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CAPITOLO I. Il proprio ritratto, sonetto. – Nascita. – Arrivo a Venezia. Primi studi. – Suo naturale. – Abitudini. – Epistolario. |
CAPITOLO I.
Il proprio ritratto, sonetto. – Nascita. – Arrivo a Venezia. Primi studi. – Suo naturale. – Abitudini. – Epistolario.
«Solcata ho fronte, occhi
incavati, intenti,
Crin fulvo, smunte guance, ardito aspetto;
Labbri tumidi, arguti, al riso lenti;
Capo chino, bel collo, irsuto petto.
» Membra esatte, vestir
semplice, eletto;
Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
Prodigo, sobrio, uman, ispido, schietto;
Avverso al mondo, avversi a me gli eventi.
» Mesto i più giorni e solo,
ognor pensoso,
Alle speranze incredulo e al timore;
Il pudor mi fa vile e prode l'ira.
» Cauta in me parla la
ragion, ma il core,
Ricco di vizi e di virtù, delira:
Forse da morte avrò fama e riposo.»
I commovimenti politici della fine del secolo passato e del principio di questo, la trasformazione nel gusto e nello spirito delle lettere, che andavasi in quel medesimo tempo compiendo, non potevano non creare ad un uomo di così singolare ed eminente natura qual era Ugo Foscolo (che si emancipava dai vieti pregiudizi dei più per principii letterari, politici e religiosi) amici ferventi che non trovavano misura a' suoi meriti, ed accaniti nemici, che ne esageravano i difetti. Gli uni, per soverchio zelo ne fecero politicamente e civilmente un eroe, che alzarono fino alle stelle; gli altri non contenti di ricercarne ed ingrandirne le più piccole mende, ricorsero alle calunnie ed alle insinuazioni per abbatterlo meglio, e neppur le sue ceneri furono rispettate.
Allo stesso modo la critica letteraria fu troppo spesso dominata da quella medesima passione con cui si volle giudicare l'uomo. Agli ammiratori idolatri delle opere del Foscolo fanno contrapposto gli altri, che vollero qui pure demolirne la fama, prendendo specialmente di mira le prose più vulnerabili. E per sua disgrazia, questa mala disposizione d'animo ver lui influì forse sui giudizi di altri letterati più discreti certo competentissimi, i quali ebbero ancor l'aria di chi ad ogni costo vuol trovare il pelo nell'uovo.
In questa però, come in tutte le cose dove sono in giuoco le umane passioni, il vero probabilmente sta in mezzo: c'è in codest'uomo del bene e del male; ma più assai del primo che del secondo: cosicchè a chiunque propongasi di tesserne imparzialmente la storia, ne ritrarrà sempre e con profitto una grande e mirabile figura, pel caldo amore di patria, per gl'impeti generosi del cuore, e per l'esempio d'un severo e stupendo genere di letteratura intorno al quale esclamerò col Torti nell'Epistola a Delio:
«Sublime austero ingegno, a suo talento
Gracchi la turba: di sovran poeta
Debito serto avrai.»
Discendeva Ugo Foscolo da famiglia patrizia veneta che si traslocò in Candia nel 1636, o in quel torno, e da Leonardo Foscolo generalissimo nelle ultime guerre di Candia contro i Turchi. Questo egli dichiara nell'epistolario e in qualche altro luogo delle sue opere e l'albero genealogico delle famiglie venete, esistente negli archivi, lo autentica.
Nacque il dì 26 gennaio 1778, stile veneto, che, secondo gli autori dell'Arte di verificar le date equivale ai 26 gennaio 1779, a bordo di un vascello veneziano dirimpetto all'isola di Zante, l'antica Zacinto (dissero per equivoco alcuni biografi, scambiando il caso suo con quello della sorella) dal corfiotto Andrea, uomo erudito nelle scienze e nelle lingue antiche; e da greca madre, Diamante Spaty, vedova di un tal Giovanni Aquila Serra.2 Fu battezzato nella Cattedrale di Zante col nome di Niccolò, che poscia ei volle cangiato in Ugone e indi in Ugo. Egli era il maggiore di altri due fratelli, Giovanni e Giulio, e di una sorella, Rubina (Cherubina).
