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CAPITOLO IV. Viaggio in Toscana e primo innamoramento. – Legione Cisalpina. – Assedio di Genova. – Ode a Luigia Pallavicini. – Lettera a Buonaparte. – Ancora di Genova. |
CAPITOLO IV.
Viaggio in Toscana e primo innamoramento. – Legione Cisalpina. – Assedio di Genova. – Ode a Luigia Pallavicini. – Lettera a Buonaparte. – Ancora di Genova.
Onorato già di un brevetto di tenente, più che per merito di servizio, in premio dell'Ode a Buonaparte, da Milano si condusse a Bologna ove, unitosi alla Guardia nazionale come volontario, senza paga da prima, si narra che, per poca agiatezza, dormisse sulla nuda paglia fra' soldati negli spedali, e da Bologna passò in Toscana e a Firenze (1799). Quivi fece la conoscenza di Vittorio Alfieri e contrasse amicizia cogli uomini più eminenti, massime col Niccolini. E poichè le amabili donne furono per gran tempo una delle sue passioni predominanti, imparò a conoscere in questa città, ove ella poi andò sposa ne' Bartolommei, famiglia ora estinta, una giovine di Pisa, Isabella Roncioni, che fu l'inspiratrice dell'Ortis.
Non fu lunga la sua dimora in Toscana, imperocchè scosso all'annunzio che la Legione Cisalpina stava formandosi, vi accorse egli fra' primi. Spintivi dall'amor patrio contava quel corpo militare uomini ragguardevoli per dottrina e virtù (basti il nome di Giuseppe Fantuzzi) ed anche poeti non ispregevoli, come il Ceroni e il Gasparinetti sul conto de' quali, se non è vero, fu almeno ben trovato il motto attribuito al Vicerè d'Italia, e che il signor Riccardo Castelvecchio inserì con grazia nella sua commedia storica, Ugo Foscolo, come qui si vede
È il conte Pio Talento che parla al Foscolo.
«So quello che di voi ha detto il viceré.
C'est une tête montée, uso le sue parole,
Che parla come pensa, e pensa come vuole.
Pour mon malheur, ei disse, conto fra i miei soldati
Trois têtes montées, e son tutti e tre vati.
Gasparinetti, Foscolo e il capitan Ceroni
Mi danno più da fare che dieci battaglioni.
Quel Tête montée del principe voleva dir di più,
Une tête qui (fra parentesi) n'est pas montée pour nous.»
Combattè il Foscolo nella presa di Cento, a Forte Urbano e alla Trebbia ove si meritò il grado di capitano. Nella prima fazione fu ferito da un colpo di baionetta alla coscia, e nella seconda fu fatto prigioniero e condotto a Mantova, ov'ebbe il cambio alla venuta del generale Macdonald. Quando poi ogni speranza fu perduta all'aperta campagna pel trionfo dei confederati eserciti capitanati da Suwarow russo e da Melas tedesco, e spenta fu la cisalpina repubblica, si chiuse in Genova col generale Massena a soffrire i patimenti di quel memorando assedio. Ivi avrebbe potuto far vita men disagiata fra lo stato maggiore, ma preferì di aver comuni co' soldati semplici gli stenti e i digiuni, nudrendosi per lungo tempo di solo pane e latte.
In mezzo al frastuono delle artiglierie e al tumulto delle passioni politiche; fra le strida e i lamenti degli assediati per le morti e i patimenti d'ogni natura, trovava in sè l'energia e la calma per gli uffici più disparati: tanto può l'uomo col buon volere! Sentendosi bollir dentro gli spiriti degli oratori, nell'antichità famosi, sempre agitato dal furore di gloria, si riposava dalle fazioni militari a far sue concioni ai compagni d'arme, prendendo argomento dai monumenti della città e dalla sua splendida storia. Nè anche il culto delle vergini Muse era da lui negletto chè, colto il destro di una sventura toccata ad una bella, illustre e spiritosa dama, Luigia Pallavicini, la quale, trasportata da un focoso destriero che cavalcava a diporto sulla riviera di Sestri, cadde e rimase presso che estinta; ne scrisse un'ode fra le bellissime, sullo stile di Pindaro.
Prendeva parte giornalmente a tutti i fatti d'arme, e nell'assalto del forte de' Due Fratelli si vide ucciso ai fianchi, colto da una palla in fronte, il già ricordato amico suo più caro, il generale Fantuzzi, e riportò egli stesso da una palla morta una contusione alla gamba; ma si distinse per modo che gli fruttò l'onore di essere nominato due volte dal generale Massena nel commentario presentato a Buonaparte, al quale nacque curiosità di sapere, mossa fors'anche dalle cose antecedenti, chi fosse questo eroe a 22 anni. Era il Fantuzzi uomo di lettere e militare provetto, le cui onorate cicatrici testimoniavano gli allòri colti, prima in Polonia nella guerra di emancipazione, indi nei campi italiani, e perciò più compianto merita la sua immatura fine.
