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Come sarebbe divampata la sua ira se avesse saputo che la Rosalìa non era soltanto consapevole dell'accaduto, ma che per mezzo suo il Campaldi riceveva le notizie della contessa e vegliava da lontano su di essa! Nei primi mesi dell'assenza di Guido, Beatrice stessa ignorava questa connivenza dell'artista con la contadina, ma un giorno, mentre la contessa passeggiava nella valle col piccolo Ermanno, aveva incontrata la Rosalìa, e, come soleva, l'aveva fermata e si era messa a conversare famigliarmente con lei; allora la Rosalìa, tratta di tasca una lettera, che avea tenuta involta in una candida pezzola, come fosse una reliquia, gliela consegnò.
Beatrice non conosceva lo scritto di Guido, ma ebbe un presentimento del vero e non potè frenare un movimento di gioia. La Rosalìa la guardava, con indifferenza, attendendo che la contessa avesse finito di leggere e rileggere quel foglio.
Guido Campaldi, consapevole dello stato di Beatrice e dell'assenza del conte, le offriva aiuto e soccorso, le parlava del suo amore sempre vivo, le faceva parte dei suoi disegni per l'avvenire e le diceva che intendeva stabilirsi per qualche anno in America, e per ciò assestava tutti i suoi affari in Italia; le offriva la sua casa, il suo patrimonio, il suo amore inalterato e la sua eterna devozione.
Beatrice aveva gli occhi pieni di lagrime; quella lettera faceva risorgere dinanzi alla sua mente vive ed attraenti le imagini già leggermente sbiadite del passato.
Intanto la Rosalìa, accortasi che la contessa non badava più a lei, si fece ardita, e le si avvicinò.
– Signora mia illustrissima, – disse, – se ella ha qualche risposta a quella lettera, io potrò farla pervenire a chi scrisse. –
Beatrice si scosse alla voce della contadina, si rammentò della sua triste situazione e la guardò maravigliata e diffidente.
– Chi ti ha dato questa lettera? – domandò piano, quasi avesse paura che gli alberi stessi la sentissero.
– Giovannino, il cameriere di chi scrisse, – rispose la Rosalìa, non volendo per rispetto o timore pronunciare quel nome.
– Ma quando? Dove? – domandò con impazienza la contessa.
– A V*** ieri l'altro, – disse laconicamente la vecchia, e nominò una grossa borgata assai distante dalla Valle d'Ardenberg.
– E l'hai visto colà altre volte? – chiese ancora la contessa, che cominciava a temere qualche grave imprudenza del Campaldi o qualche inganno per parte della Rosalìa che scrutava incessantemente con gli occhi.
– Sì, signora contessa, – disse un poco intimidita la Rosalìa. – Mi chiedeva sue notizie, illustrissima, e come ella stava e se era lieta o mesta, se il signor conte, nostro padrone, dimorava sempre al castello e se si dimostrava con... – e qui la vecchia sostò incerta e per rispetto soggiunse – con tutti di sua famiglia buono e amorevole come al solito. Mi perdoni, signora contessa, se ho mancato, – aggiunse la Rosalìa, vedendo il viso serio e diffidente di Beatrice.
La contessa, avvilita da tanti patimenti, giunta ora appena a godere di una tregua, e sperando pace nell'avvenire, ebbe paura di perdere a un tratto quel poco che aveva acquistato con tanta fatica; l'assenza, le sciagure, avevano affievolito il suo amore; essa aveva, lo ripetiamo, una debole tempra che non poteva resistere alla sventura, ed ora, sebbene alla vista di quella lettera il suo cuore esultasse e mille sentimenti dolcissimi rivivessero in lei, pure sentiva che non avrebbe potuto accettare l'invito generoso dell'artista, nè incontrare nuovi pericoli, nè attirare sopra di sè e la sua casa sì triste scandalo. Capì subito che conveniva vincere quei desideri pieni di attrattive, e accontentarsi della tranquillità che s'era ormai acquistata; pensò al piccolo scemo, che amava con amore di madre, e a quell'altro, che doveva tenerle luogo dell'amante lontano e ricordarglielo eternamente.
– Fate un ufficio che è indegno di voi, – disse finalmente con simulata severità la contessa dopo un lungo silenzio.
– Lo so, illustrissima, – rispose umilmente e chinando giù giù il capo la Rosalìa, – e se non fosse per chi lo comandò, di certo, contessa illustrissima, non l'avrei fatto.
– Chi te lo comandò? – chiese subito impaurita Beatrice, che pensò senz'altro al conte.
– La contessa Valfreda! – rispose la vecchia con rispetto.
Beatrice guardò esterrefatta la contadina.
– Ma è dunque pazza davvero! – disse fra sè, e pensò con timore in quali mani erano cadute le prove del suo disgraziato segreto.
– Ma intendi tu parlare di Valfreda della leggenda, di quella che visse quattro secoli fa? – domandò dopo un breve silenzio Beatrice.
