Pellegrino Artusi
Vita di Ugo Foscolo
Lettura del testo

CAPITOLO XXIX. Considerazioni sul suo carattere. – Sepoltura. – Miss Floriana. – Carte del Foscolo. – Frammenti del Carme alle Grazie. – Orditura del medesimo. – Articoli pubblicati nei giornali inglesi. – Lettera apologetica. – Edizione del Dante illustrato.

«»

CAPITOLO XXIX.

Considerazioni sul suo carattere. – Sepoltura. – Miss Floriana. – Carte del Foscolo. – Frammenti del Carme alle Grazie. – Orditura del medesimo. – Articoli pubblicati nei giornali inglesi. – Lettera apologetica. – Edizione del Dante illustrato.

In cotal modo si spense la vita di un uomo che lord Byron avea definito con due sole parole, Uomo antico, volendo forse con questa frase, conforme al linguaggio laconico a lui proprio, alludere, dice il Carrer, al suo modo di studiare andando in traccia del sapere viaggiando; fare il cittadino e cercar la gloria ad un tempo.

Io lo addito ai giovani come modello in quelle virtù che possonsi da essi imitare, imperocchè se l'eletto ingegno, il genio e il coraggio sono doti della natura, l'altezza d'animo, il disinteressato amore di patria, la fermezza e costanza nei principii, la dignità e magnanimità del carattere, e l'onoratezza, sono frutto più che altro, dell'educazione, e dalla nostra volontà dipendono. Tiriamo un velo sui trascorsi suoi inerenti spesso alla fragile umana natura; ma non dimentichiamo a nostro ammaestramento che, se il Foscolo avesse tenuto una condotta più regolata, non avrebbe inciampato mai in atti talvolta indelicati, però sempre a lui ripugnanti, spintovi dalla vita inconvenientemente sfarzosa; qualcuna, anzi parecchie delle sue disgrazie sarebbonsi potute evitare e con la vita riposata e tranquilla tramandati avrebbe alla posterità con le sue opere letterarie altri gioielli da rendere più fulgida la sua corona di gloria.

La spoglia mortale portata a sotterrare, in modo più conforme a povero che alla meritata fama dell'estinto, nel vicino cimitero di Chiswick, soli quei cinque amici, di cui il Pecchio ci ha tramandato i nomi, l'accompagnarono e furono: il canonico Riego, il generale De Meester, il romano Mami, il dottor Negri di Parma ed Edward Roscoe. Così avverossi quasi il funesto vaticinio che di stesso fece nell'Ortis dove, parlando dell'abbandono in cui era lasciata la casa del Petrarca in Arquà digredendo esclama: «Oh! io mi risovvengo col gemito nell'anima, delle estreme parole di Torquato Tasso. Dopo d'essere vissuto quarantasette anni in mezzo a' dileggi de' cortigiani, le noie de' saccenti, e l'orgoglio de' principi, or carcerato ed or vagabondo, e tuttavia melanconico, infermo, indigente; giacque finalmente nel letto della morte, e scriveva, esalando l'eterno sospiro: Io non mi voglio dolere della malignità della, fortuna, per non dire della ingratitudine degli uomini, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura mendico. O mio Lorenzo; mi suonano queste parole sempre nel cuore! e' mi par di conoscere chi forse un giorno morrà ripetendole

Sulla sua tomba fu posto, a cura del già noto signor Hudson Gurney, il seguente modesto epitaffio che, per la sua semplicità, rammenta la profession di fede del benefico quacquero amico suo, e nel quale, come si vede, fu fato errore di età imperocchè, non sarebbe vissuto più che anni quarantotto, mesi sette, e giorni quindici, se esatta fu l'aggiunta di un anno alla data della nascita per correggere lo stile veneto:

Ugo Foscolo

obiit xiv die septembris

a. d. 1827

aetatis lii.

L'altro errore sul giorno della decessione fu chiarito dal cav. Domenico Bianchini, capo-sezione al Ministero degli Affari Esteri, che si procurò l'atto autentico di morte. A lui sono in dovere di render pubbliche grazie per questa ed alcune altre notizie favoritemi intorno al Foscolo, per amore al quale e alle patrie lettere, come accennai altrove, non avendo egli perdonato a lunghe e costose fatiche si è posto in grado di potere, più d'ogni altro, riempiere le lacune e correggere le inesattezze, le mie comprese (se ce ne fossero), in cui sono incorsi i biografi del medesimo.

