Marianna Florenzi Waddington
Saggio sulla filosofia dello spirito
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SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLO SPIRITO. INTRODUZIONE.

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SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLO SPIRITO.

INTRODUZIONE.

Lo spirito non solo è il compimento necessario dello sviluppo naturale, come abbiamo fatto vedere nel precedente Saggio sulla natura, ma di più esso medesimo è un vasto sistema il quale comprende maggior ricchezza di produzioni di quello che non ne abbia la stessa immensa natura. Imperocchè lo spirito non solo ricomprende tutta la natura in , ma la solleva ad una tale altezza, dove acquista un valore infinitamente più grande, dispogliandosi di quella forma accidentale di contingenze, ed acquistando l'impronta della necessità.

Lo studio dello spirito quanto più è eccellente tanto più è difficile, e richiede maggiore capacità d'intendimento. Onde avviene che nel progresso degli studî umani le ricerche sulla natura sono andate innanzi alle investigazioni più sottili dello spirito. Il Naturalismo conta in Europa oramai tre secoli di studî e di esperienze continue, per le quali gran parte dei tesori della natura sono stati discoperti, mentre lo Spiritualismo è nato appena da un secolo, ed il primo che lo abbia veramente iniziato è stato Emanuele Kant. Non si vuole dire già con questo che prima di Kant non siasi parlato dello spirito, ma sibbene che prima di lui non si era seriamente badato alla importanza delle sue produzioni. E siccome prima di Galileo si era parlato della natura, ma ricorrendo alle ipotesi ed alle presupposizioni fantastiche, e trascurando l'esperienza, così prima di Kant si era parlato dello spirito, ma si erano attribuite le sue opere a forze puramente naturali, ed anche a forze immaginarie e sopranaturali. Lo stesso Cartesio il quale aveva distinto l'essenza dello spirito da quella della materia, non avea poi saputo parlare dello spirito con altro linguaggio, che con immagini ricavate dalle cose materiali, come osserva benissimo il Vico scrivendo a Tommaso Rossi.

Per parlare degnamente dello spirito occorrono due cose: prima farsi ragione della sua speciale natura, poi attendere alle particolari qualità delle sue produzioni, e di queste due cose noi toccheremo in questa introduzione.

Quelli i quali sono soverchiamente ammirati della fecondità della natura non vogliono riconoscere nulla sopra di lei, e confondono lo spirito nel numero delle forze puramente naturali. Questo naturalismo è angusto e vizioso, perchè restringendo tutto nella natura, non sa può rendere conto della sua finalità. E se bene si consideri la cosa, col puro naturalismo non si arriverà anche a comprendere la natura in stessa. Di fatti comprendere la natura è già sorpassarla; onde il sapere non può essere più produzione naturale, ma oltrenaturale. E quando diciamo oltrenaturale non vogliamo intendere quel falso sopranaturalismo che regnò per tutto il medio-evo, ed empi di Angeli e di Demoni tutte le sfere della natura. Lo spirito, la cui esistenza e necessità noi ammettiamo, è talmente connesso colla natura, che l'uno non può stare senza dell'altra. Ma dire che spirito e natura sono connessi non porta il disconoscere la loro distinzione e l'assorbire l'uno nell'altra o viceversa, come fa l'esclusivo Naturalismo, o l'esclusivo Spiritualismo. Quando si dice: tutto è natura; o per contrario, quando si afferma: tutto è spirito, non si riflette che queste due asserzioni sono ambedue assurde. La natura è mezzo, lo spirito è fine; si può dare mezzo che non serva ad un fine, fine che si consegua senza il suo mezzo.

Vi sono altri i quali si sono dati più l'aria di filosofi, e credendo di allontanarsi dal puro Naturalismo, hanno fatto consistere l'essenza dello spirito nella semplicità, e l'essenza della natura nella moltiplicità. La definizione più divulgata che correva dello spirito era quella di una sostanza o di una forza semplice. Ora non vi ha concetto più vuoto di questo perchè la pura semplicità esclude qualsiasi differenza; mentre al contrario, lo spirito essendo il subbietto più concreto e più comprensivo che vi sia, non solo non esclude le differenze, ma anzi deve includerle tutte quante.

La fallacia della citata definizione cominciò a vedersi più chiara dopo che Leibnitz provò che la semplicità apparteneva con eguale ragione tanto all'anima umana quanto agli elementi dei corpi, perciò alla natura. La differenza che corre tra lo spirito e le monadi naturali è stata posta dal Leibnitz nel diverso grado di sviluppo che ha in ciascuna di esse lo schema rappresentativo dell'Universo. Ma sebbene Leibnitz entri più profondamente nella distinzione che separa lo spirito dalla natura, nondimeno non possiamo ritenere per esatta quella distinzione, la quale infine si riduce ad un grado più o ad un grado meno. Ora la differenza che passa tra lo spirito e la natura non può essere puramente quantitativa.

