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APPENDICE A | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Lettere di Mazzini relative ai Bandiera
A complemento del mirabile scritto di Mazzini «Ricordi dei fratelli Bandiera» vengono qui riprodotti brani di lettere del grande Esule riguardanti i due fratelli veneziani e la loro gloriosa quanto sfortunata impresa.
«Poi che scrivendo, il mal si disacerba — scriverò. — Non ho nuove: le poche righe dei giornali sulla Calabria, ragguagli di Malta, e per quella via dell'interno, da metter ira per le illusioni di che Zambeccari e i pochi uomini d'azione si vanno pascendo per rispetto alle promesse di fare in Napoli e Roma! prima il 15, poi il 18, poi non so quando: promesse date da gente accettata in fusione cogli uomini d'azione davvero, e che non tende se non ad impedire con promesse siffatte che altri faccia. Ho poi lettere dei Bandiera tali da far piangere: se tu sapessi che materiali e che colpi si sono sprecati per l'avarizia di uomini che non vollero dare in tempo 10 mila franchi! Quei due giovani sono unici per intrepidezza, e candore d'anima e amor del paese; e sono stati trattati infamemente, e tra due o tre mesi morranno di fame se non troveranno un impieguccio in qualche marina straniera...».
«Fratello mio,
«Se la mia promessa d'esservi sempre fratello e compagno nella carriera che avete impreso a percorrere può confortarvi nella guerra interna che vi tocca ora a sostenere, abbiatela calda dal cuore. Io v'amo già più che se non ci fossimo conosciuti per anni sopra altra via.
«Parmi che avete ciò che manca ai più, la costanza nel sagrificio; la costanza ch'è il complemento di tutte le umane virtù. Noi dunque soffriremo, e combatteremo uniti, e con noi i pochissimi, che guardano alla nostra causa, non come a sfogo di reazione, ma come a causa di fede e che v'ammirano e v'amano come io v'amo e v'ammiro.
«Siate forte contro il grido dell'affetto materno; un giorno io spero potrete riabbracciarla senza arrossire; ed essa sentirà che avevate ragione nel vostro rifiuto di seguirla. Povere madri illuse! Forse oltre il disonore essa dovrebbe un giorno piangere la vostra perdita in modo ben più doloroso. Oggi, il governo Austriaco vi tiene esuli; ma una volta nelle sue mani, una parola, un cenno imprudente darebbe argomento di processo per colpa anteriore al salvacondotto. Quanto agli altri, non li curate. La nostra causa sta fra Dio e noi. Non abbiamo giudici che la coscienza. Dobbiamo sentirci tanto più alti, quanto l'ideale che noi adoriamo è superiore allo stato attuale della Società e della Patria».
«Dalla nuova della spedizione in poi, non m'hai più scritto: suppongo che le nuove del mal esito t'abbiano dissestato come han dissestato me. Le cose dette dai giornali paiono nondimeno esagerate, e l'arresto dei capi non certo ancora. Suppongo peraltro il peggio; e se tutto non è vero, sarà una benedizione di Dio...
«Comunque, supponiamo tutto finito. Quid agendum? Abbandonare la partita, può essere il grido di un momento di malumore giustissimo: ma non più. Siamo devoti alla lotta. Il paese è schiavo: noi abbiamo detto; è bene che sia libero: abbiamo detto che tenteremo di farlo tale: abbiam dichiarato la guerra fin dal 1831: non possiamo ritrarci ora senza viltà in faccia agli altri, senza rimorso in faccia all'anima nostra. Abbiamo gridato la croce addosso a quei che hanno disertato dopo il '33: non possiamo disertar noi. Noi siamo una bandiera: e questa bandiera deve stare eretta per noi, finchè s'impianti sulla nostra sepoltura. Quanto a me, ho deciso.
