Marianna Florenzi Waddington
Saggio sulla filosofia dello spirito
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DISCORSO SECONDO. DELLA RELIGIONE.

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DISCORSO SECONDO.

DELLA RELIGIONE.

Trovandomi di avere trattato questo medesimo argomento a proposito del sistema religioso di Schelling e di avere mostrato lo sviluppo storico del Cristianesimo, sarò ora più breve in questo discorso, e mi limiterò a delineare la teoria generale della religione, la sua ragione di essere, ed il legame che l'unisce a tutte le altre produzioni dello spirito. Le sue principali manifestazioni appariranno così come necessarie conseguenze della sua nozione.

Se l'arte, come abbiamo discorso antecedentemente, si fonda sul bisogno che sente lo spirito umano di riprodurre la natura e di farla sua idealizzandola, la religione parimenti deriva dal consimil bisogno di riprodurre l'unità della propria coscienza divisa tra l'interno e l'esterno, e di rimenarla ad una perfetta conciliazione con idealizzarla. Ciò si chiama ancora armonizzare il divino e l'umano, perchè il divino non è altro che l'umano considerato ancora come esterno. Noi invochiamo ancora un'altra coscienza posta fuori di noi, noi aneliamo di congiungerci con lei sperando di ritrovarvi quel perfetto acquetamento che ci bisogna. Ogni religione presuppone tre momenti, che sono questa unità ed armonia perfetta, che si concepisce esistere in una coscienza posta sopra la nostra; in secondo luogo la caduta o l'opposizione tra il finito e l'infinito, tra l'umano e il divino; ed infine la riabilitazione e la riconciliazione dei due elementi contrastanti. Tale è la nozione ed il processo di ogni religione in genere, e perciò lo schema fondamentale di ogni sua manifestazione nella storia. Ivi si contengono i problemi dell'origine, del corso e dell'esito della vita umana; e dalle soluzioni più o meno ragionevoli, più o meno adeguate di questi problemi dipende la maggiore o la minore perfezione delle religioni storiche. Anzi dovendosi considerare il genere umano come un sol tutto, lo sviluppo dell'idea religiosa si dee necessariamente ritenere come un coordinamento di tutte le forme religiose e come un avviamento a conseguire la più perfetta di tutte. Ora poichè i medesimi problemi che cerca di risolvere la fede religiosa sono parimenti proposti e risoluti dalla ragione scientifica, quella religione si deve avere per vera e per compiuta che ne' suoi pronunziati e ne' suoi risultamenti concorda colla scienza. Il Dio della religione e l'assoluto della scienza non possono trovarsi in contradizione, come hanno creduto coloro che hanno leggermente guardato l'uno o l'altro isolatamente. 6 Se questa contraddizione avesse luogo, lo spirito umano ricadrebbe nel più desolante scetticismo, trovando un disaccordo tanto sostanziale nel contenuto medesimo delle sue facoltà. Intanto alcuni, soverchiamente teneri della scienza, hanno creduto il Dio della religione un illusorio fantasma; e per contrario altri, smodatamente zelanti per la religione, hanno stimato l'assoluto scientifico un temerario ardimento. Per ognuno di questi il vero Dio è il suo; ed altri si sono ingegnati di accordarli insieme, dando la maggioranza all'uno sull'altro, cioè talora sottomettendo l'assoluto scentifico al Dio religioso, e tal'altra facendo il contrario. Ma neppure questa preferenza è sostenibile perchè un assoluto minore di un altro non sarebbe più assoluto ed implicherebbe una contradizione. La religione e la scienza hanno per contenuto un assoluto solo e medesimo, benchè ciascuna se ne valga a modo suo. La religione presuppone come fondamento la nozione di Dio, e dalla diversa definizione che si a questo Dio nasce la differenza delle varie religioni; nella stessa guisa che dalla diversa nozione che i filosofi si sono fatti dell'assoluto deriva la differenza dei sistemi speculativi.