Nè meno memorabili furono per lui questi giorni del blocco di Genova, segnando essi un punto luminoso della sua vita, per la famosa lettera al Buonaparte. Accesosi, come tutti, per l'eroe del giorno quando per le sue strepitose gesta, l'Italia si riprometteva una nuova èra di libertà e di giustizia, gli dedicò l'ode già menzionata. Vistolo ora al ritorno d'Egitto assumere il consolato a Parigi, fu fatto accorto a che mirava la smisurata ambizione sua, e gli scrisse in termini degni di essere incisi a lettere d'oro ad onore di chi li dettò, per l'atto coraggioso, pel tono profetico e per lo stile conciso e vibrato, a somiglianza di quello di Tacito. Ecco la lettera:
«A Buonaparte.
» Genova, 5 agghiacciatore, anno VIII (1799).
» Io ti dedicava questa Oda quando tu, vinte dodici giornate e venticinque combattimenti; espugnate dieci fortezze, conquistate otto provincie, riportate cento cinquanta insegne, quattrocento cannoni e centomila prigionieri, annientati cinque eserciti, disarmato il re sardo, atterrito Ferdinando IV, umiliato Pio VI, rovesciate due antiche repubbliche e forzato l'Imperatore alla tregua, davi pace a' nemici, costituzione all'Italia e onnipotenza al popolo francese.
» Ed ora pur te la dedico, non per lusingarti col suono delle tue gesta, ma per mostrarti col paragone la miseria di questa Italia che giustamente aspetta restaurata la libertà da chi prima la fondò.
» Possa io intuonare di nuovo il canto della vittoria quando tu tornerai a passare le Alpi, a vedere ed a vincere!
» Vero è che, più che della tua lontananza, la nostra rovina è colpa degli uomini guasti dall'antico servaggio e dalla nuova licenza. Ma poichè la nostra salute sta nelle mani di un conquistatore, ed è vero, pur troppo! che il fondatore di una repubblica deve essere un despota; noi e per li tuoi beneficii e pel tuo genio che sovrasta tutti gli altri dell'età nostra, siamo in dovere d'invocarti, e tu in dovere di soccorrerci non solo perchè partecipi del sangue italiano e la rivoluzione d'Italia è opera tua, ma per fare che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni e scemò dignità al tuo nome.
» E' pare che la tua fortuna, la tua fama e la tua virtù te ne abbiano in tempo aperto il campo. Tu ti se' locato sopra un seggio donde e col braccio e col senno puoi restituire la libertà a noi, prosperità e fede alla tua Repubblica, e pace all'Europa.
» Pure nè per te glorioso, nè per me onesto sarebbe s'io adesso non t'offerissi che versi di laude. Tu se' omai più grande per i tuoi fatti, che per gli altrui detti: nè a te quindi s'aggiugnerebbe elogio, né a me altro verrebbe che la taccia di adulatore. Onde t'invierò un consiglio, che essendo da te liberalmente accolto, mostrerai che non sono sempre insociabili virtù e potenza, e che io, quantunque oscurissimo, sono degno di laudarti, perchè so dirti fermamente la verità.
» Uomo tu sei, e mortale, e nato in tempi ne' quali la universale scelleratezza sommi ostacoli frappone alle magnanime imprese, e potentissimi eccitamenti al mal fare. Quindi o il sentimento della tua superiorità, o la conoscenza del comune avvilimento potrebbero trarti forse a cosa che tu stesso abborri. Nè Cesare prima di passare il Rubicone ambiva alla dittatura del mondo.
» Anche negli infelicissimi tempi le grandi rivoluzioni destano feroci petti ed altissimi ingegni. Che se tu aspirando al supremo potere, sdegni generosamente i primi, aspirando alla immortalità, il che è più degno delle sublimi anime, rispetterai i secondi. Avrà il nostro secolo un Tacito, il quale commetterà la tua sentenza alla severa posterità. Salute.
Un altro fatto che ridonderebbe ad onore del Foscolo e che avvenne nello scorcio di questo assedio famoso, vien riferito dal signor Carlo Gemelli; ma benchè abbia aspetto di verisimile, e consoni nell'essenza col carattere del protagonista, la tinta sua romanzesca e il non trovarsene traccia in altri biografi mettono in diffidenza il lettore sull'autenticità del medesimo. Io lo trascrivo per debito d'imparzialità.
«Fu in Genova inoltre, dice il signor Gemelli, che il Foscolo con un fatto che si narra di lui diè una prova solenne della maschia, generosa ed ardita sua indole.
» Era il mese di maggio. Suonava alla Chiesa di San Lorenzo la mezzanotte; ed un uomo a passi concitati attraversando vicino alle annerite muraglie che formano una piccola curva presso il porto Carignano, giungeva sulla piazza San Geronimo, e ad un tratto arrestando il cammino, volgeva lo sguardo verso un palazzo gotico ed angolare, sostenuto da colonne di marmo massiccio. Codest'uomo era Ugo Foscolo, il quale precipitandosi in quel palagio rinveniva in un gabinetto tre personaggi. Sedeva in mezzo il generale della Repubblica francese. Alla sua diritta con le braccia pendenti, la fronte pallida, la testa calva, gli occhi cerchiati di uno strato di bistro stava il dotto Svetone; ed alla sinistra il generale Paolucci, anima già venduta al nemico, e che col suo maligno sorriso faceva uno strano contrasto col severo e franco portamento di Massena. Appena Ugo penetrò nel gabinetto i tre personaggi si alzarono. Massena gli stese la mano: il vecchio Svetone mestamente gli sorrise, e il Paolucci si contrasse come una tigre che vagheggia con occhio feroce la sua preda. Dopo un breve silenzio, il general di Francia prese a dire.