«Noi siamo in tutta questa burrasca stati subalterni; abbiamo aiutato per dovere: ma l'ispirazione non partiva da noi. La fusione ha rovinato ogni cosa: la fusione ha illuso gli uomini d'azione ad aspettare la realizzazione di piani d'azione irrealizzabili; ha cacciato l'anarchia nel partito: ha trattenuto il moto coll'idea delle capitali ecc. ecc. Io, da questi pasticci, vedo tutto il male che tu vedi nei nostri; ma a sangue freddo. Vedo anche che gli elementi non mancano, e che dove potessero ridursi a unità e aversi mezzi, si può fare e con esito buono. Che vuoi tu dedurre dall'affar dei Bandiera? venti uomini, in una provincia alla quale essi sono perfettamente ignoti, dovrebbero porre la provincia in insurrezione, anche dove sia preparata? Quando finisce l'impresa prima che quasi sia nota? No: se venti uomini durano cinque giorni e necessitano invio d'un battaglione di cacciatori per vapore ecc. ecc. cinquecento cosa non farebbero?...».
«Rispondo alla vostra del 3 agosto. Sono pieno di dolore per la morte dei Bandiera e de' loro compagni che, sebbene io non abbia finora notizie dirette, credo vera. Dolore non per la causa, che la perdita di pochi individui non può far retrocedere; ma per gli individui stessi ch'erano delle migliori anime ch'io abbia incontrato negli ultimi dieci anni. Quando dico incontrato, intendetemi bene; sebbene qui le Ambasciate vadano dicendo che quei giovani non pensavano che alla loro carriera finchè incontrarono me in Londra, io non li ho mai conosciuti, per la semplice ragione ch'essi non furono mai in Inghilterra; l'unico legno da guerra Austriaco che venne fu la Bellona, e Moro era il solo che vi fosse; i Bandiera erano allora in Siria, e poi a Smirne. In poche pagine ch'io consacrerò alla loro memoria, dirò fin dove io li conosceva; ma certo è che erano giovani rari. Bensì, l'ardore in essi era soverchio; e la spedizione in venti fu fatta da loro a dispetto, non solamente di me, ma dei nostri amici in Malta e Corfù. Ve ne riparlerò più dopo. Qui, un foglio, il «Morning Herald», ministeriale di Sir J. Graham, citava l'altro giorno un frammento di lettera di Emilio Bandiera a me, mandata d'Italia, ei diceva, e intercettata da un governo italiano. In questo frammento, Emilio mi consigliava ad accettare offerte di danaro dalla Russia a patto di mettere sul trono il Duca di Lenchtenberg! Non ho bisogno di dirvi che tutto questo è falso. Emilio Bandiera non mi scrisse, nè poteva scrivermi mai da quando sbarcò. Era repubblicano come sono io. E vi cito queste cose per provarvi di che armi si servono l'Ambasciate: dico l'Ambasciate, perchè Lord Brougham il quale durante queste ultime settimane, ha detto orrori di me dappertutto, trovandosi in casa Baring, ed essendo acremente rimproverato dalla signora, dichiarò che quanto ei diceva gli era stato affermato dall'Ambasciata Sarda. Or figuratevi che tra le cose dette, v'era quella «ch'io tengo una casa da giuoco!!!».
«Ringrazio Dio che io repubblicano e rivoluzionario non mi sono mai servito dell'arme della calunnia contro i nemici nostri. Del resto, tutte queste ciarle non mi hanno fatto alcun male: Lord Brougham, è stato scornato dappertutto dove ha ciarlato: e la prova che anche i miei avversari mi stimano sta in questo, che Baring dove sono stato invitato come vi dissi, è non solamente torj, ma membro del Gabinetto... Il padre dice benissimo che se io fossi stato l'organizzatore della spedizione Bandiera, sarei stato alla loro testa. E se un giorno mai credessi bene di organizzarne una, certo vi sarò io pure».