Morto l'avo di lui, direttore dello Spedale di Spalatro, il padre, già addottorato medico in Padova, andò a sostituirlo conducendo seco la famiglia e il piccolo Ugo nell'età di sei anni. Questo avvenimento e la circostanza d'essergli nata la figliuola in mare, renderebbe verosimile ciò che il Pecchio asserisce avere udito dire, che in quella nave egli vi esercitasse la chirurgia, se in ciò non fosse contradetto da Giulio. Non fu quivi lunga la dimora di Ugo chè, venutogli a mancare il genitore nel 1788, fu ricondotto a Zante di dove il tolse, a quanto pare, il Provveditore Paruta menandolo seco a Venezia, ove la madre lo aveva già preceduto. Non è ben certa la data del suo arrivo. Da un documento, tratto a luce non guari, apparirebbe avvenuto nello stesso anno della morte del padre; ma io mi accosterei al parere del Carrer, il quale adduce qualche buona ragione per riferirlo circa al 1793. Ebbe da quella illustre città la seconda vita e la più pregevole, la vita intellettuale, ond'egli per questo e perchè Zante, una delle principali isole Jonie, fu dominio de' Veneziani dal XIV secolo fino al 1797, considerò l'Italia sua seconda patria, e come tale l'amò sempre quanto altri mai de' suoi più affettuosi figli.
Nella vita scritta dall'illustre Carrer, della quale io mi sono specialmente giovato, vengono riportati da alcuni frammenti i seguenti cenni che danno un'idea delle sue abitudini ed inclinazioni.
«Mio padre mi lasciò erede del suo genio ambulatorio, ed io mi struggo di correr nuove terre per anatomizzare più sempre gli uomini e adorare la madre natura.
» Nacqui in Grecia, trascorsi l'infanzia fra gli Egiziani, la fanciullezza nell'Illiria, la giovinezza su e giù per l'Italia, la prima virilità in Francia, il resto Dio sa!
» Nella mia fanciullezza fui tardo, caparbio, infermo spesso per malinconia, e talvolta feroce ed insano per ira: fuggiva dalle scuole e ruppi la testa a due maestri. Vidi appena un collegio e ne fui cacciato. Spuntò in me a sedici anni la voglia di studiare da me, e navigai due volte in quel tempo dalla Grecia in Italia.»
Rivolta allora agli studi, tutta l'energia indomita del carattere suo, frequentava assiduo, dopo le scuole, la Biblioteca di San Marco, e attratto dal grido che a que' giorni menava grande l'abate Melchiorre Cesarotti, professante ebraico e greca eloquenza all'Università di Padova, vi accorse, ed ascoltava con venerazione l'eloquente parola del dotto maestro. Per la potenza straordinaria dell'ingegno, per la vastissima erudizione e pe' modi famigliari ed affettuosi era il Cesarotti oltremodo amato dalla gioventù. Soleva egli formarsi corona de' giovinetti studiosi, onde ammaestrarli de' suoi precetti e consigli, ed avendo scorto in Ugo svegliato ingegno e belle disposizioni, ad esso più che agli altri pose amore come a figliuolo, di che mostrandosi grato, era da lui salutato col dolce nome di padre. Ma la mente sana del Foscolo essendosi tosto educata al bello, la fama del maestro e la stima che sentiva per lui non ebbero forza di sedurlo a seguirne le teorie; imperocchè il Cesarotti, fattosi per vanità novatore e capo-scuola di un nuovo genere di letteratura, portando un colpo funesto alle lettere italiane, aveva abbandonato le classiche tradizioni greche e latine.
