Pellegrino Artusi
Vita di Ugo Foscolo
Lettura del testo

CAPITOLO XIX. Caduta di Napoleone. – Dissensioni degl'Italiani. – Eccidio di Prina. – Sommossa di Milano. – Promozione del Foscolo a capo-battaglione. – Indirizzo della Guardia civica a Mac Farlane. – Simulate trattive cogli Austriaci. – Eroica risoluzione. – Esilio perpetuo dall'Italia. – Lettera alla famiglia. – Altro furto.

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CAPITOLO XIX.

Caduta di Napoleone. – Dissensioni degl'Italiani. – Eccidio di Prina. – Sommossa di Milano. – Promozione del Foscolo a capo-battaglione. – Indirizzo della Guardia civica a Mac Farlane. – Simulate trattive cogli Austriaci. – Eroica risoluzione. – Esilio perpetuo dall'Italia. – Lettera alla famiglia. – Altro furto.

Finalmente siam giunti alla soluzione della grande tragicommedia che da vent'anni durava. Mentre in Italia il Vicerè teneva ancora in rispetto il nemico sulle coste dell'Adige prima, poi su quelle del Mincio, giunsero le novelle che i confederati entrati erano trionfalmente in Parigi e che Napoleone, ridotto in Fontainebleau con le reliquie dell'esercito, era stato costretto di abdicare. Così questo Briareo dalle cento braccia che, premendo il suolo col piede, faceva sorgere, come per incanto, legioni armate obbedienti al suo imperioso volere, cadde alfine prostrato, e l'ultimo immane sforzo a risorgere con la battaglia di Waterloo non valse che a rendere irreparabile la sua rovina. I popoli erano stanchi di tante carneficine; due milioni di vittime umane, immolate alla sua sconfinata ambizione, gridavano vendetta al cospetto della natura oltraggiata; i sovrani di Europa lo detestavano, e nessun di loro più si fidava delle sue fallaci promesse; le stesse sue creature, innalzate da lui ai supremi poteri, il tradivano. Condannato a finir la vita sopra uno scoglio in mezzo all'Oceano, ben gli stette la punizione, peggiore nel caso suo, della morte più atroce. Umiliato e fremente d'ira e di sdegno, fu lasciato a meditare sulla perduta grandezza, cagione di tante rovine, sulle quali, gettò mai un sospiro di pentimento, si sentì mai pronunziare dalla sua bocca una sola parola di rimpianto. La coscienza de' tiranni è sorda ai rimorsi perchè sdegnano essi di aver comuni le viscere col resto dell'uman genere, e perchè, nella loro superbia, si danno a credere di essere stati chiamati dalla Provvidenza a compiere un'alta impresa nel mondo.

Momento solenne fu questo per gl'Italiani se avessero avuto l'accortezza di coglierlo, imperocchè divenuti padroni di stessi, potevano disporre delle loro sorti. Ma anzichè accogliere unanimamente la proposta del duca Melfi guardasigilli, di eleggere Eugenio re costituzionale dell'Italia indipendente, e d'inviare una deputazione all'imperator d'Austria per implorarne il consenso, si perdettero in vani contrasti. Chi vi avrebbe aderito e chi voleva il ritorno dell'Austria con niuna o poca differenza dall'antica forma: altri amavano bensì l'indipendenza; ma volevano un re d'altro sangue, fosse pur stato di Casa austriaca, e di questa opinione erano i più. Si protrassero tanto questi discordi pareri che gli animi cominciarono ad accendersi ed il popolo a tumultuare. E come sempre in simili casi avviene che la plebe trascorre in disordini, parte per propria inclinazione, parte per gl'instigamenti de' tristi, fu grazia somma se quel terribile uragano si sciolse infine la sera de' 20 aprile 1814 col solo eccidio del Prina, ministro delle finanze, consumato nel modo più barbaro. Ma dopo otto giorni gli Austriaci erano in Milano e il resto fu fatto, come ognun sa, dal trattato di Parigi e dal congresso di Vienna del 1815.

