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CAPITOLO XI. Cattedra di eloquenza a Pavia. – Sua fermezza e dignità di carattere. – Adulazioni dell'epoca. |
CAPITOLO XI.
Cattedra di eloquenza a Pavia. – Sua
fermezza e dignità
di carattere. – Adulazioni dell'epoca.
Come se la sorte volesse prendersi giuoco di lui gli si fe' manifesta con un bagliore di felicità che tosto disparve imperocchè, quasi mostrasse volerlo rimeritare delle non poche noie e fatiche che sosteneva per la pubblicazione del Montecuccoli, fu chiamato in quel tempo alla cattedra di eloquenza nell'Università di Pavia, rimasta vacante per la morte del prof. Luigi Cerretti, prima del quale era stata occupata con plauso da Vicenzo Monti, che la lasciò per divenire istoriografo di Napoleone. Ma pareva il destino avesse congiurato che al Foscolo non fosse concessa mai occupazione stabile e tranquilla, poichè non sì tosto ebbe la nomina che quella cattedra venne soppressa in tutte le Università del regno.
Supposero alcuni che il Governo venisse a questo per punire in lui il rifiuto di tributare nella prolusione le lodi d'uso al capo dell'impero, benchè fosse stato instantemente pregato di farlo: però siccome altre cattedre furono contemporaneamente soppresse e la pena, se mai, dovevasi infliggere al solo individuo colla destituzione, è più logico il credere che quella e simili altre si credessero incompatibili col dispotismo oli Napoleone. Per regola generale, i governi assoluti proteggono più le scienze che le lettere, temendo da queste per l'influenza che esercitano sulla mente de' giovani, specialmente quando sono professate da uomini animati dall'amor di patria. E furono potenti, se dobbiamo credere al Pecchio, le preghiere che gli si fecero onde persuaderlo a codesta formalità dell'elogio: tutto inutile. Racconta il medesimo: «Io mi sovvengo che mentre egli stava lavorando alla sua Prolusione, il conte Vaccari, Ministro allora dell'Interno e suo amico, gli esternò il desiderio ch'ei volesse rendere al capo dell'Impero quelle lodi che sono in queste occasioni d'uso, a guisa dei complimenti in una chiusa di lettera, che, anche esagerati, non avviliscono, siccome formule consuete. Gli fece intendere che la sua condiscendenza gli avrebbe fruttato la decorazione della Legion d'Onore. Ei rimase invincibile, rispondendo che una distinzione ancora maggiore è il meritare una decorazione senza averla. La stessa preghiera gli fu porta, e con più eloquente accento, da una bellissima dama milanese. Invano, ei seppe questa volta resistere ai grandi occhi neri.» Era codesto un pregio che il Foscolo aveva decantato nelle donne da lui amate.
E tanto più è ammirabile in lui questa dignità di carattere chè l'atmosfera di quei tempi era pregna di adulazioni. I letterati facevano a gara chi più bruciava incensi all'Idolo del giorno, stemprandosi in lodi smaccate; il Cesarotti aveva scritto la Pronèa, il Giordani il Panegirico di Napoleone, e il Monti, come di tutti il più ligio, per la Spada di Federico e pel Bardo della Selva Nera ebbe titolo di poeta di Corte, nomina d'istoriografo del regno, a cui era annessa una buona pensione; le decorazioni gli fregiarono il petto e di soprammercato il dono di una tabacchiera d'oro e di 2000 zecchini, lo avranno fatto sogghignare alle stravaganze dell'amico, come forse chiamavale.
La Pronèa più di tutto gli aveva ferito il cuore, poichè scemava in lui l'antica riverenza all'autore e maestro suo; perciò scrivendone al Niccolini a Firenze, prorompeva in queste sdegnose parole:
«Hai tu veduta e letta la Pronèa del Cesarotti? Misera concezione, frasi grottesche, verseggiatura di dramma per musica, e, per giunta gran vezzo d'adulazione, infame ad ogni scrittore, ma più infame ad un ottuagenario, che non ha nè bisogno di pane, e poco ormai può temere della fortuna. Il Petrarca disse: il peggio è viver troppo; ottima lezione per le grandi anime! ma io se facessi un'edizione del Canzoniere, a quel passo de' Trionfi porrei per lezione de' grandi ingegni questa variante: il peggio è scriver troppo.»
Dopo questa digressione, che mi è parsa opportuna per dare un'idea del sentire morale di quei tempi, riprendo l'argomento della cattedra, per dire che ne ricevè il Foscolo con grato e lieto animo l'annunzio perchè il titolo di professore lusingava il suo amor proprio, e perchè ardeva dal desiderio di far palese ai giovani i suoi principii letterari. Si recò prima per alcuni giorni a Como a visitare la famiglia dei conti Giovio e di là, dopo una breve corsa, a Lecco e a Lugano, si trasferì e prese stanza a Pavia, ammobigliandosi casa e lì, datosi a un lavoro assiduo, si preparò alle lezioni, e scrisse l'Esperimento sopra un metodo d'instituzioni letterarie e il Parere sull'ufficio degli Ispettori degli studi, che furono una conferma delle dottrine esposte dalla cattedra stessa.