Pellegrino Artusi
Vita di Ugo Foscolo
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CAPITOLO XX. Hottingen. – Una vera amica. – Cenno biografico sulla medesima. Corrispondenza epistolare con la Donna gentile.

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CAPITOLO XX.

Hottingen. – Una vera amica. – Cenno biografico sulla medesima.
Corrispondenza epistolare con la Donna gentile.

Dopo di avere alquanto ramingato per la Svizzera20 prese ferma dimora presso un parroco protestante in Hottingen, piccolo paese in prossimità di Zurigo ove, per sottrarsi alle ricerche della polizia, assunse il nome di Lorenzo Alderani, l'amico di Iacopo Ortis, e colà rimase fino all'agosto del 1816, non dimenticando mai la famiglia. Erasi imposto di scriverle tutte le settimane e in quelle lettere, piene di affetti domestici, a cui rispondeva la sorella Rubina, si raccomandava spesso di ricevere almeno due sole righe di pugno della sua cara vecchiarella, (la madre).

Privo di libri leggeva tutti quelli gli venivano per caso alle mani, ed erano il più sovente opere di teologia dell'ospite suo. Poi trovò occupazione a pubblicare alcune delle sue opere, come si dirà in seguito; ma la vita monotona e stentata, l'isolamento e il freddo di cui soffriva, erano spesso argomento alle lettere che dirigeva alla Donna gentile, della quale in quel luogo di sofferenze, con maggiore affetto si ricordava.

O che sventuratamente s'imbattesse in gente (come purtroppo trovasene ovunque) atta a disonorare il proprio paese, ovvero che l'angosciato animo gli facesse veder tutto a foschi colori, cadono spesso i suoi lagni anche sulle persone con le quali aveva commercio, così che il complesso delle cose da lui descritte all'amica e agli altri suoi cari desta la compassione. Ma se la sventura è pur buona a qualcosa, come vuole il proverbio, ebbe a verificarlo il Foscolo questa volta che gli scoperse un tesoro nella squisita gentilezza d'animo della sua amica, nell'inalterabile e calda amicizia di lei, nella sua indulgenza e nella bontà di cuore; e conobbe allora che, da sua madre in fuori, non avea sulla terra persona che più sinceramente lo amasse; onde a lei ricorreva e non mai invano ne' suoi più urgenti bisogni, anzi ella li preveniva per torgli la umiliazione della dimanda.

Era essa caduta gravemente malata quando un caso singolare mise parimente in forse la vita di lui che, proclive com'era a spassionarsi e far palesi le sue vicende, gliene tesse il racconto, e nell'intimità dell'affetto le manifesta l'idea, a quel tempo venutagli, che poi sfortunatamente non fu coltivata, di scriverle in forma di lettere, un sunto della sua vita a cui ella medesima il confortava. Benchè il proposito non avesse poi compimento, c'è non per tanto a raccogliere, sparsi qua e , nella corrispondenza epistolare coll'amica, molti particolari i quali, oltrechè a dipingere la trista situazione di quel periodo della sua vita, servono a dimostrare il grande animo e l'ottimo cuore di lei. Riporto perciò diversi passi delle lettere loro, per fare eziandio manifesto di quali nobili sentimenti fosse ella nudrita, e ad esempio di chi non abbia un'idea esatta della vera amicizia; ma per meglio intenderli stimo bene farli precedere da un brevissimo cenno biografico intorno a quella benemerita donna.

La Quirina nacque a Siena nel 1781 da Ansano Mocenni, onesto e dovizioso mercadante, e da Teresa Regoli la quale, per la coltura dello spirito e la gentilezza de' costumi, attraeva in sua casa le persone più ragguardevoli della città e di fuori; fra queste Vittorio Alfieri. La figliuola ereditò dalla madre l'amore alle lettere e il gusto del delicato sentire; e dal padre quel senso pratico e positivo che crea l'arte di ben dirigere l'azienda di una famiglia. Nel 1801 fu data in moglie a Ferdinando Magiotti di Firenze, il cui vecchio padre, Camillo, non vide come poter meglio riparare alla sventura di questo unico figlio, privo del bene dell'intelletto, se non coll'affidarlo alle cure di una compagna che, dopo alla morte sua, il custodisse con affetto e il mantenesse in quegli agii di cui la fortuna gli era stata assai prodiga. Fu benefica e saggia, consigliatrice del bene: delle prime a favorire gli Asili per l'infanzia, diessi anche a migliorare le condizioni del minuto popolo.

La vita piacevole e lieta a cui si dava in città, coltivando le lettere e rallegrando la casa sua di concerti musicali, ove convenivano le donzelle più abili nell'arte del canto, non la distoglieva dalle occupazioni domestiche e dalle cure campestri per migliorare ed accrescere le sostanze del marito che consistevano in fondi rustici. Ritraevasi spesso in villa per vigilare alle rurali faccende ed il Giornale Agrario Toscano ebbe a parlare con lode dei perfezionamenti da lei introdotti.