Ritornato Silvio Pellico dal duro carcere, quando l'amico della sua gioventù più non era su questa terra, il pianse con quella flebile poesia diverse volte citata, che incomincia:

«Ugo conobbi e qual fratel l'amai,
Che l'alma avea per me piena d'amore.
Dolcissimi al suo fianco anni passai,
E ad alti sensi ei m'elevava il core.
Scender nol vidi ad artifizi mai,
E viltà gli mettea cruccio ed orrore:
vate era sommo, ed avea cinte l'armi,
E alteri come il brando eran suoi carmi

Il canonico Riego, uomo di cuore, fuoruscito spagnuolo, fratello del generale di questo nome, prese cura di miss Floriana, la quale sventuratamente sopravvisse di soli pochi anni al padre e lasciò, morendo di consunzione, in eredità al suo protettore le carte paterne che poi, per accordo, furono da lui rese all'Italia, e depositate presso l'accademia Labronica di Livorno per opera dei signori Enrico Mayer, marchese Gino Capponi e conte Pietro Bastogi i quali nel 1834 le acquistarono pel prezzo di lire sessanta sterline, altrettante avendone aggiunte il non mai a sufficenza lodato benefattore del Foscolo, sir Hudson Gurney. Fu egli altresì che, verso la fine del 1862, avendo saputo che la lapida soprastante al sepolcro del suo povero amico, aveva sofferto ingiurie dal tempo e dal camminarle sopra, ordinò vi fosse eretta una tomba semplice in forma di altare, la quale fu eseguita in granito e circondata da colonnette legate insieme con catena di ferro.45

Le generosità di quest'uomo tanto più pregio hanno se si consideri che partono da un banchiere, gente, come i mercadanti e gli uomini di commercio in genere, per la quale i dotti non sentono gran simpatia, ed è naturale. Pieni questi di belle idee teoriche, talvolta magnanime e generose; e usi a considerar la dottrina qual dono prezioso più ch'altro mai sulla terra, si sentono agghiacciare il cuore dalla natura taccagna e dai calcoli freddi e misurati di quelli. E chi a loro potrebbe senza ingiustizia di questi difetti fare un addebito? Diversa l'educazione, diverse le abitudini e l'arte, diverso il modo di vedere e sentire. Gli affari danno la pratica del mondo e sono la pietra del paragone dove si assaggia l'onestà e si mette alla prova; quindi continue lotte per schermirsi ed offendere; le diffidenze, i sospetti e da ciò il destreggiarsi e il grande amore al danaro, vista la difficoltà e la fatica immensa di guadagnarlo, e perchè solo da questo si spera conforto alla vita. I coltivatori dell'ingegno in vece, chiusi nel loro mondo ideale, vivono estranei a tutto questo armeggìo, e, sdegnando quasi di conoscere i lacciuoli di cui nel mondo è dovizia, si trovano talvolta, come Apollo, ingannati da Mercurio fanciullo, quando a lui pastore rubava i buoi degli armenti di Admeto. Però se un dotto cade in povertà può essergli di gran conforto la sua dottrina e di aiuto la venerazione del pubblico, ma chi non può raccomandarsi che al danaro, in caso di bisogno a qual santo dovrà egli ricorrere?!

Fra le carte del Foscolo furono trovate alcune lettere da lui scritte alla Quirina e molti frammenti del Carme alle Grazie, al quale non aveva mai dato l'ultima mano. Forse, come opina il signor Cattaneo, «si riserbava di tenere quegli inni aperti per potervi innestare ogni nuovo suo pensiero.» Le lettere alla Donna gentile erano degli ultimi tempi del viver suo, non mai spedite per non affliggerla forse col racconto delle sue estreme sventure, o perchè la carezza a quei tempi delle affrancature alla posta inglese (tre franchi e mezzo circa per foglio) non gliel concesse.

Ricevè ella nel 1843 con gioia straordinaria insieme alle lettere i detti frammenti, che i possessori vollero cortesemente donarle, persuasi con quest'atto di interpretare la volontà del poeta, il quale aveva tante volte a lei dato speranza di mandare il carme tutto intiero o parte di esso; e così, con grande sua contentezza si compiè la promessa che un tempo ei le avea fatto: L'anima mia e il mio spirito ti cercheranno pur sempre.

Misesi la Donna gentile in animo di decifrare quei manoscritti, tanto difficili a capirsi, sì per la natura del carattere che per le correzioni, pentimenti ed aggiunte, coll'intenzione se arrivava a dar loro un ordine di pubblicarli a sue spese. Eravi riuscita dopo tre anni di cure, però non del tutto felicemente: vi si scorgevano parecchie lacune. Le cose stavano in questi termini, quando il caso volle che il signor F. S. Orlandini, segretario dell'Accademia Labronica, spogliando le carte del Foscolo, trovasse fra quelle che trattavano de' suoi affari col Pickering, un altro manoscritto che, venuto ad aggiungere molta luce al primo, rese quel bellissimo lavoro quasi completo.46 Allora la signora Mocenni affidò a lui l'incarico dell'edizione; ma l'avverso destino, invidiando a lei la fortuna di veder finalmente questa splendida poesia uscita alla luce, togliendola ai viventi, volle che s'andasse a doler col suo Ugo di non avergli potuto dar sulla terra quest'ultima delle tante prove di affetto, che poi compierono i suoi eredi.