«In quel giorno del tumulto io (dice il Foscolo nella Lettera Apologetica) con lungo pericolo mio tolsi dalle mani di molti manigoldi ubriachi il generale Peyri ch'essi chiamavano Prina; non che sel credessero, ma deliravano stragi; e mel portai fra il petto e le braccia attraverso la folla arrabbiata. Alcuni d'essi sul far della notte mi tennero dietro, e molta plebe con fiaccole dalla lunga, finchè i più prossimi mi s'avventarono, e l'uno mi ravvolse d'una corda e mi stringeva le reni. Io sino dalla mattina m'era armato d'una daga nascosta sotto il soprabito, perchè era giorno piovoso, e camminava tenendola impugnata; così la punta gli fu al collo, innanzi ch'ei potesse strascinarmi con la sua corda; e afferrandolo per un braccio diceva a lui ed ai suoi che mi seguitassero a quel modo tanto, ch'io entrassi in una casa vicina; e se facevan motto, il loro compagno sarebbe scannato. La moltitudine si raffrettò, e i miei manigoldi gridavano che accorresse, ed io che accorresse, movendomi innanzi tuttavia col sicario e la sua corda che mi stringeva le reni, e la mia daga sempre in quell'atto da teatro sino presso al palazzo de' Belgiojoso. Lo spazio della piazza lasciò che la folla si distendesse, e mi circondò; e tutti esclamavano patria. Parecchi riconoscendomi al lume delle loro fiaccole, mi nominarono; e ch'io m'era il galantuomo della tragedia proibita, e che m'avrebbero accompagnato salvo dove volessi. Io più per dar a vedere fiducia, che per alcuna speranza della loro salute, predicai di patria, e di pace e buona morale, e che andassero a' loro figliuoli. Parevano spossati tutti della furia di tante ore, e si rimanevano ad ascoltare

Fo seguire a questo racconto l'appresso citazione del Carrer che maggior luce sulla condotta del Foscolo in quell'emergente.

«E non mancò chi lo accusasse di essersi mischiato a coloro, che per non lasciare incruenta la caduta del regno, sparsero il sangue di un ministro delle Finanze che appiattavasi fuggitivo e travestito da prete. In un libretto di Ragguagli, stampato a Lugano nel 1829, fu risposto a simile accusa; ma più efficace documento troviamo nell'opera intitolata: Dernière campagne de l'armée franco-italienne sous les ordres d'Eugène Beauharnais en 1813 et 1814, par le chevalier S. I.*** pubblicata la prima volta a Parigi, indi ristampata a Lugano nel 1817. Leggesi quivi a facc. 104, che, il Foscolo ben lungi dall'associarsi a' carnefici dello scigurato ministro, gli arringò animosamente e con proprio pericolo dai balconi della casa di un vinaio prossimo al teatro della Scala, nella quale erasi potuto per brev'ora sottrarre all'impeto micidiale quel corpo, lacero di già e sanguinoso, pur vivo ancora. L'autore del libro si dice testimonio oculare del fatto. Ed altra testimonianza di molto peso troviamo nelle note apposte a questo libro dal maresciallo, allora generale Pino, nelle quali è annoverato il capo battaglione Foscolo tra coloro che cooperarono al nobile tentativo d'impedire i funesti effetti del ferino commovimento

Nella breve durata della Reggenza fu egli dal grado di capitano promosso a quello di capo-battaglione, che chiesto invano aveva prima le tante volte; ma appena gli Austriaci ebbero preso possesso di Milano, mandò al Governo provvisorio la sua dimissione che non venne accettata.

A lui si attribuisce la compilazione dell'Indirizzo che la Guardia Civica di Milano presentò al generale inglese Mac Farlane li 30 aprile 1814 per reclamare dalle alte Potenze alleate un regno costituzionale indipendente. Questa sua ultima produzione in Italia è pur degna di lui perchè breve, energica, e dignitosa al pari dell'accoglienza che s'ebbero gli Austriaci al loro ingresso in Milano dalla stessa Guardia, ascendente al numero di seimila cittadini, che mesta e silenziosa li ricevette.

