Giuseppe Mazzini
Scritti: politica ed economia
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VOLUME SECONDO PENSIERO ED AZIONE.

SCRITTI SUL MEDESIMO PERIODO

AI GIOVANI D'ITALIA

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AI GIOVANI D'ITALIA

 

Predica verbum; insta opportune;

importune; argue, observa, impera.

Paul, ad Tim.

 

 

 

I.

 

Voi cercate la Patria. Un istinto che Dio ha infuso nel vostro core, una voce che vi viene dalle sepolture dei vostri Grandi, un segno che la potente natura d'Italia ha messo sulla vostra fronte e nel vostro sguardo, vi dicono che siete fratelli, chiamati ad avere una sola Bandiera, un solo Patto, un solo Tempio, dall'alto del quale splenda, in caratteri visibili a tutte le genti, la Missione Italiana, la parte che Dio commise, pel bene dell'Umanità, alla nostra Nazione.

E per questo ogni uomo tra voi pronunzia ardito o mormora sommesso quel santo nome di Patria. Per questo i migliori fra voi muojono da mezzo secolo, martiri d'una Idea, sul patibolo, nelle segrete o nella lenta agonia dell'esilio, col sorriso di chi intravede l'avvenire sul volto, colla parola Italia sul labbro. Per questo le vostre moltitudini fremono di tempo in tempo d'un fremito che solleva il coperchio della tomba dove i papi e i re le han poste a giacere, poi ricadono spossate per ritentare dopo il silenzio d'un tempo.

La Patria è il sogno, il palpito, il desiderio segreto d'ogni anima che s'informa a vita sulle nostre terre. Come il bambino che s'agita cercando fra i sonni il seno materno, come quei fiori che si volgono nella notte nera verso la zona del Cielo dove apparirà sul mattino il sole fiammante, voi, nei sonni irrequieti della servitù, nella tenebra fredda e greve dell'isolamento, andate brancolando in cerca della Madre comune che ha nome Patria, e interrogate ansiosi l'orizzonte a scoprire da qual punto accenni sorgere il Sole della vostra Nazione.

 

 

 

II.

 

Ma perchè cercate e non trovate la Patria? Perchè a voi soli il lungo martirio non frutta vittoria? E perchè la pietra del sepolcro, dove papi e re v'han messi a giacere, si leva soltanto di tempo in tempo a metà per ricadere più pesante sulle vostre teste? Quale strana fatalità s'aggrava su voi, poveri Israeliti delle Nazioni, perchè Dio vi neghi la Patria concessa da secoli a popoli che oprarono e patirono meno di voi?

La vita di Dio freme in seno alla vostra terra più che altrove potente. Imagini di bellezza e di forza s'avvicendano singolari su questo suolo, dove il sole accende vulcani e che gli uomini salutano del nome di Giardino d'Europa. La natura sorride per voi d'un sorriso di donna. I languenti per morbo vengono dalle brume settentrionali a ribever la vita nell'aure balsamiche de' vostri prati, sotto l'azzurro profondo de' vostri cieli.

L'Alpi eterne vi guardano solenni dall'estremo della vostra contrada come per dirvi: siate grandi! E appiè di quell'Alpi, i fiori più belli che all'uomo sia dato vedere vi guardano, dovunque moviate, coi loro occhi innocenti, come per dirvi: siate buoni! E tra quell'Alpi e quei fiori errano, quasi murmure d'angeli, melodie che gli uomini chiamano Musica, e sono un'eco della lingua che si parla in cielo.

Splendide come le stelle dei vostri sereni furono l'opere del Genio tra voi: splendide di pensiero e d'azione, che voi soli sapeste congiungere in bella armonia.

L'Europa era - dalla vostra sorella, la Grecia, in fuori - semibarbara, quando le vostre aquile passeggiarono di trionfo in trionfo sovr'essa; e insegnaste ai popoli conquistati una sapienza di leggi che dura tuttavia riverita, i conforti della vita civile, e quella tendenza all'Unità che preparò un mondo a Gesù.

L'Europa giaceva ravvolta fra le tenebre del servaggio feudale, quando voi, sorti a seconda vita, affermaste nei vostri Comuni la libertà repubblicana dell'uomo e del cittadino, e diffondeste alle più lontane contrade i benefici della civiltà, delle lettere e del commercio.

I vostri sacerdoti dell'Arte pellegrinarono di terra in terra, disseminando per ogni dove forme di bellezza immortale e insegnando come si svolva dal simbolo l'ideale.

E quando l'Europa ingrata vi pose in fondo, dividendosi le vostre spoglie, il genio Italiano, prima di velarsi per un tempo, gettò dalla sua croce, quasi pegno di ciò che un giorno potrebbe, un Nuovo mondo all'Europa.

Genio, forza, natura bella oltre ogni altra e feconda, concento d'aura e ineffabile sorriso di cieli, Dio tutto vi diede. Perchè non vi diede la Patria? Perchè, mentre ogni abitatore delle terre che inciviliste, interrogato del chi ei si sia, risponde alteramente: sono Francese, sono Inglese, sono Spagnuolo, voi non potete rispondere se non come espressione di desiderio: sono Italiano?

 

 

 

III.

 

Perchè voi mancaste e mancate tuttora di fede: di fede in voi stessi, nel vostro Diritto, e nella vita collettiva e nella missione della Nazione: Dio visita in voi un'antica colpa dei Padri che finora non cancellaste.

I Padri vostri non ebbero coscienza di Patria. La vita fremente in ciascuno d'essi era tanta, che essi si diedero ad adorarne la potenza incarnata nell'individuo: dissero io, non noi. E disertarono l'altare del Dio di tutti per farsi idolatri, gli uni della loro Città, gli altri della loro Compagnia, altri dell'Arte che li inspirava, altri d'altro: dimentichi tutti della Madre comune.

E perchè ogni vita, comunque potente, incontra, se non si rinnovi al latte della Madre comune che ha nome Patria, la debolezza tra via, alla grandezza d'una città sorse contro nimica la grandezza d'un'altra, alla forza d'una mano di prodi quella d'altra mano di prodi, e all'ardito concetto dell'artefice l'impotenza dei mezzi a tradurlo in atto, i vostri padri, invece di stringersi a concordia e cercar l'incremento della forza di ciascuno nella forza di tutti, pensarono di vincersi gli uni cogli altri procacciandosi l'ajuto dello straniero.

E gli uni chiamarono in ajuto d'oltr'alpe i figli della Germania ed altri i Franchi ed altri gl'Ispani. E taluni, che si dissero Vicarî di Dio sulla terra e furono veramente, negli ultimi seicento anni, Vicarî del Genio del Male, fecero scienza di quel peccato, e divisarono modo per cui due almeno di quei popoli stranieri si trovassero sempre a fronte l'uno dell'altro sulla nostra terra, tanto che nessuno potesse mai riunire in uno le membra sparte d'Italia, ed essi potessero tiranneggiare securi sovra una parte o sull'altra.

E per oltre a trecento anni, divisi in parti nomate di nomi non nostri, i fratelli scannarono i fratelli con lancie e spade straniere. Dio torse allora il suo sguardo da noi e decretò, espiazione al fratricidio, una servitù d'oltre a trecento anni per tutti.

Però che quelle genti straniere, stanche di combattersi, si partirono le terre nostre come i crocefissori le vestimenta di Cristo, e s'assisero dominatrici le une al mezzogiorno, l'altre al settentrione, ed altre sul core d'Italia. E i primi che segnarono il patto nefando furono un Imperatore di quella Casa maledetta in Europa che gli uomini chiamano d'Austria, e uno di quei Vicarî del Genio del Male dei quali fu detto poc'anzi. E lo segnarono sul cadavere d'una delle più generose nostre città, che ultima aveva serbato in Italia la sacra scintilla della libera vita.

Ma quella città aveva, duecento ventotto anni innanzi, condannato all'esilio e alle pene dei malfattori l'uomo il più potente che mai si fosse in Italia per intelletto ed amore, il quale fu il primo Apostolo dell'Unità della Patria e padre di quanti esularono più dopo per essa.

Ora voi durate anch'oggi nella colpa dei padri; e immemori dei trecento anni di guerra fraterna che inaffiarono il vostro terreno di sangue, immemori dei trecento anni di muto e codardo servaggio che li seguirono, immemori degli insegnamenti che vi diedero, da quel primo Potente in poi, i vostri Grandi di mente e i martiri che patirono per infondervi la coscienza della vostra forza, aspettate la Patria, in sembianza di mendicanti, dal beneplacito dello straniero. Però Dio vi contende la Patria, e vi condanna a trascinarvi di sogno in sogno, di delusione in delusione, poveri Israeliti delle Nazioni, finchè, rinsaviti, non sentiate la forza ch'è in voi, e non diciate, colla fronte levata al cielo e colle destre impalmate sulle sepolture di quei che morirono per insegnarvi a combattere e vincere: col nostro sangue, coll'armi nostre, o Signore: ecco, noi incrocicchiamo, fratelli e pentiti, in nome del Dovere e del Diritto Italiano, le spade, perchè tu benedica dall'alto le sante nostre battaglie.

 

 

 

IV.

 

Come sasso che, precipitato dall'alto, rotoli a valle, raccoglie scendendo ogni mota e sozzura che incontra sulla sua via e giunge al fondo doppio di lurida mole, così la colpa inespiata dei padri, trasmessa in voi di generazione in generazione, si è ingigantita di corruttela e s'è fatta delitto mortale.

Però che i vostri padri non avevano, quando chiamavano gli stranieri, coscienza di Patria comune: ma li chiamavano a sostenere cupidigie di dominazioni e disegni torbidi di tirannide sui vicini. Voi millantate intelletto ed amore di Patria, e chiamate, per codarda sfiducia e temenza di sacrifici, gli uomini dell'altre terre a edificarvela.

Essi erano increduli e ignari; voi siete consapevoli profanatori.

E i vostri padri, quando gli stranieri invocati calpestavano di soverchio gl'improvvidi invocatori o insolentivano sui loro averi o sui loro affetti, sentivano a rinsuperbirsi dentro l'orgoglio e le fiere passioni degl'Italiani, e davano loro ricordi di sangue, pei quali suonano tuttavia tremendi i nomi di Legnano, di Palermo, di Forlì. Ma voi sceglieste in questi ultimi tempi, fra i potenti stranieri, a simbolo delle vostre speranze di Patria, quello appunto dalle cui mani gronda il sangue dei migliori tra i vostri giovani di dieci anni addietro, spenti in Roma per l'armi sue, onde si riponesse in seggio quel Vicario del Genio del Male, il cui nome suona negazione di Patria e di Libertà.

E lo circondaste dell'entusiasmo con cui i buoni salutano in terra il Genio consecrato dalla Virtù; baciaste il lembo della sua veste usurpata e intrisa di sangue di prodi e pianto di madri, e lo adoraste siccome idolatri diseredati di Dio e d'ogni lume di Verità e di Giustizia.

Quel giorno, l'anime dei vostri martiri si velarono, per dolore e vergogna, coll'ali; e le catene che ricingono i languenti nelle prigioni per voi, solcarono di solco più grave le loro membra; e gli angioli piansero in cielo; e i popoli in terra vi sospettarono indegni per sempre d'assidervi, eguali, alla libera mensa delle Nazioni.

Però che quell'uomo, mandato in terra sì come castigo alla Francia e perchè i popoli si ravvedano d'ogni culto idolatra d'un nome nell'avvenire, è il peggiore fra quanti tormentano in oggi l'Europa. Il suo Genio è la conoscenza del male: la sua parola, menzogna: la sua forza, tradimento e disprezzo d'ogni cosa nella quale gli uomini ripongono fede ed amore. L'anima sua si libra, come pendolo nelle mani di Satana, fra il Calcolo e la Voluttà. L'opere sue sono di volpe e di jena.

E la sua tomba non avrà nome, ma solo due date: 1849-1851.

E le madri l'additeranno, passando, per lunghi anni ai loro bambini come la tomba dello Spergiuro.

E a voi che, dopo averlo maledetto in nome di Roma e di Parigi, lo acclamaste, in nome dei suoi cannoni e dei suoi fucilieri d'Africa, magnanimo e redentore, bisogneranno molte e molte opere sublimi di grandezza e di sacrificio, perchè l'Angelo dell'Espiazione cancelli dal libro della vostra vita quel ricordo di colpa e di disonore.

 

 

 

V.

