IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
CAPITOLO IV. Viaggio in Toscana e primo innamoramento. – Legione Cisalpina. – Assedio di Genova. – Ode a Luigia Pallavicini. – Lettera a Buonaparte. – Ancora di Genova. CAPITOLO V. Romanzo Iacopo Ortis. – Aneddoto curioso. |
Romanzo Iacopo Ortis. – Aneddoto curioso.
Ritornato a Milano contemporaneamente all'amico suo Vincenzo Monti che, profugo in Francia durante il trionfo degli Alleati, si era con lui scontrato sulle Alpi, imprese a pubblicare il romanzo Ultime Lettere di Iacopo Ortis, rifondendo in esso le lettere di due amanti che avevano cominciato a veder la luce. Un gentiluomo di Venezia lo fece stampare celatamente in casa propria, e però questa edizione, che fu la prima, uscì colla data d'Italia 1802.
Lo mandava in dono all'Alfieri accompagnato da una lettera che intitolava al Primo Italiano, la quale chiudeva con queste parole: «Ma se i cieli mi concederanno vita, spero di dimostrare con più alte cose agl'Italiani avvenire, che io, minore a voi d'ingegno, era bensì per altezza d'animo degno d'esservi contemporaneo ed amico.»
Servì codest'opera a divulgare e a stabilire viemaggiormente la riputazione letteraria dell'autore, e procacciogli il favore degli uomini non solo, ma quello delle donne eziandio, il cui tenero cuore, proclive alla compassione, sparge volentieri una lacrima sulla sventura specialmente se si tratta d'amore.
Una qualche analogia nelle situazioni, e la catastrofe finale, diedero motivo a qualcuno di spacciarla per imitazione del Werther di Goethe; ma i critici si accordano nel giudicarla opera per sè stessa originale, e nel suo genere, prima e sola in Italia. D'indole patetica, tendente al cupo, ma spesso troppo piagnolosa, scritta in bella lingua, non però correttissima nel primo getto, stile semplice, ma negletto, appassionato e a balzi, come dettava il tumulto dell'animo quindi non sconveniente al soggetto, con alti, liberi e gagliardi sensi; interessante per le allusioni politiche, per le fiere invettive suscitanti sdegno contro l'oppressore della patria, e per la pittura della società di quei tempi; ma scoraggiante per la gioventù che piena d'illusioni e di belle speranze, nel porre i primi passi sul gran sentiero della vita, si forma un'idea troppo funesta dell'esistenza. La vita anch'essa è una medaglia col suo rovescio e spesse volte prende aspetto piacevole o tristo dalla disposizione dell'animo nostro. Se veduta da un lato tutto è brutto, orrido, disanimante, osservata dall'altro vi apparisce del bello, e se ben si riflette molti mali possonsi vincere col coraggio, con la ragione e con la prudenza,
«In questa assai più oscura che serena
Vita mortal, tutta d'invidia piena.»
Poi un'amorosa passione spinta fino all'estremo col sacrifizio inutile della vita chi potrebbe lodarla? Nè questa passione e il dolore insieme per la patria tradita e conculcata può giustificare l'estrema risoluzione, la quale toglie in chi l'opera ogni speranza di poterle un giorno giovare e rivendicarla. Per queste ragioni, abbenchè l'autore solesse ricordar con affetto codesto lavoro perchè, dic'egli, mi serberà per gli anni che ancora mi restano un monumento della mia gioventù; quand'io aveva la ragione meno assennata e il cuore migliore; migliore d'assai, poich'era più caldo o men ritirato in sè stesso, deplorava di averlo ideato. All'età in cui scriveva, soggiunge, non sapeva ancora che chiunque esorta al suicidio s'apparecchia fino ch'ei vive i rimorsi d'avere forse sospinto qualche individuo verso il sepolcro. Ma per far meglio palese al lettore questo suo pentimento, stimo utile di riportare il paragrafo di una lettera diretta da Milano li 12 settembre 1808, al signor Bartholdy prussiano, autore di Un Viaggio in Grecia.