Questa storia poetica dell'arte, che tale si può chiamare il Carme alle Grazie, si compone di tre inni, e ciascuno è intitolato dal nome di una Dea. Il primo a Venere simboleggia la bellezza dell'universo, il secondo a Vesta deità verginale, e custode del fuoco eterno che anima i cuori gentili; il terzo a Pallade dea delle arti, consolatrice della vita e maestra degli ingegni.

«Alle Grazie immortali,
Le tre di Citerea figlie gemelle,
È sacro il tempio e son d'Amor sorelle;

Nate il che a' mortali
Beltà, ingegno, virtù concesse Giove;
Onde perpetue sempre e sempre nuove

Le tre doti celesti,
E più lodate e più modeste ognora
Le Dee serbino al mondo. Entra ed adora

Sono i versi d'introduzione i quali, come l'epigrafe sulla fronte di un tempio, invitano Antonio Canova ad entrare nel sacro recinto e ad appressarsi all'ara, che il poeta consacra alle vergini Dee sul colle di Bellosguardo fra le ombre di un folto laureto.

L'inno primo comincia con l'invocazione alle Grazie, quindi il Poeta invita al rito l'artefice de' numi, com'ei chiama il celebre scultore, nella speranza che insieme uniti daranno nuovo spirito alle Dee, l'uno nel modellare il famoso gruppo, l'altro con la potenza della poesia e dice:

« ................ Anch'io
Pingo e spiro a' fantasmi anima eterna:
Sdegno il verso che suona e che non crea;
Perchè Febo mi disse: Io, Fidia, primo,
Ed Apelle guidai colla mia lira

Mossa Venere a pietà de' mortali, che vedeva travagliati ed afflitti, sorse un giorno dai flutti del Mare Ionio seco conducendo le Grazie, volendo con ciò indicare che la bellezza non è amabile adorata senza di esse. Descrive l'approdar delle Dee all'isola di Citera e il loro passaggio nella vicina Grecia, ove furono primieramente accolte, per farci noto che questa nazione fu la prima ad essere dirozzata dalla barbarie mediante le belle arti. Fatto lui saluto alla sacra terra nativa, il poeta canta una lode alla bella Zacinto. Poi entra a narrare come, pel favor delle Dee, dalla vita selvaggia e brutale, quegli abitanti passassero a gentili e dolci costumi, i quali si mantennero finchè l'invido Amore, cioè la veemenza della passione che con la impurità distrugge la grazia, fece sì che, alle arti eleganti e agli ozii felici subentrarono la lascivia, la mollezza e gli spergiuri. Con leggiadrissimi versi canta del culto che le Grazie ebbero ne' vari paesi di Grecia e tocca di quello che ottennero in Italia loro seconda patria, prendendo da ciò argomento per declamare contro la scuola poetica romantica boreale che dipinge piena di mostri e di chimere. Termina l'inno con un voto di devozione e di fedeltà alle Dee, le quali se da altri saranno obliate, in quanto a protesta di sacrificar sempre alle medesime, cioè di non dipartirsi mai dai principii della scuola classica che crede la vera.

Nell'inno secondo dalla Grecia antica ci trasporta all'Italia de' giorni suoi. Nomina sacerdotesse dell'ara tre bellissime donne italiane: di Firenze la prima, rappresentante l'azione e gli effetti dell'armonia; la seconda di Milano che figura la beltà corporale; di Bologna la terza per significare con essa l'amabilità dell'ingegno; perciò divide l'inno in tre parti.

«Tre vaghissime Donne, a cui le trecce
Infiora di felici itale rose
Giovinezza, e per cui splende più bello
Sul lor sembiante il giorno, all'ara vostra
Sacerdotesse, o care Grazie, io guido

Conosciute le aderenze del poeta con le donne allora viventi, non è difficile indovinare che queste tre erano Eleonora Nencini, Elena Bignami e Cornelia Martinetti.

Deplora l'intristirsi degl'ingegni che oggimai quasi tutti si volgono alle scienze geometriche, con danno delle arti belle e delle lettere, e fa invito ai giovinetti italiani, che si danno agli studi scientifici, di accorrere al sacro rito, intendendo con questo di raccomandar loro l'amenità dello stile nelle materie astruse, ad imitazione di Galileo che da quel colle spiava gli astri e li descriveva con elegante favella. Ma cacciate, ei dice, oltre la soglia i profani, cioè i letterati indegni: la lascivia, la maldicenza e la venale adulazione non avendo qui luogo come cose contrarie alle Grazie. Vi chiama altresì le fanciulle, e rivolge alle medesime questi versi:

«Sacra tutela son le Grazie al core

Delle ingenue fanciulle. Uscite or voi

Da' boschetti di mirto ove solinghe

Amor v'insidia, o donzellette, uscite:

Gioia promette e manda pianto Amore.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . .; e, fin che il rito

V'appelli al canto, tacite sedete:

Sacro coro è il silenzio; e vi fa belle

Più del sorriso

Nella parte prima dell'inno secondo la bella donna di Firenze, che nel rito toccava l'arpa con maestria, significa, secondo il poeta, i salutari effetti della musica sull'anima e la celeste armonia dell'universo, per cui le menti umane s'inalzano oltre la terra.