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«Dei Bandiera, ch'io non conosceva che per corrispondenza, e di Ricciotti ch'io conosceva di persona, io non ho voglia di parlare: ma vi dirò solo, che più dei governi nemici io comincio a guardare con ira e disprezzo i nostri giovani patrioti e gli uomini che potendo operare si contentano di prendere il bruno, come hanno fatto in Romagna, per quei che operano. Quanto all'opinione comune, che mi dice organizzatore della spedizione, non me ne importa nulla: divento ogni giorno più, assolutamente indifferente all'opinione degli uomini: e l'unica persona di cui mi dispiace, sapete chi è: è la madre dei Bandiera, povera ingannata, che a quest'ora mi maledirà, accusando me della morte dei figli. Certo: io animerei ed aiuterei ogni uomo ad operare com'essi, ma solo quando io con essi potessi agire...».
«... La catastrofe dei Bandiera e Ricciotti com'è data dal Giornale delle Due Sicilie, perchè altre nuove non ho, m'ha empito l'anima di tale amarezza che non ho provato da un pezzo. Quei giovani sono vittime della cospirazione dell'interno: maledizione su tutti loro! maledizione e disprezzo sui pacifici cospiratori toscani, romagnoli e napoletani! Bensì, l'amarezza in me non veste le sembianze dello sconforto, ma quelle del demonio della lotta. Darei, credo, l'anima per aver danaro: sento prepotente il bisogno d'azione, d'azione personale, prima di morire...»..
Ai redattori dell'«Aquila Bianca», a Bruxelles([10]).
«Ho letto l'articolo del Tre Maggio che avete avuto la cortesia di tradurmi. Ho pensato un istante se non era necessario rispondere, ma mi son detto che ciò sarebbe degradare insieme la causa, la Giovine Italia e me stesso. Per le stesse ragioni non ho risposto al Morning Herald. Che questi signori pensino, dunque, e dicano di me ciò che vorranno: è permesso, come diceva quel bel decreto degli antichi, a quelli di Chio d'insultare grossolanamente. Ma c'è in quell'articolo una cosa che, forse, per la maggioranza dei vostri compatrioti che io stimo, sarebbe bene di smentire. È una calunnia contro dei morti. No, i Bandiera non erano miei agenti; essi non subivano ciecamente la mia influenza; non furono spinti da me alla loro impresa. Gli uomini del vostro partito aristocratico sono dunque così sprovvisti di convinzioni e di patriottismo da non poter concepire se non l'entusiasmo per ordine? Due anni avanti il loro primo contatto con me, i Bandiera erano in piena cospirazione. Tre giorni avanti la loro spedizione, l'ignoravano essi stessi. La loro attenzione era altrove che in Calabria. Erano dei bravi giovani, puri, devoti, brucianti del sacro fuoco dell'azione, penetrati anzitutto della necessità d'insegnare praticamente, con l'esempio, ai loro compatrioti ch'è venuto il tempo per gli italiani di dar testimonianza della loro fede con la morte o con la vittoria davanti ad amici e nemici. Rapporti che loro provennero dalla Calabria li decisero subitamente ed essi marciarono. Marciarono da veri repubblicani, con proclamazioni repubblicane, le nostre parole sacre: Libertà, Eguaglianza, Umanità, Indipendenza, Unità nel cuore e nella bandiera: marciarono non valendosi del danaro del duca di Leuchtenberg, ma di quello sottratto da essi e da qualche loro compagno d'esilio al superfluo, alle necessità della vita. Il preteso frammento di lettera citato dal Morning Herald è una falsità elaborata negli uffici e che ogni uomo di senso e di onestà avrebbe arrossito d'accogliere. Le ultime parole scritte da Emilio Bandiera e da suo fratello, che io pubblicherò fra poco con altri documenti per onorare la loro memoria proveranno a tutti che quegli uomini erano posti troppo in alto per abbassarsi a lavorare per un pretendente. Essi proveranno anche che, conoscendo le loro intenzioni d'agire ad ogni costo, io ho fatto tutto ciò che ho potuto, giungendo sino ad attirarmi i loro rimproveri, per distoglierli da ogni impresa immediata e per impedirne la realizzazione. Disgraziatamente non ho potuto riuscirvi. Forse anche essi erano migliori di noi!
