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PARTE PRIMA I. | «» |
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PARTE PRIMA
I.
Il martirio.
Come in lo specchio fiamma di doppiere
Vede colui che se ne alluma dietro
E se rivolve per veder se il vetro
Gli dice il vero, e crede ch'el si accorda
Con esso, come nota con suo metro,
Così chi studia e conosce la Letteratura di un popolo, si ravvisa l'immagine di lui fedelmente riflessa, la Letteratura essendo la rivelazione più elevata e più nobile del pensiero umano. E avvegnachè la fantasia e il sentimento fiancheggiati dalla ragione, siano lo strumento, mediante il quale essa si manifesta, ne viene che il Poeta e l'Artista, nudrendosi e fortificandosi nella scuola del passato, dalle condizioni presenti, spiccano il volo anelando assiduamente all'avvenire, divinandolo e vestendolo di tutte le leggiadrie e le seduzioni del bello. Laonde eglino, nel mentre sono educatori delle migliaia, divengono precursori dell'idea che informerà progressivamente la società nel momento storico successivo. Ma se la patria del Poeta e dell'Artista è incatenata alla rupe a similitudine di Prometeo, se i più cospicui beneficii dell'umano sodalizio sono sfruttati dall'arbitrio di una famiglia e dalla autorità teocratica, siccome la Letteratura per intima virtù aspira indefessa alla libertà, come l'aquila al sole, così mute la fervida parola in vagito, e umile o servile va terra terra perdendo a poco a poco sino la memoria delle altezze native, se pur giunge a conservare la venustà e la purezza obbiettiva del linguaggio: talora si contamina nel pantano delle meretrici, rendendosi istrumento potentissimo della corruttela dello spirito: e mercanteggia i liberi estri, e li avvilisce inneggiando alla tirannide che protegge e paga; e quando la società attinge l'infimo grado della declinazione, che è susseguita dall'inevitabile provvidenziale palingenesi, oltre alla coscienza subiettiva, smarrisce l'obbiettività estetica ornandosi di gonfiezze, di tropi ridicoli, di metafore grottesche. Non è tale per avventura la storia della poesia e dell'arte italiana dal secolo xvi al termine del xviii?
Però un grande poeta sorge appunto nella seconda metà del secolo xvi, Torquato Tasso.
L'impulso intellettuale dato dal Risorgimento, per cui l'Italia ebbe una Letteratura, cessa con l'Ariosto. L'Orlando Furioso è il sigillo di quell'epoca grande. Contemporanea alla pubblicazione di questo poema fu la caduta di Firenze, ultimo rifugio della libertà dei comuni italiani. Il Cattolicismo erasi ricinto dello splendore che la Letteratura del Risorgimento diffondeva alla vigilia di perire. L'epoca di Leone X fu un momento di calma olimpica. La Letteratura che aveva smarrito ogni senso di missione sociale (perchè la società, di cui fu anima ed espressione non esisteva più) ed erasi ravvolta sotto il manto stellato della bellezza, la quali a un'ora erale forma e fine, ebbe il sorrisi d'una religione che, assisa sul sepolcro della libertà d'Italia, credevasi rassicurata e ringiovanita. Ma quella calma, e quella armonia durarono poca ora. Lutero ruppe l'incanto. La Riforma propagandosi rapidamente e minacciando più da vicino l'autorità del Vaticano, il Cattolicismo diè mano a ripuntellarsi con una nuova affermazione de' suoi dogmi della sua morale e della sua disciplina. Contrappose a Lutero il Concilio di Trento. In tanto travaglio di reazione contro il nuovo indirizzo del pensiero umano la Chiesa ebbe per un istante favorevoli gli Italiani. Dimenticarono gli sconsigliati che erano cessate le cagioni per le quali ella sostenne le popolari franchigie nei giorni gloriosi delle loro repubbliche. Il Tasso, uomo di spiriti cavallereschi, fu agevolmente tratto su questa via poichè parevagli la più generosa; non poteva distaccarsi da una istituzione che, essendo stata difenditrice dei deboli quando la prepotenza della spada contristava l'Europa, e promotrice delle spedizioni avventurose e romanzesche alla conquista del sepolcro di Cristo, affascinava il suo cuore di paladino. Come poeta partecipò della lotta e combattè per la Chiesa vacillante. Cantò i tempi eroici del Cattolicismo, e fu il poeta della riazione religiosa, forse senza avvedersene. Vissuto in un secolo nel quale iniziavasi una lotta sociale che ferve tuttora, non nella Gerusalemme, sibbene nel dramma della sua vita interiore, negli spasimi morali durati, nell'anelito febbrile verso un ideale che non gli venne mai fatto di avvicinare, nell'incontentabilità affannosa del suo intelletto e perfino nella sua sublime follia vuolsi riconoscere lo spirito del Poeta che cerca di svilupparsi da un mondo che crolla e si sfascia. Il suo nobile carattere in mezzo all'atmosfera corrotta dalla corte di Ferrara gli ha fruttata la carcere di sette anni e l'infelicità perpetua della sua vita.
