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XXV. | «» |
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Quando Gualberto tornò nel salotto, Jeronima sola vegliava, seduta presso una finestra, guardando la vasta marina, incantevole in quella notte.
Egli le si avvicinò non visto. Era commosso. Era questa per lui, una di quelle torbide ore di passione giovanile, che lo sguardo mesto ed ingenuo di Jeronima soleva calmare, che ella soltanto sapeva confortare colla dolce armonia delle sue parole.
– A che cosa pensi, Jeronima? – le disse.
Jeronima si scosse. Gualberto sperava una risposta affettuosa; ma non l'ebbe.
– Pensavo a tua madre... al suo avvenire, – replicò.
– Al suo avvenire? – chiese egli con maraviglia.
– Sì, – disse – le tristi memorie che tormentano ancora il cuore di tua madre, dilegueranno col tempo, e allora... allora il Campaldi darà ad essa il conforto di una protezione sicura, di un affetto riconosciuto da tutti, e quello maggiore d'ogni altro, del poter dire a te che essa è la moglie di tuo padre. Ma per ora non se ne parli. Le son cose non di oggi, ma dei giorni che verranno.
– E a noi, Jeronima, gentile sibilla, che cosa porteranno i nuovi giorni? – e cercava, commosso, co' suoi sguardi quelli di lei.
Ma quei grandi occhi, che egli cercava, erano fissi, pensosi, ad un punto lontano fra mare e cielo.
– Recheranno le gioie serene del sacrifizio e le fatiche delle lotte quotidiane. Le grandi istituzioni hanno bisogno di martiri per morire e trasformarsi, come ne abbisognarono, allorchè dovettero nascere e farsi potenti. Porteremo insieme, umili operai del pensiero, le pietre ai nuovi edifizi. L'avvenire ti arrecherà la certezza di un affetto devoto e un còmpito degno del tuo intelletto. Ciò che vorresti di più sarebbe, in confronto di questo, poco assai... – Poi si volse e lo guardò con un sorriso raggiante: – Ciò che per il volgo è la parte di uno solo, noi daremo a tanti.
Il giovane sacerdote l'ascoltava con riverenza, dominato dal fascino della sua parola e della sua presenza.
Essa incominciava a prendere per lui, il posto di quegli esseri ideali e adorati, dinanzi ai quali si era prostrato in altri tempi.
Vicino a lei, egli si vergognava degl'impeti disordinati della passione; mentre, ignara di quelle lotte, la sua gentile amica, coll'ingenua ed energica parola, lo riconduceva ad altre e migliori aspirazioni.
Jeronima, guidata da una mente eletta, fatta migliore da una dolorosa esperienza della vita, era giunta prima di lui a conseguire la tranquillità elevata e sicura dell'animo che tien lontane le tempeste delle passioni.
Egli pose con riverenza le sue labbra sulla mano che Jeronima appoggiava al davanzale della finestra.
– Hai la vera fede, disse – e l'hai ispirata anche a me; quella nella forza della volontà e dell'intelletto. Hai la fede nell'amore vero, perchè sei pura come una vergine ed ami il sacrifizio come una martire. Se questo sogno di folle carità per coloro che non hanno ancora imparato a pensare, è un sogno davvero, sarà però grande e bello, e nella via che mi traccia la tua mano nell'avvenire, non mi arresterò più. Accanto a te, in quest'ora di pace, sento già che la mia vita appartiene alle lotte dei giorni futuri.
FINE.
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