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Disinganno amoroso. – Sue
apprensioni.
Accuse e calunnie.
Durante gli ultimi mesi del 1820 e i primi del 21, come se la pace fosse pel cantor dei Sepolcri, sbandita da questa terra, lo troviamo con la salute in peggioramento e sotto un assalto d'incrudita malinconia per ragioni diverse. La prima fu una delusione amorosa per un affetto mal collocato. Ne ignoro i particolari: a quanto sembra, trattavasi di donna nubile inglese, colta e gentile in cui egli avea riposta molta fiducia. Alcune lettere dirette a Calliroe, fra' quali una a Losanna, ed uno sfogo appassionato a Lady Dacre, di cui riporto un tratto più sotto, servono solo a rivelarci che questa moderna Calliroe, non si mostrava come l'antica, amata da Coreso gran sacerdote di Bacco, inaccessibile alle lusinghe d'amore, e non peccava, come quella, per troppa durezza di cuore. Però, come cultrice delle lettere, fu per impulso di lei che il Foscolo scrisse i Saggi sopra il Petrarca.
Ecco le sue parole:
«Dal 21 di novembre in poi, per ragioni di cui non debbo lagnarmi che con me stesso, la mia salute è andata in deperimento, ed ho perduto il sonno in un tempo appunto in cui avrei avuto bisogno di addormentarmi per sempre. Di tutto questo ne incolpo la mia follia; e la mia follia è derivata non dalla mia pretensione di conoscere il cuore umano (giacchè talpretensione non l'ho avuta mai), bensì dalla fiducia ch'io era non solamente in diritto, ma ben anche in dovere di riporre nel cuore altrui. Ora, da quell'anima da cui sentiva esalarsi un profumo di bontà e di virtù, ho sentito, appena mi fu forza di squarciarne il velo, uscir pestifere esalazioni; e ho dovuto per gran tempo respirarne il veleno. Vedo, per la prima volta in mia vita, esservi uno strazio più crudele d'ogni altro sulla terra, e che non credo aver meritato; cioè lo strazio di doversi strappare dal cuore un affetto, distruggendo le belle qualità che la nostra immaginazione avea vedute nelle persone a noi care. Bisogna sradicarsi quell'affetto dal cuore, e si sbrana a un tempo lo stesso cuore; e nella ferita che sanguina ancora, bisogna piantare la deforme immagine che finalmente abbiamo scoperta! Nè l'assenza nè la morte di quelli che amiamo ci procurano un tormento pari a quello di sostituire in noi stessi, dove era stima, disprezzo, e dove era affetto ribrezzo.»
Altro motivo di abbattimento morale gli venne dalle notizie d'Italia per le misure di rigore adottate dagli Austriaci coll'arresto di 46 suoi amici; parte condannati al carcere come il suo carissimo Silvio Pellico, e parte mandati come ostaggi in Ungheria e fra questi ultimi il fratello suo; ma compiacevasi per altro, pensando, che queste vittime dell'amor patrio cancellerebbero almeno l'ignominia della servitù volontaria. S'aggiunse infine, per torturargli sempre più l'animo, che l'Alto commissario Maitland alle Isole Ionie, avendo colle sue feroci pazzie fatto condannare, senza difesa, a 12 anni di carcere solitario un suo prossimo parente, il cui figlio evasi portato a Londra per reclamare giustizia, dovendolo il Foscolo coadiuvare, si metteva in pericolo di essere espulso dall'Inghilterra in forza dell'Alien-Bill. « E dove andrò? (diceva) se le cose d'Italia rovinano, io sarò, in virtù della Santa Alleanza, consegnato nelle mani del primo ambasciatore cui piacerà di reclamarmi per darmi agli Austriaci, che si chiamano i miei padroni naturali.
