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CAPITOLO XVII. Il Viaggio sentimentale. – La Notizia intorno a Didimo Chierico. – Di alcune satire. – Di un frammento intorno a Lucrezio. – Sue opinioni politiche, letterarie e religiose. |
CAPITOLO XVII.
Il Viaggio sentimentale. – La Notizia intorno a Didimo Chierico. – Di alcune satire. – Di un frammento intorno a Lucrezio. – Sue opinioni politiche, letterarie e religiose.
Diè in Firenze l'ultima mano alla traduzione del Viaggio sentimentale che volle pubblicata con lo pseudonimo di Didimo Chierico ad imitazione del parroco inglese che assunse quello di Yorick, antico rinomato buffone alla corte di Danimarca. La prima edizione porta la data di Pisa 1813, forse perchè colà la fece stampare il signor Giuseppe Molini, a cui il Foscolo ne cedè la proprietà per 12 anni alle seguenti condizioni: trenta zecchini in contanti, zecchini cinquanta in libri a prezzo di catalogo, e dodici esemplari dell'opera stessa in carta velina. Questa versione, di gran lunga superiore alle altre già pubblicate, devesi riguardare (dice un biografo del Foscolo) sì per la bella e forbita lingua italiana, e sì per esserci ritratta la finezza e lo spirito dello scrittore originale, come una delle migliori e più compiute cose ch'egli abbia fatto. Ed ebbe ragione di dedicarvisi con amore poichè in questa operetta graziosa e dilettevole, di stile faceto insieme e patetico, trovasi quasi in ogni pagina di che ridere e sospirare, laonde il lettore resta in ultimo col rincrescimento che ella sia rimasta incompleta e troppo breve per la morte immatura dell'autor suo.
La notizia intorno a Didimo Chierico, che vi aggiunse in appendice, è una simulata e bizzarra biografia che il Foscolo fa di sè stesso scritta sul fare del libro tradotto. Vi si raccontano cose ora vere, ora allegoriche e fantastiche, frammiste a frizzi pungenti sulla natura dei letterati e poeti del giorno; sentenze strane di cose serie considerate dal lato ridicolo, e cose ridicole prese sul serio. Eccone alcuni saggi. «Celebrava Don Chisciotte come beatissimo, perchè s'illudeva di gloria scevra d'invidia e d'amore scevro di gelosia.
«Teneva gli accattoni per più eloquenti di Cicerone nella parte della perorazione, e periti fisionomi assai più di Lavater.»
«Incolpava il berretto, la veste da camera e le pantofole de' mariti, della prima infedeltà delle mogli.»
«Ripeteva (e ciò più che riso moverà sdegno) che la favola d'Apollo scorticatore atroce di Marsia era allegoria sapientissima non tanto della pena dovuta agl'ignoranti prosuntuosi, quanto della vendicativa invidia de' dotti.»
«Ogni qual volta incontrava de' vecchi sospirava esclamando: Il peggio è viver troppo! e un giorno, dopo assai mie preghiere, me ne disse il perchè: La vecchiaia sente con atterrita coscienza i rimorsi, quando al mortale non rimane vigore, nè tempo d'emendar la sua vita. Nel proferire queste parole le lagrime gli pioveano dagli occhi, e fu l'unica volta che lo vidi piangere; e seguitò a dire: Ahi la coscienza è codarda! e quando tu se' forte da poterti correggere, la ti dice il vero sottovoce e palliandolo di recriminazioni contro la fortuna ed il prossimo: e quando poi tu se' debole, la ti rinfaccia con disperata superstizione, e la ti atterra sotto il peccato, in guisa che tu non puoi risorgere alla virtù. O codarda! non ti pentire, o codarda! Bensì paga il debito, facendo del bene ove hai fatto del male. Ma tu se' codarda; e non sai che o sofisticare, o angosciarti.»
«Nel mese di giugno del 1804, pellegrinò da Ostenda sino a Montreuil per gli accampamenti italiani; ed ai militari, che si dilettavano di ascoltarlo, diceva certe sue omelie all'improvviso, pigliando sempre per testo de' versi delle epistole di Orazio.»
«Ed io in Calais lo vidi per più ore della notte a un caffè, scrivendo in furia al lume delle lampade del biliardo, mentre io stava giocandovi, ed ei sedeva presso ad un tavolino, intorno al quale alcuni ufficiali quistionavano di tattica, e fumavano mandandosi scambievolmente de' brindisi.... esso aveva la beatitudine di poter scrivere trenta fogli allegramente di pianta; e la maledizione di volerli poi ridurre in tre soli, come a ogni modo, e con infinito sudore faceva sempre.»
Questo fatto è confermato dal Pecchio, che dice essersi trovato presente quando Foscolo in quel caffè scriveva nel modo anzidetto.
«Usava per lo più ne' crocchi delle donne, però ch'ei le reputava più liberalmente dotate dalla natura di compassione e di pudore; due forze pacifiche le quali, diceva Didimo, temprano sole tutte le altre forze guerriere del genere umano.
» Non interrogava mai per non indurre, diceva Didimo, le persone a dir la bugia: e alle interrogazioni rispondeva proverbi o guardava in viso a chi gli parlava. Non partecipava nè un dramma del suo secreto ad anima nata: perchè, diceva Didimo, il mio secreto è la sola proprietà stilla terra ch'io degni di chiamar mia, e che divisa, nuocerebbe agli altri ed a me.
» A chi gli offeriva amicizia, lasciava intendere che la colla cordiale per cui l'uno s'attacca all'altro, l'aveva già data a que' pochi ch'erano giunti innanzi.»