Tale fu questa impareggiabile donna in cui le belle doti dell'animo non erano disgiunte, come già si disse, alla piacevolezza della persona. Morì li 3 luglio 1847 nella casa di sua proprietà, via del Melarancio 3, ove religiosamente conservansi ancora manoscritti del Foscolo; e dorme il sonno eterno ne' chiostri di Santa Maria Novella.

Ora vengono gli estratti di lettere rammentati.

«Alla Donna gentile.

Hottingen, 5 dicembre 1815.

» Sperava di poterti scrivere da più giorni; ma da più giorni sono a letto per un accidente che quasi mi ha tolto la vita, e che senza quasi mi torrà per più mesi le forze: ed è la seconda volta che mi succede; la prima, per colpa mia e per imperizia del mio carnefice, questa volta da . Dio m'avea mandato il freddo secondo i panni, perchè da quando mi son messo in viaggio, non mi sono mai risentito di neppur una delle infermità che annoiavano la mia vita a Firenze: ma tu, cara amica, le consolavi; e torrei volentieri di avere di nuovo quelle mie malattie, purchè fossi nel tuo caro paese, e ti rivedessi seduta presso il mio letto. L'unica noia che mi minacciò, fu il mal d'occhi; e poichè le cure passate non giovavano, ho voluto motu proprio scrivere una ricetta di sanguette, e me ne son fatte applicar due dentro le narici. Ma il barbiere (qui barbitonsore e chirurgo sono tutt'uno, aggiungi alle volte anche boia), benchè avvertito e riavvertito da me, si lasciò guizzare di mano una di quelle bestiuole. La s'attaccò ad una venuccia sul collo delle narici: la staccai con troppa fretta e lacerai la vena; ed ho perduto tanto sangue, che senza quaranta giorni di bagnature a Baden d'Argovia, ora forse non potrei reggermi in piedi. Questo avvenne sul finire d'Agosto; e come allora io, dopo quasi dieci ore di sangue perduto, non a goccia, ma a pioggia, l'abbia fatto ristagnare fu cosa miracolosa in questi luoghi, dove, veggendosi a mezzo luglio la neve sulle montagne, non si usa ghiaccio nelle emorragie e non s'hanno ghiacciaie; e spesso alcune sciagurate che si sconciano per vergogna, muoiono dissanguate per ignoranza di sì potente rimedio; ma di ciò ti scriverò, potendo, una lunghissima storia. Per allora, dopo i bagni, guarii della debolezza e degli occhi. Ma, sia la mia dieta, alla quale mi sono appigliato per elezione e per necessità, sia la tristezza nella quale, dopo il freddo e la oscurità della stagione, io tutto solo mi rodo, il sangue tornò a spicciare da dopo due mesi e di notte. La neve che è ghiacciata all'uscio del mio tabernacolo, mi giovò a rattenere il sangue; non però mi liberò dalla debolezza, e da una febbre lentissima, malinconica, alla quale non do molto retta, benchè mi venga sul labbro certo versetto di San Paolo (a Timoteo, se ben mi ricordo): ecco sarò sacrificato, e il giorno della mia pellegrinazione sta per finire

«Hottingen, 20 dicembre 1815.

» Qui, con questo freddo, nella mia montagna fatta più alta dalle nevi impietrite, chiuso nella mia stanza, non godo se non se della compagnia, numerosissima e graziosa a dir vero, ma taciturna, degli uccelli, a' quali apparecchio fuori delle invetriate da colazione, da desinare, da merenda e da cena ogni giorno. E vengono in frotta a pigliarsela; e, s'io me ne dimentico o indugio, picchiano col becco ne' vetri tanto ch'io me ne accorga: pure, se quelle innocenti creature non avessero bisogno di me non verrebbero! – Vedi dunque cosa io mi devo aspettare dalle creature che hanno più malizia, e il peccato originale del primo padre; e che, oltre al non avere bisogno di me possono temere ch'io abbia bisogno di essi, e immaginare pericoli e scuse: però mi rassegno a' decreti del Cielo e della Natura. Lascio gli amici freddi nella loro quiete: non vo' tentarli, affinché, per mostrarmi la loro fede od essere meco pietosi, non sieno forse crudeli a stessi.»

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» Or primamente, mia cara e dolcissima amica, io ti auguro le buone feste e il buon capo d'anno: e in questi giorni che ci rende sacri la consuetudine de' nostri avi e bisavi, una certa domestica religione, e la gioia schietta che in questa solennità avevamo in casa nostra sin da fanciulli, e di cui la reminiscenza rallegra poi la nostra età men saggia forse, e certamente assai meno allegra, in questi giorni, mia cara amica, io provo più malinconico il desiderio di rivedere la mia famiglia. E se pure non potessi dividere sul desco il pane di Natale con la Madre mia, mi parrebbe di esserne consolato se potessi rompere teco uno di que' panforti di Siena e me ne hai pur regalato uno, oggi il terz'anno! Ma sia così! forse sarà sempre così, e ne prego il Cielo, perchè davvero, quantunque io sia nato stampato, allevato per la solitudine, non però posso avvezzarmi a questo romitaggio, e a starmene col cuore deserto di dolci e presenti affetti, e a non incontrare persona che sia cara e aspettata dagli occhi miei e a non udire voce amorosa, armoniosissima più di qualunque musica; voce di donna amata, di amico, di fratello e di sorella e di Madre. Ma sia così! E affliggendomi, vedo che ti affliggo; questo ad ogni modo ti rallegri, che io sono forte pur sempre e preparato, e con la coscienza non solo pura, ma abbellita di azioni virtuose e nobilmente mesta per isciagure non meritate;21 ed inoltre mi riconforto sperando di ritrovare un giorno in te sola, se non tutte le persone che mi sono care, la persona a ogni modo che non mi lascerà mancare nessuna delle consolazioni che io aveva dalle altre!»