«Dite questo ai vostri compatrioti, e dite anche loro che nel seno d'una emigrazione che assiste al bello spettacolo della spontanea devozione di Zaliwski e dei suoi compagni, non dovrebbe essere permesso ad uomini che attendono la salvezza della Polonia dalle combinazioni del signor di Metternich di trattare da leuchtenbergisti o da agenti sottomessi alla volontà d'un altro uomo i martiri della causa e della giovinezza italiana... Voi potete fare di questa lettera l'uso che vi piacerà. Credetemi sempre vostro fratello devoto. - Giuseppe Mazzini».
«Dalla catastrofe in poi io non ho mai più avuto una linea da te... è impossibile che tu non abbia avuto d'allora in poi qualche minuto ragguaglio del caso funesto. Come furono presi tutti? e da Moro in fuori non feriti? Quando? nel combattimento di San Giovanni in Fiore o più dopo? la taglia era vera o no? Vorrei sapere i particolari come si desidera sapere ogni cosa d'un parente morto. E inoltre, ho dovere di scrivere alcune pagine in memoria loro, e vorrei prima conoscere il fatto... La perdita è grave, e dolorosissima. L'effetto scoraggiantissimo. Inoltre, non è da celarsi risulta da tutto il fatto una smentita all'opinione nostra di grandi lavori e disposizioni in quelle parti. Non presto fede al governo, ma i decreti di ricompensa alla popolazione di San Giovanni stringono il cuore. L'inazione assoluta delle provincie finitime, e della Sicilia è un altro fatto. E di questi fatti si valgono i nostri limiti e peggio dell'interno per dire che tutto questo trambusto non ha radici ma parte unicamente da noi. L'uniche lettere che mi son giunte in questi giorni d'Italia, ed anche di passabilmente buoni, mi scongiurano di por freno, potendo, a quei di Malta che non fanno se non rovinare. Da tutte l'altre parti, l'affare dei Bandiera m'è messo in collo come s'io avessi organizzato il fatto: fin nel giornale dell'aristocrazia polacca, il Tre Maggio, mi danno del vile per averli mandati, dicono, ed essermene stato quieto a Londra. Questi infami a me non importano nè punto nè poco, ma ne parlo per mostrare come ogni fatto di questo genere presta armi a sviare l'opinione e minare l'influenza di pochi buoni. È inutile. Siamo addietro; i più senza principii e codardi... ».
«... Io m'occupo... di finire l'opuscolo sui Bandiera che parmi debba riescire importante, ma che mi costa molti momenti di profonda tristezza scrivendo... Di quest'opuscolo Bandiera darei non so quanto per potervene far giungere una copia intera, non perchè altri leggesse, chè a questo altri provvederà, ma per voi, per soddisfazione mia, perchè voi aveste una cosa dettata dal cuore del figliuol vostro... ».
«La lettera qui unita è la traduzione di quella scritta ad un amico di Corfù da Anacarsi Nardi, avvocato di Modena, uno degli esuli sbarcati in Calabria coi fratelli Bandiera, e morto a Cosenza il 25 luglio 1844. Il Nardi la scrisse nella sua cella, dodici ore prima della sua morte, e da ogni parola traspare una tale calma, una tale nobiltà di sentimenti che — non ne dubito — Ella sarà lieto di pubblicarla nel suo autorevole giornale. Mi pare che una causa, per la quale uomini come il Nardi corrono alla morte come verso un bel sogno, debba essere una causa santa, e con più probabilità di successo di quanto possa sembrare ora, giudicandola superficialmente. Ma qualunque siano le sue opinioni in proposito, dinnanzi al martirio tace ogni sentimento di parte: un uomo onesto, puro, che può vivere seriamente e morire serenamente per ciò che egli ritiene vero e giusto è in tutti i tempi, e specialmente nel nostro, in cui la teoria e la pratica sembrano essere in eterno contrasto, uno spettacolo che infonde nuova forza nei cuori di tutti coloro che lottano. La lettera passò per le mani del Governo Napoletano e di quello Austriaco, e da quest'ultimo fu inviata al suo Console Generale a Corfù, per consegnarla al Dott. Savelli che la ricevette la sera dell'11 Dicembre 1844, quattro mesi e diciassette giorni dopo che era stata scritta. Exoria, (parola greca che significa esilio, bando) è il nome della casa costruita dall'esule Dott. Savelli nel distretto di Covacchiana, e dove viveva anche il Nardi. Dante è un ragazzo, il primogenito del Dott. Savelli, del quale il Nardi era padrino. L'individuo che aveva l'abitudine di andare ad Exoria a cavallo è Pietro Boccheciampe, che sbarcò con i venti esuli, con l'intenzione di tradirli e di darli in mano del Governo Napoletano. Egli è figlio di madre greca e di padre corso.