– Sì, signora illustrissima, – rispose la contadina, maravigliata del sentirsi chiedere se al mondo vi fosse un'altra Valfreda che non fosse la sua, – parlo della povera, bella, contessa Valfreda di Ardenberg, di quella stessa che mi salvò la vita allorchè ero ancora piccina, e che mi apparve bella e sorridente come un angiolo, e per me fu buona davvero come fosse tale.
– E credi d'averla riveduta? – domandò ancora Beatrice con un sorriso incredulo.
– Sissignora, – rispose prontamente la donna, – mi apparve in sogno la notte dopo che Giovanni per la prima volta m'aveva fatto intendere ciò che si voleva da me; egli m'aveva promesso denari e doni, ma sebbene poverissima ero rimasta indecisa e sulle prime dissi di no. La notte seguente m'apparve a un tratto la contessa Valfreda, vestita di bianco, coi capelli scintillanti come l'oro, che sembravano qua e là tempestati di gemme; ma poi, fattasi più vicina, m'accorsi che quelle gemme erano goccie d'acqua, entro le quali si rifletteva la luce fantastica che la circondava tutta; era la medesima luce fioca e incerta che rischiara il fondo delle acque, allorchè sono limpide e vi splende il sole; aveva il lembo della bianca vesta e i pizzi delle lunghissime maniche umidi e sgocciolanti, alla cintura portava una ghirlanda di alghe bagnate e verdi che mobili, quasi ondeggianti, come fossero mosse dalle acque, le ricadevano sui fianchi. La contessa aveva il viso serio e mi guardò in atto di rimprovero: – Hai fatto male, Rosalìa, mi disse, a rifiutare l'offerta di Giovanni; la contessa Beatrice è infelice e non ha nessuno che l'aiuti; io l'ho presa a proteggere, e tu, per amor mio, dovresti fare quanto puoi per soccorrerla o confortarla. – Io era tutta sgomenta e promisi, non so con quali parole, d'obbedirla. – Accetta l'offerta di Giovanni, diss'ella sorridendo, e fa tutto ciò che ti ordineranno il suo signore e la contessa; servendo ad essi tu servi a me, ed io te ne sarò grata. – E detto questo sparì, mettendo il dito sulle labbra e accennandomi di non rivelare ad alcuno le cose che avrei fatte. –
Beatrice non rispose subito alle strane parole della vecchia, ma quei detti la rassicurarono, e capì che ormai non v'era più a temere della indiscrezione di Rosalìa; ella pensò che la leggenda popolare della Valfreda, diventata col tempo una credenza inattaccabile, circondava la triste realtà delle sue proprie disgraziate vicende con un'aureola di poetiche favole che la proteggevano assai più validamente dall'indiscrezione o dall'inganno, di quel che non l'avrebbero potuto fare le minaccie o il danaro.
Col mezzo della Rosalìa la Beatrice rispose a Guido esortandolo a partire, e dicendogli nello stesso tempo che essa aveva risoluto di dedicare la sua vita alle cure e all'educazione dei suoi figli, nè voleva attirare con quell'infelice amore nuovi scandali sulla casa degli Ardenberg o la famiglia sua paterna.
Ma non seppe però resistere alle preghiere di Guido e al proprio desiderio di rivederlo ancora un'ultima volta, prima ch'egli partisse per l'America.
Alcuni giorni dopo la nascita di Gualberto, Beatrice ebbe avviso dalla Rosalìa che Guido di nottetempo sarebbe giunto al castello. Il conte era assente, il modo d'introdurre l'artista nell'appartamento della contessa agevole e sicuro.
Quegli addii furono dolorosissimi, ed alla povera donna venne quasi meno il coraggio di abbandonare per sempre il suo amante. Guido baciò mille volte il piccolo Gualberto e lo guardò con orgoglio e tenerezza.
– Diventerà grande, intelligente e buono; ti amerà, ti difenderà, sarà la tua gioia, il tuo orgoglio... chi sa che su questa piccola fronte non isplendano un giorno tutte le glorie dell'arte e del pensiero!... Ci rivedremo, Beatrice, da lontano veglierò sopra di te; accorrerò ad un tuo cenno, se mi vorrai! –
E dopo molte promesse si lasciarono, convinti entrambi di non più rivedersi, mentre le loro labbra con pietoso inganno promettevano l'uno all'altro quanto credevano non potersi mai più effettuare, e che cercavano di mostrarsi a vicenda forti e risoluti.
Dentro di sè erano desolati. E la povera contessa, debole tuttavia e non peranco convalescente, ammalò, e sì gravemente, che si temette di perderla.
Non fu dunque una stolta diffidenza quella che provò il conte di Ardenberg, allorchè gli dispiacque di incontrare nel suo castello la figlia della Rosalìa.
Quale non sarebbe stato il suo sdegno se avesse potuto soltanto immaginare, vedendo Gualberto per la prima volta, che egli era già stato baciato e accarezzato da suo padre!