 

Non sia fraintesa, o fratelli, la mia parola da voi. Io so che da quando l'Uomo che più amò sulla Terra protese di sulla croce le braccia quasi a stringere in amplesso tutti i viventi e proferì la parola ignota ai secoli che lo precedettero: perchè tutti, o Padre, siam uno in te, Dio decretò che la voce straniero, come abitatore di terra diversa, passerebbe dalla favella degli uomini, e solo straniero sarebbe il malvagio.

Ma se voi guarderete attenti per entro le pagine della storia, vedrete che appunto in quel tempo cominciò a prepararsi visibile quel moto delle razze umane che dovea conchiudersi col loro riparto ordinato sulle varie terre d'Europa a seconda del disegno che il dito di Dio scolpiva, fin da quando la sottrasse alle acque, sulla sua superficie.

Allora, quasi sommossa dall'eco di quella grande parola, la terra sobbollì d'un immenso fermento. E come due Mari che si contendessero il dominio dell'abisso, una metà del genere umano si rovesciò sull'altra metà.

E dall'estremo settentrione, dall'oriente, da tutti i punti, come sospinte da non so quale tempesta divina, tribù d'uomini strane e fino allora ignote apparvero ad una ad una, sospingendosi, accavallandosi a guisa d'onde gigantesche l'una sull'altra, avviate da un'arcana potenza alla volta della Città dai sette Colli, nella quale l'idea di Patria s'era incarnata da secoli.

E s'urtavano, si mescevano, si confondevano, struggendo e struggendosi. Era come un rotearsi d'elementi diversi per entro un caos infinito; e gli uomini, impauriti, credevano imminente la fine del Mondo, ma era invece la nascita d'un nuovo Mondo, che s'elaborava in grembo a quel caos.

E dopo cento anni e più di quel rimescolamento di genti senza nome e senza missione visibile, come un tempo la piena dell'acqua che ricopriva il globo si concentrava, retrocedendo, in laghi, fiumi ed oceani, si videro emergere dal turbinio delle moltitudini i Popoli, collocati a seconda delle loro tendenze e del disegno di Dio dentro a certi confini. E gli uni si chiamavano Ispani e gli altri Britanni ed altri Franchi, altri, Germani, altri Polacchi, Moscoviti o con altri nomi.

E sulla fronte a ciascuno splendeva un segno di missione speciale: un segno che sulla fronte al Britanno diceva: Industria e Colonie; sulla fronte al Polacco: Iniziazione Slava; sulla fronte al Moscovita: Incivilimento dell'Asia; sulla fronte al Germano: Pensiero; sulla fronte al Franco: Azione; e così di Popolo in Popolo.

E quel segno era la Patria: la Patria di ciascun Popolo; il battesimo, il simbolo della sua vita inviolabile fra le Nazioni.

E come, nella lingua che si parla in cielo e della quale noi adoriamo un'eco sotto il nome di Musica, molte note formano l'accordo - come di molte parole, ciascuna esprimente una idea, si compone progressivamente la formula Religiosa che rappresenta d'epoca in epoca il Verbo di Dio sulla Terra - così l'insieme di tutte quelle missioni compite in bella e santa armonia pel bene comune rappresenterà un giorno la Patria di tutti, la Patria delle Patrie, l'Umanità.

E solamente allora la parola straniero passerà dalla favella degli uomini; e l'uomo saluterà l'uomo, da qualunque parte gli si moverà incontro, col dolce nome di fratello.

Così Dio v'insegna attraverso la Storia, ch'è l'incarnazione successiva del suo disegno, che voi non conquisterete l'Umanità se non quando ciascun Popolo avrà conquistata la Patria.

Però che l'individuo non può sperare di tradurre in atto, da solo e colle sue fiacche forze, il vasto concetto della fratellanza di tutti; ma gli è necessario ajutarsi delle forze, del consiglio e dell'opera di quanti hanno con lui comuni lingua, tendenze, tradizione, affetti e agevolezza di consorzio civile.

E chi volesse tentare senza quell'ajuto l'impresa, somiglierebbe colui che volesse smovere l'inerzia d'un immenso ostacolo con una leva senza punto d'appoggio. La Patria è il punto d'appoggio della leva che si libra tra l'individuo e l'Umanità.

 

 

 

VI.

 

La Patria è una Missione, un Dovere comune. Or come mai potete sperare di conquistarvi la Patria, se chiamate altri a compiere quella Missione, ad eseguir quel Dovere?

La Patria è quella linea del disegno di Dio che Egli commise a voi perchè la svolgiate e la traduciate in fatti visibili. Come dunque potete meritare la Patria, invocando altri a svolgere quella parte di disegno per voi?

La Patria è la vostra vita collettiva, la vita che annoda in una tradizione di tendenze e d'affetti conformi tutte le generazioni che sorsero, oprarono e passarono sul vostro suolo: - la vita che si solleva in orgoglio nell'anima vostra davanti a un sasso staccato dal Campidoglio o alla pietra di Portoria in Genova, con maggiore impeto che non davanti alle piramidi Egizie o alla Colonna Vendôme in Parigi: - la vita che, quando errate su terre poste al di dell'Oceano, v'annuvola l'occhio di lagrime se v'abbattete subitamente in una lapide sulla quale sia scritto un nome italiano.

Come mai potete illudervi a credere che la rivelazione di questa vita possa compirsi per opera d'uomini, nei quali è muta la voce di quella tradizione e di quei ricordi, e ai quali s'agita in seno il segreto d'un'altra Patria?

E la Patria è, prima d'ogni altra cosa, la coscienza della Patria.

Però che il terreno sul quale movono i vostri passi, e i confini che la Natura pose fra la vostra e le terre altrui, e la dolce favella che vi suona per entro, non sono che la forma visibile della Patria; ma se l'anima della Patria non palpita in quel santuario della vostra vita che ha nome Coscienza, quella forma rimane simile a cadavere, senza moto ed alito di creazione, e voi siete turba senza nome, non Nazione; gente, non Popolo. La parola Patria, scritta dalla mano dello straniero sulla vostra bandiera, è vuota di senso, com'era la parola Libertà, che taluni fra i vostri padri scrivevano sulle porte delle prigioni.

La Patria è la fede nella Patria. Quando ciascuno di voi avrà quella fede, e sarà presto a suggellarla col proprio sangue, allora solamente voi avrete la Patria, non prima.

 

 

 

VII.

 

La Fede è Pensiero ed Azione. E lo sarà un giorno per tutti; ma lo è fin d'oggi e segnatamente per voi.

Io vi dissi che quando, come membra del grande essere collettivo che chiamasi Umanità, i diversi Popoli emersero, ciascuno colla sua missione speciale, dal caos di mille anni addietro, Dio pose un segno sulla fronte al Germano che significa Pensiero, e sulla fronte al Franco un altro che significa Azione. Or sulla vostra Ei pose un doppio segno che significa Pensiero ed Azione congiunti.

E quel doppio segno, ch'è la vostra missione ed il vostro battesimo fra le Nazioni, era visibile sulla vostra fronte, mille anni innanzi che gli altri Popoli fossero.

Però che voi, soli fino ad oggi fra tutti, aveste da Dio privilegio di morire e rivivere, come gli uomini favoleggiarono della Fenice. E alla Grecia soltanto, sorella nata ad un tempo colla nostra Italia, fu dato riaffacciarsi, nell'ultimo mezzo secolo, alla seconda vita, quando appunto cominciava per l'Italia ad albeggiare la terza.

Così, mentre il Germano move sulla terra col guardo perduto nell'abisso dei cieli, e l'occhio del Franco si leva di rado in alto, ma trascorre irrequieto e penetrante di cosa in cosa sulla superficie terrestre, il Genio che ha in custodia i fati d'Italia trapassò sempre rapido dall'Ideale al Reale, cercando d'antico come potessero ricongiungersi terra e cielo.

Per virtù di quella Unità che annoda il cielo infinito, patria del Pensiero, alla terra, patria dell'Azione, i padri dei vostri padri conquistarono il mondo cognito allora; ogni loro Legione era una missione armata; ogni vittoria era per essi decreto di Giove.

E, innanzi ad essi, i padri degli avi, che stanziavano fra Tevere e Po e si chiamavano Etruschi, edificavano le loro città giusta il concetto che si erano formati del cielo: ed ogni loro atto era incarnazione d'un pensiero di religione.

E dopo d'essi venne una generazione d'uomini-capi - capi per consenso e riverenza di popoli - i quali tentarono, per oltre a sei secoli, la santa impresa di dar sulla terra trionfo alla Legge di Dio sull'arbitrio degli uomini, al Pensiero ed alla Parola sulla forza cieca e brutale; e stettero per tutta Europa, in nome dell'Amore e della Giustizia, fra i Popoli e i padroni dei Popoli. E l'ultimo e il più grande fra loro fu il figlio d'un falegname per nome Ildebrando, frainteso anche oggi dai più. Poi, perchè il regno di Dio non può scendere sulla terra se non per l'opera libera e pur concorde di tutti, quegli uomini tradirono Popoli e Dio, e fornicando cogli oppressori delle Nazioni, diventarono e sono veramente i Vicarî del Genio del Male, da sterminarsi per sempre.

I vostri filosofi, i vostri sacerdoti del pensiero e dell'arte, non sì tosto avevano afferrato colla mente un concetto di Vero, che sentivano prepotente il bisogno di ridurlo a fatto, e furono, dagli antichi Pitagorici a Tomaso Campanella, da Dante Alighieri a Michelangiolo e Machiavelli, ordinatori di consorzî segreti, legislatori di città o predicatori d'instituti sociali. E si frammischiarono alle battaglie delle loro città, congiurarono contro le tirannidi, affrontarono prigioni, esilî, torture. Contemplarono e fecero.

E mentre altrove gli uomini ch'ebbero nome di riformatori di Religione assalivano gli oppressori dell'anima, rispettando gli oppressori dei corpi, ed erano Titani d'audacia contro la menzogna violatrice del Cielo, maledicendo aspramente ai figli del popolo che volevano cancellarla di sulla Terra, tra voi intesero che Spirito e Corpo si confondono nella Vita, ch'è una, e morirono sui roghi per aver tentato che la Verità di Dio trionfasse in atti visibili nella fratellanza civile. E cento anni addietro, le vostre donne in Firenze versavano ancora fiori, il ventitrè maggio d'ogni anno, sul terreno dove era morto tra le fiamme un santo frate che sollevava, or son tre secoli e mezzo, la bandiera dell'emancipazione religiosa e della Repubblica.

Or voi, abbandonando in questo la tradizione del vostro popolo, e perduta dietro a insegnamenti stranieri la memoria della missione d'Unità il cui compimento deve farvi Nazione, avete smembrato la vostra vita; e i più tra voi amano la Patria col solo pensiero, commettendo l'opere che devono fondarla all'usurpatore straniero e a quel misto d'impotenza e d'inganno che chiamano Diplomazia.

E la patria vi sfugge, e le speranze vi tornano di anno in anno in delusioni amarissime e vergognose, però che le parole dei principi, e sopratutto le promesse dello straniero, sono da tempo immemorabile simili ai pomi dell'Asfaltide, belli all'occhio e cenere al dente; e quando Dio disse all'uomo: tu ti ciberai del sudore della tua fronte, Egli intese non solamente del pane del corpo, ma del pane dell'anima, della Libertà e della Patria.

 

 

 

VIII.

 

Voi state sul limitare della terza vita d'Italia.

La prima vita d'Italia si diffuse pel mondo come alito fecondatore, colla sola potenza dell'Azione: la seconda, colla sola potenza del Pensiero e della Parola. Ed oggi la terza vita deve conquistare il mondo a nuova universale concordia colla potenza del Pensiero e dell'Azione, armonizzanti per opera dello Spirito di Giustizia e di Amore.

Però, se nella prima vita vi bastò la spada, e nella seconda la parola e l'esser presti a obbedire ad essa e morire per essa, voi non potete ora varcare il limitare della terza vita, se non usando la spada e testimoniando colla parola.

Dovete essere savî e forti: apostoli e militi.

Or la sapienza è il culto del Vero; e la forza è la fede nella potenza del Vero.

E perchè la sapienza scenda sul vostro intelletto e la fede benedica l'anima vostra, è necessario che invochiate l'una e l'altra con intenzioni sante e con un core puro d'ogni bassa passione.

La Virtù è la sorella del Genio. E quando il culto idolatra dell'io scaccia dall'anima la Virtù, che è lo spirito di sacrificio, l'anima rovina in basso com'aquila a cui manchi l'ala, e il Genio s'arresta a mezzo la via come stella cadente che illumina d'un solco di luce lo spazio e subitamente sparisce.