«Hottingen, 27 dicembre 1815.

» Ora torno a parlarti de' fatti miei. Dico adunque che tu mi fai ridere quando mi ti raccomandi ch'io lasci andare la mia sobrietà, e ch'io mi nutra di buone carni. La sobrietà m'incresce, sì perchè è omai lunga, sì perchè è forzata, e sì perchè mi vedo tutti i giorni davanti la stessa prebenda. Ma io sto sopra una montagna; in casa un parroco; a dozzina di tre in tre mesi, e devo stare a quello che la casa : ho altre carni se non lesse, anzi slavate nell'acqua, e certe minestre le quali mi sono or tanto insipide, or tanto schifose, ch'io spesso vado a letto col ventre in convulsioni; e sono pochi giorni ch'io non patisca la fame. E quando avessi modo da comperare, dovrei pure far correre tre grosse miglia, le quali per la salita e per gli eterni ghiacci ne vagliono tredici e più. E poi chi saprebbe cucinare? Davvero ch'io non so come mi regga in piedi: mi sostento di mele cotte con lo zucchero e di the, all'alba, a merenda ed a sera, perch'io vo a letto all'ora de' polli; e stamattina t'ho cominciato a scrivere a lume di candela. Così risparmio a gara danari e sanità, diceva quel Fiorentino: io risparmio solo un po' di tempo, perchè la dieta mi fa vegliare, e sto a letto meno che mai. E che letto! te lo descriverò un'altra volta. A uscire da questa povera casa e vivere più umanamente, bisognerebbe andare a un Albergo de' buoni: ma costa carissimo; ed io (tu mezzo piangerai e mezzo riderai) io dal giorno quarto d'ottobre che ho pagato il trimestre all'ospite mio, e mi sono provveduto di the, zucchero, candele, carta ec., io d'allora in qua non ho avuto nel mio borsellino se non una moneta d'argento che vale 15 soldi di questi paesi. l'ho mai voluta spendereperchè danaro chiama danaro, com'è il proverbio, sì perchè il nulla mi spaventa; e me la tengo cara, e ho lasciato che il mio prete paghi la lavandaia e la posta; e fra pochi giorni e' verrà col conto. Ma se da Milano continueranno a non darmi segno di vita, io non so davvero a che parete picchiare la mia povera testa. Scrivo a tanti: ad amici beneficati, ad amiche, non che mi dieno i loro denari, bensì che n'informino intorno ai miei: o non rispondono, o appena due righe senza conclusione, e sempre tardissimo. Che non vi sieno più viscere umane in Milano

Poi la ringrazia di un nastro per l'oriuolo mandatogli per ricordo.

In data de' 30 dello stesso mese accetta le generose esibizioni dell'amica, e, dopo averle dato avviso che la necessità lo ha costretto di trarre su di lei una cambiale, a 15 giorni vista di 58 monete fiorentine le quali, in aggiunta a monete 60 circa pagate ad altri antecedentemente per conto suo, il creavano debitore di queste due somme, prosegue la lettera:

«Or però ti prego di sapermi dire di quanto, in tutto, sono tuo debitore: te ne prego e te ne scongiuro. Pensa che non si tratta de' tuoi interessi, ma sì della mia delicatezza. E quanto al rimborsarti, tu hai que' miei libri: inoltre ti farei, se non ti rincresce, anche avere i libri restati in Babilonia, e che scamparono in gran parte il naufragio, perchè quando tornai in Toscana non li levai tutti dalle casse ov'un anno innanzi io li aveva serrati, e si rimasero presso il primo depositario. Tu conserverai quella piccola biblioteca: se avrai bisogno di danaro la venderai. So che i libri sono mercanzia vile quando s'ha bisogno; pure sono tanti, ed alcuni sì rari, che non mi pare difficile il cavarne un cento di scudi. Io fra un anno o vivrò fuori di queste angustie, o mi morrò; nel primo caso, ti manderò, anzi farò ogni mio possibile di portarti io stesso il danaro, e leggerò poscia teco que' libri; e se morrò, ti sieno eredità dell'amico tuo; e questa lettera sigilli come testimonio e il debito mio a lasciarti questo legato, e la gratitudine e l'affetto sacro, dolcissimo che mi muovono a farlo.»