La sua Gerusalemme appartiene al passato, il suo martirio all'avvenire.
Dopo il Tasso la poesia decadde rapidamente nel gonfio e nel falso, come l'arte dopo Michelangelo, nel deforme e nell'eccletico. Il poema del Marino s'imparenta per molte analogie ai marmi e ai palazzi del Bernino e alle tele del Grimaldi. Dopo di loro e poesia e arti, perduta la magnificenza che serbarono nel decadimento, si stemperarono negli infemminiti melodrammi del Metastasio, nelle smancerie degli arcadi, nei manierati dipinti del Battoni e nelle inanimate prospettive del Canaletto. Dicevole cornice del quadro furono le infangate novelle del Casti. Ma in seguito parlerò più diffusamente di questo momento storico della Letteratura.
Durante la duplice schiavitù del corpo e dell'anima la filosofia, parte integrale della Letteratura, imbavagliata dalla Ragione di Stato è dal Domma religioso, riducesi ad un fumido misticismo, o ad un ginnasio esiziale di concettose sottigliezze, ad una serie d'inconcludenti sillogismi; orba d'ideale, vana, senza intento qualsiasi, e senza modo possibile di applicazione nelle contingenze della vita.
La Ragione di Stato vieta la rivelazione del vero nella sfera della speculazione, perchè il bisogno e il volere, di traportarlo nella realtà politica e sociale non si dèstino. La coscienza infatti che la Libertà è la medesima esistenza, spronerebbe l'uomo a rompere le catene della servitù e a insanguinarle nel cranio dell'oppressore; e quella coscienza sarebbe il frutto primo e precipuo del libero filosofare.
Il Domma religioso proibisce l'indagine del vero, perchè l'esame e la fede, l'evidenza e il mistero, la grazia e la giustizia, l'autorità e la libertà sono termini contradittorii. Edipo svelando l'enimma precipiterebbe la Sfinge dalla rupe. Sotto l'impero del Domma, non è possibile che la filosofia dommatica, la quale posa sulla rivelazione divina, sul miracolo, sua base e sommo principio: mentre la filosofia ha quale supremo criterio di verità la Ragione, e scopo supremo la Verità: e con la scorta prudente della ragione sulle ali del sentimento, innalzasi fino all'intuizione dell'Assoluto. Ora, secondo la filosofia dommatica, ciò che resta a dimostrarsi e di per sè indimostrabile, costituisce il suo principio fondamentale e generatore, si ha in conto di vero, e di dimostrato per articolo di fede: da cui tutto il mondo sensibile ed intelligibile deve ricevere luce ed applicazione e a cui per amore o malgrado dee corrispondere e adattarsi. Il quale processo speculativo riesce, non già alla conoscenza del Vero, ma ad una mera apologia del Domma religioso, apologia cioè del principio d'autorità infallibile la quale dal sovrannaturale procedendo e gravitando sulla natura, nell'ordine subbiettivo comprime la virtù del pensiero, soffoca le aspirazioni della coscienza; nell'obbiettivo consecrando col dito divino l'oppressione politica, ausiliaria fedele e potentissima della oppressione intellettuale e morale, diventa sigillo della schiavitù.
Bacone ci ammaestra1 che il metodo di invenzione e di dimostrazione — e consiste nello stabilire primamente i principii generali, ad applicarvi in seguito le proposizioni intermedie (assiomi mediani) per determinare questi ultimi — è la fonte di tutti gli errori, flagello verace di tutte le scienze.
In tal maniera Bacone fece conoscere (e fu uno de' suoi meriti principalissimi) che il procedere nel ragionamento dai puri concetti, ommettendo di fissarne i rapporti obiettivi, siccome ha costantemente adoperato la filosofia dommatica, rende impossibile la cognizione, e la certezza. «Sorta di filosofia, osserva Schmidt2, la quale si occupa del subbiettivo, dell'interno, e si esercita in applicazioni logiche in classificazioni dei nostri concetti in distinzioni, definizioni dimostrazioni, disputazioni e logici tornei; tratta di problemi e di sofismi solo pel loro interesse logico e per la loro formola regolare senza aver riguardo al contenuto o al loro merito reale.»