«A me disse una volta: Che la gran valle della vita è intersecata da molte viottole tortuosissime; e chi non si contenta di camminare per una sola, vive e muore perplesso, nè arriva mai a un luogo dove ognuno di que' sentieri conduce l'uomo a vivere in pace seco e con gli altri. Non trattasi di sapere quale sia la vera via; bensì di tenere per vera una sola, e andar sempre innanzi.»
Colla mente invaghita dei frizzi del parroco inglese, che professava un culto speciale alla memoria di Don Chisciotte, (di cui Ugo, per ischerzo, si diceva discepolo o discendente) tradusse dal dialetto siciliano una cantata del Meli su questo fatuo eroe, adottando la letteratura per propria Dulcinea. Compose anche un Capitolo (così gli piacque chiamarlo) sul Giornalista: satira mordace, con la quale intese prender di mira specialmente quei del Poligrafo e lo intitolò al conte Leopoldo Cicognara a cui lo spedì da Firenze con la Cantata per la contessa Lucietta sua moglie. A questi illustri coniugi era egli tenuto della conoscenza della Donna gentile. In quanto all'altra satira, di cui parla il Pecchio nel capitolo XII, sta in forse il Carrer di accettarla per creazione legittima di Foscolo, nel dubbio ch'altri, e segnatamente il Zanioli, non v'abbiano messe le mani.
Le postille alle rime di Guido Cavalcanti, che portano la data del 1813, furono forse scritte avanti ch'ei lasciasse Firenze, ma rimasero inedite fino al 1859, quando il Le Monnier per la prima volta le pubblicava.
Un altro scritto inedito con la data 1812-13, è un frammento che ha per titolo: Della Poesia, dei temei, e della Religione di Lucrezio, che termina con queste notabili parole: «E se mai venisse giorno di libertà e di possanza per gl'Italiani, questa sia prima lor cura, di conservare all'Italia la sede della religione di Cristo, la quale benchè tutta insanguinata di delitti, fece tributarie un tempo senz'armi tutti i re e gl'imperatori d'Europa, e trasse a Roma le adorazioni e l'oro degli stranieri. Se non che fors'anche questa religione avrà fine come tutte le umane cose. Ma qualunque sieno le rivoluzioni del cristianesimo, queste due cose dico doversi fare dagl'Italiani, se mai acquistassero libertà e grandezza: ritrarre la Chiesa di Cristo a' suoi principii, e darle magnificenza. La prima cosa la farà meno scellerata, l'altra più utile allo Stato.
Per ritrarre la Chiesa di Cristo a' suoi principii, il Foscolo non intese di dire che si dovesse richiamare alla semplicità e povertà del Vangelo, ma riformarne i dogmi e la disciplina onde riassuma li carattere che le diè il Fondatore. Potrebbe divenire allora non meno scellerata, ma cosa buona e giovevole; però quanto sia in essa possibile una trasformazione che più si accordi con la civiltà dei tempi, è là il Sillabo che risponde. Quand'egli scriveva, i problemi di questa specie si presentavano sotto altro aspetto; ma d'allora in poi la scienza avendo fatto passi giganteschi in avanti e sviluppate le menti all'esame critico delle cose, ci fa sempre più manifesto che cattolicismo e libertà non vanno, nè possono andare insieme.
Nè si deduca dal tratto di frammento su riferito che il cuore del Foscolo fosse chiuso a qualunque sentimento di religione, imperocchè nelle sue opinioni, tanto politiche che letterarie o religiose, non andava agli estremi. Vissuto in tempi in cui gli eccessi della plebe toccarono il colmo della scelleratezza, stimava pessimo quel governo nel quale predominava il popolare elemento. Ciò non ostante presso qualcuno era in voce di demagogo, ma le dottrine dei demagoghi onesti d'allora erano quelle dei liberali moderati presenti, e quelle dei demagoghi d'ora, pel naturale progresso dello spirito umano, saranno la fede delle generazioni future. La letteratura, che dopo il XVI secolo, ultimo il Tasso, era andata cadendo sempre più in basso loco, intendeva egli ricondurre al suo vero ufficio di educatrice del vero, del bello e del buono, terzo in questa nobile impresa, dopo il Parini e l'Alfieri, ristauratori del buon gusto e dei buoni studi. In quanto a religione, tollerante alle altrui credenze, riconosceva necessario alla società umana un principio di fede,15 ma per sè, come avviene al filosofo, non poteva accogliere la rivelazione senza discuterla. Compreso di maraviglia nel contemplare l'armonia dell'universo, avrebbe pur voluto penetrare con l'occhio della mente il gran mistero della creazione onde formarsi un'idea della divinità e adorarla. Per ciò il credente Silvio Pellico deplora con le seguenti due ottave che l'amico sia vissuto nel dubbio; ma è a deplorarsi altresì che i patimenti dello Spielberg, i disinganni del mondo e soprattutto una predisposizione al mistico rendessero troppo ascetica quella candida anima negli ultimi anni della sua vita.
«Ma, sventura, sventura! Uom così degno
D'amar colla sua grande anima Iddio,
In fresca età l'ardimentoso ingegno
Ad infelici dubitanze aprio;
Chè di natura l'ammirabil regno
Opra di cieche sorti or gli appario,
Or de' mondi il Signor gli tralucea,
Ma incurante di umani atti il credea.
Nondimen fra' suoi dubbii sfortunati,
Ugo abborrìa l'inverecondo zelo
Di que' superbi, che, di fè scevrati,
Fremono ch'altri innalzin voti al cielo:
E talor mesto invidïava i fati
Del pio. cui divin raggio è l'Evangelo;
E spesso entrava in solitario tempio
Come non v'entra il baldanzoso e l'empio.»