Ma Iddio nella rappresentazione religiosa è un ideale che si concepisce obbiettivamente realizzato, e perciò posto al disopra della coscienza subbiettiva la quale si sente finita, e perciò stesso infinitamente distante dal Dio che adora. Per tale considerazione l'uomo si sente inferiore a Dio ed in certo modo come opposto a lui. Dall'altra parte però egli tende a ricongiungersi con Dio, questa tendenza avrebbe luogo se non credesse possibile di ricongiungervisi realmente, se non presentisse, benchè in modo oscuro, la medesimezza che corre tra la sua coscienza finita e quell'altra infinita.

La religione quindi contiene due momenti opposti, una specie di contradizione vivente, un sentirsi lontano da Dio e un sentirvisi vicino, un ondeggiare della coscienza tra il finito e l'infinito; una caduta infine ed un risorgimento.

L'ideale religioso è l'idea di Dio7 in quanto si considera come capace di essere raggiunta, e perciò conciliata colla coscienza umana. Ogni culto non è altro che il modo come effettuare questa conciliazione. Ma l'ideale affinchè possa passare ed introdursi nella coscienza universale come credenza, bisogna che si consideri realizzato in una qualche intuizione sensibile. Noi ci rivolgiamo colla fede religiosa non già ad un puro ideale della ragione, ma ad un Dio concreto, reale, più e meno perfetto secondo lo sviluppo maggiore o minore della coscenza religiosa di ciascun popolo. Il problema di ogni religione si può dunque formulare così: trovare un'intuizione la quale sia più corrispondente all'ideale di Dio.

E qui si domanda: quale è la natura di quest'ideale che si deve tradurre in realtà nell'intuizione? Kant, che il primo ha concepito la religione da questo punto di vista, ha creduto che questo ideale consistesse in Dio come autore della legge morale. La differenza tra morale e religione, secondo lui, consisterebbe in ciò che nella morale la virtù si esercita come proprio dovere, nella religione si esercita come obbedienza ad un ordine divino. Talchè ciò che è conseguenza della nostra medesima natura nella morale, dal punto di vista religioso, acquista una relazione esterna ed apparisce come un comando che viene imposto dal di fuori. Secondo questa dottrina la morale e la religione avrebbero dunque lo stesso contenuto, e l'ideale religioso sarebbe realizzato in una intuizione la quale rappresentasse un Dio perfettamente buono, come sarebbe l'Uomo-Dio nel Cristianesimo. Che se si chiede: per qual motivo abbiamo noi bisogno di obbiettivare esternamente la legge morale che è interna? noi rispondiamo, ricordando i principii speculativi di Kant anche altre volte menzionati, che la ragione pratica, del pari che la ragione speculativa va cercando sempre un'intuizione adeguata al suo ideale. Questa intuizione è impossibile che si trovi esattamente corrispondente all'idea, e perciò tutte le religioni, compreso il Cristianesimo, rimangono inadeguate all'ideale religioso. Frattanto noi abbiamo fatto un guadagno, ed è di aver trovato un criterio col quale possiamo discernere la varia perfezione delle religioni storiche o esterne. Inoltre noi abbiamo imparato a distinguere in ogni religione due elementi, il dovere morale che è interno, e la fede religiosa che si riferisce all'intuizione esterna. La tradizione somministra questo elemento esterno per mezzo della rivelazione: la ragione somministra l'elemento interno; la ragione fa accettare la rivelazione quando la vede corrispondente al suo ideale. «Una rivelazione, dice Kant, non può essere compresa nell'idea di religione che per l'intermediario della ragione, atteso che questa idea derivata dalla sottomissione obbligatoria di un legislatore morale, è un'idea razionale pura. Noi considereremo dunque una religione rivelata da una parte come naturale, da un'altra parte come insegnata, e noi potremo discernere ciò che deriva dall'una o dall'altra sorgente8

Noi riteniamo questa dottrina di Kant come la teoria più razionale e più perfetta che si sia data in fatto di religione, almeno per quello che riguarda la relazione tra l'elemento interno e l'elemento tradizionale. Noi però ce ne discostiamo in due cose, prima in ciò che riguarda il contenuto dell'ideale religioso, poi in quello che si riferisce all'impossibilità della sua adeguata realizzazione.