E termina

«Il laccio non l'attaccherò se non domani l'altro mattina, appena vedrò l'alba del nuovo anno; perchè se in quest'anno, che fu di tristissima luce per me, mi servissi del tuo dono amoroso, crederei di guastare le buone speranze che mi ha improvvisamente portato. Or addio, addio

A questa lettera rispondeva la Donna gentile il 12 gennaio, scherzando sul gran pensiero che l'amico si dava pel danaro prestatogli e proseguiva: «Se tu mai ne avessi di troppo del tuo, da farti peso nel cuore il poco mio, ti prego per allora a sollevare con esso qualche misero.... E i tuoi libri non temere di perderli, io te li conservo, e li riavrai quando vorrai.

» Se il nuovo anno ti riconducesse in Toscana lo sa Iddio se ne sarei pazza di gioia; e piaccia a Lui di aprirtene la strada una volta! Or addio, mio caro tienimi sempre e poi sempre per la più fida e sincera amica che tu abbi mai avuto, o sii per avere nel presente, passato e futuro tempo; la politica, le opinioni, le invidie sono bastanti a farmi esser teco diversa da quello che fui, che sono, e che sarò. Amen

E con altra, in risposta a quella de' 20 dicembre, diceva:

«Oh quante volte ho desiderato divider teco il panforte di Siena! e mangiandone vi ho sparso qualche lagrima, pensando ai tempi passati. Ma almeno spero che avrai ricevuto una mia lettera con entro un laccetto da oriuolo fatto con le mie mani. Ricorditi di me e sii felice, io te lo desidero di cuore ....»

«Alla Donna gentile.

» Hottingen, 6 gennaio 1816.

» Miracolo che io, soffocato in questa stanza senz'aria, e e notte al caldo della stufa, non abbia perduto il capo! posso escire senza affrontare l'asma, e i reumi, benchè alle volte la noia e l'affanno, e più spesso la necessità, m'incalzino a pestare la neve e a sdrucciolare sul ghiaccio per tre o quattro miglia. Vedi disgrazia fra le altre! qui e ne' paesi vicini non ho potuto accattarmi per danaro neppure uno di que' corpetti di lana a maglia che io era solito a portare sulla pelle anche in Toscana; ed oggi te ne parlo con dolore perchè sento più che mai il freddo che mi tormenta l'ossa, mentre la stufa mi annebbia il cervello.22 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»

Indi le narra l'avvenimento del baule rubato e prosegue:

«Ed anche per tua consolazione ti dirò che le mie care Grazie scamparono dal naufragio: non ch'io abbia potuto condurle meco, ma il mio cuore paterno non sofferse di lasciarle con gli altri mobili, e sono in salvo; e se io non le ho qui, dipende dall'avere temuto che le si smarrissero su per l'Alpi e le nevi. Farò d'averle presto e te ne manderò de' lunghi squarci per volta; elle sono già adulte

Il Foscolo parlava sempre con grande predilezione di queste sue Grazie e via via che le andava compiendo e perfezionando le chiamava coi teneri nomi di bambinelle, giovinette ec.

E in fondo alla lettera:

«Or concludendo (perchè non ho più occhi testa, e, come vedi, la mano mi trema), concludendo dico, che la mattina di lunedì primo dell'anno, dopo di essermi alzato e lavato a lume di candela, ho spiato il primo momento in cui levavasi il sole; e con mani pure e mente piena di speranza, e con cuore ardente, mi sono attaccato il tuo nastro all'oriuolo. E così mi è anche passata la volontà di vendere quella povera ripetizione per ora: ma bisognerà pure che un o l'altro, se la sorte non sorride, io la venda; e allora mi porterò il nastro attaccato al collo, come il parroco di Didimo portava il nastro d'Elisa

La risposta a questa lettera è de' 16 gennaio. Vi si legge:

«Avrai avuto lettere da Silvio, (parla di Pellico) caldo sempre d'amore e d'amicizia per te. Anzi m'impone dirti, che egli si è adoprato quanto ha potuto per le tue riscossioni, ed ha consegnate fin da molto tempo alcune tue robe alla persona da te indicata; ma di queste non sa se ti sieno pervenute, e per quelle non gli fu possibile ottenere l'intento. E poi aggiunge mille cose in contrassegno della sua devozione salda, irremovibile, della quale vorrebbe che tu fossi persuaso, e lo cancellassi dal numero di quelli che mal si sono portati teco . . . . . . . . . . . . . . . .