E però l'uomo il più potente per Genio nei nostri tempi mostrò al mondo attonito due vite in una: la prima, quand'ei rappresentava una Idea; vita di concetti giganteschi e miracoli di vittorie; la seconda, quand'egli, inebriato d'egoismo e di spregio, non rappresentava che stesso; vita di errori e disfatte. E dalle solitudini di Sant'Elena lo spirito di quel Potente manda a chi sa intenderla una voce che dice: la corona delle vittorie immortali non posa se non sulla tomba del forte, che, dimentico di stesso, combatte sino all'ultimo giorno pel santo Vero e pel Diritto dei Popoli.

Santificate dunque col sacrificio e coll'intrepida adorazione del Vero l'anime vostre, se volete vincere i molti nemici che s'attraversano tra voi e la terza vita d'Italia: l'Angelo della Vittoria aborre dal fango dell'egoismo e della menzogna. Portate la vostra credenza alteramente sulla bandiera, come i guerrieri dei secoli addietro portavano sullo scudo la loro insegna. Come il tuono tien dietro al lampo, così segua rapido ogni vostro pensiero l'azione. Dio è grande perchè pensa operando. Ingigantite nella fede: come il sonnambulo passeggia sicuro sull'orlo del tetto perch'ei crede movere sulla carreggiata, e s'ei si desta e misura l'abisso, impaurisce e precipita, così voi, se potenti di fede, supererete ostacoli davanti ai quali, se trepidi e tentennanti, cadrete. Non pensate a voi: vivete nel fine, nella coscienza del Dovere, nel santo orgoglio del Diritto. E la costanza coroni l'unità della vostra vita, come cupola il tempio. Siate uomini, e Dio sarà Dio, cioè Padre e Proteggitore per voi.

La vostra è la più grande fra tutte le missioni terrestri; siate grandi com'essa. Voi siete chiamati a un'opera emulatrice delle opere di Dio: la creazione d'un Popolo. E vi conviene accostarvi a Lui, quanto può la creatura finita, purificandovi, consacrandovi. I giovani guerrieri dei tempi di mezzo vegliavano la notte in armi, prostrati sul nudo marmo, nel digiuno e nella preghiera, prima d'iniziarsi nella cavalleria. Ed essi non giuravano che ad un signore, creatura mortale com'essi: voi giurate a Dio, alla Patria, all'Umanità. E la loro ricompensa per le belle imprese era la speranza che il loro nome passasse, suono fugace, a pochi posteri nella canzone d'un trovatore; ma voi aspetta la lunga benedizione delle generazioni che avranno Patria da voi, e la vostra memoria, fatta tradizione d'onore, s'incarnerà nella vita progressiva di tutta la vostra Nazione.

 

 

 

IX.

 

Ed io raccolsi, o giovani d'Italia, questi ricordi dalle sepolture degli uomini che morirono per voi, interrogate con fremito di riverenza e con un amore per voi tutti che nulla può spegnere. Però che, come pietre miliari che segnano la via al grande intento, o più veramente come le stelle che c'insegnano, splendendo nei cieli mentre la tenebra fascia la terra, la virtù della serena costanza nella sventura, apparvero sempre di tempo in tempo, fra gli errori dei padri, uomini puri d'ogni falsa scienza e d'ogni egoismo, i quali da Arnaldo e Crescenzio fino a Bentivegna e Carlo Pisacane, raccolsero nelle grandi anime loro la voce che la Patria manda invano da secoli a voi, e mantennero incontaminata la tradizione del Genio Italiano: e, con essi, i martiri del pensiero che soggiacquero, per calunnie, ingratitudine e oblio, alle torture dell'anima, gravi quanto quelle del corpo. E ogni qual volta il Popolo d'Italia, trasalendo sotto il suo lenzuolo di morte, protestò, dalla Lega Lombarda e dai Vespri fino alle Cinque Giornate, in nome della grandezza passata e della futura, fu visitato dallo spirito che visse negli uomini dei quali io parlo.

E i giovani d'Italia, che furono innanzi a voi, avevano, or corre quasi un terzo di secolo, raccolto quei ricordi con me. E con me avevano fatto giuramento solenne di non obliarli294.

Ma poi, simile a nembo di locuste su campo fecondo, s'addensò sulla regione Subalpina una gente senza fede, senza tombe di martiri, senza tradizione fuorchè di tempi nei quali il servaggio si era abbarbicato alle menti, che fece suo studio e vanto deridere quei santi ricordi e l'entusiasmo dei giovani e la solennità dei giuramenti prestati. E si diffuse rapida su tutte le città d'Italia come lebbra su forma umana o crittogama sulle piante.

E fu veramente ed è tuttavia la crittogama o lebbra dell'anime.

Gente di mezzo intelletto, di mezza scienza e di nessun core. E gli uni si chiamarono Dottrinarî, ciò che significa uomini che millantano dottrina e non l'hanno: gli altri, moderati o fautori del giusto mezzo, cioè tentennanti sempre tra la virtù e il vizio, tra la verità e la menzogna; ed altri, pratici e aborrenti dalle teorie, cioè corpi senza anima e cadaveri galvanizzati; ed altri con altro nome. Ma tutti si riconoscevano, siccome appartenenti alla stessa gente, dal nome barbaro d'opportunisti, cioè diseredati d'iniziativa, eternamente passivi e presti a fare solamente quand'altri ha fatto.

E rinnegarono il culto puro di Dio per adorare idoli di loro fattura, come gli Ebrei nel deserto.

E gli uni si prostrarono davanti a un idolo che chiamarono Forza, gli altri davanti a un altro che chiamarono Tattica, ed altri davanti al pessimo fra tutti gl'idoli che ha nome Lucro.

E i primi escirono, strisciando siccome vermi che pullulano dal cadavere d'un Potente, dalla sepoltura di Napoleone; i secondi escirono dalla sepoltura profanata d'un nostro Grande frainteso, che, dopo aver patito tortura per la libertà della Patria, l'aveva veduta morire, e assiso sul suo cadavere s'era fatto storico delle cagioni della sua morte; gli altri escirono ed escono dal fango dove brulicano gli insetti senza nome, la cui vita non guarda al di dell'ora che fugge.

E insegnarono che solo diritto è il fatto, e solo creatore del fatto l'arsenale dove s'accumulano strumenti di guerra; e le idee essere nulla, e i grossi battaglioni d'assoldati ogni cosa: dimenticando come il Potente dalla doppia vita, ch'ebbe ad arsenale l'Europa e ad esercito gli eserciti di tutte le genti d'Europa, giacesse cadavere di prigioniero in Sant'Elena, per avere, com'ei ripeteva morente, camminato a ritroso delle idee del secolo.

Insegnarono, bestemmiando, che la virtù è nome vano, che la moralità e la politica non sono sorelle, che il vero e l'errore sono egualmente buoni, a seconda dei casi; e architettarono le teorie dei delitti utili e della menzogna opportuna, ed altre siffatte, predicando gli uomini doversi adattare ai tempi, come se i tempi creassero gli uomini, e non questi i tempi.

Insegnarono che i popoli possono redimersi gridando or viva Cristo or viva Barabba, e che il bandir oggi l'infamia e il capestro a Giuda, e inneggiarlo magnanimo e augusto domani, e pianger pianto di tenerezza per papa o re, susurrando all'orecchio degli avversi: lasciate fare; forti, li rovescieremo; e accarezzare un i Popoli, e l'altro, gli oppressori dei Popoli, e prima la Polonia, poi il carnefice della Polonia, e invocare la libera Inghilterra un giorno per maledirla perfida Albione appena giovi ad accattare il favore della Francia, è scienza di Stato: non avvedendosi che a quel modo si perde in ultimo l'ajuto di principi e Popoli, come gente che; non avendo fede, non ne merita alcuna.

Insegnarono che alcuni popoli avendo, quando l'Europa intera era barbara o semibarbara, conquistato lentamente e faticosamente, prima un grado di civiltà, poi un altro ed un altro, tutti i popoli, comunque sorgenti a Nazione in seno ad una Europa incivilita, devono salire quella scala da capo, come se l'esperienza degli uni non dovesse fruttare agli altri, e le verità scoperte da un Popolo non fossero scoperte per tutti, e il faro acceso da una mano provvida tra le roccie marine non diffondesse lume e consiglio ad ogni navigatore che navighi per quella via.

Insegnarono che indipendenza può conquistarsi senza Unità e senza vita di liberi, come se lo schiavo in casa potesse mai esser libero dall'usurpazione altrui, come se l'animale aggiogato potesse accettare un padrone e respinger l'altro, come se importasse combattere per scegliere tra padrone e padrone.

E insegnarono le tre Italie, le quattro Italie, le cinque Italie, e il forte Regno del Nord, e la Confederazione con semi-libertà a Settentrione, e tirannide a Mezzogiorno, e autocrazia al Centro - che è il sacco del parricida - come se Dio avesse creato l'Italia a spicchî; e dimentichi che anche quel Grande frainteso, invocato da essi come maestro, additava, supremo rimedio a tutte le piaghe di Italia, l'Unità Nazionale.

E questa essi chiamarono scienza, ma io la chiamo impostura di falsi profeti e rintonaco di sepolcri.

E dacchè Cristo v'insegnava di scernere i veri e i falsi profeti dai frutti dell'opere loro, voi dovete guardare ai fatti che quelle loro dottrine hanno generato finora; e sono: la consegna di Milano, l'abbandono di Roma e la pace di Villafranca.

Ma poi che la costanza non è ancora virtù di popoli, e voi seduceva il fascino della novità, e quelle dottrine blandivano nei più l'inconscia tendenza ad accettare le vie che pajono più facili e richiedono minore potenza di sacrificio, io vidi gemendo tutta una generazione distaccarsi dalle tombe de' suoi martiri e plaudire insana ai falsi profeti e seguirne le torte vie.

Allora ogni idea di rettitudine e di dignità d'anima fu smarrita, e le menti s'abbujarono d'ogni sorta d'errori, tanto che s'udirono, senza nota di pubblica infamia, fra gli adepti degli idolatri, scribi di diarî e libercoli, taluni proporre che si comprasse indipendenza dall'Austria a prezzo della libertà d'altri Popoli, forti di sacri diritti come noi siamo; altri che si riscattasse Venezia a danaro; altri esultare ogni giorno all'annunzio che si commetterebbero le sorti d'Italia a un Convegno di despoti, ed altri prostituire l'umana parola fino a paragonare alle creazioni di Michelangelo l'uomo per il cui cenno caddero migliaja di libere vite in Roma e Parigi; - poi, quando un popolo spense, in modo non giusto, una vita di tristo, diventarono a un tratto ipocriti di virtù e di clemenza, dichiararono disonorata l'Italia e lamentarono, come se il mondo andasse sossopra.

E parve una danza di streghe dell'intelletto.

E al soffio gelato di quelle codarde dottrine, io vidi inaridirsi l'entusiasmo, incadaverire l'anime più generose, ed uomini, che avevano insieme a me consacrato metà della vita a suscitare i giovani alla vera fede, patteggiare, nell'altra metà, coi capi degli idolatri, ed erger cattedra a distruggere l'opera propria; ond'io sentii nell'anima solitaria quel dolore che labbro non può ridire.

E pochi tra voi protestarono, sterilmente dignitosi, col silenzio, ma i più cedettero, però che poche siano sulla nostra terra quelle anime che ritraggono della natura degli angeli, e poche quelle che rivelano natura pervertita di demoni, ma innumerevoli le anime dei fiacchi, che seguono la corrente ovunque essa mova e alternano di continuo fra il bene ed il male.

Or io vi dico:

In verità, in verità, così non si fonda Nazione; così si disfanno e si disonorano i Popoli.

Tornate ai consigli dei vostri Martiri. Prostratevi tre volte sulle loro tombe e tre volte supplicate, commossi di pentimento, perch'essi spirino in voi la forza della quale mancaste. Poi sorgete e, afferrato, come Cristo, il flagello, cacciate inesorabili fino all'ultimo i trafficatori di sofismi, di protocolli e d'accoglienze mutate in accettazioni, dal Tempio contaminato della coscienza italiana. E dei libri, diarî e libercoli di che essi appestarono la nostra contrada, fate cartuccie.

Voi non avrete d'ora innanzi, se vorrete davvero redimervi, altra via che la linea retta, altra scienza che la verità senza veli, altra tattica che il coraggio e l'ardire, altro Dio che il Dio della Giustizia e delle Battaglie.

 

 

 

X.