L'ideale religioso è l'assoluto in quanto si presenta come una coscienza infinita superiore alla nostra, e dove la nostra deve trovare la sua conciliazione. Ora il contrasto che presenta la nostra coscienza non è soltanto conflitto morale tra il piacere ed il dovere, tra gli appetiti e l'imperativo categorico o la legge morale; ma bensì è anche contrasto di soggetto e di oggetto, di pensiero e di cosa pensata, d'ideale e di reale, di finito e d'infinito. Ed ogni contrasto richiede una soluzione, e perciò tutte le antitesi contenute nella coscenza richieggono di essere armonizzate. L'assoluto ci si presenta come l'accordo di tutti i contrasti e benchè rivestisse differenti forme per produrre questa armonia coll'arte, colla religione e colla scienza, nulladimeno in tutte queste forme egli è sempre l'unità e la conciliazione suprema. Ristretto ad essere soltanto l'ideale della virtù nella forma religiosa, egli lascerebbe inesplicate tante altre difficoltà, ed irreconciliate tante altre antitesi. L'ideale religioso di Kant non sarebbe che l'assoluto nell'ordine morale, e perciò non sarebbe il vero assoluto.

Il problema religioso non si enuncia soltanto dicendo: quali azioni mi vengono prescritte a fare? Esso contiene eziandio molte altre domande sull'origine, sul corso, sul fine della vita umana; sulla originaria armonia, sulla caduta ed il contrasto posteriore, e finalmente sull'ultimo risorgimento, e sull'apparire del regno di Dio sulla terra. Tutte queste domande sono parte speculative e parte pratiche: l'ideale religioso non può soddisfare alle seconde, e trascurare le prime.

La religione dunque nel suo ideale comprende, e deve comprendere entrambi questi lati, che si trovano realmente esistenti nelle religioni storiche, e contrassegnati col nome di dogma e di morale. Una religione senza dogma, come Kant l'ha concepita, nel fatto non esiste.

L'altro difetto che notammo nella teoria kantiana sulla religione, è quello di credere all'impossibilità della perfetta attuazione dell'ideale religioso. Questo difetto ha comune l'origine con un altro che guasta tutta la bellezza del sistema di Kant. Per lui l'assoluto è collocato sempre in una sfera inaccessibile, sia negli ordini del conoscere sia in quelli dell'azione. L'assoluto è l'idea speculativa, o l'imperativo categorico o l'ideale religioso, ma posto sempre al disopra della conoscenza, della coscienza pratica, e della coscienza religiosa. Ora noi abbiamo veduto altrove, e lo ripetiamo qui, che un assoluto il quale lascia fuori di il mondo e lo spirito umano, per quanto in alto sia collocato, non meriterà mai questo nome, perchè il vero assoluto è quello che comprende ogni opposizione nella sua totalità. L'ideale religioso essendo l'assoluto che si deve realizzare nella coscienza religiosa, deve trovare dunque una forma ove si possa adeguatamente manifestare. Che se le forme storiche delle religioni attualmente esistenti si dovessero anche tutte giudicare imperfette, non si dovrebbe per questo escludere questa realizzazione compiuta per l'avvenire. Ed inoltre se l'ideale religioso si trova sempre rivestito di una forma, che non è più la pura idea, da ciò non si dee arguire che la religione fosse imperfetta, essendo che la sua natura importa quell'accoppiamento dell'ideale ad una forma finita. Così chi direbbe impossibile la perfezione artistica solo perchè nell'arte l'ideale si trova incarnato in una forma sensibile? Questa forma si può bensì affinare e purificare, ma non si può annullare senza distruggere in pari tempo l'arte. Similmente, l'ideale religioso deve trovarsi sempre attuato in una coscienza, e questo sentimento è indispensabile alla religione, come la forma sensibile è indispensabile per l'arte. Kant pretendendo di separare l'ideale religioso da ogni sentimento segue la tendenza generale del suo sistema di cercare sempre il puro (das rein) ad esclusione del sensibile, che rimane per lui un termine opposto ed irreconcilabile. Questa tendenza di Kant di vedere nel sensibile la sorgente di ogni imperfezione è la causa di tutte le conseguenze erronee che ne ricava. Il sensibile entra nel conoscere, nell'arte, nella morale, nella religione, non come un elemento vizioso che si deve eliminare, ma come un elemento necessario che si deve riconciliare col suo opposto. – L'assoluto non è la sola idea, come pretende Kant, ma è l'idea e la sua esteriorità conciliate insieme. –

Quale sia questa forma perfetta, ove l'ideale religioso si realizza adeguatamente, lo vedremo appresso. Per ora determiniamo i momenti essenziali di ogni religione, e mostriamo come discendano dal processo dialettico universale.