«Ed io stesso ad onta della mia predilezione per quel frutto della mia gioventù, ad onta ch'io abbia talvolta la debolezza di esaminare la mia vita in quelle pitture, comincio io stesso a pentirmi d'avere irritate le passioni già forse sopite nelle viscere di molti infelici e svelata inumanamente a' mortali l'inutilità della loro vita. Oggi che i tempi, i casi e gli anni mi hanno insegnato che certe verità affliggono gli uomini buoni, e fanno più accorti i malvagi, dico a me stesso: a che pro le hai tu dette? Almeno che quel libro non fosse letto che da persone provette che amano riscaldare i loro cuori intiepiditi dall'età e dall'esperienza, e che non vedono nei romanzi se non l'immagine della vita passata! Invece poco gli assennati lo amano, ed è sempre in compagnia de' giovani e delle fanciulle. E perchè aggiunger esca al fuoco delle passioni? Perché insegnar ad essi di lamentarsi anzi tempo, e temere di una vita di cui vedono appena il mattino lusingato dai ridenti augurii dell'avvenire?»
Sentiamo ora il giudizio di Melchiorre Cesarotti che li 7 maggio 1802 dirigeva al Foscolo.
«Del tuo Ortis non ho voglia di parlarne. Esso mi desta compassione, ammirazione e ribrezzo. Non dirò che due parole. Questa è un'opera scritta da un Genio in un accesso di febbre maligna, d'una sublimità micidiale e d'un'eccellenza venefica. Veggo pur troppo che è l'opera del tuo cuore, e ciò appunto mi duol di più, perchè temo che tu ci abbia dentro un mal canceroso e incurabile.»
E Silvio Pellico in una poesia, sulla quale dovrò più volte ritornare, alludendo al pentimento dell'autore, dice:
«E il tuo libro d'amore isconsolato,
Benchè riscosso immensi applausi avesse,
Benchè da te qual prima gloria amato,
Bench'opra non indegna a te paresse,
Talor gemer ti fea, ch'avvelenato
Un sorso gioventù quivi beesse
D'ira selvaggia contro i fati umani
Ed idolo Ortis fosse a ingegni insani.»
Però l'illustre C. Cattaneo osserva4 che «innumerevoli furono coloro che in quel potente libro attinsero la fiera passione che li condusse a disprezzar per la patria la felicità della vita.»
Un misto di vero e d'immaginario ne è l'orditura. Vero che un Iacopo Ortis friulano, studente all'Università di Padova, si uccise e non si seppe mai il perchè. Di questo giovine assunse il nome Ugo Foscolo e ne formò il protagonista per dipingere la propria vita e far manifesti i sentimenti di cui avea preoccupata la mente. Vere alcune lettere scritte all'amante; vivi i caratteri de' personaggi principali, ma soltanto una trasposizione ne' nomi di Teresa e Isabella: copiata al vero la descrizione de' luoghi; però, come ch'egli, traslocata la scena d'una in altra contrada d'Italia, per rispetto alle famiglie, le quali, sebbene non fossero da quegli avvenimenti disonorate, sarebbero state additate indiscretamente dal mondo. Immaginario è il carattere di Lorenzo sotto il qual nome hanno alcuni voluto ravvisare l'amico G. B. Niccolini: per lo contrario storico è il carattere di Lauretta, ma fantasticamente alterato. Reali al certo sono i diversi episodi come quelli della gentildonna di Padova, della vecchiarella, del mendico vagabondo, del contadino calpestato dal cavallo5 e soprattutto quello relativo al Parini.
In quanto al ritratto proprio che, sotto lo pseudonimo di Iacopo Ortis, il Foscolo volle porre in fronte al romanzo, lasciamo al Pecchio (il quale dell'amico dice spesso gran bene per prendersi il gusto di dirne male subito dopo) il crederla una furberia dell'autore per destare la curiosità di farsi meglio conoscere.
Viene a proposito di riferir qui un aneddoto che ha rapporto colla storia di questo romanzo, e serve a dare un'idea dell'impetuosità di carattere del suo autore. Lo trascrivo come trovasi compendiato in una nota degli editori toscani sulla fede del signor Prospero Viani da cui lo ebbero.
