Pellegrino Artusi
Vita di Ugo Foscolo
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CAPITOLO XII. Prende stanza a Pavia. – La famiglia dei conti Giovio. – Ordinamento domestico. – Prolusione. – Sue pratiche presso il Governo. – Ultima lezione. – Fine del professorato.

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CAPITOLO XII.

Prende stanza a Pavia. – La famiglia dei conti Giovio. – Ordinamento domestico. – Prolusione. – Sue pratiche presso il Governo. – Ultima lezione. – Fine del professorato.

In mezzo alle occupazioni di studio, alle visite di complimento d'uso del nuovo professore ai colleghi, al ricevimento di scolari raccomandati, trovava ancora tempo in Pavia di rammentarsi agli amici, scrivendo spesso fino dai primi giorni a quelli a cui doveva riconoscenza. Fra i medesimi va mentovato il cavalier Ugo Brunetti di Lodi, allora generale ispettore alle rassegne nell'esercito del regno italico, (a cui dedicò un sermone) ch'egli amava di affetto speciale, perchè il valeva e perchè, essendo stato da lui più volte soccorso generosamente a danari, erasi potuto liberare da certi imbarazzi economici, ne' quali spesso cadeva per aiutare i suoi, per le spese di stampa, e, bisogna pur dirlo, per le sue dissipazioni. Che il Foscolo fosse in continua penuria di danaro per questi motivi era noto anche prima che il dott. Lodovico Corio estraesse dal R. Archivio di Stato in Milano i documenti da lui pubblicati. Si potrebbe supporre con quelli avesse egli voluto a bello studio intaccare la riputazione di un uomo già anche troppo malignato; poichè per stessi nulla provano contro l'onestà sua. E se mai nel corso della vita egli è caduto, per le cagioni anzi dette, in qualche azione che non presenti a tutto rigore i caratteri della delicatezza, non è in quei documenti che bisogna cercarne le traccie. Si consoli però il Foscolo che, se ha dei detrattori, non gli mancano validi campioni a difesa chè, quasi contemporaneamente, comparve quella splendida del prof. Fr. Trevisan: Ugo Foscolo e la sua professione politica.

Altra persona a cui tributava stima ed amore, benchè di opinioni politiche e religiose contrarie alle sue, era il conte Giambattista Giovio di Como, uomo di lettere, probo cittadino, ed ottimo padre di numerosa famiglia alla quale il Foscolo era in grazia e in confidenza; il che sia detto come introduzione a un episodio amoroso che fra non molto mi converrà raccontare. Il Conte aveagli raccomandato a Milano il figliuol suo Benedetto,10 che militava nelle Guardie d'onore e la Contessa gli faceva proposte di matrimonio a cui egli, esponendo le ragioni per le quali non poteva sacrificare ad Imene, estiva, in questa sentenza: «Beato chi possiede una bella, e soave, e giovine sposa! – e prima di tutto bella. – Ma cos'è mai la bellezza ineducata? fior senza odore: adesca gli occhi per poco; appassito, non serba più i suoi colori, e manca della fragranza soave che la rosa diffonde e distilla dalle sue foglie vizze e invecchiate

E al Conte scrivendo, raccontava corte si era sistemato a Pavia col suo compagno ed amico, conte Giulio di Montevecchio, studente di matematiche, col quale divideva il tetto e la tavola.