Abbiamo accennato nel principio di questo discorso che il fondo comune di tutte le religioni storiche è il triplice concetto di un'armonia primitiva, di una caduta e di un risorgimento. Questi tre momenti del sistema religioso nascono dal concetto speculativo dell'assoluto che noi abbiamo veduto consistere in una Trinità. 9 L'eterna nozione è il principio assoluto, il Padre ingenito e generatore; l'unità della natura e dello spirito, l'armonia originaria degli opposti. La natura è il figlio generato, lo specchio vivente del padre, ed insieme l'origine del finito e della opposizione. Lo spirito finalmente è la riconciliazione diffinitiva della natura e della nozione; è la natura rialzata fino all'ideale, è l'armonia ristabilita fra i due termini opposti, è la riparazione dello scadimento arrecato dalla natura.

Dalla diversa maniera di concepire questi termini o momenti che si vogliano dire del processo religioso nascono i diversi culti. Imperocchè il culto tende a realizzare la riconciliazione dell'uomo con Dio presupponendo una caduta colla quale quegli si è allontanato da questo. E noi avremo opportunità di verificare col fatto che la diversità dei culti si fonda sul diverso punto di concepire il dogma. Il Professore Spaventa, esponendo la dottrina religiosa di Giordano Bruno, scrive così: «Nell'antichità pagana in generale, il sedimento della divinità aveva principio nella contemplazione delle cose naturali, e però nel manifestarsi come culto rivestiva le stesse forme naturali. L'uomo era in una unità immediata colla natura; per lui la natura era Dio, e però egli lo adorava sotto la figura di esseri naturali di animali, di uomini. Nel Cristianesimo, Dio è compreso e adorato nello spirito e nella verità. La forma spirituale, la forma del libero sentimento prende il luogo della forma esteriore e materiale. È questo in brevi parole il concetto e la storia della religione10 Il culto dunque nella storia delle religioni rappresenta la parte esterna e formale, come il dogma è il contenuto essenziale della fede, e la morale è il contenuto essenziale dell'azione meritoria. Quando il culto prevale sulla morale, e la pratica esterna assorbisce tutto il contenuto religioso a discapito della morale, allora la religione degenera in superstizione. Il culto intanto è legittimo in quanto si prende come semplice simbolo e semplice forma per manifestare l'interno sentimento. Anzi a misura che la religione si va perfezionando, il culto a mano a mano si ritrae dal formalismo esteriore e si concentra nel solo interno sentimento. Onde nella vera ed ultima forma religiosa, tutto il simbolismo si dissolve e sparisce, ed il tempio del Dio vivente s'innalza nella sua vera sede che è la coscienza umana.

Ma questo purificarsi progressivo del culto si congiunge collo sviluppo dell'ideale religioso di cui segnamo le principali manifestazioni. La base della religione è l'idea di Dio considerato come spirito obbiettivo che sovrasta alla nostra subbiettiva coscienza. Lo sviluppo delle forme religiose tende a far disparire questa opposizione, facendo rientrare lo spirito obbiettivo nella subbiettiva coscienza, ed operando in tal modo la loro riconciliazione. L'uomo nei primordi della sua vita religiosa cerca nella immediata natura che lo circonda, lo spirito infinito, di cui sente il bisogno. Il selvaggio si fa un Dio di ogni oggetto naturale che gli si presenta; egli lo adora, ma un momento dopo lo rompe e lo abbandona. Questa prima e rozzissima forma religiosa è il Feticismo. Il fetisso è il Dio di un momento, un oggetto particolare della natura invocato come Dio in un particolare bisogno.