«Leggiadramente d'un ornato ostello,
Che a lei, d'Arno futura abitatrice,
I pennelli posando, edificava
Il bel fabro d'Urbino, esce la prima
Vaga mortale e siede all'ara; .... »

Il palazzo già Pandolfini, poi Nencini, posto in Via S. Gallo, 74, quasi dirimpetto alla facciata dello Spedale di Bonifazio, fu architettato da Raffaello. Non è improbabile che il nostro poeta facesse la conoscenza della bella Eleonora Nencini alla conversazione dell'Albany. Sono da lei offerti sull'ara i più delicati fiori coltivati dalla città che prende il nome da essi.

Nella seconda parte la donna milanese fa manifesta la più delicata leggiadria della danza, ed offre un candido cigno, voto di una regia sposa, Amalia Augusta, per la salvezza del marito Eugenio Beauharnais, reduce dall'Elba. Il fuoco di Vesta, ch'altro non è che il sentimento in un cuore ardente, indi materia a narrare diversi prodigii da quello operati:

« . . . . . . . . . . . . . . Anco talora
Di quel candido foco una scintilla
Spira la Dea nell'anime gentili,
Che, recando con parte di cielo,
Sotto spoglia mortal scendon fra noi.
Di quel candido foco ardono i petti,
Pronti al perdono, al beneficio, e pronti
A consolare i miseri col pianto

Nella terza, l'amabilità dell'ingegno è rappresentata dalla sacerdotessa venuta dal felsineo pendio, donde Appennino mira l'Orsa, e il sacrificio è di un fresco favo simbolo dell'eloquenza

« . . . . . . . . . . . . e chi n'assaggia
Caro a' mortali ed agli Dei favella

La Cornelia Rossi Martinetti di Bologna va annoverata fra quelle care ed amabili donnine, che godevano la simpatia di Foscolo, il quale diceva, scrivendole: «La natura . . . . vi ha dotato di un rapidissimo presentimento, e di uno sguardo che penetra nelle latebre del cuore umano; e in ciò consiste il vero vigore del vostro ingegnoPare che que' tempi non fossero tanto poveri, per alleviare le noje della vita, di donne splendenti per bellezza, grazia, amabilità e spirito.

Prendendo il poeta argomento dal favo offerto, dedica quest'ultima parte ai prodigii delle api, di cui la donna bolognese in quel giorno si prende cura. Le api presso i Greci, simbolo dell'eloquenza persuasiva quindi anche della poesia, rappresentano pure le arti. Perciò narra che quando la Grecia fu conquistata dagli Ottomani nella prima metà del secolo XV:

« . . . . . . . . . . . . . . . . allor l'Italia
Alle Muse ricetto, e fu giardino
Alle pecchie esulanti

allora il drappelletto delle api fuggito di Grecia, approdando in Italia si divise in due schiere. L'una, posandosi in una selva presso la foce del Po, diè origine alla poesia romanzesca del Bojardo e dell'Ariosto, e ai rami di quella selva appese la sua cetra Torquato Tasso; l'altra

«Che, per antico amor Flora seguendo,
Tendea per la tirrena onda il vïaggio,
Trovò simile a Cerere, una Donna
Sulla foce dell'Arno

Questa donna è la Speranza, la quale, precorrendo le Muse, avea portato in Toscana l'ara delle libere leggi e sopra quella rallumato il gentil fuoco di Vesta. Descrive la costruzione del tempio di Santa Maria del Fiore e quel santuario delle belle arti, che è la fabbrica degli Uffizi. Poi parla della poesia portata a sublime altezza per opera di Dante e del Petrarca, e termina colla descrizione della Valle delle Donne ove l'allegra brigata del Boccaccio raccontava le famose novelle.

« . . . . . . . . ed ei ridendo
Vago le scrisse, e le rendea più care
Ma ne increbbe alle Grazie. Or vive il libro
Dettato dagli Dei: ma sventurata
Quella fanciulla che mai tocchi il libro!
Tosto smarrite del pudor natio
Avrà le rose: il rossore ad arte
Può innamorar chi sol le Grazie ha in cuore

La Verecondia, per esser perfetta, bisogna che sia nemica mortale dell'Ipocrisia, diceva il nostro poeta, il quale benchè non troppo puritano in amore, abborriva l'osceno e la sua bocca era pura come i suoi scritti.