» Valorosi cittadini cisalpini, la posizione di Genova non è più sostenibile, poichè tutti i mezzi di difesa son già esauriti. Voi ben conoscete, che se la lotta fosse ancora possibile io avrei fulminato dal forte l'armata degli anglo-alemanni. Mi si offre di capitolare; e voi sapete che la sorte di Genova è nelle mie mani, e ch'io preferisco all'onta una onorevole morte!.... Ma pria di venire all'estremo partito ho voluto consultarvi. – Morire, gridò allora il Foscolo, piuttosto morire! Sarebbe ben vergognoso il cadere.... E se la Francia ci abbandona, lo Spielberg aprirà le sue spaventevoli gole per divorarci tutti. – Voi siete un grande italiano! gli rispose Massena serrandolo tra le braccia. L'Italia si sovverrà un giorno con fierezza di avervi noverato fra i suoi figli. La Francia arrossirebbe di vedervi esposto alla vendetta di un'inimica reazione; e se noi siam costretti a cedere, sarà nella capitolazione stipulato il vostro salvocondotto. – Dubito bene che possiate riuscirvi, disse tosto con un sardonico sorriso il general Paolucci. Ugo è suddito dalmatino. – Io son cittadino cosmopolita, rispose il Foscolo, nè ho già venduta la mia persona, nè la mia spada, nè la mia penna a chicchessia. Una parola fu il mio respiro, una parola sarà l'estremo, foss'anche spezzata a metà dal rantolo della morte. Ma io vi conosco, o generale, per non meravigliarmi de' vostri detti. – E scuotendo il capo, e la lunga ed inanellata sua chioma che gli cadeva sulle spalle, già incurvate dalle laboriose veglie e da' mali della patria, con gli occhi scintillanti di fuoco, si avventava contro il Paolucci, ma lo Svetone gli rattenne rapidamente il braccio.
» Massena intanto esponendo tutti i mezzi di difesa dichiarava che malagevolmente si potean più sostenere gli assalti nemici, e prolungare invano gli orribili disagi de' soldati e degli infelici abitanti, sperando di favoreggiar l'impresa del primo console, quella cioè di rivarcare le Alpi, e correr di nuovo le italiane terre in mezzo ad altre vittorie, a nuova gloria ed a nuovo sangue. Laonde non potendo più durare nell'assedio, protestava che il domani il cannone del forte annunziato avrebbe la resa di Genova. Infatti il 4 giugno finalmente Genova cadde in potere delle forze austriache ed inglesi. Il Foscolo seguì pel momento la trista condizione de' suoi commilitoni. Ma non avea egli punto dimenticato il sardonico sorriso di Paolucci, e sapeva bene che l'avrebbe denunziato ponendo il suo nome nella lista di proscrizione. Incontratolo quindi sulla piazza de' Banchi, Ugo si slanciò verso di lui gridando: – Arrestatevi, generale.
» Il vento del nord sferzava i suoi capelli che rassembravano serpenti che gli si agitassero sulla testa; una schiuma biancastra orlava il suo labbro inferiore, e la sua voce era cupa e cavernosa. – Oh, oh, rimira Genova, proseguiva egli, che traballa sotto i passi di un traditore. Dimmi, quante teste hai tu destinato a far schiacciare dall'Infamia delle arti restaurate? Ma tu tremi, o fellone! – Il popolo accorreva da ogni banda: i Francesi scendevano dall'alto della città a marcia imponente. Allora, veggendosi il Foscolo circondato, scosse bruscamente il Paolucci; e levandolo quasi da terra lo stramazzò sulla polve, facendo scoppiare dal suo petto col volgersi alle turbe astanti questo terribile anatema: – Morte e dannazione al traditore. E il popolo applaudì, e l'eco di mille voci ripetè: – Morte e dannazione al traditore.
» Un'ora dopo di codesta scena, l'esercito francese si allontanava silenzioso da Genova.»
Avvenuta la dedizione .(4 giugno 1800) a patti molto onorevoli pel capitano e pel presidio, fu convenuto che, liberi della fede e delle persone, potessero sì gli ufficiali che i soldati, per la via di terra recarsi in Francia, e chi non potesse fosse dalle navi inglesi trasportato in Antibo. Ma tocco appena da questi valorosi il suolo francese che già compariva all'improvviso sulle Alpi Napoleone, il quale correva alla riscossa d'Italia con grosso esercito, onde il Foscolo a questo congiungendosi potè trovarsi col Primo Ussari il giorno 14 dello stesso mese alla famosa battaglia di Marengo. Della medesima ci lasciò un commentario, parte originale, parte tradotto dal francese, analizzando quello del generale Berthier.