E tale filosofìa insegnasi tuttora nelle scuole italiane.
Ogniqualvolta in cosifatta situazione politica e religiosa, alcuni sacri ingegni, soli rappresentanti delle generazioni smarrite, salvatori della civiltà e continuatori del progresso, sollevandosi alle serene regioni del Vero, l'ebbero rivelata in lingue di fuoco, o vissero confessori sventuratissimi in mezzo ai triboli alla miseria alle persecuzioni, o morirono martiri gloriosissimi del pensiero. Il progresso, ossia lo sviluppo perenne delle facoltà umane, manifestasi talora con virtù d'intensione, talora di espansione. D'intensione, quando la somma delle idee è condensata nella mente d'uno o di alcuni uomini di genio il cui ufficio sembra sia quello di pensare per conto della generazione contemporanea e spesso della succedente. Per espansione, allorchè il privilegio di quei pochi e la accumulata ricchezza intellettuale divengono beneficio e patrimonio dei più finchè il dispotismo del Tempio e della Reggia stringe e comprime le forze vitali di una nazione, il progresso si manifesta con virtù di intensione. La Ragione di Stato e il Domma religioso tesoreggiando il consiglio del vecchio Tarquinio abbattono e recidono i sublimi papaveri; i quali cadendo spargono il seme fecondatore che si sottragge alla scure, e poscia rigermogliano moltiplicati.
Nel mentre la nazione italiana stavasi supina ed immiserita dall'ozio e dalla corrutela, e senza lamento, quasi nella inconsapevolezza di se medesima (talvolta l'azione della servitù penetra fino alla coscienza e la pietrifica), sopportava il doppio ed acuto cilizio del Papato e della Monarchia, se pure ne togli il moto di Masaniello, e la lotta della plebe genovese unici segni espressi in Italia, che realmente il popolo è immortale come il suo diritto — alcuni nobilissimi spiriti, durante il silenzio sepolcrale di tre secoli, di intervallo in intervallo sorsero vigorosamente a protestare in nome della nazione, in nome della inviolabilità del pensiero, della santità della coscienza, in nome del Vero e del Bene. Mirabile gara nei ludi olimpici della umana sapienza! E tanta luce d'ingegno, e tanta dottrina e l'incrollabile fede nei venturi destini della Scienza, e il divino entusiasmo, e la costanza nell'ardua via e la fortezza nelle tribolazioni, e la serenità profetica nei supplizi, e la convinzione profonda, onde ad ogni slogamento d'ossa, udiasi ripetere sul viso dei manigoldi che avevano decretata la immobilità dello spirito umano – eppur si muove! debbono essere a noi, loro figli, argomento di ammirazione, di gratitudine e di emulazione, e agli stranieri di ossequio reverente verso l'Italia: imperocchè i germi della Riforma e della Filosofia moderna si svilupparono in Italia, e quindi, propagaronsi in Europa per opera di qui grandissimi: primi artefici che inarcarono il ponte fra la civiltà del medio evo e la presente.
Per apprezzare con giustizia, quanto quegli uomini eminenti abbiano contribuito allo sviluppo e al perfezionamento del pensiero, e perchè siansi attirati l'ira e i fulmini del Cattolicismo, e dell'Impero, bisogna almeno, per sommi capi, conoscere le condizioni del pensiero al loro comparire.
Dopo che la fede cristiana pervenne a cancellar quasi ogni segno del Paganesimo, onde la sola Scuola Alessandrina sopravvissuta al naufragio, potè in qualche modo mettere in comunione l'antichità intellettuale coi tempi posteriori, faceva d'uopo ricostrurre dalla base tutto l'edificio speculativo sulle semplici norme delle dottrine apostoliche, bisognava determinare l'idea di Dio e de' suoi rapporti con la creatura, e i rapporti di questa col mondo esterno, bisognava infine elaborare una metafisica che, assimilandosi le dottrine evangeliche, costruisse il fondamento dogmatico della nuova religione: d'onde emerse una schiera di sistemi; e la Chiesa costretta di abbracciarne uno e dichiararlo ortodosso doveva colpire d'eterodossia tutti i rimanenti.