 

Non vi sono cinque Italie, quattro Italie, tre Italie. Non vi è che una Italia. I tiranni stranieri e domestici l'hanno tenuta e la tengono tuttavia serva e smembrata, perchè i tiranni non hanno patria; ma qualunque tra voi intendesse a smembrarla redenta, o accettasse, senza lotta di sangue, ch'altri la smembrasse, sarebbe reo di matricidio e non meriterebbe perdono in terra in cielo.

La Patria è una come la Vita. La Patria è la Vita del Popolo.

Dio ve la diede; gli uomini non possono a modo loro rifarla. Gli uomini possono, tiranneggiando, impedirle per breve tempo ancora di sorgere; ma non possono far ch'essa sorga libera, oppur diversa da quel ch'essa è.

Dio che, creandola, sorrise sovr'essa, le assegnò per confine le due più sublimi cose ch'ei ponesse in Europa, simboli dell'eterna Forza e dell'eterno Moto, l'Alpi ed il Mare. Sia tre volte maledetto da voi e da quanti verranno dopo voi qualunque presumesse di segnarle confini diversi.

Dalla cerchia immensa dell'Alpi, simile alla colonna di vertebre che costituisce l'unità della forma umana, scende una catena mirabile di continue giogaje, che si stende sin dove il mare la bagna e più oltre nella divelta Sicilia.

E il mare la recinge quasi d'abbraccio amoroso ovunque l'Alpi non la ricingono; quel mare che i padri dei padri chiamavano Mare nostro.

E come gemme cadute dal suo diadema stanno disseminate intorno ad essa, in quel mare, Corsica, Sardegna, Sicilia, ed altre minori isole, dove natura di suolo e ossatura di monti e lingua e palpito d'anime parlan d'Italia.

Per entro a quei confini tutte le genti passeggiarono l'una dopo l'altra conquistatrici e persecutrici feroci; e non valsero a spegnere quel nome santo d'Italia, l'intima energia della razza che prima la popolò; l'elemento Italico, più potente di tutte, logorò religioni, favelle, tendenze dei conquistatori, e sovrappose ad esse l'impronta della Vita Italiana.

Per entro a quei confini tremende guerre fraterne insanguinarono per secoli ogni palmo di terra. E mentre i pedanti scribi di diarî e libercoli edificavano poc'anzi, su quelle guerre, sistemi a dichiarare utopia l'unità della nostra vita, ecco i popoli sorgono e gridano: siamo fratelli, e anelano confondersi in uno, e si danno, colla foga imprudente del desiderio, ad un principe, solo perchè sperano ch'ei si faccia simbolo vivente di quella Unità.

In verità, colui che nega l'Unità della Patria non intende la Parola di Dio, quella degli uomini.

Voi dovete vivere e morire in quella Unità, però che in essa stanno per voi la Forza e la Pace, il segreto della vostra missione e la potenza per adempirla. Qualunque tra voi sorge a libertà, sappia ch'ei sorge per tutti. Incarni ciascuno in i dolori, le speranze, le memorie, il palpito d'avvenire di quanti respirano l'alito che si ricambia dall'Alpi al Mare e dal Mare alle Alpi. Fra l'Alpi e il Mare non sono che fratelli. E la maledizione di Caino aspetta qualunque dimentichi che, mentre un solo dei suoi fratelli geme nell'abjezione della servitù e non posa tranquillo e lieto d'amore sotto la sacra bandiera dei tre colori, ei non può aver Patria, merita averla.

 

 

 

XI.

 

Venite meco. Seguitemi dove comincia la vasta campagna che fu, or son tredici secoli, il convegno delle razze umane, perch'io vi ricordi dove batte il core d'Italia.

scesero Goti, Ostrogoti, Eruli, Longobardi, ed altri infiniti, barbari o quasi, a ricevere inconscî la consecrazione dell'Italica civiltà, prima di riporsi in viaggio per le diverse contrade d'Europa; e la polve che il viandante scote dai suoi calzari è polve di Popoli. Muta è la vasta campagna, e sull'ampia solitudine erra un silenzio che ingombra l'animo di tristezza, come a chi mova per camposanto. Ma chi, nudrito di forti pensieri, purificato dalla sventura, s'arresta nella solitudine a sera, poi che il sole ha mandato dalla lunga ondeggiante curva dell'orizzonte l'ultimo raggio sovr'essa, sente sotto i suoi piedi come un murmure indistinto di vita in fermento, come un brulichìo di generazioni che aspettano il fiat d'una parola potente, per nascere e ripopolare quei luoghi che pajono fatti per un Concilio di Popoli. Ed io intesi quel fremito e mi prostrai, però che mi pareva un suono profetico dell'Avvenire.

, per la via che ricorda il nome d'uno dei forti uccisori di Cesare, e si stende fra tufi di vulcani spenti e reliquie d'Etruschi, tra Monterosi e la Storta, presso al lago, è Bracciano.

Sostate e spingete fin dove vale lo sguardo verso mezzogiorno, piegando al Mediterraneo. Di mezzo all'immenso, vi sorgerà davanti allo sguardo, come faro in oceano, un punto isolato, un segno di lontana grandezza. Piegate il ginocchio e adorate: batte il core d'Italia: posa, eternamente solenne, Roma.

E quel punto saliente è il Campidoglio del Mondo Cristiano. E a pochi passi sta il Campidoglio del Mondo Pagano. E quei due Mondi giacenti aspettano un terzo Mondo, più vasto e sublime dei due, che s'elabora tra le potenti rovine.

Ed è la Trinità della Storia, il cui Verbo è in Roma.

E i tiranni o i falsi profeti possono indugiare l'incarnazione del Verbo, ma nessuno può far che non sia.

Però che molte città perirono sulla terra e tutte possono alla lor volta perire; Roma, per disegno di Provvidenza indovinato dai popoli, è Città Eterna, come quella alla quale fu affidata la missione di diffondere al mondo la parola d'Unità. E la sua vita si riproduce ampliandosi.

E come alla Roma dei Cesari, che unificò coll'Azione gran parte d'Europa, sottentrò la Roma dei Papi che unificò col Pensiero l'Europa e l'America, così la Roma del Popolo, che sottentrerà all'altre due, unificherà nella fede del Pensiero e dell'Azione congiunti l'Europa, l'America e l'altre parti del mondo terrestre.

E col patto della Nuova Fede raggiante un sulle genti dal Panteon dell'Umanità, che s'inalzerà, dominatore sull'uno e sull'altro, tra il Campidoglio ed il Vaticano, sparirà nell'armonia della vita il lungo dissidio fra terra e cielo, corpo ed anima, materia e spirito, ragione e fede.

E queste cose avverranno quando voi intenderete che la Vita d'un popolo è religione - quando, interrogando unicamente la vostra coscienza e la tradizione, non dei sofisti, ma della vostra Nazione e delle altre, vi costituirete sacerdoti, non del solo Diritto, ma del Dovere, e senza transazioni codarde moverete guerra, non solamente alla potenza civile della Menzogna, ma alla Menzogna stessa che usurpa oggi in Roma il nome d'Autorità - quando raccoglierete il grido profetico che Roma ridesta mandava, or son dieci anni, all'Italia, e scriverete nel vostro core e sulla vostra bandiera: noi non abbiamo che un solo padrone nel cielo, ch'è Dio, e un solo interprete della sua legge in terra, ch'è il Popolo.

Intanto Roma è la vostra Metropoli. Voi non potete aver Patria se non in essa e con essa. Senza Roma non v'è Italia possibile. sta il Santuario della Nazione. Come i Crociati movevano al grido di Gerusalemme! voi dovete movere innanzi al grido di Roma, Roma! aver pace o tregua, se non quando la bandiera d'Italia sventoli nell'orgoglio della vittoria da ciascuno dei Sette Colli.

E qualunque s'attentasse parlarvi d'una Italia senza Roma a centro, o dettarvi leggi d'altrove, sarebbe simile a chi volesse ideare vita senza core; e leggi e potenza sparirebbero, al primo soffio di tempesta, dalle sue mani, come spariscono, cacciati non si sa dove dall'alito più leggiero, quei filamenti ch'errano talvolta, senza base e centro, per alcuni istanti nell'aria.

 

 

 

XII.

 

La Patria è la Vita del Popolo: io dico vita del popolo e non d'altrui. È necessario che quella vita si svolga liberamente e in tutte le sue facoltà, senza vincoli che la incatenino, senza ostacoli di condizioni che la isteriliscano e la condannino all'impotenza.

Adorate dunque la Libertà. A che gioverebbe aver Patria se l'individuo non dovesse trovare in essa e nella sua forza collettiva la tutela della propria libera vita? Come potreste servire la Patria e giovarle, se doveste vivere a beneplacito d'altri? È forse la prigione Patria del prigioniero?

Adorate la Libertà. Rivendicatela fin dal primo sorgere, e serbatela gelosamente intatta, siccome pegno della vittoria, nelle battaglie che dovete combattere per la Patria. Non vi fate mai d'altri. Abbiate capi i migliori tra voi, padroni non mai. Però che voi non potete darvi padroni, senza sagrificio del fine a cui tendete sorgendo. E quando voi direte: la patria dell'Italiano è tra l'Alpi e il Mare, i padroni vi diranno: no; la Patria è tra il Mincio e il Conca; quando griderete: a Roma! a Roma! i padroni vi grideranno: a Milano! o a Torino! E quando l'anima vostra fremerà guerra per tutti, i padroni e i servi dei padroni, che sempre abbondano e sono gli adoratori dell'Idolo Lucro, raccoglieranno Congressi di re stranieri per decidere, a seconda dei loro fini, sulle cose vostre; e v'impediranno la guerra.

Quei che vi dicono: voi dovete avere prima Indipendenza, poi Patria, poi Libertà, o sono stolti o pensano a tradirvi e a non darvi Libertà, Patria, Indipendenza. Però che l'Indipendenza è l'emancipazione dalla tirannide straniera, e la libertà è l'emancipazione dalla tirannide domestica; or, finchè, domestica o straniera, voi avete tirannide, come potete aver Patria? La Patria è la casa dell'Uomo, non dello schiavo.

E quei che vi persuadono, come mezzo d'ottener vittoria sollecita, Dittatura di re e capi d'esercito, o sono stolti, o pensano, fin dal cominciar dell'impresa, a tradirvi. Perchè, come può agevolarsi l'impresa di tutti affidandola a un solo non sottoposto a sindacato d'alcuno? I vostri padri creavano talora, nei sommi pericoli, Dittatori, ma li sceglievano tra cittadini addetti al foro, all'armi o all'aratro; e ponevano dietro ad essi il littore del Popolo colla scure in alto, e presto a colpire s'ei tradiva o abbandonava, prima d'aver vinto, impresa.

La libertà vi viene da Dio; e voi non potete alienarla senza violarne la Legge. Voi siete liberi perchè siete Uomini, e perchè dovete conto alla Patria e a Dio dell'opere vostre. Voi dunque affermerete la vostra Libertà, non, come i falsi profeti vi suggeriscono, in virtù di qualche vecchia pergamena che ne faccia menzione - ciò che una pergamena vi un'altra pergamena può torvelo - di concessioni di principi, che una lunga storia di tradimenti v'insegna revocarsi sempre il dopo, o l'altro, - ma in nome dell'irrevocabile Diritto umano. E vi leverete col grido: colla nostra Libertà per la Patria.

E se, dimenticando la buona vecchia tradizione Italiana e la storia degli ultimi cinquanta anni e le parole che Dio disse a Samuele profeta, volete pur darvi un re, sia almeno quel re il figlio, l'eletto della vostra Libertà e riceva, insieme al Patto che i vostri Delegati liberamente raccolti scriveranno in Roma per la Nazione, la sua corona da voi, e il vostro linguaggio gl'insegni ad ogni ora ch'ei l'ebbe da voi e che potete e vorrete ritoglierla ogniqualvolta ei falserà quel Patto, o a voi piacerà governarvi in modo più affine al Vero e più favorevole ai fati della Patria vostra.

Gli antichi uomini dell'Arragona, quando l'Arragona era libera, dicevano al Re ch'essi eleggevano: noi che, singoli, vi siamo eguali, e uniti possiamo più di voi, vi facciamo re nostro, a patto che voi manteniate i nostri diritti e le nostre libertà. E se no, no.

E voi all'uomo che s'assume d'esservi re dovreste dire: a patto che voi poniate, senza indugio, esercito, tesori, opera e vita a servizio di tutta quanta l'Italia, e rompiate ogni vincolo che non sia col Popolo d'Italia, e domandiate tre volte perdono a Dio e all'Italia d'aver lasciato che si contaminasse la Patria dall'alleanza coll'uomo che versò, in nome della tirannide, il sangue di Roma. E se no, no.