L'affinità delle tre lingue, italiana, latina e greca al Poeta motivo, nel terzo Inno, di lodare Pindaro, Catullo e Virgilio, suoi maestri, dell'idioma de' quali invoca lo spirito per trasfonderlo ne' suoi versi italiani, persuaso che la dolcezza gliela daranno le Grazie pur serbando la purità della lingua toscana.

Venere ritorna al beato regno de' Celesti e lascia le Grazie confortatrici dell'infelice terra e de' suoi abitatori, dicendo ad esse:

« ............ Udrete intanto
Al mio partir tal dall'Olimpo un'alta
Armonia, che, da voi dolce diffusa
Sovra la terra, renderà più liete
Le nate a delirar vite mortali,
Più deste all'Arti, e men tremanti al grido
Che le promette a morte

Cogli ammaestramenti di Venere e con la detta armonia, che raccolsero e diffusero sulla terra, le Grazie operarono il bene; ma la benefica influenza delle arti gentili non basta alla umana felicità per la violenza delle passioni rappresentate dall'invido Amore che irato scende dall'Olimpo minaccioso ed armato. Allora viene in soccorso Minerva per indicare che la sola sapienza è capace di governare gl'impeti sregolati. Deposto lo scudo, l'egida e l'elmo, Pallade si presenta alle Grazie in fuga per lo spavento e fa loro coraggio. Scendete, dice, al mare ed adorate la madre onde v'infonda al cuore pietà per gli altrui lutti, con cui dimenticherete il vostro terrore; e rimanete fin tanto ch'io non ritorni portandovi un dono che vi difenda da Amore. Tosto diè la quadriga al corso e scese nell'isola Atlantide in mezzo all'oceano:

« . . . . . . . . . . . . . immensa terra,
Com'è vetusto grido, un beata
D'eterne mèssi e di mortali altrice

Ora scomparsa o non mai esistita; terra celeste, secondo il poeta, che raffigura l'ideale nell'arte.

Colà le minori Dive, le sue celesti alunne, Minerva aduna, ed ella in mezzo signoreggiando, ordina ad esse un velo e ne dirige il lavoro. Le Ore e le Parche lo tessono; Iride e Flora con vaghe tinte lo effigiano d'immagini allegoriche di senso morale,

«E tu, Psiche, sedevi, e spesso in core,
Senza aprir labbro, ridicendo: – Ahi, quante
Gioie promette, e manda pianto Amore! –
Raddensavi col pettine la tela

Talìa, Tersicore ed Erato col suono, colla danza e col canto danno conforto all'opera: l'Aurora orla il velo di fiori, colti negli orti celesti, e per ultima Ebe lo irora d'ambrosia, onde renderlo eterno.

«Pallade il tolse e scese; e le tre caste
Timide Grazie vide assise al lito
Di Mergellina, Galatea chiamando.

E dice loro

«Venere, o Grazie, più del bacio v'ama
Che Amor le : perciò v'insegue Amore
Invido e non fanciul, come più spesso
Pare agli umani . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ma pur, vergini Dee, d'Amor sorelle
Creovvi il Fato; da lui potrei
Partirvi, il desia la Terra o il Cielo,
Ma qualor di sue fiamme arda l'Olimpo,
Arda il cor de' mortali, e di voi, caste
Dive, a' consigli e al lacrimar s'adiri,
Vi ricopra il mio velo; e sì raccolte,
Finchè nel furor suo freme e imperversa,
Siavi la reggia mia securo albergo.
Quindi ospiti improvvise all'elegante
Pittor scendete, e il vostro ingenuo riso
Dolce un decoro pioverà alla tela;
Nitido il verso suonerà al Poeta,
Se voi l'udrete; e lo scalpel sul marmo
Scorrerà facilissimo, spontaneo,
Purchè raggiate su quel marmo i guardi
Così d'amore oblio l'Arti saranno.»

La santa verità di quest'ultimo verso dovrebbero ben meditare quei genitori che troppo trascurano l'istruzione ai figliuoli.47

Indi, parlando il Poeta, dice:

« . . . . . . . . . . . . Così velate,
Sdegnan le Dee mostrarsi a chi l'arcano
Tenta spiar della immortal bellezza
Con profano pensiero

Il quale concetto può spiegarsi: Chi nelle arti gentili non si prefigge uno scopo virtuoso; ma va in cerca soltanto di ricchezze e di plauso volgare, in vece di pubblica stima e di consolazione al cuore, si guadagnerà disprezzo e avvilimento.

Giunto alla fine dell'inno terzo chiude l'intero componimento con un Addio alle Grazie, a cui promettendo altri canti, le prega di render felice la bella donna milanese, ed egli frattanto la fa immortale co' seguenti versi:

«Ma intanto udite, o Vergini divine

D'ogni arcano custodi, un prego udite,

Ch'io dal sacrario del mio petto innalzo.