In un secondo periodo più comprensivo e più sviluppato di questo primo si adora la natura nella sua totalità generale, come unità positiva dove si trovano tutti i singoli obbietti naturali. Brama è un Dio naturale, ma assai più perfetto del fetisso.

Questa medesima unità può considerarsi sotto un altro lato, non più come positiva, ma come annullatrice della particolarità dei singoli oggetti naturali. In tale seconda forma l'infinito non è più l'infinito essere che comprende il finito; ma è l'infinito nulla che distrugge ciò che è finito. Questa terza forma è il Buddismo, che è una specie di Bramanismo negativo.

Il finito e infinito sono stati personificati ed adorati l'uno e l'altro nella loro opposizione in forma naturale, come luce e come tenebre: o in una forma più elevata e morale, come principio buono e come principio cattivo, e tal culto è quello dei Persiani. Qui l'antagonismo non è ancora conciliato, anzi è indïato esso stesso; e ciò costituisce un progresso verso le religioni precedenti le quali ne negavano la realtà ed annullavano ogni lotta naturale o nel Bramanismo o nel Buddismo.

Nella religione persiana questo dualismo che forma il contenuto dell'ideale religioso va a poco a poco piegando verso l'unità, perchè il trionfo diffinitivo è riserbato al principio buono sul cattivo, ad Oromaze sopra Arimane. Anzi nella religione egiziana i due principii opposti non sono più l'uno fuori dell'altro, ma il principio buono, Osiride, vince e trionfa il principio cattivo, Tifone, e ciò dentro se stesso. Egli muore e risuscita; nella morte sta la lotta, come nella risurrezione il suo trionfo. Onde in questa ultima forma il contenuto religioso si va sempre più accostando al suo perfetto ideale.

Tutte le descritte forme religiose hanno questo di comune, che considerano la divinità come esistente nella immediata natura. Le religioni naturali, osserva Hegel, partono dall'argomento cosmologico per mezzo del quale l'esistenza di Dio si deduce dall'esistenza del mondo. Un altro gruppo di religioni parte da un principio superiore, dal principio della convenienza e della finalità cosmica. Dio è riguardato come il fine del mondo ed è dedotto in forza di quello argomento che si suole chiamare teleologico: tale è il Dio degli Ebrei, e tali sono gli Dei di Grecia e di Roma.

Il Dio ebraico è il fine del popolo ebreo, un unico fine esclusivo di questo popolo che si chiamava eletto. Dio perciò si considerava un astratto spirito che apparecchiava i destini del suo popolo e lo guidava come suo particolare possesso. La finalità, che predomina nella religione ebraica, è piuttosto una finalità nazionale che una finalità universale e cosmica, anzi per contrario parrebbe che il resto del mondo camminasse fuori delle vie della provvidenza.

In Grecia la Divinità si presenta come una moltiplicità di fini e quindi come una moltiplicità di Dei, i quali rappresentano altrettante potenze fisiche e morali, da cui risulta la bellezza dell'uomo. Qui, come si può facilmente scorgere, l'accordo col fine non è soltanto indirizzato alla conservazione di un popolo eletto, ma viene bensì sollevato a costituire la bellezza e l'armonia dell'ideale umano, cioè l'accordo perfetto fra l'interno e l'esterno.

Gli Dei di Roma, benchè per la somiglianza dei nomi potessero a prima vista sembrare gli stessi di quelli di Grecia, ciò nonostante esprimono un diverso significato. Un critico moderno11 notava che gli Dei di Roma non sono personali ma astratti, ed il contenuto religioso di quel popolo non è la finalità che traspare dal bello individuale, ma la finalità che si concentra nel concetto astratto dello stato. Giove p. e., non è in Roma il Giove omerico, ma il Giove capitolino ed il Giove statore, ed in generale tutti gli Dei latini esprimono la fortuna e la prosperità del popolo romano.