Ma trascinandovi sommessi davanti a lui col turibolo dell'adulazione servile e chiamandolo Grande, Salvatore e Generosissimo, mentre non è secco ancora l'inchiostro che firmò la pace di Villafranca, e benedicendogli mentr'ei vi riceve in dedizione feudale dal tiranno straniero, e illudendovi a tradurre le accoglienze in accettazioni, voi non fate se non disonorare voi stessi e lui, e insegnargli che siete pur sempre schiavi, e incitarlo a tradire il debito suo.

Però che da tempo immemorabile i violatori del Dovere e delle promesse e dei diritti dei Popoli, escirono generati, più che da natura perversa, dalla codarda idolatria e servile adorazione dei popoli che tradivano la propria coscienza e la dignità dell'anima loro immortale.

 

 

 

XIII.

 

V'hanno detto che l'unico vostro grido deve essere in oggi: fuori lo straniero! viva l'Indipendenza! Ma io vi dico che non otterrete Patria se non quando il vostro grido sarà: fuori la tirannide viva l'Unità Nazionale!! Quel grido di fuori lo straniero non è che un'eco misera del grido fuori il barbaro! che nei secoli addietro ogni papa o principe, a cui stava in animo d'occupare un qualche lembo della vostra terra, mandava, sorridendo celatamente di scherno, ai poveri popoli illusi. E fu trovato di sofisti idolatri, che intesero a sviarvi dal vero sogno e serbarvi, allettandovi dietro a un fantasma d'emancipazione, facile preda a ogni dominazione di principi e cortigiani.

V'hanno detto che voi siete servi dell'Austria e che prima di provvedere alle vostre sorti d'uomini e di cittadini, v'è d'uopo attendere a liberarvene. Ma io vi dico, ed altri vi ha detto, che voi siete servi dei vostri servi; servi del re che tiene le belle e forti regioni del Mezzogiorno: servi del Vicario del Genio del Male: servi di meschine trepide ambizioni dinastiche: servi di prelati, di cortigiani, faccendieri e sofisti, che immiseriscono le vostro guerre, incatenano colle vecchie tradizioni e colle gerarchie d'anticamera il genio dei vostri militi, intorpidiscono le vostre facoltà e ammorzano il vostro entusiasmo con polvere e fango di protocolli: servi di governucci diseredati egualmente di pensiero e di azione, i quali regolano il vostro moto nazionale colle forme d'una vecchia danza di corte, e, con un popolo fremente innanzi, dissertano sull'accogliere o sull'accettare, e sopra ogni sillaba venuta da Biarritz o da altro ricettacolo di Despota traditore, come i Greci del Basso-Impero dissertavano, morente la Patria, sulla luce che veniva o non veniva dall'ombelico.

Emancipatevi, in nome della Libertà, da tutti costoro - da quei che mandano deputazioni a regnanti stranieri per chieder loro permesso di vivere liberi - da quei che smembrano la Causa d'Italia, restringendo ad una o ad altra zona della vostra terra i diritti trepidamente enunziati - da quei che spendono la vostra polvere da cannone, non contro il nemico, ma per celebrare i benefizî e le glorie d'una annessione ch'è favola - da quei che vi dicono: sperate nell'uomo di Villafranca, nello Tsar, nel Convegno futuro dei Principi, invece di dirvi: sperate in voi stessi, nelle vostre bajonette, nel diritto Italiano e nel Dio di Giustizia - da quei che dicono a chi parla d'insorgere: sostate sino al finir delle Conferenze in Zurigo o sino al cominciare delle Conferenze in Bruxelles - da quei che v'hanno detto: durate immobili, mentre si vendeva a Venezia o si scannava in Perugia - da quei che vi vietano, mentre ogni giorno che corre frutta proscrizione ai nostri e ordinamento di forza al nemico, di varcar la Cattolica - da quei che si dicono chiamati a governare una impresa di libertà, e, perchè non s'impaurisca il dispotismo straniero, vi vietano libertà di parola, di pubblici convegni, di stampa. Ruggite e sperdeteli. Non avrete allora da temer l'Austria.

Voi sperdeste l'Austria dieci anni addietro colla campana a stormo e colle barricate d'una provincia, e non si rifece potente - lo diceste tutti in quel tempo - se non per le colpe degli stessi sofisti e faccendieri di corte che oggi rigovernano le cose vostre. Perchè non la sperderebbero la campana a stormo e le barricate di tutta Italia?

Non è la forza, prima nel Diritto e nei fermi propositi, poscia nel numero? Or come dunque osano i sofisti dirvi che siete troppo deboli per pensare ad altro che a cacciar l'Austria, e limitano intanto il vostro numero e le vostre forze, confinandovi per entro al recinto di poche provincie e contendendovi la vasta, la forte, l'onnipotente Italia?

Libertà! Libertà! Siate liberi come l'aria delle vostre Alpi: liberi come le brezze dei vostri mari: liberi per seguir capi i quali osino e sappian guidarvi: liberi per combattere: liberi per suscitare, coll'armi e con tutti i mezzi che Dio vi ha profusi, l'Italia tutta ad insorgere: liberi d'infervorarvi a vicenda coi convegni fraterni e di chiamare lo spirito di Dio sulle turbe raccolte: liberi di vivere e morir per la patria, non per un frammento di Regno o per una Italia a mosaico, col marchio di servitù su Napoli, Palermo, Venezia e Roma.

 

 

 

XIV.

 

D'onde vengono, ove vanno quegli uomini che hanno sembianza di prodi, e nondimeno portano come un segno di sconfitta sulla pallida fronte e movono verso il mar di Liguria, tristi come vittime consecrate? Perchè trasaliscono muti alle parole Eljen a' Magyar, mormorate sommessamente al loro orecchio, come da chi si sente involontariamente colpevole?

Sono figli della Drava e dei Carpati: Ungheresi ch'erano pochi mesi addietro nelle file nemiche.

Soldati e prodi, essi s'apprestavano al debito loro nella battaglia; ma quando si videro a fronte la bella bandiera dai tre colori, e udirono il grido all'armi! d'Italia, sentirono un brivido nell'ossa, come s'essi movessero a guerra fraterna, e calarono l'armi e s'arresero.

Ricordarono le libere pugne di dieci anni prima contro l'oppressore della loro terra, e che in quel tempo anche in Italia si combatteva quell'oppressore, ch'è oppressore di tutte le terre ove pone piede.

Ricordarono le glorie dei padri combattenti la minaccia dell'invasore Ottomano, e Venezia che combatteva anch'essa le battaglie Cristiane quando le combattevano i padri. Ricordarono i vestigi dell'antica civiltà Italica diffusi per le loro terre, e i patti di fratellanza stretti nell'esilio fra uomini immedesimati nelle comuni sventure e nelle comuni speranze.

E ciascuno di loro disse all'altro: , dove si combatte per l'emancipazione d'un Popolo, è sacra l'emancipazione di tutti: ogni uomo della libera Italia sarà un fratello per noi, e moveremo uniti in nome della loro e della nostra Nazione. E cessero l'armi per ripigliarle sotto più giusta bandiera il dopo.

Ed ora movono lentamente, tristamente, smarriti dell'anima, incerti nella fede, verso quelle terre d'Austria dove sognavano di non tornare che vincitori, a incontrarvi gli scherni e la persecuzione dell'oppressore.

Però che dov'essi credevano trovare un popolo di fratelli, e combattere uniti le battaglie della Patria, trovarono una gente aggirata da idolatri e sofisti, combattente senza saperlo, per un frammento di Regno, e reggitori di rivoluzioni tremanti davanti al cipiglio dello straniero e ministri commessi di corte che dissero loro: tornate; noi v'abbiamo ottenuto perdono dall'Austria.

Ed io mi sento il rossore su per le guancie, scrivendo; e voi tutti dovreste arrossire, leggendo.

Addio, poveri illusi figli della Drava e dei Carpati. Voi faceste atto solenne di fede; e veniste fra noi per insegnarci come l'Austria sia debole, e come quel fantasma di potenza, in nome del quale i traviatori del nostro moto ci chiedono di rinunziare alla libertà, all'unità, a tutto ch'è caro ad un popolo, sfumerà come neve tocca dal sole, quando tra noi una bandiera di popolo porterà scritto: per la nostra libertà e per la vostra. Ma gli uomini, ch'or reggono e traviano il nostro moto, non possono intendere la santità della vostra fede e non vogliono raccogliere l'insegnamento. Non ci maledite: gemete per voi e per noi. Il Popolo d'Italia è ora cieco, non vile.

Ma il Popolo d'Italia sorgerà, come Lazzaro, dal sepolcro d'inerzia ove giace, dopo brevi giorni di sonno. E fin dalla prima ora del risorgere, esso ricorderà il patto d'alleanza che voi gli offriste e i suoi forti si trasmetteranno di fila in fila la parola della battaglia: Roma - Pesth.

E a quel grido, da Pesth a Praga, da Praga a Zagreb, da Zagreb a Lemberg, da Lemberg a Cattaro, sorgeranno nemici all'Austria e diranno: noi pure, noi pure! E il nome dal vecchio Impero sparirà nella tempesta d'un giorno.

 

 

 

XV.

 

Voi siete ventisei milioni d'uomini, circondati da una Europa di Popoli oppressi, che, come voi, cercano la Patria e come voi provarono d'esser potenti, desti una volta che siano, a rovesciare i loro padroni. Non entrerà mai dunque in voi coscienza dalla vostra forza? Non intenderete voi mai che il giorno in cui, invece di gemere e supplicare, in nome dei vostri patimenti e di non so quali diritti locali, una dramma di libertà, delibererete di sorgere e dire: in nome della natura umana e del Diritto Italiano, vogliamo Libertà e Patria per noi e per quanti s'affratelleranno in armi con noi, voi sarete iniziatori della Guerra delle Nazioni, e tanto forti da far tremare sulle loro sedi tutti i Potenti d'Europa?

Voi potete, il giorno in cui due uomini sopra ogni cento fra voi vorranno star tre mesi sull'armi, due terzi all'aperto e l'altro terzo a guardia delle barricate cittadine, appoggiare le vostre richieste o la vostra chiamata all'Europa con un mezzo milione di combattenti. Non intenderete voi mai che un mezzo milione d'uomini, levati in armi per una idea santa di verità e di giustizia, può ciò che vuole? che la vittoria è sua senza i danni inseparabili da ogni vittoria cercata da forze minori? che le sorti d'Europa stanno raccolte per entro le pieghe della sua bandiera?

 

 

 

XVI.

 

Non dite: l'Europa è più vasta della nostra contrada e può mettere in armi un maggior numero di combattenti, e li verserà contro noi. Due milioni d'armati in nome della tirannide non prevalgono contro un mezzo milione d'armati per la Libertà e per la Patria, accampati su terra loro, tra le sepolture dei loro martiri e i grandi ricordi dei loro padri. Ma in verità io vi dico che davanti allo spettacolo d'un Popolo fatto Principio e procedente col ferro nella destra e il Vangelo Eterno, libertà, vita, progresso, associazione, fratellanza delle Nazioni, nella sinistra, i due milioni d'Europa non moveranno contro voi, ma contro i despoti che s'attentassero d'assalirvi.

Quando, undici anni addietro, la Francia si riscosse dal lungo sonno in cui l'avean posta i padri dei sofisti idolatri ch'oggi pesano sui vostri moti, una lunga tremenda corrente elettrica corse Francoforte, Berlino, Pesth, Vienna, Milano, e pose a pericolo tutti i troni d'Europa, perchè i Popoli, ricordando la Francia del 1789 e commossi dalla potente parola che suonava attraverso la nuova riscossa, credettero che un principio sorgesse e salutarono con impeto la vita che doveva discenderne a tutti.

E quel che la Francia, sorgendo, produsse allora, voi, come ogni altro Popolo, potete, sorgendo, produrlo in oggi. Però che, non quel che i Popoli sono per numero o concentramento di forze, ma quel che i Popoli fanno è, per decreto di provvidenza, norma generatrice agli eventi; e mentre la Monarchia di Spagna co' suoi vasti dominî sui quali non era tramonto di sole, non lasciò segno nel mondo fuorchè di roghi e d'ossa di vittime, i piccoli Comuni d'Italia diffusero sull'Europa un solco immortale d'incivilimento e di libertà.

Porgete attento l'orecchio, e ditemi se non udite un cupo rumore che viene come di sotterra, un fremito come di marea che salga, un'eco indistinta come di lavoro che scavi le fondamenta delle Potenze terrestri.