Date candidi giorni a lei che sola,

Quando più lieti mi fioriano gli anni,

Il cor m'accese d'immortale amore,

Poi che la sua beltà tutta m'aperse

La beltà vostra. il mio labbro mai

Osò chiamare il nome suo; grave

Mi fu nudrir di muto pianto il duolo

Per lei nel lungo esilio. Ed ella sola

Secretamente spargerà le chiome

Sovra il sepolcro mio, quando lontano

Non prescrivano i Fati anco il sepolcro.

Confortatela, o Grazie, or che non vive,

Qual pria, felice. I balli e le fanciulle

Di nera treccia insigni e di sen colmo,

Sul molle clivo di Brianza, adorna

Di giovenile rosëo candore,

Guidar la vidi: oggi le vesti allegre

Obliò mesta e il suo vedovo coro.

E, se alla Luna e all'etere stellato

Scintillando più azzurro Eupili48 ondeggia,

Il guarda avvolta in lungo velo, e plora

Coll'usignuol, finchè l'Aurora il chiami

A men soave tacito lamento.

Deh! nel lume ravvolte aureo dell'Alba

A lei movete, o belle Grazie, intorno;

E nel mirarvi, o Dee, tornino i grandi

Occhi fatali al lor natio sorriso

Tale per sommi capi è l'orditura di questo Carme, giudicato di meravigliosa bellezza, se non che, per ben gustarlo, richiede molto studio, sì per la natura dello stile che per le allegorie racchiusevi. Alla incompetenza del mio giudizio chiamo in soccorso l'egregio Luigi Settembrini il quale, nel volume Lezioni di Letteratura Italiana, così ne parla: « . . . . è una pittura di paesaggio, è una musica soavissima, è un'armoniosa melodia pittrice, è il canto dell'arte, è uno dei capolavori dell'arte moderna, e io vorrei esser giovane per impararlo tutto a mente....» Indi rivolgendo la parola ai giovani in particolare, prosegue: «I pensieri di questo Carme sono molti e fitti, e si profondano assai più; ogni parola ha il suo perché: le immagini sono piene di fragranza e di luce; il verso movesi con armonia nuova. Nessuna delle altre nazioni ha un Carme simile a questo, e nessuna ancora ha tradotto questo: noi soli Italiani intendiamo come parlano le Grazie, e come canta il loro poeta. Io non posso esaminare questa poesia, da cui fioccano bellezze infinite: voi dovete sentirla, e misero chi di voi non la sente.» Per lui insomma fra le poesie del Foscolo questa è la migliore di tutte. L'illustre De Sanctis la giudica: Ultimo fiore del classicismo italiano, lavoro finissimo di artista, ma che il poeta quasi non ci è più. C'è ancora, se io non erro, ma sotto altra forma onde far vedere che sa toccare tutte le corde della sua lira; quelle di suono forte e sublime che dierono i Sepolcri, e le dolci e soavi confacenti alle Grazie. E il dottissimo Bonghi, parlando in genere, dichiara Foscolo «un poeta scarso di vena, ma profondo di sentimento, che in poesia ha la frase peregrina e scelta.» A me non essendo dato di giudicarlo se non dalla impressione che ne ricevo, non altro dirò, che i suoi versi mi seducono e mi rapiscono.

Un'altra scoperta fra le carte labroniche è degna di nota perchè palesa la gentilezza d'animo, la gratitudine e l'amor figliale, voglio dire de' pezzetti di foglio scritti in greco moderno, evidentemente strappati dalle lettere della madre, che contenevano la benedizione che di sovente ella mandava al suo Ugo e che egli non ommetteva mai di chiedere ogni qualvolta scriveva alla famiglia. Notevoli, fra l'altre, sono le seguenti chiuse di due sue lettere: «Per ora addio in fretta, e tu, madre mia, mandami la tua santa benedizione, e mi crederò sicuro come se fossi sotto l'ali di Dio

«Ringraziate la signora Diamante (la madre) delle sue parole greche, ch'io bacio, e me le pongo sul cuore, e mi pare che allora entri in me la benedizione di Dio; e la prego di mandarmi sempre la sua. Addio

Erano in numero di 41 codesti foglietti, contenenti le parole che la madre soleva scrivergli a piè di pagina, i quali Ugo conservava religiosamente in una custodia.

Dal tutto insieme di quelle carte si potè anche dare un ordine cronologico e in parte accertare le pubblicazioni di que' suoi articoli ne' giornali inglesi ed eccone la nota, la quale per altro non giurerei esattissima.

EDINBURGH REVIEW.

1818. Febbraio e Settembre: due articoli sopra Dante; l'uno de' quali Dante e il suo secolo ebbe tale favore dal pubblico che, giudicata cosa non italiana, o francese, inglese, ma europea, gli fu pagato (così il Foscolo scriveva alla Donna Gentile) L. 32 sterline invece delle pattuite L. 15 per ogni sedici pagine.

1819. Marzo: Sommario della vita di Pio VI.

QUARTERLY REVIEW.