» Or vorrei pure indovinar la maniera di farti pervenire de' corpetti di maglia, ma temo che ti costerebbero troppo; e tu frattanto tremi dal freddo, e io non so quel che mi fare. Ridi un poco d'un'idea donchisciottesca: dopo che so esser tu per necessità senza lana indosso, ho buttato via le camiciuole ch'io tenevo, parendomi di sollevarti alcun poco soffrendo teco; e non vado a teatro, e mi sto tutta chiusa in casa delle intiere settimane, parendomi di tenerti compagnia; e ti parlo, ti chiamo, e sospiro quelle ore beate che teco passavo nel 1812, e le lacrime scorrono caldissime.... Mi consolo almeno per la salvezza delle tue Grazie; e sallo Iddio se mi saran cari gli squarci che mi hai promessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» La Contessa ha detto a tutti i tuoi conoscenti e indifferenti e cattivi e maligni e oziosi il contenuto della tua troppo lunga lettera. La è donnaccia, pettegola, senza cuore: io te l'ho scritto mille volte quando eri in Milano, e avevo mille ragioni per dirtelo; e non l'ho voluta mai più vedere, malgrado che nella mia pericolosa malattia cercasse le mie nuove tutti i giorni, e dicesse bene di me; e forse, dimenticatasene, ne avrà detto poi male dopo due giorni. Ma siffatta gente non fa per me; e me ne sto piuttosto sola sola, che umiliarmi a loro.

» Ti ringrazio dell'amorosa accoglienza fatta al mio nastro; e vorrei pure che fosse il precursore di maggior fortuna, come nel farlo io aveva mille presentimenti di felicità che mi consolavano. Spero anche che non avrai bisogno di vendere la ripetizione; e volendola vendere, la comprerò io.

» Addio: sono stanca, non istò bene, prega Dio qualche volta per la tua amica

Il banchiere che prese la cambiale sulla Mocenni aspettava di sentirla pagata prima di sborsare la somma al Foscolo, il quale, frattanto, viveva nelle più grandi angustie, come apparisce dal seguente estratto di lettera in data 20 gennaio 1816.

«Or sappi, mia cara amica, ch'io non ho mai dubitato della cambiale: sapeva che tu la pagheresti, ma il tempo mi stringeva. La vergogna mi ha fatto indugiare a chiederti aiuto; la speranza che da Milano mi si continuerebbe a spedire danaro mi lusingava. Intanto venne il termine del trimestre e dell'anno: passarono alcuni giorni: io non sapeva come guardare in viso il mio ospite, povero e creditore. Nella prossima città sono conosciuto; e non ardiva comparirvi a vendere quel poco ch'io ho di qualche valore. Ho dunque pigliato il partito di andare nei paesi d'intorno, e sempre a piedi, vendendo ora un anello, or un altro dei sei o sette pendenti dal mio oriuolo; ma quel poco ch'io ne cavava bastava appena a vivere in quel tristo pellegrinaggio.

» Mio pensiero principale era vendere il mio oriuolo ma sto in terra di gente povera, e che nondimeno vive da ricca, perchè è senza lusso. Molti lo ammiravano, nessuno lo comperava; e due oriuolai m'esibirono, l'uno tre luigi, l'altro poche lire di più. Se questo indegnissimo prezzo fosse bastato a saldare i miei conti col parroco, avrei pur dato, gemendo, quel disgraziato oriuolo. Me ne tornai dunque stanco, rotto dal freddo nelle ossa, con tre di quegli anellini di meno, e col terrore di rivedere in viso il mio creditore. Io non ti so descrivere due circostanze tremende all'anima mia: l'una il rossore col quale io profferiva la mia mercanzia, l'altra, la diffidenza con che i compratori m'andavano squadrando dalla testa alle piante! Ecco cosa io devo patire in questi giorni, ne' quali ho chiuso l'anno trentesimosettimo della mia vita!23 Frattanto, stamattina ho mandato il prete in persona al banchiere di Zurigo con una lettera, nella quale gli dichiaro che la cambiale fu pagata il 19, e che, se non gli rincresce, conti o tutto o parte della somma al buon prete. Egli non è peranche tornato; ad ogni modo, tornerà con la certezza d'esser pagato, dacchè il banchiere avrà, non foss'altro, avuto l'avviso che la cambiale è stata accettata: però tu vedi quanto io devo sempre più ringraziarti

Le parla di un libretto raro che le manderà in dono e termina: «Della mia Odissea ti narrerò ogni cosa per lettere, e mi conoscerai fino nell'utero materno: ma non per filo e per segno; bensì or una parte, or un'altra della mia vita, notando esatto l'epoche, ma non seguendole ordinatamente, sì perchè non ho testa a tant'ordine, e sì perchè scrivo non quando me lo propongo, ma quando e come posso, e pigliandomi di grazia ciò che la mia memoria mi manda alla penna. Scriverò ad ogni modo tanto e sì spesso, e noterò li anni e i mesi in guisa, che altri potrà un giorno estrarne con poca fatica un ragionevole libricciuolo. – Or addio, addio, addio dalle viscere mie.»