«Or dalla passata domenica a questa io ebbi a ricevere più visite di professori che venivano a pagare il debito, e v'avrei volentieri dato di bianco; ebbi a fare accoglienze a molti scolari che mi recavano commendatizie, e rispondere a raccomandanti; ebbi a piantare il registro – e mi parea di sognare – il registro di casa: spese di cucina, spese d'illuminazione e di fuoco; spese di servitù e salario; spese di biancheria; bilancio: e' fu un rompitesta, perchè bisognò osservare ogni minuzia ripartitamente, e ripetutamente, e variamente, e fondare ogni norma sull'esperimento onde non fare per disfare, mutando quadrata rotundis. Così ho spesa una settimana temprando il mio cuore di rassegnazione per dare un regolo al tempo e alla borsa, e sapere il quanto e il quando meno incertamente che si può. E il mio signor Conte, magnifico e provetto pater familias riderebbe leggendo placardé in cucina l'orario di Antonio che Montevecchi creò nostro cuoco; e in un salotto l'orario di Domenico ch'io nominai, e nomino, nostro cameriere; e nella guardaroba l'orario della donna; e tutti scritti in articoli di codici, e con la gravità delle XII tavole. Sapranno quindi ciò che hanno a fare, e il tempo e il modo, e noi non saremo sviati da' nostri libri vedendoci attorno il servo, e ripetendogli quotidianamente la stessa antifona. Vero è che, anche a cercarle con la lanterna del Cinico, non si potevano trovare tre creature, più cordiali, più diligenti, più ilari nello stato servile. E Montevecchi tempera con la sua affabilità il mio lungo e severo silenzio, che mortifica, pur troppo! la povera gente più della parola iraconda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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continuerò a narrare al pater familias – che il professore e il matematico s'alzano alle sette, che si vedono per dieci minuti, mentre egli aspetta il caffè ed io sto preparandomi il thè – che alle otto il buono scenziato esce, e corre le scuole, o pel desiderio insaziabile di vedere acqua va a salutare il Ticino corrente, mentre io dalle otto alle tre sto chiuso, senza neppure permettere al servo di picchiare all'uscio, quando pure la casa ardesse. Alle tre mi fo bello col vestire semplice eletto, e la mezz'ora che rimane vacua sino alle quattro si passa in ciarle coll'ospite mio; e mentre l'ospite m'ascolta e parla, io vo riordinando i libri scompigliati, e riponendo sotto chiave le carte schiccherate. Dalle quattro alle cinque s'è già pranzato, e quasi digerito anche il caffè, dacchè la sorte riunì due rapidissimi mangiatori: poi sino alle sei sediamo al camminetto l'un contro l'altro sopra due poltroncine, narrando le antiche avventure ed amoreggiando le speranze future, e per lo più si parla di moglie; ma io ho pochi quattrini, egli pochissima vocazione. S'esce e si passeggia poi sino alle sette, e tornati al fuoco troviamo compagnia di tre o quattro greci viaggiatori e studenti, ma laureati, laureandi: allora si disserta, si ride e talvolta si cantacanzoni greche, e canto fermo a modo degli Albanesi; – e ieri quelle arie tra il barbaro e il passionato esilararono la pensosa anima mia. – Alle dieci io mi ritiro, e chi resta resti: ceno, poi leggo o scrivo lettere sino a mezza notte, e, coricatomi, auguro sonni tranquilli e sogni beati anche agli amici lontani

Escito il decreto, che sopprimeva la cattedra mentre stava lavorando alla Prolusione, non si arrestò per questo, visto che il governo accordava intero soldo a tutti i soppressi durante l'imminente anno scolastico 1809, rimettendo in loro arbitrio di dare o no le lezioni. A lui che premeva, come già dissi; di misurarsi in quello arringo, anche per non parere di scroccare all'erario una indebita paga, proseguì con impegno quasi maggiore a mettere in pronto la Prolusione anzidetta, a cui dava naturalmente molta importanza come quella che, colla prima impressione, formar doveva il giudizio del pubblico. Però dicea che lo stile il faceva sudare, dovendo evitare la brevità, la rapidità e la fierezza tutta propria a' suoi scritti.

Dell'origine e dell'uffizio della letteratura era il titolo preso per argomento, e il 22 gennaio 1809 il prescelto a recitarla. L'aula, magna era affollata di persone distinte nella magistratura, di professori, di scolari e di amici recatisi appositamente a Pavia, fra' quali Vincenzo Monti e l'amicissimo Ugo Brunetti. inferiore all'aspettazione fu presso il dotto uditorio l'esito clamoroso e il chiederne ad alta voce la stampa; e stante che il nuovo professore si emancipava in essa dal metodo tenuto fino allora dai letterati e li redarguiva, questi, che già avevano di lui qualche pillola amara in bocca che non potevano inghiottire, si strinsero in combriccola a danno suo, che fu causa poscia di tutte le controversie, pettegolezzi e contumelie che nacquero. vennegli meno il concorso alle cinque lezioni che diè in appresso a lunghi intervalli, le quali, sebbene meno splendide d'immagini e più modeste di stile, erano per compenso dotate di maggior chiarezza e più ordinate nella progressione delle idee.