Più di tutti rasentò il vero Cartesio quando disse che l'essenza della mente consiste nel pensiero, mentre quella della materia consiste nell'estensione. Se non che il pensiero non può essere soltanto un attributo essenziale, com'è nella definizione cartesiana, perchè in tal modo esso apparirebbe come un'appartenenza della sostanza, e per ciò come qualche cosa che fosse dipendente da lei. Il dire che lo spirito è una sostanza pensante, come dice Cartesio, ovvero il dire che è una monade fornita di coscienza chiara e distinta, come dice Leibnitz, implica che al di del pensiero e al disopra di esso vi sia la sostanza e la forza. Tutto al contrario di ciò, la sostanza e la forza non sono altro che due categorie del pensiero, due momenti compresi in quest'assoluta ed universale unità.

Le definizioni enumerate finora che fanno consistere l'essenza dello spirito nella semplicità o nella forza, sono dunque imperfette, e non esprimono l'esatto contenuto dello spirito medesimo. Lo spirito è il pensiero, tutto quanto il pensiero, non uno o un altro frammento di lui; e finalmente esso è il pensiero nella concreta e propria sua forma. La natura è anch'essa pensiero, ma sotto una forma che non è la sua e per ciò apparisce come straniero a stesso. Le esistenze naturali sono pensiero, ma non tutto il pensiero, sibbene sono frammenti o più propriamente momenti dell'unico e vasto sistema del pensiero. La totalità di questi momenti ricompresa sotto la vera e propria forma del pensiero è appunto lo spirito. Quando adunque si dice che lo spirito è l'essere o la sostanza, o la causa, o la forza, o la natura o altra qualsiasi particolare forma, si sempre una definizione incompleta di esso; talchè si potrebbe replicare: lo spirito è tutto questo, ma è ancora di più. Tutti questi momenti son finiti perchè l'uno esclude l'altro, ma lo spirito è il vero infinito perchè egli non esclude nulla, perchè pensandoli li include tutti.

La nozione, la quale producendo la natura, aveva introdotto una divisione tra l'ideale ed il reale, nello spirito ristabilisce la sua concreta unità, perchè in lui il reale e l'ideale si trovano unificati e identificati insieme. La realtà in quanto è conosciuta si trova idealizzata e non costituisce più per lo spirito un limite esterno ed insormontabile. Il limite è distrutto nel momento medesimo che esso è conosciuto: il vero limite, come osserva profondamente Hegel, non esiste se non per quello che non conosce: conoscere il suo limite è già sapersi infinito. Lo spirito il quale conosce il suo limite è egli stesso che se lo pone: l'esteriorità del limite sparisce ogni qualvolta questo viene pensato; cessa di essere esterno e diventa interno. Ora il vero e concreto infinito non è quello che non ha nessun limite ma bensì quello che ha il limite come posto dentro di . Il finito al contrario è quello che ha limite come posto fuori di , ossia in un altro. La natura in cui predomina questa esteriorità, è appunto il regno della limitazione. L'essenza dello spirito consiste dunque nell'essere insieme ed un altro, mentre l'essenza della natura consiste nell'essere ed opporsi ad un altro. Onde si può conchiudere che lo spirito concretizza in i termini della contradizione e li concilia nella sua viva unità. Questa singolare prerogativa dello spirito, la quale è stata messa in chiaro da Hegel, era stata nel secolo scorso profondamente avvertita da Tommaso Rossi con una precisione che fa veramente meraviglia. L'essenza mentale è invero un mirabil nodo di due contraddittorî che due egualmente robuste dimostrazioni da una parte e dall'altra confermano. «L'un contraddittorio è quello pur ora dimostrato, che la mente in tutte le reali forme intendevoli e scibili sia una medesima cosa; l'altro è, che la mente da quelle forme debba essere realmente distinta. Questi due contraddittorî, che per forza d'insolubili argomenti fra loro contrastano, diciam noi, che temperati, mitigati e conciliati formano il vero ingegnoso, meraviglioso ed enigmatico della natura mentale, facendo che la mente sia e non sia insieme una medesima cosa colle forme reali che sa ed intende1