La risposta è de' 4 febbraio, e dice: « ..... dolevami del tuo silenzio, non mai pensando che te ne andassi ramingando di paese in paese con la vergogna nell'anima; di che fai vergognare anche me, che poteva avertela risparmiata mandandoti qualche denaro un mese prima. Ora, mio caro amico, non ti mettere mai più in queste dure necessità; anzi ti dico col cuore sulle labbra, che terrò pronti ogni tre mesi ..... onde tu possa mandare regolatamente una cambiale che accetterò e pagherò, perchè così è mia intenzione di fare fino a che tu non sia provvisto altrimenti. E mi duole altamente non potere essere che misera nella mia offerta, ma tu accetterai il poco per il molto, sicuro e del mio silenzio e della mia lealtà; e non mi ringraziare mai. – Il mandarmi il libretto raro, e il far sì ch'io sia depositaria de' fatti principali della tua vita, sono cose che, pregiandole io sommamente, mi compensano all'infinito di quel poco che ho in animo di fare per te. – Fammi anche i versi che ti ho chiesti altra volta per mettere al tuo ritratto: te li chiedo non per vanità mia, chè non è mai entrata fra me e l'amicizia che a te mi lega, ma per amor tuo, e per tua e mia soddisfazione

«Alla Donna gentile.

28 gennaio 1816.

» Eccoti, Donna mia, la risposta a Silvio: leggila e vedi di sigillarla in guisa ch'ei non arrossisca che tu l'abbia letta; poi spediscila al suo destino. – Ho ricevuto la tua 16 corrente; e quanto alla lettera mia troppo lunga, mostrata dalla Donnaccia principessa, buon pro le faccia se l'ha mostrata, e buon pro a chi l'ha letta. Puoi star certa che non v'era sillaba che potesse far ridere i tristi, far chinare gli occhi all'amico tuo, che sta sempre a fronte levata con tutti gli orgogliosi, e che come nel sorriso, così anche nella penna ha certi tratti da far sentire che egli sa e vuole e può disprezzare; e il disprezzare non è da tutti. E in quella lettera v'erano pur di que' tratti, e tutti diritti a madama; onde bisogna dire che la libidine del pettegolezzo sia in lei più potente dell'amor proprio. Mi rispose scusandosi, e mille altre moine. È vero, la mia lettera era troppo lunga; ma trattavasi di rispondere a due sue lettere, alle quali io da più mesi non avea dato segno di vita: trattavasi di levarle dalla lingua certe sue sentenze sibaritiche – e prima faceva la Spartana! – e se non altro, farle intendere che io aveva la sua opinione in quel servizio..... Ma la signora faccia conto che quella la è pur l'ultima delle mie lettere; e venendo a Firenze, starò per essa nel Mississipi.

» Ho riscosso il danaro; e guardo il parroco in viso con maggiore allegria. E sono anche allegro per certe buone notizie de' fatti miei; di che avrai esatto ragguaglio, benchè non sieno sino ad ora che speranze: pur consolano, e mi pare anche di vedere che si effettueranno...... Ma tu, signora Don-Chisciottina, non lasciare i camiciotti di lana. Davvero, amica mia, non ammalare: abbi pietà di te, ma molto più di me; e se tu mi morissi, io non saprei più dove voltare gli occhi, e riconsolare l'anima mia. Non che tutte le persone ch'io amo sieno cattive, ma le ho tutte perdute di vista; e alcuna d'esse è così disgraziata, che la sua bontà, invece di consolarmi, mi affligge. Con te sola posso parlare: o lontano o vicino non tacerò mai con te finchè avrò cuore e memoria. Or addio, Donna mia; e sorella e madre e figlia mia. Addio

Risponde il 8 febbraio.

«Avevo fra le mani il Furioso quando mi hanno portato la tua, con dentrovi quella per Silvio; e quella lettera, e l'ottava prima del canto XIX mi hanno profondamente commossa fino alle midolle, chè lo sdegno e l'irafremeva in suono di pietà e di rabbia. Ma mi sono un poco rallegrata sulle tue buone speranze, che Dio te le benedica! e accettane i più felici augurii. E siccome mi hai tante volte squarciato il cuore con tante tue sciagure, fammi parte qualche volta delle cose liete, e consolandoti, consolami. Niuno al mondo ne prenderà tanta parte com'io, davvero davvero.

» Del resto il non iscrivere più mai alla Contessa potrebbe nuocerti, come mal faresti se, venendo a Firenze, tu non la visitassi mai. I miei avvisi sono per farti cauto, e non per toglierti alla società. Il non parlare mai di alle persone sospette, parmi l'unico mezzo onde toglier loro l'arme iniqua della maldicenza. Ben pochi sanno ascoltare le nostre pene: i più o ci danno una mentita, o ce ne fanno tanti capi d'accusa. Non è così, mio Lorenzo?... Tu mi dirai: signora dottora, non ho bisogno di lezioni. – Ma chi mi ha accordato il titolo di madre, di sorella, di donna sua, può ascoltarmi con affettuosa rassegnazione. Addio

«Alla Donna gentile.

9 febbraio 1816.