Per dare un saggio delle tante bellissime cose dette in quel discorso inaugurale, mi restringo per brevità a citar le seguenti. «O Italiani, io vi esorto alle storie, perchè niun popolo più di voi può mostrare più calamità da compiangere, più errori da evitare, più virtù che vi facciano rispettare, più grandi anime degne di essere liberate dalla oblivione da chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà pace e memoria alle nostre ceneri.

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» Secondate i cuori palpitanti de' giovinetti e delle fanciulle; assuefateli, finchè son creduli ed innocenti, a compiangere gli uomini, a conoscere i loro difetti ne' libri, a cercare il bello ed il vero morale: le illusioni de' vostri racconti svaniranno dalla fantasia con l'età; ma il calore con cui cominciarono ad istruire, spirerà continuo ne' petti. Offerite spontanei que' libri che se non saranno procacciati utilmente da voi, il bisogno, l'esempio, la seduzione li procacceranno in secreto.

» Già i sogni e le ipocrite virtù di mille romanzi inondano le nostre case; gli allettamenti del loro stile fanno quasi abborrire come pedantesca ed inetta la nostra lingua; la oscenità di mille altri sfiora negli adolescenti il più gentile ornamento de' loro labbri, il pudore ...... amate la vostra patria, e non contaminerete con merci straniere la purità e le ricchezze e le grazie natie del nostro idioma ....... Visitate l'Italia! O amabile terra! o tempio di Venere e delle Muse! e come ti dipingono i viaggiatori che ostentano di celebrarti! come t'umiliano gli stranieri che presumono d'ammaestrarti! ....... la barbarie de' Goti, le animosità provinciali; le devastazioni di tanti eserciti, le folgori de' teologi; gli studii usurpati da' monaci spensero in quest'aure quel fuoco immortale che animò gli Etruschi e i Latini, che animò Dante nelle calamità dell'esilio, e il Machiavelli nelle angosce della tortura, e Galileo nel terrore dell'Inquisizione, e Torquato nella vita raminga, nella persecuzione dei retori, nel lungo amore infelice, nella ingratitudine delle corti, tutti questi tant'altri grandissimi ingegni nella domestica povertà. Prostratevi su' loro sepolcri, interrogateli come furono grandi e infelici, e come l'amor della patria, della gloria e del vero accrebbe la costanza del loro cuore, la forza del loro ingegno e i loro beneficii, verso di noi.»

La soppressione della cattedra tenevalo frattanto con l'animo sospeso per l'incertezza della sua sorte futura, onde recavasi di quando in quando a Milano allo scopo di scandagliare l'intenzione del Governo a suo riguardo, ed ove dava termine alle ultime stampe del Montecuccoli. Pubblicava in pari tempo il discorso inaugurale imperocchè lo Stato, per far pago il desiderio degli studiosi, erasi assunta la spesa dell'edizione. Trovò i Ministri ben disposti per lui e consigliaronlo di presentarsi al Vicerè, al quale pensò piuttosto di scrivere, supplicandolo che se, per ingrandimento del Regno, si dovesse aggiungere un terzo membro agli ispettori della pubblicati istruzione, fosse in tal caso considerato. Ma l'avversa fortuna, che sempre aveva alle spalle, giurato avendo d'intralciargli ogni via, sopraggiunsero in quel mentre avvenimenti politici che distrassero le menti a più alte cose. L'Austria era di nuovo calata in Italia, e il combattimento di Sacìle, infausto alle armi franco-italiane, costringendo il Vicerè che le comandava, a ritirarsi sulle sponde dell'Adige, mise in pericolo le sorti d'Italia per la quale fu un momento d'angoscia; però breve, imperocchè i rovesci toccati a quella potenza in Germania l'obbligarono di ripassare a precipizio le Alpi.