Non bello era d'aspetto, e se qualcuno per ischerzo o per dileggio gli diè il titolo di Orang-utang, quella sua fisonomia nobilmente salvatica non dispiaceva. Di natura sobrio ed astemio, avendo voluto i suoi a dieci anni dargli a ber vino per guarirlo dalla malinconia, divenne tristo e iracondo, onde gli fu forza tornare all'acqua, ma la malinconia, che dicesi compagna all'amor della gloria e ad ogni altra generosa passione, perchè fa l'uomo in sè concentrato e meditabondo, gli fu abituale per tutta la vita. Un giorno la Donna gentile, della cui conoscenza appresso il lettore mi saprà grado, avendogli chiesto scherzando come mai avesse tanto fuoco, mentre beveva sempre acqua, rispose: Mia madre mi fece di calce, che bagnata coll'acqua si scalda e fuma. «Il più leggiero dolor fisico, dice il prof. Caleffi, era potente a muoverne la perturbazione e l'ira, che tosto annunziavansi dall'inquieto trasmutare degli occhi.»
Nella sua giovinezza fu da una malattia grave minacciato di morte e di cecità, onde si mostrò mai sempre grato al dottor Vordoni della ricuperata salute; ma gli occhi dierongli, fin che visse, di quando in quando molestia, e forse perciò usava prender tabacco che, mentre dimorò in Italia, procuravagli spesso da Parigi il suo amico Giuseppe Grassi distinto filologo torinese.
Cresciuto adulto stava spesso taciturno più ore, ma se avviava a discorrere, la foga il trasportava oltre i limiti della discretezza di che poi si doleva. Così nel dettare, dotato com'era di fervida immaginazione e di tenacissima memoria, la penna scorreva, velocemente per lunghe ore a deporre sulla carta i pensieri come gli si affollavano alla mente; ma poi restringeva con molta cura e diligenza il copiosissimo scritto per dargli ordine e per estrarne l'essenza perchè quel precetto, dic'egli, di scrivere come se Omero e Platone dovessero leggere, mi fa spesso stracciare i miei scartafacci che forse i librai comprerebbero volentieri. Per egual modo, nella corrispondenza epistolare, o non scriveva agli amici, o se il faceva buttava giù di sovente fin sette od otto facciate di scritto che, per la mano poco felice, egli chiamava arabico o a geroglifici.
Gaetano Fornasini e il Foscolo, senz'essersi mai visti, carteggiavano insieme famigliarmente. Questi uscendo un giorno in espansione di affetto, solita in lui cogli amici, nel 1795 da Venezia scrivevagli a Brescia: «Quando sarà mai quel tempo che ci conosceremo di vista? Per altro, se volete conoscermi in parte, eccomi: Di volto non bello, ma stravagante e d'un'aria libera; di crini non biondi, ma rossi; di naso aquilino, ma non piccolo e non grande; d'occhi mediocri, ma vivi; di fronte ampia, di ciglia bionde e grosse, e di mento ritondo. La mia statura non è alta, ma mi si dice che deggio crescere; tutte le mie membra sono ben formate dalla natura, e tutte hanno del ritondo e del grosso. Il portamento non scuopre nobiltà nè letteratura, ma è agitato trascuratamente. Eccovi il mio ritratto.» Se aggiungasi che gli occhi avea celesti, accorti e pieni d'espressione; la bocca grande; la voce forte, bella e sonora; la carnagione pallida traente al giallognolo, indizio di affezione al fegato, il ritratto sarà completo.
L'edizione Le Monnier, in undici volumi, ordinata con amore dal signor F. S. Orlandini coadiuvato dal signor Enrico Mayer, e riveduta dagl'illustri signori Cesare Guasti e Cosimo Frediani, essendo per ora la più completa ed accurata raccolta delle opere foscoliane, riporta nell'epistolario 748 lettere ed altre 34 nel volume secondo de' Saggi di critica, che tutte, più o meno, leggonsi con interesse perchè spargono molta luce sui casi della vita dell'autore e sulle vicende di quei tempi. Parte sono tradotte dal francese o dall'inglese, ma le originali stimansi, al pari di altre sue prose, degne di far testo di lingua come le poesie, le quali furono registrate nel gran Vocabolario della Crusca, che ora si sta ristampando.