1819. Aprile: Sui Poemi narrativi e romanzeschi italiani, tradotto dal Maggi e da lui pubblicato la prima volta a Milano.

1821. Articolo sul Petrarca, che venne poi ampliato ed abbellito nei Saggi sul Petrarca tradotti da Camillo Ugoni che li corredò di note illustrative, recidendo un'appendice e ciò che non poteva interessare agl'Italiani.

1822. Storia del Digamma Eolico; altra versione del Maggi. Lavoro di erudizione greca che avendo procacciato al Foscolo, più di tutti gli altri suoi articoli, fama di dotto presso gl'Inglesi, se ne compiacque in modo che pose codesto nome alla famosa villetta da lui fabbricata. Il digamma ha la forma di un doppio gamma, terza lettera dell'alfabeto greco, ossia di un' F latina.

NEW MONTHLY MAGAZINE.

1822. Quattro articoli: Sulle poesie liriche del Tasso. Sulle poesie di Michelangiolo. Intorno a Federigo II e Piero delle Vigne. Intorno a Guido Cavalcanti.

EUROPEAN REVIEW.

1824. Tre articoli: Storia critica dei Periodici italiani. Viaggi classici. Sopra Sordello.

LONDON MAGAZINE.

1825. L'articolo sul Boccaccio, rifuso poi nel discorso sul testo del Decamerone edito dal Pickering.

1826. Le donne italiane; osservazioni storicamente argute sulle donne italiane quali erano mezzo secolo fa.

WESTMINSTER REVIEW.

1827. Articolo Sulla Gerusalemme Liberata, che vide la luce quando questo poema fu voltato in inglese dal Wiffen. Fu poscia pubblicato da Le Monnier sull'originale italiano di cui si conserva l'autografo fra le carte labroniche.

1827. Sulla Costituzione aristocratica della repubblica di Venezia.

Oltre ai descritti vanno rammentati i seguenti articoli, che furono pubblicati la prima volta in Italia nel 1842 dal Carrer nell'edizione del Gondoliere: Sul codice penale della China. Intorno ad un sonetto del Minzoni. Sulle poesie di Giovanni Fantoni. Sui versi di Cesare Arici in morte di Giuseppe Trenti. Sopra il Corallo, poema di Cesare Arici. Sulle novelle di Luigi Sanvitale. Sopra un metodo d'istituzioni letterarie.

Indicherò per ultimo: L'articolo sul Filicaja, originale italiano.

Cristina e il Monaldeschi, ove fa orrore il vedere quanto possa la gelosia e il gusto infernale della vendetta in cuor di donna già guasto da illimitato potere.

Saggio sullo stato della letteratura italiana nel primo ventennio del secolo XIX; traduzione dall'inglese di M. Pegna. Questo articolo era stato attribuito all'amico e compagno di Lord Byron, Hobhouse, perchè lo aveva pubblicato come documento illustrativo ad una parte del Child-Harold.

Sei discorsi sulla lingua italiana preceduti da un'Introduzione. Questa e il discorso primo, sembrano stati composti per quel corso di lezioni italiane ch'ei diede in Inghilterra, seguendo il consiglio di Lady Dacre, e in quanto agli altri, vi sono ragioni per crederli dettati negli ultimi anni della sua vita allo scopo di pubblicarli tradotti in qualche giornale inglese. «La gravissima questione della lingua (dice il professor Pavesio) che già aveva toccata ed abbozzata nella seconda lezione detta in Pavia, fu ampiamente da lui trattata ne' sei discorsi sulla lingua italiana; che a mio credere ben possono tenersi come una delle migliori scritture che le nostre lettere posseggano su questo gravissimo e capitale argomento

E finalmente la Lettera apologetica, diretta agli Editori padovani della Commedia di Dante, scritta nel 1825, o verso la fine del 1826, come credono alcuni, nella persuasione che il Foscolo la dettasse quando, presentendo prossima la sua morte, volle con la medesima tramandare ai posteri un documento solenne di sua ultima volontà, che consiste in un'ampla e convincente giustificazione della sua condotta morale e politica, capace a far tacere per sempre i suoi nemici. Quella pubblicazione in fatti fu suggello che sgannò chiunque conservato avesse in buona fede qualche minimo dubbio sull'integrità di carattere del suo autore. Come lavoro letterario non so che ne pensino i gran maestri dell'arte. Emiliani-Giudici la dice prosa robusta ed elegantissima; e, piace in modo al signor Alberto Mario, che esclama: «A sentimento mio è la più potente ed eloquente e nervosa e luminosa ed efficace prosa della letteratura italiana, benchè il signor Bonghi non abbia ondeggiato un minuto nel farci sapere che il Foscolo è mediocre prosatore