Giunse infrattanto il giorno che il professore prendevasi comiato per sempre da' suoi scolari e trattò Della letteratura rivolta all'esercizio delle facoltà individuali e delle passioni, argomento alla quinta lezione che rifulge per nobiltà d'insegnamenti e per calore d'affetti. Dimostra in essa che il letterato non deve avere per unico fine la ricchezza o la fama, sì bene l'amore disinteressato e l'onore generoso dell'arte sì ch'ella ridondi di vantaggio alla patria. «E veramente se v'è gioia nobile e pura sulla terra, dice nella medesima, quella certamente si è, al mio parere di dilettare e giovare i propri concittadini, i quali, per quanto l'invidia del mondo e la cecità del volgo e la follia del caso si oppongono, saranno ad ogni modo liberali di stima e di gratitudine a quello storico, oratore o poeta, che ecciterà in essi la cognizione del vero, l'amore del giusto, e i dolcissimi sentimenti della pietà e della virtù.» Indi, licenziandosi da' suoi giovani uditori, ammonivali (poichè l'avversità voleva rotto fra lui e loro quel nodo che li avrebbe tenuti uniti nei principii dell'arte) essere il miglior uso della letteratura quello di rivolgerla alla costanza dell'animo e soggiungeva: «noi acquistando con le lettere questa virtù, sosterremo virilmente la presente disavventura; e in qualche modo la compenseremo, se voi tutti ed io cercheremo almeno l'unione ne' principii della morale letteraria, rivolgendo sempre gli studii all'amor della patria, all'indipendenza dell'opinione, ai nobili affetti del cuore, e alla costanza della mente

L'impressione fatta e ricevuta rilevasi da una lettera al conte Giovio in data 7 giugno 1809, in cui si legge: «Ieri ho pronunziata l'ultima lezione; e tutto che non fosse rivolta che al nudo insegnamento, gli ascoltanti tutti a mezza recita cominciarono a mostrarsi commossi: la sala e le finestre erano affollate di volti che ascoltavano con mesta attenzione; e gli occhi miei, rivolgendosi nel discorso, incontravano molti occhi pieni di lagrime, forse perchè tutti sapeano che m'udivano per l'ultima volta, e che non mi avrebbero più veduto. La lezione passò l'ora di molto, ed io, oltre la stanchezza della vigilia durata per iscriverla e della declamazione, mi sentiva anche vinto dalla commozione comunicatami dagli ascoltanti, e ho dovuto a gran forza raccogliere tutti gli spiriti della voce e del cuore, per poter pronunziare le ultime pagine. E se il della prolusione fu più lieto, questo m'è stato certamente più dolce

In questo modo ebbe termine il professorato di Foscolo, e benchè accompagnato e seguìto da peripezie singolari, luogo a credere che, per la raggiunta soddisfazione dell'amor proprio, sia stato codesto per lui un periodo de' meno ingrati della sua vita. Il Ministro dell'interno gli trasmise un mandato di lire 400 che gli erano dovute per retribuzione solita a darsi al professore cui toccava l'onore d'inaugurare il corso universitario; e la Direzione generale della pubblica istruzione gli accordava lire 500 a titolo d'indennizzo, per le spese incontrate nel suo traslocamento a Pavia, persuasa di addolcirgli la perdita dell'impiego e con questo tenue compenso di poterlo forse quetare. Vengono qui in acconcio, per chiusa dell'argomento, le seguenti parole dell'egregio Emiliani-Giudici11 a dimostrare, che se il Foscolo ha de' critici troppo severi, non gli mancano ammiratori (e questi sono in più gran numero) di ogni parto letterario del suo splendido ingegno. «Il danno che l'Italia raccoglieva da cotesta soppressione della cattedra fu immenso; imperciocchè in poco tempo egli avrebbe siffattamente avvezzata la gioventù nostra a quella maschia costanza di pensare, che la caduta di quell'efimero governo non l'avrebbe – come pur troppo fece – gettata nelle vecchie miserie





10 Giovine bellissimo, primogenito della famiglia, educato al culto delle Muse e splendente per le doti del cuore e dello spirito, perciò caro al Foscolo, lasciò la vita nel tristamente famoso passo della Beresina, laonde il padre, inconsolabile per tanta sventura, di poco li sopravvisse.



11 Storia della letteratura italiana.



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