Guardate in volto ai padroni del mondo e ai servi dei padroni del mondo, e ditemi se le pallide fronti e il guardo irrequieto dei primi e l'affaccendarsi convulso di qua, di , di su, di giù per le vie dell'inferno che chiamano Diplomazia, non accennino a presentimento di rovina, a terrore d'ineluttabili fati.

Essi tremano nell'anima loro, come per freddo di morte imminente, perchè sentono il fremito di quella terza vita d'Italia, ch'io v'annunziava poc'anzi e che, quando si manifesti nel mondo, sperderà la turba di Fantasmi e Menzogne colla quale essi sviano i Popoli dalla vera via.

E contemplate, studiando, l'Europa al lume, non delle lanterne cieche degli angusti sistemi e delle false dottrine, ma della fiaccola ardente della verità; poi ditemi, se nel culto invadente della materia, nello scherno versato sulle vecchie credenze, nell'anelito a nuove tuttora ignote, nel pazzo e breve affollarsi dei molti intorno ad ogni più strano concetto, nel silenzio paziente dei pochi, nel contrasto fra il martirio degli uni e l'indifferenza degli altri, nelle filosofie congegnate a mosaico, nell'inaspettato riapparire di vecchie Potenze che il mondo credeva spente per sempre, nel disfacimento visibile d'antichi Imperi che il mondo credeva immortali, nell'agitarsi sovra ogni terra dei milioni che lavoravano finora muti, inconscî, pei pochi, e nel dolore senza nome che invade l'anime giovani, e nelle gioje profetiche che illuminano subitamente l'anime stanche, non ravvisiate i segni della morte d'un Mondo e del faticoso accostarsi alla vita, d'un altro.

Io vi dico che, come quando morivano gli Dei Pagani e nasceva Cristo, l'Europa è oggi assetata d'una nuova vita e d'un nuovo Cielo e d'una nuova Terra; e ch'essa si verserà, come a santa Crociata, sull'orme del primo Popolo dal quale escirà, sopportata da forti fatti, una voce banditrice d'adorazione all'eterno Vero, all'eterna Giustizia, e d'anatema alla Potenza che opprime e alla Menzogna che mentisce o prostituisce la vita.

Siate voi quella voce e quell'esempio vivente. Voi lo potete. E l'Europa coronerà la vostra Patria d'una corona d'amore sulla quale Dio scriverà: guai a chi la tocca!

Ma finchè l'Europa vi vedrà agitati pur trepidi sempre, frementi pur prostrati davanti agli idoli, e apostoli o accettatori ipocriti di menzogna e chiedenti a principi o a convegni di stranieri la terra ch'è vostra, essa dirà: non è un popolo che si desta, ma un infermo che muta lato; e i dubbî piccoli fatti, che si compiranno nella vostra contrada, non saranno argomento se non di ciarle diplomatiche a raggiratori, o di speculazioni devote all'idolo Lucro in quell'antro di rapina che, con vocabolo gallico, chiamano Borsa.

 

 

 

XVII.

 

Non dite: il nostro Popolo non è maturo pei sacrifici e per l'entusiasmo che si richiedono alla grande impresa. Il Popolo è di chi merita d'averlo con . E dopo i miracoli operati dal Popolo d'Italia per solo istinto di Patria, nel 1848 per ogni dove, e nel 1849 in Roma e Venezia, chi parla in siffatta guisa del Popolo d'Italia, in verità, è reo di bestemmia.

E allora, non era in esso, come or dissi, che istinto e non altro di Patria. Però che, da poche anime buone in fuori che s'erano accostate ad esso con amore, ma gli avevano, insieme a qualche parte di Vero, insegnato la triste e inerte rassegnazione, nessuno avea cercato educarlo e affratellarlo in comunione d'idee con chi gli sta sopra.

Ma d'allora in poi, mentre voi guardate freddi dall'alto di un falso sapere su ciò che chiamate tuttora, come se foste Pagani, il vulgo profano, molte anime buone, alle quali la tradizione dell'Umanità collettiva ha dato l'intuizione dell'avvenire, hanno stretto con amore le mani incallite degli uomini del lavoro e hanno parlato ad essi come fratelli, e gli uomini del lavoro le conoscono e le ricambiano d'amore e possono sviarsi per breve tempo da esse, ma ogni qual volta le troveranno sulla loro via, le seguiranno con profonda fiducia.

E poi che nel popolo delle vostre città la coscienza s'è aggiunta all'istinto di Patria, e Dio, che segnò le diverse epoche della Vita coll'emancipazione degli schiavi dapprima, poi con quella dei servi, vuole che sia battesimo dell'epoca nuova l'emancipazione dei poveri figli del lavoro, io vi dico, non per vezzo d'adulazione alle moltitudini, ma in puro spirito di verità, che oggi il popolo delle vostre città è migliore di voi, che il mondo chiama letterati e filosofi, e di me che scrivo.

Però che voi ed io possiamo avere virtù, ch'è lotta e fatica, laddove nel Popolo, fanciullo dell'Umanità, vive e respira la spontaneità dell'innocenza, ch'è la virtù inconscia; e mentre in voi ed in me alloggiano forse orgoglio d'intelletto violato dalla tirannide e vaghezza di fama, il Popolo more ignoto sulle barricate cittadine, senza onore di tomba, senza orgoglio fuorchè della sua terra, senza speranza fuorchè pei figli ch'ei confida commettere a fati men duri.

E mentre voi ed io, guasti dai conforti dell'esistenza o da lunghi studî su morte pagine, andiamo calcolando sulle maggiori o minori probabilità di vittoria nelle battaglie pel Giusto e pel Vero, e tentennando e indugiando finchè il nemico s'avveda del colpo che vorremmo vibrargli, il Popolo, che non conosce libro fuorchè quello della Vita e accoglie in più gran parte della tradizione italiana che congiunge in uno il pensiero e l'azione, vibra il colpo subitamente e coglie sprovveduto il nemico.

E se il popolo delle vostre campagne è da meno, dipende da questo che, abbandonato interamente da voi e lontano anche da quel riflesso di pensiero che si diffonde più o meno a tutti dai grandi centri d'incivilimento, esso soggiace nei suoi villaggi alle inspirazioni del birro dei corpi e del birro dell'anime. E la vita misera oltre ogni dire lo fa più cauto nel sacrificio, però che, se per tradimento o fiacchezza di chi guida, il nemico ritorna potente d'onde ei partì, non può far sì che gli uomini delle città non abbiano bisogno di pane, tetto, vestimenta e utensili, sorgenti perenni di lavoro, mentre struggendo, nei primi furori della vendetta, le messi e involando i buoi che trascinan l'aratro, il nemico isterilisce le sorgenti della vita all'uomo del contado e condanna lui e la sua famigliuola a morire. Ma con pochi decreti che gli promettano un miglioramento nelle sue tristissime condizioni, e con una energia d'azione che gli provi la vostra irrevocabile determinazione e la vostra forza, voi lo avrete pronto agli ajuti anch'esso e devoto alla causa comune.

Voi avete tutti un gran debito verso il Popolo, perchè il Popolo ha bisogno che gli si assicuri, con più equa retribuzione al lavoro, il pane del corpo, e, con una educazione nazionale, il pane dell'anima, e voi gli avete finora mostrato, scritta in capo a un brano di carta, una serie di diritti ch'ei non può esercitare, e di libertà delle quali ei non può valersi: e gli avete chiesto di morire per quel brano di carta.

E il Popolo ha bisogno di amore, e voi gli date diffidenza ed orgoglio; il Popolo ha bisogno d'azione, e voi gli date diplomazie e andirivieni di legulei; il Popolo ha bisogno di verità e di programmi semplici e chiari, e voi lo trascinate per ginepraî di transazioni e artificî politici ch'ei non intende, e lo chiamate a cacciar lo straniero dandogli lo straniero per alleato, a emanciparsi dal Vicario del Genio del Male prostrandovi a un tempo davanti a lui come a sorgente di verità spirituale, a liberarsi dalla tirannide vietandogli intanto convegni pubblici, insegnamento di giornali, oratori cari ad esso e libertà di parola. E gl'insegnate per anni ad agitarsi e fremere e prepararsi all'azione per poi dirgli: sta; noi non abbiamo bisogno di te, ma d'eserciti ordinati di principi e despoti. Poi vi lagnate d'esso e lo chiamate stolto e codardo, se gli accade d'esitare nel dubbio e nello sconforto il giorno in cui il tardo senso della sua onnipotenza vi costringe a invocarlo.

In verità voi raccogliete quello che seminaste colle vostre mani.

Ma parlate al Popolo di libertà e fate, non ch'ei la veda scritta su brani di pergamena, ma la senta nella vita d'ogni giorno e d'ogni ora; ditegli amore, e mescolatevi eguali ed amorevoli fra le sue turbe: ditegli fede, e mostrategli che l'avete in esso: ditegli progresso, e decretate, in nome e a spese della Nazione, l'educazione dei suoi figli: ditegli proprietà, e fate che scenda ad esso la proprietà del lavoro: ditegli verità, e non gli date mai ipocrisie, menzogne o reticenze gesuitiche: ditegli Patria, e mostrategliela, non a spicchî e frammenti, ma Una e vasta e potente: ditegli azione, e ponetevi a guida delle sue moltitudini col sorriso della vittoria sul volto e presti a combattere, per ottenerla, con esse: siategli apostoli, capi, fratelli; e voi trarrete dal Popolo miracoli di virtù e di potenza a petto dei quali i miracoli di dieci anni addietro saranno come deboli riflessi di luce a fronte della luce viva e raggiante, come incerte promesse a fronte delle opere che adempiono.

 

 

 

XVIII.

 

Chi vinse, il 29 maggio 1176, contro Federico Barbarossa in Legnano, la prima grande battaglia dell'indipendenza Italiana? - Il Popolo.

Chi sostenne per trent'anni l'urto di Federico II e del patriziato ghibellino, e ne logorò le forze davanti a Milano, Brescia, Parma, Piacenza, Bologna? - Il Popolo.

Chi franse in Sicilia la tirannide di Carlo d'Angiò, e compì nel marzo del 1282 i Vespri a danno dell'invasore Francese? - Il Popolo.

Chi fece libere, grandi e fiorenti le Repubbliche Toscane del XIV secolo? - Il Popolo.

Chi protestò in Napoli a mezzo del secolo XVII contro la tirannide di Filippo IV di Spagna e del Duca d'Arcos? - Il Popolo.

Chi vietò con resistenza instancabile che l'Inquisizione dominatrice su tutta l'Europa s'impiantasse nelle Due Sicilie? - Il Popolo.

Chi scacciò da Genova nel dicembre del 1746, di mezzo al sopore di tutta l'Italia, un esercito Austriaco? - Il Popolo.

Chi vinse le cinque memorande Giornate Lombarde nel 1848? - Il Popolo.

Chi difese due volte, nell'agosto del 1848 e nel maggio del 1849, Bologna contro gli assalti dell'Austria? - Il Popolo.

Chi salvò nel 1849, in Roma e Venezia, l'onore d'Italia prostrato dalla monarchia colla consegna di Milano e colla rotta di Novara? - Il Popolo.

Il Popolo senza nome, combattente senza premio di fama; l'Eroe collettivo, l'uomo-milione che non fallì mai alla chiamata ogni qual volta gli vennero innanzi, in nome della santa Libertà, uomini che incarnarono in l'azione e la fede.

 

 

 

XIX.

 

Giovani Volontarî Italiani, benedette siano l'armi vostre! Benedette le Madri che s'incinsero in voi! Benedette le fanciulle del vostro amore, che compressero sotto un pensiero di patria i palpiti del core per salutare d'un sorriso di conforto la vostra partenza!

Però che in voi vivono le due virtù del Popolo, l'azione e la fede; e, come il Popolo, abbracciaste il sacrificio siccome un fratello, senza calcolo di premio o di rinomanza, fuorchè di tutti. Sante sono le vostre bajonette, perchè portano sulla punta una idea: l'Unità della Patria; sante l'anime vostre, perchè portano in , come Dio in santuario, il più puro fra tutti gli affetti, l'affetto alla libertà della Patria.