Dopo di avere per tal modo fatto rilevare dove consistesse realmente l'ultima natura dello spirito, noi crediamo che questa medesima si possa più evidentemente scorgere nelle sue produzioni. Ogni interno si rileva esattamente nel suo esterno, perciò lo spirito si vede e si tocca quasi con mano in ciò che egli fa. Allato al mondo naturale, anzi al disopra di esso vi è il mondo dello spirito. E questo è anch'esso un vasto sistema ordinato armoniosamente come quello della natura, e più importante assai del mondo naturale, in quanto che il mondo dello spirito si è perfettamente affrancato dalla ferrea necessità. Ed un'altra prerogativa di più ha esso ancora, ed è che nelle sue produzioni non predomina quell'accidentalità che abbiamo osservato nel regno della natura. Che se talvolta l'accidente trova luogo nelle azioni spirituali sotto la forma di arbitrio, nondimeno questo fatto medesimo, che pare a prima vista accidentale, avendo radice nella libertà, acquista anch'esso l'impronta della universalità. E poi l'arbitrio appartiene all'Io individuale e circoscritto in un particolare organismo, e non già allo spirito universale ed assoluto. Ora noi nel parlare delle produzioni dello spirito non intendiamo già di tener conto delle singole azioni particolari che si riferiscono all'Io, ma sibbene di quelle produzioni universali che hanno il suggello della idealità, e che appartengono a pari dritto a tutto il genere umano. Queste siffatte produzioni debbono perciò essere ricavate dal concetto medesimo dello spirito. E poichè, come abbiamo disopra accennato, lo spirito è l'identità concreta dell'ideale e del reale, della nozione e della natura, il suo processo per conseguenza deve essere doppio. O egli tende ad idealizzare il reale, riducendo per tal modo ad unità i due termini opposti che contiene, ma in guisa da far prevalere la forma dell' idealità; o al contrario egli tende a realizzare l'ideale, facendo in questo secondo processo prevalere la forma della realtà. Nell'uno e nell'altro caso però, sia che prevalga l'idealità, sia che prevalga la realtà, è facile il vedere che nelle produzioni dello spirito l'idealità della prima forma non e la semplice idealità speculativa della logica, come a rincontro la realtà della seconda forma non è più la semplice realtà naturale. L'idealità e la realtà in quanto si trovano nelle produzioni dello spirito, non sono più isolate ed opposte, ma sono implicate l'una nell'altra. E se lo spirito operando sdoppia, per dir cosi, la sua natura, e riproduce gli elementi da cui risulta, egli li riproduce di già conciliati, e perciò in grado da potere ciascuno di essi rivelare l'intero spirito. Onde mentre nella natura una forma, o un momento di una forma naturale non contiene che un solo frammento di essa, nello spirito al contrario ogni forma contiene tutto lo spirito. Lo spirito però sebbene in ognuna delle sue forme racchiuda e manifesti tutto stesso, nulla di meno esso vi prende diverso valore, e non manifesta sempre stesso come spirito ma talvolta come natura, e talvolta come anima. Imperciocchè lo spirito essendo l'ultimo sviluppo e l'ultima perfezione della nozione, contiene in la natura e l'anima, che sono i gradi che lo precedono nel dialettico movimento. Onde lo spirito comincia dall'idealizzare la natura, e poi idealizza l'anima ed infine idealizza stesso. Per tal modo egli nel processo teoretico idealizza tutta quanta la realtà; ma con tre ideali differenti: nell'ideale dell'arte si trova idealizzata la natura, creata una natura nuova ed ideale: nell'ideale della religione si trova idealizzata l'anima: nell'ideale della scienza finalmente si trova idealizzato il pensiero, lo spirito medesimo. Di rincontro al processo teoretico cammina di pari passo il processo pratico, quello cioè con cui lo spirito realizza ogni sua idealità. Ed anche questo processo, che si può dire pratico, ha tre gradi come il primo. Lo spirito realizza stesso come natura nel dritto, come anima nella morale, ed infine come spirito nello stato.

Come dunque nella filosofia della natura noi abbiamo notato un progresso dalla forma naturale alla forma animale e da questa allo spirito; così nel presente Saggio noi vediamo riprodotte queste tre medesime forme, ma tutte e tre improntate del suggello spirituale. Il che prova che il cammino della scienza è sempre il medesimo, e che si fonda sulla stessa legge dialettica la quale in ultimo risale fino alla triplice divisione della logica e ai tre gradi di essa, che sono l'Essere, l'Essenza e la Nozione.





1 Della mente sovrana nel mondo, cap. VI. Quest'opera è stata non ha guari ristampata ed illustrata con lodevole zelo dall'egregio Giordano Zocchi, a cui si deve avere riconoscenza di un tanto servigio reso alla scienza.



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