Alberto Mario
La schiavitù e il pensiero
Lettura del testo

PARTE PRIMA

V.

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V.

 

Galileo Galiei.

 

 

In questa età eroica del pensiero italiano due giorni innanzi che morisse Michelangelo nasceva Galileo, e la posterità lo riverisce Giove olimpio della Scienza. E se i filosofi dianzi ricordati, liberarono l'intelletto umano dall'autorità aristotelica nell'ordine degli studi metafisici, Galileo annichilò quell'autorità nelle scienze positive. Rivelatore massimo della natura intrecciò meravigliosamente i portati dell'esperienza ai pronunciati ideali della filosofia, talmentechè l'immortale schiera delle sue invenzioni e delle scoperte si raccoglie intorno ad alcuni sommi principii come circolo al proprio centro; ed egli credeva alla partecipazione all'anima universale, alla nullità del male e alla conservazione di tutte le cose; opinioni fondamentali che per avventura desunse dalle speculazioni di Bruno. Però non costrusse palesemente il monumento scientifico su quei principii così che pigliasse figura determinata di sistema, onde schivare il rogo del panteista Nolano: ma un'interiore e quasi direi spirituale parentela collega ad essi ciascuna delle sue conquiste sulla lettura, e parmi che il non ravvisarla impedisca di comprendere e di apprezzare la vigorosa unità della sua mente, ed ebbe infatti taccia da Des Cartes e da altri, quasi d'uomo empirico. Codesto intreccio del mondo ideale e del reale, dello astratto e del concreto, dei dettami speculativi e delle loro applicazioni è visibile in tutta la vita intellettuale del Galileo: la matematica, per esempio, scienza sino a lui meramente astratta e comparativamente infeconda, venne da lui applicata all'astronomia, alla meccanica, alla fisica, e imperciò fatta potentissima propulsatrice di nuovi veri: seppe egli perfino conciliare la venustà e le eleganze attiche con l'austerità o se vuoi ruvidezza della forma scientifica e lasciò anche in questa parte seguaci cospicui, e Torricelli e Magalotti e Viviani e Redi e Rucellai e Marchetti. In questo periodo storico di servitù, politica, di tirannide sulle coscienze e di necessario decadimento nella Letteratura in cui il pensiero italiano erasi rifugiato nell'orbe della filosofia e della scienza, quei solenni uomini curarono di tramandare a noi nepoti incontaminato il palladio nazionale — la lingua; e quella cura fedele lunghesso la via scabra che discorrevano e in tempi tristi, a me pare santa carità di patria. L'economia del presente scritto non comporta che io narri i miracoli dell'ingegno di Galileo, credo vi sia italiano di mediocre cultura che meglio di me non li conosca: dirò solamente che in astronomia ha rivelato un nuovo mondo e create di pianta la fisica e la meccanica, e consumato il divorzio perpetuo delle Matematiche dalla Chiesa cattolica. Prima di lui eransi consecutivamente distaccate da essa, la Poesia, le Arti, la Filosofia. Con lui se n'è separata la Matematica, la scienza eterna, la scienza di Dio; per lui la Chiesa rimase sola e fuori di strada (la Chiesa un signora e capitana della civiltà europea), mentre l'umanità procedette con passo veloce e securo sulla via-maestra del perfezionamento.

La Matematica mercè di Galileo fu più infallibile della Chiesa, scrollò la volta metallica del firmamento e con essa, che n'era base, ridusse in polvere la città eterna dei beati, come in appresso grazie della Geologia, scomparve il regno della dannazione collocato dalla Leggenda sacra nel cupo centro della Terra.

Impertanto Galileo a settant'anni, e ammalato, ebbe slogate le ossa dalle funi del Cattolicismo in Roma: ginocchioni e in camicia dovette dichiarare una delle verità cardinali della filosofia naturale falsa, assurda, eretica e contraria alla Scrittura.

Si è disputato lung'anni, e disputasi tuttavia se Galileo sia realmente soggiaciuto alla prova della tortura. Ma a rimuovere ogni dubbio avvi un libro intitolato: Arsenale sacro, ovvero pratica dell'Ufficio della Santa Inquisizione, stampato in Roma nel 1730, e dedicato al glorioso Inquisitore San Pietro Martire.

Innanzi tratto riferirò i termini del giudizio pronunciato e firmato da sette Cardinali sopra GalileoParendo a noi che non avevi detta interamente la verità circa la tua intenzione, giudicammo essere necessario venire contro di te al rigoroso esame ecc. — Che significa la frase rigoroso esame? L'Arsenale sacro risponde nella sesta parte al titolo — Della maniera di interrogare i colpevoli nella tortura. — Alla pagina 263 sta scritto: — L'accusato avendo negato i delitti attribuitigli, e questi delitti non essendo pienamente provati, se nel termine assegnatogli per difendersi non ha detta cosa alcuna a proprio discarico, oppure, se terminate le difese egli non ha cancellati gli indizi che contro di lui risultano dal processo, è necessario, a fine di cavarne la verità, di procedere contro di lui al rigoroso esame; la tortura essendo precisamente stata inventata per supplire al difetto di testimonianze, quando esse non bastano a dar la prova intera contro l'accusato.

Ma Galileo non doveva essere torturato che sulla intenzione; ora il regolamento della tortura in tal caso, trovasi a pagine 267, 268 270, sotto il titolo: Modo di esaminare in tortura sopra l'intenzione solamente. «Ove restino dubbi nell'animo de' Giudici sull'intenzione, ecco il rimedio.» — In questo caso i signori Inquisitori, avendo veduta l'ostinazione dell'accusato, decretano, che egli sia sottomesso alla tortura sull'intenzione e la credenza, ecc., ecc. Ed eglino ordinano che il prevenuto sia condotto al luogo del tormento, che sia spogliata anudo, attaccato, applicato alla corda, ecc.

Nel mentovato giudizio sopra Galileo, abbiamo detto «giudicammo essere necessario venire contro di te al rigoroso esame» dunque pur troppo Galileo fu torturato46.

 

 

 





46 «Voi mi domandate conto, scriveva egli da Arcetri sulla fine del 1633 al P. Vincenzo Renieri, nell'ultima vostra del 17 di giugno di quest'anno, di ciò che in Roma mi è accaduto. ………Chi sa che non mi riducano gli uomini, dalla professione di filosofo a quella di storico della Inquisizione, me ne fanno tante a fine che lo diventi l'ignorante e lo sciocco d'Italia, che farà d'uopo alla perfine di esserlo (Op. vol. 2 pag. 475). — Le opinioni da lui insegnate, racconta il Tiraboschi, e quella singolarmente del sistema copernicano, cominciarono a farlo rimirare come eretico, ed ebbevi tra gli altri un frate che, predicando dal pergamo, scagliossi contro di lui, e si lusingò di conquiderlo, volgendogli contro quel passo di S. Luca: — Viri Galilei, quid statis aspicientes in Caelum? — (Storia della Lett. vol. iv, pag. 436).



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