Fra voi splendono, come ricordi d'una gloria mietuta, come bandiera d'onore di mezzo a un esercito, uomini che diedero combattendo, da Roma e Venezia, il programma dell'Italia futura. E su voi tutti splende la serena maestà dell'intrepido Capo, il cui nome è fascino d'entusiasmo alla gioventù d'Italia e di terrore al nemico. Ma sulla fronte a ciascuno di voi sta un segno che vi dice capaci d'emular quei ricordi e d'esser degni del Capo. In voi respira, volente, potente, la Patria. Il vostro campo è un Pontida Italiano. Voi siete un Poema vivente, che ricongiunge la coscienza dell'oggi colla tradizione di quasi sette secoli addietro.

Ma perchè sostate, o giovani Volontarî, sulla bella via? Perchè, come Poema troncato a mezzo dalla morte del Genio che lo dettava, l'impresa che iniziaste giace, colpita di subita inerzia, a mezzo il suo corso? È libera ed una l'Italia, o giovani? O segnaste voi pure, collo straniero, i patti di Villafranca?

Voi accorreste dove suonava il nome di Patria, col nome d'Italia sul labbro, coi colori Italiani sul petto.

Sono i limiti della Patria Sant'Arcangelo e il Mincio?

Non è terra d'Italia quella che si stende a mezzogiorno e a settentrione di quei confini?

Ciascuno di voi portò seco un giuramento solenne: dall'Alpi al Mare. Non è Venezia al di qua delle Alpi? Non bagna il nostro mare le spiaggie frementi della Sicilia?

E Roma? Roma dove vive l'unità della Patria? Roma che è core, tempio, palladio della Nazione? La cancellate voi dalla Carta d'Italia? O lo straniero che vi signoreggia è meno straniero perchè veste una assisa francese tinta in rosso dal sangue dei vostri?

A due passi dalle vostre vedette il bastone dei mercenarî Svizzeri e dei birri papali scende sul dorso d'uomini che vi sono fratelli. Più in , in mezzo ai desolati dominî del Vicario del Genio del Male, sorge un Castello che chiude da dieci anni centinaja d'uomini, che vi prepararono, congiurando, combattendo, la via. Più in stanno le prigioni di Roma. E più in , nelle atroci segrete napoletane, negli scavi delle isole disseminate sui vostri confini meridionali, vivono, d'una vita di chi domani morrà, apostoli della vostra Causa, volontarî della stessa Bandiera, che vi precorsero nell'impresa. Volgete addietro lo sguardo; tra le lagune agonizza di lenta, tremenda agonia la Roma dell'Adriatico, Venezia, che v'insegnò indipendenza fin da quando gli uomini del Nord cominciarono a correre le vostre contrade; Venezia che tenne ultima in alto, dieci anni addietro, il vessillo della libertà e dell'onore d'Italia; Venezia alla quale venti volte giuraste che i vostri fati non si scompagnerebbero mai da' suoi.

Giuraste ad essa, alla Patria, a Dio; e nelle parole di quel giuramento cingeste l'armi. Perchè sostate? Perchè tradite il debito cresciuto in voi colla forza, e obbedite come se foste assoldati dalla tirannide e non apostoli armati d'una Fede suprema, alla paura degli inetti che travolgono la Patria appiè d'un Convegno di re stranieri?

Il tempo rode le rivoluzioni dei Popoli: il tempo è lima che consuma l'entusiamo dell'anime. Non v'avvedete voi che sul tempo calcolano i vostri padroni, perchè lo sconforto aggeli e isterilisca gli elementi di forza che vi stanno innanzi? Non v'avvedete che ogni mese, ogni giorno d'indugio scema d'un raggio la stella di vittoria che splendeva sulle vostre colonne armate e affascinava a seguirvi le moltitudini?

Giovani Volontarî, perchè sostate? Voi siete un Esercito Liberatore o una Menzogna vivente: siete gli Araldi della Nazione o strumenti miseri e inconscî d'una angusta ambizione di principe, d'un disegno preordinato di dominazione straniera. Voi siete oggi custodi della vita e della morte del vostro Popolo. Chi oserà sorgere fra gli inermi, se voi, forti, armati, ordinati, non osate varcare una linea segnata dall'inchiostro d'un commesso di diplomazia e d'un faccendiere di corte?

Affrettatevi intorno ai Capi e dite loro: è Capo chi guida: guidateci. Noi ci sacrammo Cavalieri d'Italia, non di Toscana, Parma o Romagna. I fati della Patria pendono dai suoi figli in armi, non dai protocolli di Parigi o Zurigo. Ovunque gemono e fremono fratelli nostri, sta il campo delle nostre battaglie. Movete, o moviamo.

E siano benedette l'armi vostre, giovani Volontarî Italiani! Benedette le madri che s'incinsero in voi! Benedette le fanciulle del vostro amore, che compressero sotto un pensiero di Patria i palpiti del core, per salutare d'un sorriso di conforto la vostra partenza!

 

 

 

XX.

 

Il cielo era senza stelle, cupo, d'un colore di piombo. La notte, scendendo, aveva disteso sull'azzurro profondo un velo denso e continuo, come lenzuolo di morte presto a calare sopra un cadavere.

Un soffio gelato passava di tempo in tempo senza rumore sulla vasta campagna. Le lunghe e folte erbe piegavano, mute anch'esse, sotto quel soffio. Io guardava; e mi venivano alla mente le pure splendide imagini dell'anima vergine e le dolci speranze de' miei anni giovanili, cadute ad una ad una sotto il soffio gelato delle delusioni e dello sconforto.

Era una tristezza nell'ora, nella terra e nel cielo e nell'immenso silenzio, profonda, inconsolabile, muta. La vita pareva sospesa e senza vigore per ridestarsi.

E scese lento, invadente, su tutto quanto il mio essere, come veste che s'adatti alle forme, un senso di stanchezza suprema, un queto tedio della vita e d'ogni cosa terrena, un illanguidimento senza nome e senza dolore, ma peggiore di tutti dolori: come una morte dell'anima.

E pensai ai lunghi anni vissuti, senza gioja e senza carezza, nella solitudine d'una idea, agli amici morti per la terra o morti per me, alle illusioni sparite per sempre, all'ingratitudine degli uomini, alla tomba di mia madre, alla quale io non avevo potuto accostarmi se non celatamente, la notte, come uomo che tenti delitto; finch'io sentii un bisogno di piangere, piangere, piangere, ma non poteva.

E m'assisi sopra una pietra del cammino, colla testa fra le mani, affranto nell'anima, e come chi tenta celare a stesso la via percorsa e la via da percorrere.

E mentr'io mi stava a quel modo, mi pareva di sentirmi la fronte lambita tratto tratto come da un alito, e l'orecchio lambito295 da suoni fiochi fiochi, come di voci lontane e che vengono di sotterra; e mi pareva di conoscere quelle voci.

E rizzandomi inquieto e guardando, mi sembrava che la campagna fosse seminata tutta di piccole croci; e accanto a ciascuna di quelle croci sorgeva biancastra una forma d'uomo e taluna di donna. Ed erano volti, alcuni noti, altri no; ma tutti come di fratelli e sorelle dell'anima mia.

E gli uni avevano sulla fronte o sul petto segni sanguigni, rotondi, come di ferita, altri come un nastro di sangue intorno al collo, altri altro segno di morte violenta e súbita, e taluna di quelle forme non aveva segno fuorchè d'un lento angoscioso dolore in ogni lineamento del volto; ed erano le più tristi a vedersi.

E tutte si guardavano mestamente quasi interrogandosi l'una coll'altra. Poi da una di quelle forme mosse un suono di voce che disse: sempre immemori?

Ed altre voci risposero con accento di profondo dolore: sempre!

E un suono di lungo gemito si diffuse per la vasta campagna. Quelle anime, che avevano sorriso sul patibolo e fra le torture, gemevano sull'oblio dei loro fratelli viventi.

Allora si levò una voce e disse: Morimmo per la Verità o per l'Errore? La volontà del nostro Padre ch'è nei cieli ci raccolse qui, perchè da noi esca il segnale della terza Vita della Nazione, quando i fratelli nostri avranno raccolto gl'insegnamenti che noi scrivemmo ad essi col nostro sangue. E i mesi passano, e gli anni passano, e nuove anime di martiri s'aggiungono ogni giorno alle nostre senza che l'ora d'emancipazione sorga per noi.

E un'altra voce disse, mentre il guardo accennava a molte di quelle forme: che manca ad essi? noi cademmo vittime volontarie dello straniero, per insegnar loro che chi vuole redimersi non deve sperare salute fuorchè dalle proprie braccia e dalle armi proprie. Perchè fidano anch'oggi a conciliaboli e decisioni di stranieri le proprie sorti?

E surse una terza voce: noi lasciammo le dolci sponde dell'Adriatico e ci recammo, come il Padre c'inspirava, a morire sulle terre dell'estrema Calabria, per insegnar loro che ogni uomo d'Italia è mallevadore per tutti, e che ogni zona del nostro terreno è zona della Patria comune. Perchè s'accampano oggi ciascuno sul lembo di terra che ha conquistato, e tutti non curanti dei fratelli che soffrono a pochi passi da loro?

E una quarta voce s'alzò: E noi morimmo per insegnar loro che la fede senza l'opere è un'inganno agli uomini e a Dio, e che l'azione è il migliore ammaestramento che possa darsi ad un Popolo. Perchè dunque lo spirito di vita si manifesta sulle migliaja, e i milioni rimangono inerti contemplatori?

E una quinta voce proferì sdegnosa: E noi affrontammo, deliberatamente solenni, la morte e l'infamia dai più, per insegnar loro che, fra la prepotenza della tirannide e la servitù incatenata dei molti, un sol ferro può ristabilir l'eguaglianza, se scintilli fra le mani di chi sprezzi davvero la vita e non conosca giudici fuorchè Dio e la propria coscienza. Perchè dunque si querelano sempre fanciullescamente della prepotenza d'un solo despota?

E una sesta forma, femminile, che non aveva segno di morte violenta, ma l'impronta d'un dolore di Niobe sullo scarno volto, fece come chi vuol movere parola, ma non potè, e soltanto accennò, con un guardo di rimprovero che pareva abbracciar terra e cielo, a quattro o cinque forme di giovani che le stavano intorno.

E dopo un silenzio, tutte quelle forme proruppero in un lamento: Dov'è la Patria promessa ai nostri figli da coloro che ci videro morire e giurarono vendicarci? Dov'è la tomba che dovea raccogliere l'ossa nostre su terra libera e sotto la bella bandiera per la quale ponemmo la vita? Perchè sfumarono le promesse dei vostri cari? A che dirci grandi se il nostro esempio non è raccolto? A che la parola d'amore gittata pomposamente alla nostra memoria, se il pensiero, il voto, il palpito dell'anima nostra è obliato, profanato, travolto? Morimmo per la Verità o per l'Errore?

E un tremito prese tutte quelle ombre. Ed io mi coprii per vergogna e dolore la faccia.

Quando riguardai, non vidi più cosa alcuna fuorchè il cielo senza stelle e la vasta deserta campagna e le lunghe e folte erbe che piegavano al soffio gelato. Ma spesso, tra i sogni, vedo tuttavia riaffacciarmisi la dolente visione.

 

 

 

XXI.

 

Dio dei Popoli oppressi! Dio dell'anime afflitte! Posa sui poveri sviati figli d'Italia uno sguardo di clemenza e d'amore. Il solco segnato da trecento anni di schiavitù e la lunga idolatra predicazione dei falsi profeti che usurpano in terra il tuo santo nome non si cancella in un giorno; e la loro mente è spesso ingombra d'errore. Ma in fondo del loro core vive, come lampa velata, il culto del tuo Vero, e della Patria alla quale tu li chiamasti: ed hanno molto patito per essa.

Tu, davanti al cui occhio l'Umanità intera appare come un Essere296 solo, volesti che il sacrificio d'un Giusto lavasse ogni fatalità di colpa e d'errore da tutte l'anime de' suoi fratelli. Pesa nella tua mano il sacrificio di tutti i Giusti che morirono per richiamarci a vita, e accoglilo siccome espiazione dei nostri traviamenti. Scenda sui poveri ingannati figli d'Italia il tuo Spirito di Verità! Manda, dove s'accolgono, l'Angiolo dei forti pensieri, e fa ch'essi diventino degni dei loro Martiri e non contristino l'anime sante coll'oblio o colla fiacchezza delle opere!