Uscì per le stampe la prima volta nel 1844 a Lugano, per cura di Giuseppe Mazzini, il quale, grande estimatore del Foscolo, aveva in animo di scriverne la vita, però ch'ei, dice, mantenne tra le sciagure, l'esilio e la povertà, la costanza dei principii, l'indipendenza delle opinioni e l'affetto alla patria. Egli narra che, morto era il Foscolo da undici anni, quando trovò nell'angolo di una stanzuccia del libraio Pickering, insieme ad altre carte, condannate visibilmente a perire, due terzi a un dipresso della detta lettera, in foglietti di prova, ignota allora interamente all'Italia. L'autore essendosi proposto di parlare di , e come Italiano e come Greco, si potrebbe dire che essa divisa fosse in due parti collegate insieme da quanto è scritto intorno a lord Byron; ma della seconda fu rinvenuto fra le carte labroniche soltanto un frammento, copia di amanuense, con aggiunte e correzioni autografe. Il resto è andato irreparabilmente perduto e ne fa fede il signor Filippo Panizzi, conservatore del Museo Britannico, che, scrivendone al Mazzini, diceva: «Mi fu letta tutta dal povero Foscolo che s'arrestava, bestemmiava, piangeva, correggeva e commentava quello che avea scritto, leggendo e discorrendo meco per sei ore e più, dalle otto della sera sino alle due del mattino: e poi in pantofole e veste da camera m'accompagnò da casa sua fino a Regent's Street. Volesse Iddio, che avessi scritto allora e caldo dell'impressione ricevuta quello che udii e vidi. Non ho più udito o visto uomo ispirato com'era Foscolo allora: è cosa da non credersi

Riuscì al Mazzini di persuadere Pietro Rolandi, libraio italiano in Londra, di acquistare dal Pickering le dette carte non che il lavoro sul testo dantesco per la cospicua somma di lire quattrocento sterline, che tante il possessore ne volle, montato in capo dalla premura veduta negli acquirenti. È da encomiarsi per ciò il Rolandi, il quale si sobbarcò pur anche alla spesa dell'edizione di questo Dante, illustrato dal Foscolo, (che lo stesso Mazzini diresse e corresse le prove); e tanto più che in ambedue non fu estraneo nell'impresa l'amore della gloria del paese nativo.49

Il carme l'Alceo, di cui resta un frammento, a detta dello stesso signor Panizzi, era già stato terminato avanti l'esilio; e quello alla Sventura, del quale non rimane più traccia, Silvio Pellico asseriva di averlo in gran parte udito recitar dal poeta. Anche di un nuovo romanzo di amore di cui il Foscolo fa menzione come di cosa finita e consegnata al traduttore onde lo volgesse in inglese, non si è trovato fra le carte labroniche che una specie di sommario o indice. Vi si trova bensì quell'Omeruccio interfogliato di cui fa parola la lettera alla Donna gentile, de' 14 febbraio 1816, ove le prove di traduzione abbracciano tutto il canto nono e s'inoltrano al decimo con qualche verso.

E di un amorazzo in cui Ugo si avvolse nell'età di 23 anni porgono, a quanto sembra, quelle carte testimonianza; ma gli Editori toscani stimarono conveniente di non metterlo in mostra, per un debito riguardo alla memoria del defunto, considerandolo fors'anche come un episodio di quelli frequenti e comuni alla gioventù in generale, quindi da non farsene caso.





45 Lettera di Hudson Gurney all'arciprete D. Pasquali Molena, riportata dal prof. Perosino nell'opera citata.



46 Nel Bollettino bibliografico della Nuova Antologia, maggio 1817, dopo un esame critico sulla pubblicazione, Le Grazie interpretate da G. Antonio Martinetti, si legge: «Osservo inoltre che la presente interpretazione perderà ogni importanza quando (e speriamo sia presto) l'editore Vigo pubblicherà per cura del Chiarini, i frammenti delle Grazie, quali furono lasciati dal Foscolo, chè oramai è troppo manifesto quanto ci sia d'arbitrario nel riordinamento dell'Orlandini



47 Da Milano, nel settembre 1814, scriveva alla famiglia: « .... studio davvero, e se non sono contento della fortuna, sono almeno contentissimo de' miei lavori, e non invidio i principi; e questo è il vero, prezioso, unico vantaggio dello studio di far dimenticare i guai della vita.» Sullo stesso argomento mandava al giovinetto Paolo Giovio la seguente terzina:

«Certo per consolar nel lor esiglio
Gl'infelici, e nutrir l'alma di speme,
Delle lettere un Dio diede il consiglio



48 Eupili, in antico; oggi lago di Pusiano in Brianza.



49 «Fra gl'Italiani poeti Dante è il più studiato in Inghilterra; e il rev. sig. Cary già parroco di Chiswick ed ora vice-bibliotecario del Museo britannico ha dato in versi inglesi la più bella traduzione che esista in lingua moderna della Divina Commedia.» (Nota del prof. Caleffi alle opere di Ugo Foscolo.)



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License