Pellegrino Artusi
Vita di Ugo Foscolo
Lettura del testo

CAPITOLO IX. Carme dei Sepolcri. – La Mitologia nell'arte poetica. Lettera a monsieur Guillon.

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CAPITOLO IX.

Carme dei Sepolcri. – La Mitologia nell'arte poetica.
Lettera a monsieur Guillon.

Su quei colli di Brescia verseggiò l'Alceo di cui rimane un frammento, e in riva al Mella9 compose (1807) il celebre Carme dei Sepolcri o Epistola, come pur la chiamava, che aveva già meditato in Milano; mossovi specialmente dalla nuova legge che voleva i sepolcri fuor de' guardi pietosi e contendeva il nome ai morti.

Il Pindemonte aveva pressochè terminato il primo di quattro canti che dovevano formare un poema sopra i sepolcri quando comparve il Carme di Foscolo a lui dedicato. Ne rimase interdetto, e abbandonata l'impresa, si restrinse a scriverne uno anch'esso in risposta, che comincia:

«Qual voce è questa che dal biondo Mela
Muove canora e ch'io nell'alma sento

il quale, quantunque bellissimo, resta assai al disotto della sublimità foscoliana a cui l'amico fa alto onore scrivendogli: «Dove trovaste quella malinconia sublime, quelle immagini, quei suoni, quel misto di soave e di forte, quella dolcezza e quell'ira? È una cosa tutta vostra che star vuole da , e non si può a verun'altra paragonare.

Infatti quella poesia non fu mai pareggiata e destò tale un entusiasmo in Italia che molti poeti non vollero più cantare che in quel metro lugubre. Merita fra questi più speciale menzione Giovanni Torti che, coll'Epistola a Delio, istituisce un paragone tra i due valenti scrittori. Federico Borgno di Bobbio, l'abate Giuseppe Bottelli di Valtellina, e per ultimo il professore Francesco Filippi lo tradussero in latino; e Silvio Pellico sentitosi a quella voce ridivenire italiano, lasciate le sponde del Rodano, sua stanza da più anni, e la letteratura francese a cui erasi dedicato, corse a respirare le aure patrie e a farle armoniose del suo canto; ma prima d'ogni altra cosa si procurò la personal conoscenza del Foscolo a cui fecesi presentare dal suo maggior fratello Luigi come accenna in quei versi:

«Tu fosti, o mio Luigi, il caro petto
Che allorch'io dalle franche aure tornava,
Me a quell'insigne amico tuo diletto
Legasti d'amistà che non crollava.

Il Pindemonte gli mosse dolce rimprovero perché in cambio di ricorrere ai campi di Maratona e alle spiagge inseminate della Troade non si fosse piuttosto aggirato per l'Italia; ma la professione poetica esposta nei discorsi premessi alla Chioma di Berenice gli vietava di rintracciare altrove il sublime dell'arte.

«Leggieri conoscitori dell'uomo, dic'egli in quell'opera, sono quei retori che disapprovando la favola e le fantasie soprannaturali, vorrebbero istillare nei popoli la filosofia de' costumi per mezzo di una poesia ragionatrice, la quale si può usurpare bensì nella satira, ove l'acre malignità, cara all'umano orecchio quando specialmente è condita dal ridicolo, può talor dilettare. Ma non diletterebbe un poema che proceda argomentando, e che non idoleggi le cose, ma le svolga e le narri. La favola degli antichi trae l'origine dalle cose fisiche e civili che, idoleggiate con allegorie, formavano la teologia di quelle nazioni; e nella teologia de' popoli stanno sempre riposti i principii della politica e della morale

E più oltre prosegue: «Non è colpa delle favole, degli antichi, se la loro religione è per noi piena di capricci e d'incoerenze, bensì dell'estensione di quella religione quasi universale, delle vicende de' secoli e della nostra ignoranza. Che l'umana mente abbia bisogno di cose soprannaturali, e quindi i popoli di religione, è massima celebrata dall'esperienza e dagli annali di tutte le generazioni. Anzi è di tanta preponderanza questa umana necessita, che, sebbene le religioni nascano dalla tempra de' popoli e si stabiliscano per le età e per le circostanze degli Stati, i popoli ed i tempi prendono in progresso aspetto e qualità dalle religioni. Ora la poesia deve per istituto cantare memorabili storie, incliti fatti ed eroi, accendere gli animi al valore, gli uomini alla civiltà, le città all'indipendenza, gl'ingegni al vero ed al bello. Ha perciò d'uopo di percuotere le menti col meraviglioso, e il cuore con le passioni. Torrà le passioni dalla società, ma d'onde il meraviglioso, se non dal cielo? Dal cielo, poichè la natura e l'educazione hanno fatto elemento dell'uomo le idee soprannaturali

Certo è di grande aiuto al poeta, per l'effetto, la mitologia, ma ciò non esclude che non si possa verseggiare sublimemente anche senza il soccorso di lei. Ottimi esempi ne abbiamo fra i moderni nel Leopardi, nel Monti, nel Manzoni, e fra gli antichi nel Petrarca; ma come già fu detto, il genio del Foscolo era portato alla lirica che canta le lodi degli Dei e degli eroi, e vi era portato ancor più dalle memorie patrie dell'antica Grecia.

Chiuderò questo capitolo col far menzione di un monsieur Guillon, francese, scaraventato non si sa come dalla rivoluzione in Italia, allora compilatore della parte letteraria del Giornale Italiano. Pres'egli a criticare il Carme senza intenderlo e senza conoscere a fondo la lingua di cui si faceva censore, e come Orazio sol contro Toscana tutta, sfidò il buon senso generale che, rapito in estasi da quella poesia, non chiamava più il Foscolo se non col nome di Autor dei Sepolcri.

Si tirò quindi meritamente addosso una dura risposta, in forma di lettera, ove il Poeta con giusto sarcasmo mette in chiaro la presunzione di quel moderno Aristarco e lo concia pel delle feste.

Scrivendone all'amico Grassi a Torino, diceva: «Questo mio carme fu radice di molte controversie, e di parecchi opuscoli. Ve ne mando due. Quello che fu scritto da me, non mi fu dettato, credetelo, dall'albagia d'autore, ma dal sentimento del nome italiano. Il Guillon, prete-non-prete francioso compilatore della parte letteraria del Giornale Italiano, mordeva spietatamente tutti gl'Italiani, e s'avventava a occhi ciechi. È viltà a calare la spada su que' cani, ma è pazienza fratesca il lasciarli abbaiare: quel mio libricciuolo fe' uscire donne, ragazze e chierici dalle case, da collegi, e da seminarii, e lo cacciarono a sassate; da quel giorno in poi lascia in pace gli autori italiani vivi e morti. Tacerò d'ora in poi.»





9 Meno comunemente Mela.



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