L'ultima forma religiosa si fonda sull'argomento detto ontologico, quello cioè che deduce l'idea di Dio dall'identità della nozione e dell'essere. E poichè questa identità si verifica nello spirito, perciò l'ideale di questa religione è Dio considerato come spirito. Tale è il contenuto del Cristianesimo, che è la perfettissima fra tutte le forme religiose. Non si deve però confondere il Dio cristiano col Jeova ebraico, benchè anche quest'ultimo si chiamasse spirito, perchè altro è lo spirito solitario ed astratto degli Ebrei collocato in una sublime, innaccessibile infinità, ed altro è lo spirito del Dio cristiano il quale s'incarna nell'uomo e si rivela nella coscienza umana. L'opposizione del finito e dell'infinito, della natura e dell'idea, dell'uomo e di Dio sparisce e si riconcilia nel verbo fatto carne. La ragione non è più fuori del mondo, ma è dentro del mondo ed alberga negli uomini.

Lo scopo che abbiamo veduto fin da principio che avessero tutte le forme religiose era appunto quello di apparecchiare questa riconciliazione che solo il Cristianesimo ha saputo effettuare. Ben a ragione dunque esso si chiama la religione rivelata per eccellenza, perchè nella coscienza cristiana si rivela il verbo di Dio, ossia la ragione universale. E questa rivelazione non è già esterna come quella che volgarmente si crede, ma è tutt'interna; che se tale non fosse stata, non sarebbe potuta penetrare nella coscienza dell'uomo. Da qui si vede quanto s'ingannano a partito coloro i quali credono innalzare l'essenza divina del Cristianesimo facendola dipendere da una casuale ed estrinseca rivelazione affidata alle mani di alcuni pochi, quando invece il suo vero pregio consiste nell'appartenere ad ogni uomo, e nell'essere indipendente dai casi fortuiti degl'individui, appartenendo per la sua universalità a tutto quanto il genere umano.

Il cattolicismo ha compreso che la vera religione non può essere che universale; ma egli che se n'è arrogato il nome, ne ha trascurato la sostanza. E come vi può essere di fatto vera universalità, quando una casta tiene in mano il monopolio della scienza e della morale? Nulla è più contrario all'universalità del vero spirito, quanto la esteriorità e l'arbitrarietà dei simboli, l'insegnamento ridotto ad una classe esclusiva di uomini, l'intolleranza di ogni altra dottrina, e la superba pretensione che al di di questi cancelli non si trova salute.

Il Gioberti dichiarò come si dovesse intendere la vera universalità della Chiesa, mostrando che ella si deve estendere per tutti i tempi e per tutti i luoghi; e che a questa condizione soltanto le compete la prerogativa della infallibilità di cui si è tanto abusato specialmente negli ultimi tempi.

Il Cristianesimo, come esplicazione completa dell'ideale religioso, contiene tutto il processo da noi delineato per ogni qualsiasi religione, e lo contiene esplicato in tutti i suoi momenti. Primieramente il Dio cristiano non è la natura, un'anima posta fuori del mondo, una moltiplicità incomposta di divinità, un astratto Panteon: egli è una trinità; ha principio, mezzo e fine in se stesso; è un perfetto spirito. Come tale i suoi tre momenti li ha determinati in tre ipostasi che sono il Padre, il Figlio e lo Spirito; le quali ipostasi rappresentano il principio ideale, l'ideale opposizione, e la riconciliazione o l'identità di entrambi.

Ma Iddio che è in stesso trino, è altresì principio della natura, creando la quale egli pone una relazione fuori di e produce il finito. La natura è la possibilità della caduta, inquanto che circoscrivendo lo spirito in un particolare organismo lo contrappone allo spirito assoluto. Questa è la vera origine del male, che nel dogma religioso si è raffigurata nella caduta di un solo uomo nel peccato originale, di Adamo. Questa caduta però appartiene a tutti gli uomini, ed il peccato originale macchia l'individuo nella sua primitiva formazione, perchè il male sta nell'opposizione che si genera tra l'individuale e l'universale.

Alla caduta tiene dietro la redenzione o la riparazione. Questa si compie mediante l'identificazione tra l'individuale e l'universale che il male aveva messo in contrasto. Iddio incarnandosi, ossia lo spirito assoluto rivelandosi nella coscienza individuale opera siffatta riabilitazione.

