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CAPITOLO XIII.
Dà principio al Carme alle Grazie. – Episodio amoroso.
Da Pavia, dopo una sosta a Milano, si trasferì a villeggiare sul lago di Como ov'egli ed il Montevecchi eransi accordati di rimanere fino all'ottobre; e in quella guisa che sulle colline di Brescia il genio suo si volse ai Sepolcri, quivi cominciò a dar veste al già concepito Carme alle Grazie. Ma ad Apollo che gli si mostrava spesso propizio d'inspirazioni sublimi parea congiunto dal Fato un altro nume per rendere al Foscolo in ogni dove la vita men trista, ma continuamente agitata dalla più soave e più terribile passione ad un tempo, voglio dire l'Amore. Vittima di questo episodio erotico fu la contessina Francesca, figliuola del Giovio già rammentato, la quale cominciando con l'ammirazione e la stima a sentirsi attratta verso di lui, si accese a poco a poco di passione violenta ed egli, anzichè troncare ad un tratto il male appena il conobbe, si compiacque di accogliere nel suo seno la fiamma e di alimentarla. Scosso però da un motto della sorella, marchesa Porro, che dissegli: Ortis vuol lasciare da pertutto delle Terese, fece senno in tempo da salvare l'onore della fanciulla e il proprio, che n'andava di mezzo, per l'amicizia e la riconoscenza che doveva a quella rispettabilissima famiglia: però troppo tardi per non lasciare piagato un cuore ingenuo di profonda ferita.
Pensò allora di accomiatarsi per sempre da lei e il fece con una lettera la più lunga fra le lunghissime sue, data da Borgo Vico li 19 agosto 1809: lettera che compendia quasi un romanzo, e scritta, non con le passioni forsennate dell'Ortis, sì bene con quella calma di spirito che l'età suggeriva; però con sentimenti non meno commoventi e sublimi. Descrive in essa le vicende di quell'amore, dà ragione del suo operato e cerca di persuadere l'amante a dimenticare un affetto che può ridondare ad infamia eterna di lui e render lei per sempre infelice. «Una mesta dolcezza (dice il Carrer) si diffonde per tutto lo scritto col quale si congeda da una giovane bennata, alla cui mano non avrebbe saputo aspirare senza offendere la gratitudine, l'amicizia e l'altezza de' sentimenti che aveva sempre voluti compagni ad ogni sua azione.»
Ma poichè il caso non ebbe conseguenze funeste riferirò alcuni passi di questa lettera interessante, non a giustificazione del suo autore, ma per implorarne perdono. Chi è dotato di animo gentile e propenso ad amare, sa che lotta gigantesca convenga talvolta combattere fra la passione e il dovere.
«È un anno ormai ch'io sopporto le angoscie del silenzio, e ch'io mi struggo nell'ardore secreto che ci consuma, e che sarà di rimorso e di lagrime a tutta la vita che mi rimane: è un anno ch'io vo combattendo me stesso; e forse la lunga abitudine di sacrificarmi a' miei principii e all'altrui pace, m'avrebbe conceduto di vincermi. Ma come potrò io obbedire a' miei doveri, e lasciarvi ad un tempo nel dubbio ch'io vi ho abbandonata più per indifferenza che per virtù, e ch'io pago d'ingratitudine un cuore che mi si mostra sì passionato e sì nobile? No, mia cara amica: non vi lascierò senza prima accertarvi che voi siete riamata; amata caldamente, teneramente. La riconoscenza a' vostri sentimenti spontanei verso di me, la pietà per la vostra gioventù, la stima alle doti dell'animo vostro fanno puri ed ardenti, faranno sacri e perpetui quei palpiti, che la vostra bellezza e le vostre grazie mi hanno eccitato nel cuore dal primo giorno che vi ho veduta. – Felice giorno!
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Sovente io vi scriveva; ma i riguardi al vostro pudore e alla vostra famiglia mi faceano considerare come delitto ogni linea, e non osava nemmen conservare que' frammenti scritti per voi. ................. Oh potessi almeno scrivendovi, non dirò consolarvi (ah! i sacrifizii non premettono che una tarda consolazione!) bensì apparecchiarvi a uno sforzo, che le mie condizioni e la vostra famiglia e il nostro onore domandano; e lo domandano efficace e prontissimo.
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Io guardava la vostra bella fisonomia quasi ringraziando il cielo che me l'avesse offerta d'innanzi per consolare gli occhi miei, che da molti anni si vanno disgustando ognor più di tutte le cose del mondo; ma nel tempo stesso l'amore per vostro fratello e le gentilezze di vostro padre e la coscienza del mio povero stato vi rendevano meno pericolosa al mio cuore che volgevasi a voi, ma senza timore nè rimorso. Vedeva, è vero, talora gli occhi vostri fissarsi sopra di me; vi vedeva sul volto e più sulle labbra un silenzio mesto e soave, ma io non aveva avuto ancor tempo di distinguere il linguaggio dei vostri sguardi: forse io diceva a me stesso gli occhi suoi si volgono così sempre e naturalmente sopra di tutti e quella mestizia è carattere; e chi sa! fors'anche quel cuore geme in qualche passione. – Così io vi compiangeva, e senz'accorgermi cominciava forse ad amarvi. Ma poteva io presumere che l'indole mia risentita e severa, i miei modi troppo schietti le mie parole assolute, l'età mia che avea già smarrita la freschezza e l'amabilità della prima gioventù, il mio volto solcato innanzi tempo dalla trista mano delle passioni; poteva io presumere che queste qualità innamorassero una giovinetta che vedevami appena, e che forse non mi avrebbe veduto mai più?