«Ugo Foscolo cominciò a stampare in Bologna nel 1798 co' tipi di Iacopo Marsigli le lettere di Iacopo Ortis; ma condotta l'impresa fin presso la metà, se ne rimase ad un tratto, e scomparve improvvisamente da Bologna ansioso di tornare a Milano. Ma, o non avesse le debite carte di viaggio, o i rigori vigili e sospettosi degli Stati modenesi impedissero a' viandanti il libero passaggio, egli con sola una guida passò il Reno e il Panaro, e prese la via delle montagne. Se non che toccato appena il territorio vignolese, diede in una squadra d'uomini d'arme, dai quali preso in sospetto, fu condotto e sostenuto otto giorni nella rocca di Vignola. Quivi umanamente raccolto e trattato dal podestà del paese, entrò in tanta grazia del figlio di lui Pietro Brighenti, per la conformità degli studi e delle opinioni, che questi valse a farlo porre in libertà prima degli ordini di Bologna e di Modena, e ad agevolargli la sicurezza del viaggio. Frattanto deliberò di far compire il romanzo da altri; e il Marsigli, stato qualche mese ad aspettare l'autore, avuto a sè lo stesso Pietro Brighenti, il quale aveva dato qualche saggio della propria capacità negli studi, e per la tristezza de' tempi s'era condotto a Bologna a maniera di rifuggito, lo pregò e vinse a continuare le lettere. Difatti poco dopo egli le divulgò col titolo: Vera storia di due amanti infelici, ossia Ultime lettere di Iacopo Ortis: ed Angelo Sassoli, ricordato anche dal Carrer al capo XXVI della vita del Foscolo, fu un nome fittizio. Intanto Ugo datosi a seguire la fortuna dell'armi, udì bisbigliare appena della vera storia degli amanti infelici; ma saputone e vedutone poscia co' propri occhi il seguito, se ne adirò sì fattamente, che proruppe quasi in un eccesso. Perocchè tornato a Bologna nell'autunno del 1800, capitano aggiunto allo Stato maggiore della Divisione Cisalpina, corse di lancio alla stamperia del Marsigli. Il Foscolo era uomo di fiero cipiglio, ed avea un tono di voce profondo. Con atteggiamento militare: – Olà, dov'è Iacopo Marsigli? – grida a un garzone. – Eccolo là, – rispose il garzone intimorito, additando il padrone, che, sentito quell'intronamento minaccioso d'inchiesta, uscì fuori d'un attiguo stanzino: e il comparire del Marsigli con una riverenza, lo sfoderare della sciabola del capitano e il dire Oh briccone! allo stampatore, che si acquattò e rannicchiò tra un banco e il muro, fu un attimo. Accorrono spaventati gli uomini della stamperia; le grida si fanno più forti; niuno si attenta di accostarsi al soldato furibondo, che lancia contro l'intanato Marsigli una tempesta d'ingiurie e di vituperii. In questa entrano varie persone o chiamate dai garzoni, o sospinte dentro dalla curiosità, fra le quali, per singolare benignità di fortuna, il figlio del Podestà di Vignola, lo stesso continuatore, bell'uomo della persona, maestoso a vedere, di pronto eloquio. Questi, preso gentilmente per mano il Foscolo, cercava di abbonirlo con miti parole; e il Marsigli allora, fatto un po' d'animo, metteva fuori di quando in quando la testa, e dimandava perdono, e additava il Brighenti, quasi volesse dire: Ecco il continuatore; se la rifaccia con lui. Finalmente il Foscolo riscosso dall'ira e mirato fisso in volto l'amico da Vignola, rinfoderò la sciabola, e abbracciollo intenerito con veemenza d'affetti e amabilità di cortesia, quale noi abbiamo veduto più volte su le scene Luigi Vestri passare in un tratto dall'ira alla calma, dal riso al pianto, e far piangere. Ciò non ostante il Foscolo obbligò il Marsigli a una soddisfazione: Sgnòur sè, Sgnòur sè, rispondeva tosto lo stampatore spaventato, che ben più duri patti avrebbe soscritto. La soddisfazione dimandata fu questa: che il Marsigli dovesse inserire nel proprio giornale intitolato: Il Monitore Bolognese, la seguente protesta del Foscolo contro l'edizione delle ultime lettere di Iacopo Ortis.»
E qui fa seguito la protesta che tralascio per brevità.