Ma il parlare di libertà e d'indipendenza era oramai più che utopìa, delitto, e gli ufficiali di Casa d'Austria, consci o presaghi di ciò che avrebbe risoluto il congresso di Vienna relativamente all'Italia, pensavano a consolidarvi frattanto il potere novellamente riacquistato. A tale effetto l'un d'essi, il conte di Fiquelmont, quartiermastro generale dell'esercito, giudicando quanto potesse tornar utile alla causa del suo Governo l'adesione del Foscolo, il richiese di un piano di un nuovo giornale letterario, offerendogliene la direzione coll'emolumento di seimila franchi. Sussidiata da tale stipendio fu poscia in fatti pubblicata la Biblioteca Italiana dall'Acerbi, ma il Foscolo per guadagnar tempo da mandare ad effetto una sua eroica risoluzione, finse di aderirvi, e fece proposte che furono spedite al ministero in Vienna.

«Questa trattativa, dice il Pecchio, naturalmente condusse tra lui e gli astuti mecenati quello scambio di civiltà che sono in uso anche fra i più inveterati nemici. Questo suo contatto cogli stranieri era interpretato con acre severità da coloro che avrebbero voluto che gl'Italiani vivessero lontani da ogni commercio con gli Austriaci, non meno che facevano gli abitanti dell'Italia nei secoli delle irruzioni settentrionali dei Vandali e Longobardi. Foscolo s'accorse troppo tardi che la sua condotta dava un appiglio alla maldicenza. Un dopopranzo lo incontrai mesto e corrucciato fuori di Porta Orientale lungo quel viale di pioppi che conduce a Loreto; e dopo aver camminato lungo tempo senza far motto, alla fine ruppe li silenzio dicendomi: – Tu che sei avvezzo a dir la verità agli amici ed ai nemici, dimmi francamente, che si dice di me nel pubblico? – Se tu continui queste tue tresche con gli Austriaci, gli risposi, i tuoi nemici diranno che sei una spia di loro. – Queste parole furono come un fulmine. Si mise a precipitare i suoi passi; il suo volto si offuscò. Non disse più nulla. Il giorno appresso intesi che senza congedo dagli amici, senza passaporto del governo, senza danari, era partito per la Svizzera. O ch'egli fosse complice della congiura dei militari, appunto in que' giorni scoperta, e fosse per lui urgente il porsi in salvo, come da alcuni si pretese; o quella mia risposta senza metafore gli avesse spalancato dinanzi l'abisso dell'infamia, fatto si è che dopo tante traversie e vicende, senza amici, senza beni, non ricco d'altro che di fama, ebbe il coraggio di cominciar di nuovo la vita, ramingo per l'Europa già piena a quel tempo di addolorati ed infelici. In questa circostanza più che tutto mostrò essere lui l'originale del Iacopo Ortis, e il suo romanzo diveniva per la seconda volta una trista realtà

Le asserzioni del Pecchio vanno corrette; perciò mi profondo alquanto nell'argomento trattandosi di un punto assai delicato nella vita del Foscolo. Quando avvenne l'incontro e il colloquio, di cui fa parola il Pecchio, il suo partito era già preso, e va retrotratto a quel giorno che si tentò di compromettere l'onor suo col detto giornale e che sentì gli si voleva imporre un giuramento di fedeltà militare. «Per guardarmi dalle spie dilettanti (dic'egli) e dalle involontarie, mi feci misurare il dosso da un sartore, che m'abbellisse di un abito soldatesco all'austriaca: e indugiandomi lietamente sino al penultimo giorno, riparlai al consigliere Schœffer, ottimo uomo che amministrava le faccende della finanza; e lo tentai se v'era modo ch'io mi partissi liberamente con un passaporto, e prometterei da gentiluomo di non ingerirmi in cose politiche, ma ch'io non vorrei giurare fedeltà militare. Pur udendomi rispondere, che dove un solo fosse privilegiato io goderei dell'immunità, ma che giurare dovevano tutti a ogni modo, mi avventurai sul far della notte (30 marzo 1815) all'esilio perpetuo: e a mezzo del giorno vegnente, mentre gli altri circondati da' battaglioni di ungheri proferivano il giuramento, mi veniva fatto di toccare i confini degli Svizzeri; non perchè io mi sperassi un asilo: ma bensì le loro Alpi, e la loro indigente venalità mi promettevano nascondigli