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» Vi ho riveduta palpitando, e sperando pur sempre che mi avreste accolto più freddamente. Invece io vi ho ritrovata e più gentile e più mesta e più tenera; e tremava d'accostarmi a' giuochi per non vedervi più davvicino, per non parlarvi, per non tradirmi per sempre. Ma io, condannato a' più ostinati combattimenti, per cedere poi perpetuamente al mio debole cuore, m'avvicinai, vi ho parlato, seppi dal vostro labbro ciò che avea da tanto tempo saputo da' vostri sguardi, seppi d'essere amato: vi dissi.... – oh come porto la pena e il rimorso di quelle poche parole, e chi sa di che pianto dovrò scontarle! – Vi dissi che il voto più caro dell'anima mia era stato quello di rivedervi.
» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ma io le ho pronunziate quelle parole dal fondo del cuore, nè le rivocherò più. Nell'ora della morte d'innanzi al tribunale d'Iddio io dirò che vi amo con tutta la tenerezza e la lealtà; e potesse la mia morte farvi felice! Questo è il miglior premio ch'io possa sperare al mio misero cuore; e sarebbe ad un tempo d'espiazione al mio fallo, ed io troverei la tranquillità che la natura dal mio nascere non mi promette che nel sepolcro. Oh sì! potesse la mia morte farvi felice! Ma finchè io vivrò non sarò mai traditore; e voi non sarete la moglie d'un uomo, che può in faccia al mondo apparire d'avervi acquistata con la seduzione e l'ingratitudine.»
» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ed io amandovi, io desiderandovi sempre più, io più misero forse di voi combattuto dalla ragione e abbandonato dalla speranza, io chiedeva perdono al vostro povero padre; e sembravmi ch'egli mi udisse, e si pentisse della opinione ch'egli avea riposta nel mio carattere, ed accusasse la propria credulità e la mia ingrata perfidia. Così i sentimenti del malaugurato amor mio, della mia tenera riconoscenza al vostro cuore, che mi si è dato spontaneo, della mia pietà all'età vostra, del dolore a cui sentiva di abbandonarvi dopo di avervelo esulcerato io medesimo, combattevano fieramente, ostinatamente coi miei principii, co' pensieri sulla mia sorte povera ed incertissima, con le opinioni della vostra famiglia, co' miei doveri verso la mia, con l'amicizia ch'io aveva giurata a vostro fratello; l'amore insomma con tutti i suoi delirii, l'onore e i suoi rimorsi mi laceravano: voi trattanto, voi povera innocente, eravate la causa e la vittima.
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» E come chiedervi in moglie, come sperarvi da' vostri parenti? Io non sono nobile, e voi vedete quanto profonda sia nella vostra famiglia, quanto superstiziosa e invincibile la stima a ogni titolo, a ogni idolo, a ogni ombra di nobiltà; ostacoli insormontabili, a cui si aggiunge l'avversione di vostro padre e della contessa a' miei principii religiosi e politici. Rido spesso delle opinioni mortali, e talora le compiango negli altri e in me stesso; ma in questo caso io mi vedo in obbligo di rispettarle, perchè affliggerei persone che in siffatte opinioni ripongono tutta la loro felicità, e perchè parrebbe ch'io non le combattessi che per mio proprio interesse. .
» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Addio: ascoltate per carità i consigli del vostro misero amico; abbiate pietà delle sue preghiere; obbedite a' vostri genitori, che non vorranno mai farvi infelice; sacrificatevi alla virtù, unica consolazione delle disavventure: le passioni passano, ma le sciagure restano perpetue nella nostra vita; e se non possiamo evitarle, non dobbiamo almeno esacerbarle co' nostri rimorsi, e renderle irrimediabili.» E termina: «Io vi amerò sempre, ve lo giuro dal profondo del cuore, vi amerò sino all'estremo sospiro; e giuro sull'onor mio di non ammogliarmi, finchè voi non sarete d'altrui. Se l'infermità, se gli anni, se gli accidenti vi rapiranno la beltà e gli agi; se sarete padrona di voi, se sarete disgraziata; se vi mancasse nel mondo un marito, un amico, io volerò a voi: io vi sarò marito, padre, amico, fratello. Ma non sarete mia moglie finchè potrò comparire vile d'innanzi a me, seduttore verso i vostri parenti, e crudele con voi. Addio con tutta l'anima, addio.»
«L'idea di Foscolo maritato (dice il Pecchio con una delle sue lepidezze), mi fa ridere non men di quella di Orlando Furioso, che si strascina dietro, legata a un piede, la cavalla morta senza accorgersene.»
E in vero, la malinconia, la tristezza, la noia che gli erano ovunque compagne; quelle sue ardenti passioni, che a tratti erompevano con impeto come da un vulcano, non si comprende in qual modo si fossero potute acconciare con la vita tranquilla, uniforme della famiglia, nè con la docilità di chi aspira al vanto di buon marito. Quella signorina fortunatamente fu sposa l'anno appresso col colonnello Vautrè, francese.