E come la caduta, che era stata rappresentata come caduta individuale, dipoi si propagò per tutto il genere umano, similmente il riscatto si attribuisce ad un uomo particolare, e se ne fa estendere l'influenza a tutti gli uomini. Cristo è stato il novello Adamo nel quale gli uomini rivivono come nel primo erano morti.

L'incarnazione, ossia la discesa di Dio nell'uomo, rende possibile la risurrezione, che è l'altro termine corrispondente, e segna l'elevamento dell'uomo fino a Dio. Dio si è fatto uomo, affinchè l'uomo si facesse Dio. Perciò l'incarnazione è un concetto eminentemente cristiano, ed è il solo che possa giustificare la resurrezione o l'indïamento dell'uomo. Prima che lo spirito si conoscesse come spirito assoluto, bisognava che egli si fosse prima conosciuto come spirito individuale, e prima che la sua coscienza si fosse immedesimata colla coscienza assoluta, bisognava che Dio si fosse prima circoscritto nella sua individuale coscienza.

I Greci innalzavano gli uomini fino alla divinità, e di tale inalzamento, che si soleva chiamare apoteosi, l'eroe era il grande intermediario nel quale l'uomo si trasformava in Dio. I cristiani invece, conoscendo, che la vera perfezione non consiste in un astratto ideale, ma bensì nella concreta personalità, hanno fatto incarnare Iddio nell'uomo. E quando poi hanno voluto far risalire l'uomo a Dio, essi non ne hanno fatto un semplice eroe, ma lo hanno a dirittura identificato con lui. Quella che si dice comunione dei santi esprime appunto questa perenne immanenza di Dio nell'uomo e questa reciprocanza per la quale ciascun uomo comunica con tutti gli altri e tutti insieme con Dio. Molte espressioni del Vangelo ritraggono con intima espansione questa comunione degli spiriti individuali nello spirito assoluto.

Su tal fondamento si appoggiano la fede e la preghiera che sono manifestazioni del sentimento cristiano. La fede è il sentimento di questo legame indissolubile, di questo legame che stringe l'uomo con Dio, ed è in fondo la conseguenza della loro identità. La scienza dimostra l'identità dello spirito individuale collo spirito assoluto: la coscienza cristiana la sente e la crede.

La fede perciò è propria del Cristianesimo, perchè gli antichi non ebbero una coscienza chiara di questa identità del divino e dell'umano, da cui la fede rampolla.

Anche la preghiera è un'istintiva persuasione di questa identità. La preghiera è un desiderio che noi vorremmo vedere attuato nella realtà delle cose; e poichè sentiamo le nostre forze insufficienti a soddisfarlo, noi ci volgiamo a Dio. È questo un istinto, che ci fa presentire come tutte le forze dell'universo debbono cospirare insieme ed aiutarsi l'una coll'altra. È il medesimo sentimento della identità del tutto che ci spinge a pregare; l'uomo che prega si sente più forte, perchè crede concorrere a suo ajuto tutto l'universo. Questa fiducia che noi riponiamo in Dio, come espressione dell'identità universale, raddoppia le nostre forze: noi ci sentiamo ingagliarditi sentendo l'identità che passa tra noi e Dio.

Il Cristianesimo avendo condotto lo spirito fino al punto di sentirsi identico con Dio ha compiuto la missione che aveva, cioè sviluppo delle forme religiose. Il sentimento religioso, come libera fede in Dio, pone esso stesso il suo Dio. Così l'esteriorità, in cui la prima e rozza coscienza religiosa collocava il suo Dio è del tutto sparita nella coscienza cristiana. Il Gioberti con molto acume notava, che il fichtismo è vero nella fede, e che l'uomo che liberamente crede, si può dire che ponga ei stesso il suo Dio. 12 Questo dimostra che la religione è una produzione dello spirito umano come sono l'arte e la scienza.