Per la parte che adempiemmo de' tuoi disegni nel passato - per la parola d'Unità che due volte diemmo alla terra - per l'intelletto della divina bellezza che i nostri profeti diffusero, inspirati da te, sulle genti - pei Santi che vissero e morirono sul nostro suolo nella tua fede - per la promessa che ci venne data da te, quando stendesti più splendido che non altrove su noi l'arco dei cieli e il sorriso infinito della tua Creazione - noi ti preghiamo, o Signore: levaci alla terza Vita! Infondi nelle nostre madri l'adorazione della Patria e l'amore all'anima, non alle sole membra, dei figli! Spira nei padri i virili concetti e l'ardita virtù che sola può far nostra la nostra terra! Benedici le spade dei nostri giovani, finch'essi possano scioglierti dalla tua Roma un cantico degno di te, il cantico dell'Italia redenta.

E salvaci, oh salvaci dalla morte dell'anima! Sperdi da noi, checchè avvenga nel tempo di prova che ancor ci avanza, l'ateismo della disperazione, il soffio gelato del dubbio. Come il ferro s'affina sotto i colpi che par minaccino di spezzarlo, così s'affinino i nostri cori sotto il martello della sventura. Come il forte licore diffonde il suo profumo all'intorno quand'è infranto il vaso che l'accoglieva, così si diffonda, tra le ferite dell'ingratitudine, da noi sui nostri fratelli l'amore, ch'è il profumo dell'anime.

E quando nel freddo della solitudine, ch'è il peggiore dei mali, saranno presso a spegnersi le sorgenti della tua vita, suscita, o Padre, a ravvivarle, il pensiero dei morti che amammo e che ci amano. E scenda a lambirci la fronte riarsa il bacio delle madri e delle sorelle perdute, e c'insegni i segreti dell'immortalità, tanto che vivi e morti siamo tutti uno in te nella fede e nella speranza.

 

 

 

XXII.

 

E stetti sull'Alpi: sull'alto dei Monti che ti ricingono come diadema, o mia Patria, dov'è eterno il candor delle nevi, eterna la purezza dell'aria, eterno il silenzio se non quando lo rompono lo scroscio della valanga e l'invisibile scorrere, eterno anch'esso, dell'acque che di scendono a fecondare l'intera Europa; e l'uomo sente se stesso come più presso a Dio.

E le stelle si dileguavano ad una ad una come i fochi d'un campo che si prepara sull'alba alla mossa. E l'alba incoronava l'estremo orizzonte di una luce di vita nascente.

Correva sul vasto ripiano un alito come di creazione, pregno di freschezza e potenza di vita, che affondava sotto a' miei piedi la nebbia delle falde, come un puro e forte pensiero affonda le misere vanità, e le basse passioni tentatrici del core. Ed io sentiva l'anima stanca ringiovanirsi a quel soffio.

E pensai agli istinti profetici della vita immortale, che delusioni lunghi inconfortati dolori avevano mai potuto spegnere in me, al rinascere solenne di Roma dopo secoli di tenebra profonda e servaggio, alla giovine libertà Ellenica risuscitata dai Klephti delle montagne, quando il mondo la credeva spenta per sempre, al sorriso dei morenti sul palco per l'Unità della Patria, al tiremm innanz del povero Sciesa, quando, a due passi dal supplizio, gli offrivano vita, purchè invocasse perdono, e ai pochi ma rari affetti seminati, come fiori tra le nevi dell'Alpi, sul cammino della mesta mia vita, o all'anima femminile che Dio mi mandava, com'Angelo de' miei giorni cadenti, perch'io la amassi sovra ogni cosa terrena. E dissi a me stesso: No, la vita e il martirio non sono menzogna: l'amore consacra l'uno e l'altro all'eternità. Il dolore è santo; la disperazione è codarda.

E il Sole sorgeva; simbolo, eternamente rinascente, di vita, grande, maestoso, solenne: il Sole d'Italia sulle Alpi! Ed io affondava lo sguardo fin dove poteva, giù dove si stende il sorriso interminabile della bella mia Patria. E la luce si diffondeva come aureola promettitrice sovr'essa colla rapidità del mio sguardo. E la mia anima, sorvolando quel torrente di calore e di luce, nuotava con fede irresistibile e nella speranza e nell'antico orgoglio del nome d'Italia.

Tu sorgerai, o mia Patria! grande nel mondo come il sole sulle tue Alpi: santa del tuo lungo Martirio: bella del duplice tuo Passato e dell'infinito Avvenire. E il tuo sorgere sarà segnale al sorgere delle Nazioni; e rinnovellerà, onnipotente contro ogni nemico, la faccia dell'Europa. E questo avverrà, quando, cacciati gl'idolatri dal Tempio e disperse le nebbie delle false dottrine che t'indugiano sulla via, i tuoi figli non avranno altra via che la linea retta, altra scienza che la verità senza veli, altra tattica che il coraggio e l'ardire, altro Dio che il Dio della Giustizia e delle Battaglie.

 

 

 

XXIII.

 

Ed io so che parecchî fra voi, incadaveriti in ogni libera facoltà per troppo lungo soggiorno appiè dell'Idolo Forza, dell'Idolo Tattica, dell'Idolo Lucro, s'irriteranno delle mie parole e diranno raca! al fratello; e appiattati, siccome ladri in viottoli, in qualche angolo oscuro dei loro diarî e libercoli, schizzeranno contro me fango, bava e veleno. Ma essi non hanno potere sull'anima mia, contro le verità ch'io parlo ai giovani e ai figli del Popolo, e che i giovani e i figli del Popolo ascolteranno quando che sia.

Però che Dio mi diede, chiamandomi a vita quaggiù, una inesauribile potenza d'amore ed una di spregio. E come Giovanni Huss di sul rogo, vedendo un uom del contado affaccendarsi per aggiungere legna a quella che già lo ardeva, esclamava: o semplicità santa! io diffondo la prima sulla testa di quei che m'oltraggiano per errore di mente debole: e la seconda, io la verso sulla testa degli idolatri che calunniano per basso livore d'invidia o per secondi fini. guardo o curo più oltre.

Ma il Vero ch'io parlo, come m'è inspirato dalla tradizione d'Italia e dalla pura coscienza, è immortale; calunnia di codardi o malia di false dottrine o bastardure di corti può soffocarlo se non per poco.

E in nome di quel Vero oggi io grido:

 

 

 

XXIV.

 

Giovani d'Italia, sorgete!

Sorgete sui monti! Sorgete sul piano! Sorgete in ciascuna delle vostre città! Sorgete tutti e per ogni dove! Non vedete che il sorgere subito o universale è vittoria certa, senza i sacrificî della vittoria?

Sorgete tutti e per tutti! Non siete voi tutti figli d'una stessa Italia, in cerca d'una stessa Patria?

Non dite, voi che avete terreno libero ed armi: perchè non sorgono come noi gli uomini delle altre provincie? In verità, quella è parola di Caino, e se voi poteste proferirla, meritereste di perdere la libertà conquistata, e la perdereste.

Non v'è che una Italia, e, su quella, non provincie, ma zone di operazione e un esercito Italiano composto di quanti si concentrano in armi intorno alla bandiera della Nazione. Voi siete quell'esercito e dovete muovere senza riposo, ingrossando per via, alla conquista di quelle zone.

Non dite, voi che gemete tuttora nella servitù: perchè non vengono a scacciare i nostri tiranni gli uomini delle terre già libere? Se voi sorgeste, verrebbero, e scacciereste, uniti, più rapidamente i vostri padroni.

Figli delle terre affrancate, non troverà la Patria fra voi un Cesare della libertà che valichi il Rubicone? Figli delle terre schiave, non troverà la Patria fra voi un solo Procida che osi chiamare gli oppressi ai Vespri sugli oppressori?

Sorgete, oh sorgete! Sorgete oggi: domani avrete più gravi ostacoli. Perchè, se nei loro Conciliaboli i Principi potranno dire: vi è quiete, sanciranno coi loro patti la durata di quella quiete, e voi avrete nemici tutti, mentr'oggi è in vostro potere dividerli.

Sorgete oggi! Il tempo è tutto per voi. Oggi ancora le moltitudini sperano e fremono: domani ricadranno incredule, sfibrate, pervertite dall'arti assidue dei vostri nemici.

Sorgete oggi! Un'ora di schiavitù rassegnatamente patita, quando la vittoria è possibile, merita un secolo di tirannide e d'obbrobrio al Popolo che la patisce. E chi può darvi condizioni migliori per vincere di quelle d'oggi? Le migliaja dei vostri fratelli in armi, le forze dei vostri padroni titubanti e smembrate, uno straniero spossato dalla disfatta, l'altro dalla vittoria e impotente a mutar di campo e di bandiera ad un tratto, e i consigli dell'Europa divisi, e le Nazioni deste al vostro destarsi, non vi dicono che il momento è venuto?

Uomini delle terre Napoletane! A che state? Sapete voi quale nome serpe per voi tra i Popoli dell'Europa attonita della vostra immobilità? È il nome che l'uomo non ode senza ricorrere all'armi: il nome che stampa sulla fronte a un Popolo il marchio del disonore. In nome dell'onore d'Italia e del vostro, in nome del vostro passato, in nome degli esempî di fortezza che vennero da voi primi a tutta la nostra contrada, sorgete, e fondi il vostro sorgere la Patria d'un getto!

Figli dell'Isola che disse undici anni addietro ai suoi tiranni: noi sorgeremo il tal giorno, e attenne la sua parola, siete voi fatti simili a fanciulli pendenti dal labbro del pedagogo? L'ora della vostra Libertà non può venirvi per messaggio segreto di Firenze o Torino. L'ora della vostra Libertà scoccherà il giorno in cui, in una delle vostre città, cento generosi fra voi, congiunte le destre e l'armi, ripeteranno la parola dei padri: tradisce la Patria chi tarda. Morte pria che servire!

Tradisce la Patria chi tarda. Gittate, o giovani d'Italia, l'anatema a chi vi parla d'indugio, e sorgete. A che ammirate l'impeto sublime di Francia nel 1792 e i quattordici eserciti spinti alla sua frontiera? La Francia non contava allora più milioni d'uomini che non son oggi i milioni d'Italia. A che dir grandi i combattenti della Grecia risorta? Non potete esser grandi com'essi? I Greci erano un milione contro un nemico dieci volte più forte; ma s'armarono tutti, giurarono di sotterrarsi sotto le ruine delle loro città, anzichè piegare innanzi alla Mezza-luna, mantennero a Missolungi il loro giuramento, e vinsero. Fate com'essi: vincerete com'essi.

Su, sorgete! Non piegate alle lodi che vi vengono, per gl'indugi accettati, da quelli ai quali giova che voi indugiate: in verità io vi dico che quei lodatori sogghignano nel loro segreto, e vi scherniscono creduli e puerilmente arrendevoli. I cinque mesi d'inerzia durata dovrebbero pesarvi sulla fronte come cinque anni di vergogna non meritata. L'insurrezione d'Italia è iniziata: diffondetela, allargatene la base, afforzatela, per quanto vi è caro. Le insurrezioni che s'arrestano muojono. A voi bisogna andar oltre, o perire.

Sorgete, sorgete! Non corre sangue d'Italia nelle vostre vene? Fra la minaccia del nemico e i cenni del Brenno alleato, non sentite ribollirvi nel core vita e orgoglio di liberi? È terra nostra questa o d'altrui? Feudo o proprietà di cittadini padroni di ? A che l'armi, su non le adoperate? A che il grido fremente di Viva l'Italia? Su per Perugia! I protocolli non vi pagheranno il sangue che vi fu versato. Su per Venezia! Dai conciliaboli regî non avrete che paci di Campoformio o di Villafranca. Su per quanti gemono dall'Alpi al Mare! Sorgete, come le tempeste dei vostri cieli, tremendi e rapidi! Sorgete, come le fiamme dei vostri vulcani, irresistibili, ardenti! Fate armi delle vostre ronche, delle vostre croci, d'ogni cosa che ha ferro! Sfidate la morte, e la morte vi sfuggirà. Abbiate un momento di vita volente, potente, Italiana davvero, come Iddio la creò; e la Patria è vostra.

E Dio benedica voi, le vostre spade, i vostri affetti e la vostra vita terrena, e l'anime vostre e le maledizioni stesse escite talora dal vostro labbro su me che scrivo col vivo sangue del core, e la cui voce, tremante per febbre d'amore e di desiderio, voi spesso scambiaste in voce d'agitatore volgare, irrequieto e importuno. Sperda l'oblio ogni ricordo di me, purchè sventoli, fra un Popolo di liberi, pura d'innesti, la bella, la santa, la cara Bandiera dai tre colori di Italia, sulla terra ove dorme mia Madre.

 

14 novembre 1859.


 

 

 





294 L'autore allude alla fondazione della Giovine Italia.



295 Nell'originale "l'ambito". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



296 Nell'originale "un'Essere"



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