» Or tu, amica mia, come stai di salute? Le altre tue lettere innanzi l'ultima mi fanno temere che tu sia mezza malata: e il timore in me diventa subito intero, perchè si tratta di te; inoltre, l'anima mia fu da Dio creata così. Però scrivimi, te ne prego, scrivimi esattamente: tarderanno, pur troppo! le lettere, ma le verranno; e non foss'altro, le mi diranno la verità, perchè la perplessità è la mia vera tortura. E torno a scongiurarti di ripigliare i camiciotti di lana, sì perchè l'esempio d'un uomo non può servire a una donna che è naturalmente più debole, e sì perchè è più danno il lasciarli dopo averli portati al principio del vento, che il non averne avuti, e incominciando a gradi a patire. – Or sì che qui fa freddo; e tanto che non te lo potrebbe dire nemmeno un termometro, perchè a' monti di ghiaccio si unisce un acutissimo vento di tramontana che come ago infocato ti penetra il viso e il corpo a dispetto dei panni, e s'insinua nelle stanze ove la stufa diventa impotente. Io aveva in animo d'ingannare la mestizia della mia solitudine lunga, e ricopiarti molti squarci delle Grazie che tu hai veduto bambinelle, e che ora sono ragazzine, e che, se avrò quiete e vita e un po' di gioia nel cuore, diventeranno belle e divine Vergini. Ma le mie povere dita, che a minuto a minuto s'intirizziscono, non reggono alla pazienza di ricopiare; e mi riuscirebbe anche di scrivere que' versi con questi caratteracci frettolosi e bistorti; e tu non potresti leggerli

Il resto della lettera tratta delle sue faccende domestiche e le racconta come vivesse in angoscie per la sorte de' suoi cari parenti, le cui speranze riposavano tutte sopra di lui, quando si vide una visita del conte Giovanni Capodistria, ministro degli affari esteri in Russia, e antico amico suo, il quale si assunse, le dice, di far attendere a' suoi interessi nell'isola e di far pagare puntualmente gli assegni consueti alla famigliuola.24 Per questa intendeva la madre, la sorella ed un figliuoletto di lei.

La risposta porta la data de' 19 febbraio.

«Tutto è rumore qui; il carnevale fa fare delle pazzie, ma senza gioia nel cuore: io poi, mio carissimo Lorenzo, ti faccio una donchisciottesca compagnia, e non ho veduto vedrò teatro, altro pubblico divertimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» La tua del 9 ha tardato più del solito, e ne sono stata in pena; tanto più che a questi freddi temo sempre che tu ti ammali; ma rido poi quando mi danno per nuova certa che ti sei ammazzato (così hanno detto per un mese, e lo dicono tuttora); e rido amaramente in faccia a chi con tanta malignità viene apposta ad abbordarmi per dirmi questa bella cosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» Mi consolo almeno che tu abbia trovato un uomo che ti stimi, ed abbia preso cura delle cose tue nel Zante. Quest'azione fa onore a te ed a lui egualmente: io me ne consolo con tutto il cuore. Manco male che fra tanti viventi se ne trovi qualcuno d'animo generoso, spregiudicato e benefico! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» Dimmi un po' adesso come vanno le cose tue, di che non mi parli mai, e di cui ti domando in quasi tutte le mie lettere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» Parlami netto e schietto; non voglio saperti nella miseria: dimmi tutti i tuoi bisogni senza occultarmene uno. Non sono io madre, sorella, figlia tua? Sotto questi titoli esigo tutta la tua confidenza, e tutta la tua bontà per accettare da me quegli aiuti che voglio e che devo darti, e prontamente, e sempre quando tu ne abbi bisogno, chè pur troppo ne avrai . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» Addio mio dolcissimo amico. Avendo cura di te, ti adopri per la mia salute

E in altra de' 22 marzo 1816 quell'anima gentile, più unica che rara, così gli scriveva:

«Or vengo a' tuoi divisamenti e proposizioni. Il progetto d'andare in Inghilterra è ottimo in tutte le sue parti, sì per non tornare nell'Alta Italia, ove hai avuto prove d'ingratitudine la più nera; sì anche per la stampa completa delle cose tue che potrà confortarti delle fatiche che ti costarono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Frattanto informami sempre dei tuoi andamenti. Mi avevi promesso nella tua del 14 febbraio di mandarmi la cambialina, e non l'ho veduta; so a cosa attribuirlo. L'aspetterò fino a sabato: poi anderò dal banchiere per pregarlo a ricevere il danaro anche senza l'avviso tuo; e conta poi per altrettanta somma, e più se ne vorrai, nell'aprile. Intanto prepara la ricevuta; ch'io ti prometto stracciare e bruciarne tutti i minuzzoli, perchè non ne resti ombra. Al tuo ritorno mi pagherai personalmente in proprie mani, e non altrimenti.

