chiavi e aprono cento quartieri: girali pure tutti, visitali a uno a uno e divertiti, ché da vedere c’è dimolte cose.
Poi, detti gli addii, Ferdinando accompagnò le ragazze alla porta del palazzo e quelle partirno; ma arrive in fondo a’ giardini, una ne tornò addietro con in mano una chiavina d’argento, e disse a Ferdinando:
– Ci s’era scorde di consegnarti anco questa chiavina. Bada però di nun aprire con questa nissuna porta, perché se tu apri la porta di questa chiavina, tu ti poteressi pentirò tardi della tu’ curiosità. Statti dunque in sugli avvisi, se ti preme il ben vivere.
– Che, che! nun dubitate di nulla, – scrama Ferdinando; e la ragazza raggiunse le su’ compagne, e tutte a poco a poco nun si veddan più in que’ loghi.
Dunque Ferdinando restato padrone spotico del palazzo, ugni giorno ’gli andeva a visitarne uno de’ quartieri e passava il su’ tempo spassandosi con tutte quelle maraviglie che c’erano dientro; vienuta poi la mattina del centunesimo giorno lo chiappò la tentazione del curioso:
– Ma questa chiavina d’argento che porta mai aprirà? Oh! che vi pol esser serrato in questo logo proibito da far paura a me?
Con di tali pensieri Ferdinando gironzolava a caso per il palazzo, quando, per su’ disgrazia, diede del naso a un posto che nun aveva prima visto in nel cortile, e lì c’era una porticina tutta d’argento. Scrama:
– Bada, veh! Eppure la chiavina ’gli è di quest’usciolo. Provo, o nun provo? – e intanto mette la chiavina in nel buco della toppa; gira e il serrarne si spalanca.
Lì per lì Ferdinando stiede in sul peritoso di aver fatto male, ma oramai la porticina era bell’e aperta, sicché lui nentra dientro e vede una stalla con un cavallino baio, che pareva tutt’allegro della visita. Ferdinando s’accosta, accarezza l’animale in sulla groppa, e l’animale bono; in quel mentre volta l’occhio e sur un trespolo s’accorge che ci steva una briglia, una sella e un frustino; subbito dice fra sé:
– Oh! che guasto sarà egli s’i’ monto a cavallo e vo’ a riscontrare le mi’ ragazze, che devon orora ricapitar qui?
Detto fatto; lui sella il cavallino, gli passa la briglia al collo, piglia il frustino e su d’un salto. Ma a male brighe accomido, [80] deccoti un gran fracasso; si spalanca d’un tratto un finestrone propio nel muro, la bestia tira fori du’ ale strasmisurate, e via per l’aria a volo con Ferdinando addosso. Tutto ’mpaurito, Ferdinando s’attieneva con le mane alla criniera dell’animale; e quello passa i monti, passa le spiagge, passa il mare, e vienuto finalmente all’isola deserta medesima indove Ferdinando ’gli era naufragato, lo porta addirittura al palazzo de’ sette signoroni mezzo ciechi, e lì, tonfete! dà uno scossone, lo strabalza di sella e in nel voltarsi per andarsene con una codata gli cava netto un occhio.
Agli urli di Ferdinando corsano i sette signoroni, e quando lo veddano a quel mo’ concio, un di loro gli disse:
– Ora tu po’ nentrare liberamente. C’è lo strapuntino, c’è lo sgabello, e da mangiare e da bere anco per te. La sera te pure ti scalderai al cammino e buttandoti la cenere in sul capo, ti converrà come noi dire:
– Per la nostra sciaura! per la nostra sciaura!
Questa ’gli è la pena de’ curiosi, che nun sanno tiener di conto del bene acquistato.