Giustamente fondate o no queste apprensioni del Foscolo, in ogni modo dimostrano agitazione d'animo e scoramento; e n'avea ben d'onde per le molte peripezie della sua vita: perciò qual meraviglia se non prese parte attiva ai grandi avvenimenti che si svolsero in Grecia indi a poco? Di questo gli mossero amaro rimprovero il Pecchio e il Tommasèo, il quale fu per certo, troppo severo verso di lui quando disse nel Dizionario estetico, che il Foscolo morì senz'aver dato un sospiro alla misera patria sua. E più altre cose dice sul conto di lui che sarieno, a dir vero, poco decorose per chi le scrisse, se non fossero derivate da un cattivo referto poichè, l'umor acre e pungente, che sembra ingenito nell'autore, rasenta quivi i confini della maldicenza. Troppe prove di amor di patria avea egli dato da non meritarsi questa taccia, della quale come dell'altra; di essersi raffreddato per le cose d'Italia,36 intendeva scolparsi in due dedicatorie che voleva premettere a' suoi eruditi lavori sui due principali poeti, greco e italiano; l'una in fronte alla versione dell'Iliade, offerendola alla gioventù della sua isola nativa; l'altra all'edizione del Dante illustrato in cui avrebbe parlato dell'Italia, pensando di sdebitarsi così degli obblighi suoi verso le due sue patrie.37
Certo che gli ardenti spiriti suoi non gettavano più lampi e tuoni come prima: l'età stessa li avea smorzati non che i disinganni, e l'aver visto che le belle e pompose parole degli uomini non avevano mai corrisposto ai fatti, e, dopo versati torrenti di sangue, i popoli sfiduciati e stanchi sottomettersi all'antico giogo. Non piacevagli la piega che avea preso la rivoluzione in Grecia, e, non inspirandogli piena fiducia il Comitato greco costituitosi, e molto meno il suo presidente, lasciò senza risposta una lettera a stampa di lui che gli conferiva l'onore di membro del Comitato stesso. E poichè siamo sul doloroso tema delle accuse al Foscolo, non va taciuta quella di cuor freddo verso gli sventurati che l'illustre Carrer rintuzza con energia, come impudente calunnia, riportando la seguente ottava di Silvio Pellico, che fa parte della poesia altre volte citata:
«Di molti io memor son tuoi forti detti
Da core usciti di giustizia acceso,
E a tue nascose carità assistetti.
E al tuo perdon vêr chi ti aveva offeso;
E pochi vidi sì soavi petti
Portar costanti il proprio e l'altrui peso,
E quel pianto trovar, quella parola
Che gli afflitti commove, alza e consola.»
Non aveva egli mai, dopo la morte della madre, dimenticata la sorella Rubina che, rimasta con un figliuolo vedova di certo Gabriele Molena, viveva in bisogno. A lei rimise da Londra 260 franchi; poi accettò in seguito a diversi intervalli tre cambialette della medesima; una di lire 10 sterline, e due di 20 zecchini ciascuna.
Un'altra sentenza che non si può chiamar calunnia perchè forse proferita in buona fede, però non meno deplorevole essendo uscita di bocca amica, è la seguente la quale mi dà materia di chiudere con essa il presente capitolo. L'illustre Cesare Cantù nella recentissima sua pubblicazione, Il Conciliatore e i Carbonari, dopo aver detto che Giovita Scalvini fu sempre parziale di Foscolo e che gli si serbò amicissimo fino alla morte, riferisce queste parole che lo Scalvini scriveva di lui: «Vanta spesso il cuore, ma senza avvedersi scambia spesso il caldo della sua testa con quello del suo cuore. Avidissimo di fama, egli non è nè adulatore nè servo, perchè si è accorto che il mondo onora chi tale non è. Si adira spesso e grida, perchè ha veduto che gli uomini si contengono col timore. Tutti i suoi gravi movimenti, il suo sogguardare, il suo silenzio vengono dalla sua testa, calcolatrice degli effetti di tutte queste ciarlatanerie. La spontaneità non la trovi in nessuno dei suoi scritti.... L'ingegno suo si può paragonare ai raspi, che danno ancora del sugo violentemente pigiati, mentre il vero ingegno è come i grappoli, che, punti appena, gemono il liquore soavissimo.... Foscolo è per me un mistero.»
Per confutarle non è necessario di sviscerare gli scritti del Foscolo; basta soltanto leggerli senza prevenzione e sentirli nell'anima onde persuadersi quanto sia erroneo il giudizio dello Scalvini. Avido di fama sì, ma non mendicata. Le azioni della vita vanno sempre di pari passo coi sentimenti che sgorgano caldi, impetuosi, evidenti quale espressione vera del cuore e della natura e non di calcolo premeditato della mente come vorrebbe l'amicissimo suo il quale fu pur quegli che influì sinistramente sull'opinione del Tommasèo e ne promosse lo sdegno. In quanto alla qualità dell'ingegno lascio giudicare agli altri se regga la comparazione.