» L'offrirmi te stesso in compenso della mia costante amicizia è un atto troppo generoso, devo accettarlo. Tu perderesti il solo vero bene che ti resta, la libertà e la indipendenza assoluta; io non potrei offrirti quel che vorrei, di cui madre Natura mi fu avara, e che l'età mi toglie. Vorrei piuttosto morire che essere cagione del tuo malcontento. Tu puoi trovare una compagna che sia degna di te, nobile, giovine, ricca, avvenente, amabile ec., e farti felice; io, non avendo nessuna di queste doti, ti sarei a carico come moglie. Inoltre, ancorchè fosse facilissima cosa sciogliermi da quel legame cui non restò avvinta che la mia mano, pure non avrei cuore di abbandonare mio marito alla poca discrezione de' suoi parenti, dopo aver promesso a suo padre, ormai carico di 83 anni, di proteggere il figlio dopo la di lui morte. Ma siccome sono e sarò sempre libera della mia vita, e padrona assoluta delle mie tenui sostanze, e posso contare sulla pubblica stima, quindi è che invece di avere alcuna difficoltà di passare i miei giorni teco, io me ne stimerei beata; e al tuo ritorno diverremo compagni inseparabili finchè la morte ci divida, o le circostanze ti facciano cangiar di pensiero, nell'ipotesi che ti risolva una volta di maritarti con persona di tuo genio: su di che non sarò mai per distoglierti, perchè l'interesse, l'amor proprio entrano per nulla ne' miei pensieri. E se mi sarà concesso di consacrarti la mia vita, le mie cure, e stare sotto il medesimo tetto, e fare causa, casa e cassa comune, allora sarà bandito il Mio e il Tuo; e tutto tuo e tutto mio sarà ciò che possederemo. Me beata se posso ottener d'arrivare al godimento di tanto bene! ma i miei presentimenti non sono punto lieti.

» L'altro progetto di venire a trovarti in Svizzera è impraticabile: l'età di mio suocero e di mio padre ne è il più forte motivo; ma una volta che avessi tanto coraggio di varcare le Alpi, addio Toscana bella fino a che non mi fosse dato in sorte di rivederla teco. Sarebbe impossibile che una volta giunta fino a te sapessi lasciarti. – Quanto costi al mio cuore il rinunziare al tuo invito tante volte desiderato, è impossibile ch'io lo spieghi: non posso mai pensare al tuo dilungarti da me senza sentire de' brividi gelati che mi scuotono tutta e mi stringono il cuore.... Ma pensando poi sempre al tuo bene, sono contenta; perchè Londra ti offrirà larghissima ricompensa al tuo merito, e ti porgerà mille occasioni di esser pago della tua esistenza; e ti rinascerà in seno la speranza e l'amore forse, non religioso, non candidissimo, ma pur tale da farti scordare tante acerbe sventure. È meglio dunque ch'io non accetti ancora le tue proteste d'amore benchè lusinghino il mio amor proprio; io non ti cerco amore, te lo dimanderò fino a che la tua futura sorte non mi dia luogo a sperare che lo merito. Tutta la mia ambizione oggi è di poterti rendere la giustizia che meriti, ed abbandono intieramente alla generosità del tuo cuore la cura di ricompensare con altrettanta tenerezza il candore e la lealtà che ti ho mantenuto, e ti serberò, e porterò meco nel sepolcro. Conservami dunque una salda amicizia, e ricordati di me in qualunque luogo tu vada....

» Addio: non scordare la tua Odissea. Scrivi spesso, molto; ma non mi straziare il cuore con troppa bontà. – Un bacio evangelico chiuda il mio cuore dentro a questo foglio, e ne volino poi mille intorno a te; prendili se ti son grati

E qui, per non abusare della pazienza del lettore, tronco l'inserzione di questi frammenti, salvo a riportarne qualcun altro appresso qualora la necessità ne costringa.





20 Si dichiarò mai sempre obbligato al governatore A. Marca che gli diede asilo nella valle Misolcina, ne' Grigioni, salvandolo dai soldati svizzeri che lo cercavano in nome dell'Austria.



21 A questo passo della lettera, una nota, a pag. 121, vol. II dell'Epistolario, edito dal Le Monnier, dice: «Un giorno, senza taccia d'indiscrezione, potrà essere narrato al pubblico ciò a cui qui sembra alludersi più particolarmente



22 Si richiamava spesso alla memoria il versetto biblico: Dio mitiga i venti per l'agnello tosato; ma con un freddo che faceva scendere il termometro fino a 18 gradi sotto zero, deve aver sofferto assaissimo, poichè curavafattamente il freddo che una volta la famiglia dovendogli trovare un quartiere, si raccomandava che fosso soleggiato perchè, diceva, io sono padre, figlio e fratello carnale del caldo, ed ho però inimieizia capitale e guerra a morte col freddo.



23 A queste strettezze erasi il buon Ugo condotto anche per compassione della famiglia, verso la quale, essendosi imposto l'obbligo di un assegno mensile di L. 90 it. lo aveva soddisfatto a tutto dicembre 1815 con la puntualità di un banchiere occultandole per delicatezza il suo stato reale, e la perdita delle pensioni, rimettendosi, in quanto a stesso, nelle braccia della Provvidenza.

Sigismondo Trechi voleva prendersi la cura d'impetrare presso Metternich, onde lo riammettesse al godimento delle dette pensioni; cioè, la civile ottenuta al tempo del Regno italico, e la militare a cui aveva diritto: ma egli finchè visse non volle chiederle, le riebbe mai.



24 L'assegno mensile dello 90 lire la rimessa del quale era stata, per necessità, sospesa in gennaio.



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