«Sono, o Signore, col massimo ossequio
Milano, al primo soffio di libertà, sentì il dovere di invocare il nome dei fratelli Bandiera per bocca di Mazzini. Egli scrisse, poichè gli fu impedito di pronunciarle, queste parole:
«La fede dei fratelli Bandiera, ch'era ed è tuttora la nostra, poggiava su poche verità semplici e oggimai incontrastabili, che nessuno quasi s'attenta a dichiarare false, ma che pur sono in oggi tradite o dimenticate dai più.
«Dio e il popolo: Dio al vertice dell'edificio sociale; il popolo, l'università dei nostri fratelli, alla base. Dio, padre e educatore; il popolo interprete progressivo della sua legge.
«Non esiste società vera senza credenza comune e comune intento. La Religione dichiara la credenza e l'intento, la Politica ordina la Società come tradizione pratica di quella credenza e prepara i mezzi a raggiungere quell'intento. La religione rappresenta il principio: la politica, l'applicazione.
«Non v'è che un sole nel cielo per tutta la terra: non c'è che una sola legge per tutti quelli che la popolano. È la legge dell'ente umano, la legge di vita dell'Umanità. Noi siamo quaggiù, non per esercitare a capriccio le nostre facoltà individuali — facoltà e libertà sono mezzi e non fine — non per lavorare alla nostra felicità sulla terra e la felicità non può raggiungersi che altrove e Dio vi lavora per noi; ma per consacrarci a scoprire quanta più parte possiamo della legge divina e praticarla quanto le facoltà individuali e i tempi concedono, e diffonderne la conoscenza e l'amore tra i nostri fratelli.
«Noi siamo quaggiù per lavorare a fondare fraternamente l'unità dell'umana famiglia, così ch'essa non presenti un giorno che un solo ovile e un solo pastore, lo spirito di Dio, la legge.
«A raggiungere il Vero, Dio ci ha dato la tradizione, la vita dell'Umanità anteriore e il grido della nostra coscienza. Dovunque l'una e l'altra consentano, ivi è il Vero; dovunque stanno a contrasti, è l'Errore. A conquistare il consenso, l'accordo tra la coscienza dell'individuo e la coscienza dell'uman genere, nessun sacrificio è soverchio. La famiglia, la città, la Patria, l'Umanità non sono che sfere diverse, nelle quali devono esercitarsi, nell'intento supremo, l'attività nostra e la nostra potenza di sacrificio. Dio veglia dall'alto a sancire l'inevitabilità dell'umano progresso, e a suscitare sacerdoti del suo Vero e guida dei più nel viaggio, i potenti di Genio e d'Amore, di Pensiero e di Azione.
«Da questi principii, accennati nelle loro lettere, nei loro proclami, nei loro colloqui, dalla coscienza profondamente sentita d'una missione fidata da Dio all'individuo e all'Umanità, Attilio ed Emilio Bandiera e i loro compagni di martirio in Cosenza, derivavano norma e conforti alla vita travagliatissima e serena; religiosa lietezza in morte, sicurtà di speranze immortali anche quando li tradirono uomini e cose, sull'avvenire d'Italia. L'immensa energia dell'anima loro sgorgava dall'immenso intensissimo amore che informava la loro credenza. E parmi che, s'essi potessero sorgere or di sotterra e parlarvi, vi parlerebbero, o giovani, con ben altra potenza che a me non è dato, consigli non dissimili da questi che oggi vi parlo...