Una prova storica di questa verità si ha nel vedere che ogni religione, che l'uomo professa, è quella la quale si affà ai bisogni del suo spirito, ed al progresso della sua coltura. Di modo che una religione trasportata da un popolo all'altro è stato osservato che subisce delle modificazioni secondo l'indole del nuovo popolo ove si trasferisce. Così, per es. il monoteismo semitico trasportato in Europa vi ha preso delle forme panteistiche dominanti presso i popoli Ariani. Lo stesso monoteismo introdotto presso i negri vi ha preso l'aspetto di feticismo. Onde si può conchiudere che la religione nasca spontaneamente dallo spirito e che non possa venire imposta dal di fuori. Su questo medesimo proposito un illustre Etnografo recente ha messo come in un quadro la varietà delle religioni secondo le diverse razze umane.

«È da notare, egli dice, che il Cristianesimo è generalmente professato dal ramo europeo; cioè dai popoli più bianchi della razza bianca, i quali sono nel medesimo tempo a capo della civiltà moderna; e che questa religione non si è mai potuta stabilire in un modo ben fermo nella razza gialla, bruna, rossa e nera. L'Islamismo domina presso gli altri rami della razza bianca, ed ha fatto qualche progresso nella razza bruna. Il Buddismo domina nella razza gialla, nel mentre che il Bramismo è presso a poco concentrato nella razza bruna e che presso i popoli della razza nera regna il Feticismo più grossolano13

E se da questo prospetto generale delle religioni divise per razze scendiamo alle gradazioni particolari di ciascuna religione nei diversi popoli di una stessa razza troviamo sempre delle ulteriori varietà e quasi delle sfumature, le quali confermano quanto abbiamo stabilito sull'origine della religione. Così, p. e. il Cristianesimo si è suddiviso fino dai primi tempi in molte varietà collo stesso contenuto religioso. Del Cristianesimo primitivo il Gibbon dice, che aveva preso l'indole delle nazioni presso alle quali a mano a mano allignò. I nativi della Soria e dell'Egitto si abbandonavano all'indolenza di una devozione contemplativa: Roma cristiana voleva tuttora governare l'universo; mentre dissensioni di teologia metafisica occupavano lo spirito e la loquacità dei popoli della Grecia. 14

Nei tempi moderni e nel seno stesso dell'Europa noi troviamo verificarsi divisioni somiglianti. La razza latina più immaginosa, e perciò proclive ai simboli sta pel cattolicismo, mentre al contrario la razza germanica ed anglo-sassone più riflessive professano il protestantismo.





6 Gioberti benchè non voglia allontanarsi dal Cattolicesimo espressamente, pure fa ogni sforzo per rendersi razionale il contenuto religioso. «Il cristiano, egli dice, non dee chiedere alla Chiesa, al Papa, alla tradizione lo spirito, ma la sola lettera della religione: lo spirito dee chiederlo solo a Dio, cioè all'IdeaRiforma Cattolica, XXVII.



7 In un'aspirazione a Dio, con cui conchiusi i miei Filosofemi, esprimevo questo medesimo pensiero così. «Sento un'incognita involontaria forza, che muove il mio sentimento e volge la mia mente alla contemplazione proficua della tua ideale universale esistenza, di tal modo che io posso istantaneamente afferrarti, benchè sii posto al disopra dei miei sensi



8 Kant, La religione nei limiti della ragione, parte IV, cap. I.



9 Vedi il mio Saggio sulla natura nell'introduzione.



10 Dei principii della filosofia pratica di Giordano Bruno.



11 Il Mommsen, Storia romana, lib. I, diceva che Roma è il crepuscolo tra il crepuscolo e l'intellettività, e che perciò gli Dei di Roma rappresentano una generalità astratta.



12 Si possono riscontrare su questo proposito le dotte osservazioni del Vegezzi-Ruscalla il quale riepiloga così lo stabilimento delle diverse religioni e la difficoltà delle conversioni religiose. «L'etnologia, egli dice, ci chiarisce eziandio lo imperchè i missionarii europei, che con tanta abnegazione si recano a portare la luce del Cristianesimo fra genti straniere, così difficilmente riescono a convertirle o, se convertite, a mantenerle nella fede cristianaParole dette nella Università di Torino, pag. 8.



13 D'Omalius d'Halloy, Des races humaines, ou éléments d'ethnographie.



14 Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano, vol. XI, cap. LIV.



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