Così nella già altre volte citata Lettera apologetica; indi in una alla famiglia scritta nel momento della partenza, ripete: «L'onor mio e la mia coscienza mi vietano di dare un giuramento che il presente governo domanda per obbligarmi a servire nella milizia, della quale le mie occupazioni, e l'età mia, e i miei interessi m'hanno tolta ogni vocazione. Inoltre tradirei la nobiltà, incontaminata fino ad ora, del mio carattere col giurare cose che non potrei attenere, e con vendermi a qualunque governo. Io per me mi sono inteso di servire l'Italia; , come scrittore, ho voluto parer partigiano di Tedeschi o Francesi, o di qualunque altra nazione. Mio fratello fa il militare, e dovendo professare quel mestiere, ha fatto bene a giurare; ma io professo letteratura, che è arte liberissima ed indipendente, e quando è venale non val più nulla. Se dunque, mia cara Madre, io mi esilio e mi avventuro come profugo alla fortuna ed al Cielo, tu non puoi, devi, vorrai querelartene, perchè tu stessa m'hai ispirati e radicati col latte questi generosi sentimenti; e m'hai più volte raccomandato di sostenerli; e li sosterrò certamente. Non sono figliuolo disleale e snaturato se ti abbandono, perchè vivendoti più lontano, ti sarò sempre più vicino col cuore e con tutti i pensieri; e come in tutte le vicende della mia diversa fortuna io fui sempre eguale nell'aiutarti, così continuerò, Madre mia, finchè avrò vita e memoria, e la mia santa intenzione e la tua benedizione m'assisteranno

E in data 24 febbraio aveva scritto alla contessa d'Albany: «La non pigli il mio silenzio a tristo augurio, e la non voglia, la supplico, appormelo a villania. Mi sono trovato e mi trovo a fierissime strette: il fare è vile, e il non fare è pericoloso; ma ella può stare sicura che chiunque è stato onorato e agguerrito dalla sua amicizia, anteporrà sempre, e lietissimamente, il pericolo alla viltà

Come se tutto ciò non bastasse a difesa, i suoi incorreggibili nemici han pur voluto ch'egli ondeggiasse alquanto, il che io coscienziosamente non credo. Volendo anche ammettere che per un momento gli sorridesse agli occhi la prospettiva delle lusinghiere promesse austriache per certo fu un lampo che sparì tosto che la mente sua, raccogliendosi, potè misurare la profondità del precipizio che le si parava davanti.

In quanto poi alla congiura militare, il Carrer non crede affatto ch'ei vi fosse intricato, poichè la proposta di difendere il suo amico Brunetti, tradotto nelle carceri di San Giorgio di Mantova cogli altri accusati, sarebbe stata offerta più pazza che generosa se avesse dovuto temere per medesimo.

Che non si sarebbe mostrato prodigo di soccorsi soltanto a parole dava già un saggio con la lettera su riferita, poichè rimetteva nello stesso tempo a sua madre un pagherò a vista di 400 lire italiane, e le annunziava l'invio di un imperiale, ossia baule di carrozza, pieno di effetti d'uso, che malauguratamente non giunse mai al destino. Un amico suo sino quasi da fanciullo a cui lo aveva consegnato, ne affidò con leggerezza la spedizione ad un antico servitore del Foscolo, che lo scassinò, appropriandosene il contenuto, consistente in biancheria della meglio che avesse e argenteria. miglior sorte toccò a molti oggetti pregevoli lasciati nella propria abitazione che, invasa da' suoi conoscenti, fecero a chi più n'ebbe.

Ma ciò che maggiormente gli dolse fu la perdita di un bicchiere su cui stava scritto Felicitati, perchè gli rammentava una dolce memoria ed era un ricordo dell'amico Brunetti che gli portò in regalo a Pavia il giorno della Prolusione. Con quello gli amici, convitati da Foscolo a banchetto dopo la cerimonia, si erano scambiati brindisi di felicità mandandolo in giro pieno.

Furono salvi i libri perchè lasciati presso Silvio Pellico chiusi in casse, non avendo portato seco che un Tacito, un Virgilio e un Omero (l'Iliade) postillato dall'Alfieri, che tenea in regalo dalla Contessa. L'Odissea che, in altro volume, faceva parte di questo prezioso dono, essendo rimasta in Italia, gli fu spedita con altre carte importanti dallo stesso Pellico nel 1816.


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