«Adorate l'entusiasmo».
([1]) Frammenti, dico, poi che la necessità di non trarre a pericolo uomini buoni o di non tradire segreti da' quali può, quando che sia, escir benefizio al paese, mi costringerà sovente a mutilar quelle lettere, Ma dove non militano quelle cagioni, io non ho stimato diritto mio di cancellare una sola sillaba, anche dove quel senso di pudore ch'è ingenito in ogni uomo mi suggeriva di farlo. Le lodi che a me si profondono nelle lettere dei due fratelli sono troppo apertamente immeritate da una vita composta d'una serie d'aspirazioni senza potenza di tradurle in atti, perch'io, esecutore testamentario, potessi, senza peccato, crearmi, sopprimendole, un merito di modestia. Ma in essi la riverenza a un esule e all'espressione costante di certe credenze, non menomata pur dall'idea che la costanza in esilio non frutta pericoli gravi, era indizio d'indole, ch'io non potrei cancellare, per motivi individuali, senza rimorso. (Nota dell'Autore).
([2]) Era figlio di Côrso, ma nato in Cefalonia, da madre cefaléna. (Nota dell'Autore).
([3]) Sento tutta la gravità dell'accusa ch'io pubblico; ma questa mi sgorga da relazioni d'uomini informatissimi, non sospetti, e a' quali l'accusato, prima ch'essi raccogliessero dati positivi, era ignoto persin di nome. E nondimeno, io m'assumo fin d'ora l'obbligo, se potesse mai un giorno scolparsi, di fargli ammenda onorevole, ritrattandomi pubblicamente com'oggi accuso. (Nota dell'Autore).
([4]) Operaio. Era zoppo. (Nota dell'Autore).
([5]) Avrei vivamente desiderato trasmettere ai giovani il ritratto dei due fratelli, e ne ho fatto ricerca, ma invano. Attilio era di statura piuttosto alta; magro nella persona; calvo. Serio nell'aspetto, grave nei modi, pieno d'entusiasmo nel discorso, aveva del sacerdote nell'insieme: del sacerdote intendo come un giorno sarà. Emilio era piccolo e tendente al pingue: di modi semplici e volgenti a lietezza noncurante in ogni cosa che non toccasse che lui: d'indole indipendente, ma non col fratello ch'ei adorava. — Inserisco in calce allo scritto i loro proclami. (N. d. A.).
([6]) Uomo innoltrato negli anni, avvocato, e figlio del Nardi che fu per pochi giorni dittatore in Modena nei moti del 1831. (N. d. A.).
([7]) Rocca e Venerucci erano, come Miller, uomini del popolo, operai: rari per acutezza naturale d'ingegno: d'aspetto gradevole: di condotta esemplare. Rocca era stato cameriere del poeta greco Solomos, che lo trattava come un amico. Venerucci era fabbro espertissimo. S'erano ambedue negli ultimi tempi adoperati con zelo, in una corsa che fecero nel Levante, per disbrigarsi d'alcuni debiti anteriormente contratti, onde potersi cacciar nell'azione senz'alcun peso sull'anima e senza che alcuno potesse lagnarsi di loro. (N. d. A.).
([8]) Uomo d'armi incanutito nelle battaglie di Napoleone. (N. d. A.).
([9]) Forse da questa circostanza, dall'avere i martiri venerato più Cristo che non il prete, venne il rifiuto dato dai preti cattolici di Parigi ai nostri esuli, quando andarono a richiederli di celebrare un'esequie il 2 novembre ai nove sagrificati. (N. d. A.).
([10]) Tradotta qui dall'originale francese.
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