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Appena fu uscita, Ermanno aprì piano piano l'uscio e la seguì; la seguì da lontano, rasentando le pareti della camera, e la guardava, insaziato di vederla; quando ella scese le scale, si affacciò al parapetto e la guardò scendere, poi sentì delle voci e capì che non poteva più seguirla senza essere veduto. Allora, a capo chino, tornò addietro e rientrò nella camera di Jeronima. Volse gli occhi intorno, restando pensoso a contemplare gli oggetti che le appartenevano.
– Potessi ancora sentire la sua voce! – disse fra sè, – il mio nome detto da lei... Ho dimenticato il soave accento col quale lo pronunciava! Volevo farmelo ripetere, perchè me lo dicesse prima di lasciarmi. Mi ricordo di tutto il resto, e soltanto di quello no. – Si mise a frugare sopra i tavolini, e trovò una Bibbia, che Jeronima soleva portare allorchè accompagnava in chiesa Ermanno e la contessa Beatrice. – Vorrei pregare sulle pagine dove ha pregato lei. – Prese seco il libro, andò nella sua camera, s'inginocchiò accanto al letto e volle leggere; ma non capiva nulla. Quei caratteri erano troppo piccoli; il senso di quelle parole, inintelligibile; sopra quelle pagine non vedeva altro che lei, e le guardava come fossero reliquie; inginocchiarsi e pensare a lei, con un libro sacro fra le mani, che le apparteneva, col quale egli credeva che ella avesse già pregato, era per lui il modo di compiere l'atto maggiore di raccoglimento e d'adorazione che si potesse fare.
Si rialzò dopo qualche tempo. Era di nuovo acceso in viso e i suoi occhi luciccavano; ora egli aveva sicuramente la febbre. Il capo gli ardeva, era grave, dolente, e sentiva un continuo ronzio negli orecchi. Aveva caldo. –Là si starà bene, farà fresco. – Si affacciò alla finestra e guardò il lago di sotto. – Oggi l'acqua è chiara, bella, il fondo pare tutto di cielo. Non ho più paura dell'acqua adesso. – Si ritrasse dalla finestra, perchè aveva il capogiro. – Che cosa sarà? – disse, e si toccò la fronte, poi guardò la poltrona accanto al suo letto. – Era seduta qui ieri sera... non poteva piangere... stamane invece, allorchè fu sola con me sulla terrazza, non poteva più sorridere... come sarà contenta dopo, avrà sempre l'altro viso e quello che soleva avere meco, che piaceva a me e faceva male a lei, non l'avrà più, me lo sarò portato via io. Sarà tutto mio... – Tornò nel salotto di Jeronima. Guardò il tavolino, le seggiole, osservò ogni cosa. –Non ha lasciato niente, – disse mestamente; ma poi s'accorse con gioia, che un velo bianco, che ella soleva mettere al collo la sera allorchè usciva, giaceva dimenticato sopra una seggiola. Lo afferrò, lo strinse fra le mani, vi posò le labbra, e lo portò seco nella sua camera.
Era tanto contento di aver trovato quel pezzo di trina!
Si avvicinò alla finestra con quel velo fra le mani, ci si arrampicò e si mise a cavallo al parapetto.
Era un bel giorno sereno, fresco per il temporale della notte scorsa. Il lago era tranquillo e limpido come un cristallo. Vi si specchiavano il cielo ed il castello. Ermanno guardava fisso l'acqua sotto alla finestra. La finestra era alta; ma a momenti parevagli che il suo piede sfiorasse il lago.
Non aveva più paura dell'acqua. Il timore che ne aveva avuto per tanti anni, era svanito come per incanto.
– È bello quel fondo azzurro, – diceva fra sè; – è bello essere acqua, cielo, essere guardati per tante ore da lei, essere una cosa che a lei piace, che lei intende, che la fa sorridere, e non essere come me, e volerle tanto bene, e tener chiusa quell'adorazione in una forma brutta come la mia; sono indegni i miei occhi, le mie mani, è indegno il mio viso, sono tutto indegno di amarla. Essere acqua, cielo, riflettere il suo volto e volerle bene, che piacere! – diceva Ermanno, a sbalzi, ora pensando a voce alta, ora fra sè, mentre la febbre cresceva e imbizzarriva nel suo debole cervello. Sedette un pezzo lì, a cavalcioni della finestra, dondolandosi sbalordito in qua e in là, guardando ora in giù come se l'abisso lo attraesse, ora chiudendo gli occhi e nascondendo il viso nella trina di Jeronima.
Quella trina aveva un soave profumo, e chiudendo gli occhi, gli pareva che ella fosse vicina.
L'acqua di sotto mormorava dolcemente e gli sembrava che lo chiamasse; la febbre cresceva e l'aria parevagli infuocata.
– Sarà con gli altri adesso e sorriderà; ella non sa che il suo viso serio e bianco me lo porto meco nel fondo del lago per lasciarle quassù i sorrisi. Mi cercherà? – Si mise sul volto la trina bianca che aveva nelle mani e la legò stretta stretta intorno agli occhi. – Non voglio vedere più nulla... L'ultima cosa che voglio vedere è lei, voglio ricordare tutto tutto, perchè, se dimentico qualcosa non avrò pace, e, come Valfreda, dovrò uscire dall'acqua e richiederla eternamente. – Ebbe un capogiro; ma si appoggiò al muro e non cadde. Chiuse gli occhi sotto a quel velo; assorbì l'olezzo di quella trina che avea stretta sul viso, pensò a lei con intensità, gli parve di vederla, di sentirla, e si assopì leggermente.