Ma per la comprensione della vita non erano sufficienti nè il processo nè i risultati dell'ontologia. Volevasi una determinazione delle funzioni intellettive e sensitive dell'uomo, volevasi cioè una critica della ragione e della sensazione. Da questo nuovo lavoro speculativo derivarono due scuole, cioè da due punti differenti fu posta mano all'analisi, e a due punti contrari se ne condussero le conclusioni — da un canto — all'affermazione di una realtà sostanziale, universale, indipendente e sceverata dal subbietto, appetto della quale tutti i particolari son mere forme o modi di quella realtà, onde ogni cosa sussiste per essa, o in essa: dall'altro — a una negazione di tutto ciò che è fuori del subbietto; non vi ha particolarità, non vi ha sostanzialità, se non in quanto il subbietto se ne forma una idea. La prima di queste dottrine, detta Realista, riuscì al panteismo; la seconda, Nominalista, allo scetticismo razionale, ed entrambe, forse inconsapevolmente, affannandosi di dar base filosofica alla religione cattolica, incominciarono a demolirla. La Chiesa che s'aspettava, da tanto travaglio speculativo, la verificazione perpetua della profezia — che lo spirito d'inferno non prevarrà mai su di essa —avvedutasi che il Nominalismo, propulsando il dubbio sino a chiedere se il domma o la ragione fosse criterio di certezza, e senza lungo esitare acclamando la ragione, — l'avrebbe scalzata e distrutta, l'interdisse e dichiarò nemico. Si fece Realista, ma gli ultimi filosofemi del realismo, risolvendosi: nell'identità dell'idea e del fenomeno, della sostanzialità reale e del subbietto, contraddicevano alla sua teoria fondamentale — la impenetrabilità dell'essenza divina: e sentitasi colta alla rete dall'eresia, colpì d'anatema anche il Realismo, e rifuggissi in un dogmatismo mistico poco di poi petrificato dal Concilio di Trento; e forma la sua filosofia ufficiale.
In forza del principio di autorità che essa deriva dalla propria infallibilità, come vicaria di Dio, e direttamente ispirata dallo Spirito Santo, prescrisse al pensiero confini definiti sua filosofia sotto pena della corda e del rogo. Ma il pensiero erasi già emancipato e la morte di Giovanni Huss e di Girolamo da Praga fu il segnale della guerra, senza tregua e senza quartiere col principio d'autorità. Intanto la caduta di Costantinopoli faceva pellegrinare verso l'Italia gli ultimi sapienti, come che degenerati, dell'Impero Greco, che portavano seco compagne dell'esilio gran parte delle opere filosofiche della vecchia Grecia. E tutto quanto in addietro fu cogitato e discusso per impulso originale degli intelletti, ora ricevette consistenza e solidità dottrinale, e s'è incominciato a sottoporlo ad un metodo3. Di qui il verace momento del conflitto fra il cattolicismo e il pensiero: — è l'ora in cui discendono successivamente nell'arringo quelle grandi figure italiane alle quali ho accennato. È l'ora in cui, mentre in Italia comincia il divorzio della filosofia e poco dopo delle scienze positive e sperimentali dalla Chiesa, nella Germania e in Inghilterra suona la campana a stormo della Riforma, e la Chiesa inchiodata nel medio evo cerca, ma indarno, cogli anatemi, con l'Inquisizione, con la Compagnia di Gesù, d'impedire all'Europa d'avanzarsi lungo il cammino indefinito del Vero e del Bene. Aggiungasi che in tal epoca il sentimento della nazionalità avendo cominciato, quantunque tenuemente, a palesarsi in Italia il Papato e l'Impero, dapprima avversarii, davanti al sorgente pericolo comune, si strinsero a causa comune, e per la parentela che lega le idee alle loro applicazioni, la persecuzione contro i cultori liberi del pensiero, era di doppia natura, come notammo, politica e religiosa4.
Diffuse nella genuina lezione le opere filosofiche della Grecia nudrirono e crebbero l'ardore speculativo che segnala la seconda metà del secolo xvi e il xvii, e sulle orme di quei Padri della Filosofia era naturale che i moderni pensatori investigassero il vero sopra vie differenti e quindi con diverso magisterio di cogitazioni sottraessero lo spirito umano ai ceppi del Cattolicismo. Infatti quivi si combatte coll'idealismo di Platone, là col sensismo d'Aristotele, altrove col positivismo di Parmenide. Sonvi tre scuole; la scuola di Ficino, di Telesio, di Pomponazzi.
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