Giuseppe Mazzini
Scritti: politica ed economia
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VOLUME SECONDO PENSIERO ED AZIONE.

SCRITTI SUL MEDESIMO PERIODO

LE CLASSI ARTIGIANE

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LE CLASSI ARTIGIANE318

 

I.

 

Se noi fossimo, come taluni affettano di credere, partigiani irosi e guidati esclusivamente dal desiderio di vincer comunque, avremmo salutato il linguaggio della stampa monarchica intorno ai fatti di Francia come potente indizio di fiacchezza sentita nella parte avversa. Da quel linguaggio, come dalla proposta di leggi eccezionali per la pubblica sicurezza - come dagli annunzî esagerati di nuove mene repubblicane perchè qualche ufficiale legge la Roma del Popolo - come dalle spese di guerra, profuse non pel di fuori da dove nessuno minaccia, ma per antivigenze interne - trapela il terrore dell'avvenire, la coscienza dell'impossibilità di riconquistare il terreno perduto. Servi di Francia e presti a trascinar la Nazione in una rovinosa immorale alleanza quando speravano nelle vittorie del Bonaparte, ligi alla Prussia poi che videro disfatto l'Impero e s'illudevano a credere che l'armi di re Guglielmo avrebbero rifatto in Francia una monarchia, gli uomini avversi al principio che sosteniamo s'irritano oggi sino al furore contro gl'insorti a pro del Comune parigino: chiamano orda, bordaglia pazza di furore e di lucro duecentomila elettori che votano placidamente la scelta de' membri del municipio: inorridiscono, essi che tacquero e tacciono sulle proscrizioni del Due dicembre, sulle fucilazioni messicane, sopra ogni sangue versato da mano regia, alle uccisioni - son due e conseguenza d'eccitamento parziale riprovato da quei che reggono - commesse in Parigi; e diresti tornati i giorni terribili del 1793. Come i tori, i gazzettieri della monarchia insaniscono all'apparire di un cencio rosso.

Ma il rimproverare, tra due espressioni di orrore pel sangue di due individui, l'Assemblea di Versailles d'esitazione codarda perchè non s'affretta ad affogare a Parigi nella guerra civile - il far arme d'un conflitto suscitato da cagioni speciali in un luogo e d'alcuni fatti isolati per eccitare a reazione di spavento quei che governano altrove - il desumere, dalla parte qualunque che una Associazione può avere in quel conflitto e in quei fatti, argomento a levare un grido di crociata contro tutta una classe straniera in Italia a quell'Associazione - il segnare una linea ostile di separazione tra le aspirazioni degli operaî e i diritti degli agiati319 - è tal cosa che dovrebbe rattristare profondamente tutte le anime oneste e vogliose del bene in Italia. Che! Sono i protettori dell'ordine giunti a tale, da sostenerlo calunniando deliberatamente tutta una classe di cittadini e seminando i germi d'una guerra civile? E che sarebbe, se noi fossimo capaci di raccogliere il guanto?

Noi non possiamo essere sospetti di cieco favore pei fatti che vanno svolgendosi fatalmente in Parigi. Non aspettiamo il pensiero iniziatore della nuova Epoca dalla Francia: il materialismo, sceso come sempre dalla sfera filosofica generalmente nelle anime, è - finchè dura - ostacolo insuperabile a quel pensiero. Abbiamo giudicato con dolore, ma severamente, le cagioni della guerra e dell'inferiorità rivelata in essa dalla Francia. E l'idea che predomina sul moto attuale è idea che, dove fosse universalmente accettata, condurrebbe rapidamente a esagerazioni di spirito federalista fatale ad ogni unità morale, a ogni missione collettiva, a ogni cosa che fa grande e giovevole all'Umanità una Nazione. Ma il linguaggio di quei gazzettieri sui fatti dell'oggi è nondimeno mera calunnia. Quel moto non ha rivelato finora programmi o intenzioni che provochino le parole avventate contr'esso: non sorgeva se l'Assemblea non manifestava - e senza coraggio di tradurle in fatti - tendenze positivamente monarchiche: cesserebbe anch'oggi se la scelta d'altri uomini agli ufficî, una esplicita dichiarazione repubblicana e pochi atti, che fossero pegno di sincerità nel volere e d'energia nell'osare, accertassero gli insorti che la Repubblica non sarà tradita nelle mani del monarca caduto o d'un nuovo. L'insurrezione parigina è protesta repubblicana - ed è questo, benchè nol dicano, il segreto dell'ire dei gazzettieri monarchici - contro le opere d'un'Assemblea colpevole d'aver sancito col voto lo smembramento territoriale della Francia, colpevole di tendere a rapirle l'unico compenso possibile in tanta sciagura, un Governo di popolo che assicuri almeno internamente la Libertà. Ponendo i fati di Francia nelle mani d'un uomo che rappresenta per l'indole delle teorie le idee essenziali del Bonapartismo o per vincoli individuali le pretese degli Orléans, affidando gli avanzi dell'esercito alla condotta dei generali di Luigi Napoleone, evitando studiosamente la parola repubblica e ricusando di raccogliersi in Parigi perchè città dichiaratamente repubblicana, l'Assemblea decretò inevitabile la protesta. Forse, se invece di pellegrinare in Francia e altrove o rimanere in un'Assemblea della quale diffidano, gli uomini influenti per potenza d'intelletto e fede repubblicana provata si fossero frammisti quasi inspiratori agli ignoti del Comitato Centrale, quella protesta non si sviava e s'evitava la guerra civile, triste sempre, tristissima di fronte all'invasore straniero.

Questo per la Francia e per amor di giustizia. Ma per l'Italia? Per l'Italia dove il moto ascendente della classe operaja si svolge mirabilmente, inalterabilmente temperato e pacifico? Dove gli uomini del Lavoro non hanno sparso altro sangue che il proprio a pro dell'Indipendenza e della Unità della Patria? Dove i sistemi socialisti settarî di Francia e d'altrove non hanno trovato seguaci visibili? Dove l'Apostolato delle Associazioni move, in tutti i suoi atti, dalla santa idea del Dovere e tace, forse soverchiamente, ma per amore all'Unità incompiuta finora dell'Italia, del diritto che sorge dal dovere compiuto? Dove le agitazioni, se agitazioni furono tra gli operaî, ebbero sempre a motore il senso dell'onore italiano violato, della grandezza della Patria tradita, non mai il miglioramento delle loro condizioni economiche? A che il grido selvaggio d'allarme? A che l'insulto non provocato? A che l'annunzio d'un grave imminente pericolo gettato fra le classi agiate perch'esse s'ordinino a resistereprevenire?320 È tristizia? È follia? o più verosimilmente calcolo nefando d'uomini che, avversi tanto più ferocemente alla Repubblica quanto più furono, pressochè tutti, repubblicani un tempo e li irrita il rimorso d'aver ceduto a seduzioni volgari di potere o di lucro, afferrano per combatterci e impaurire i creduli ogni arme sleale? Questa nostra classe operaja delle città, che gli stranieri ammirano superiore, se non per istruzione, per moralità di principî e sobrietà di condotta, a quante altre popolazioni artigiane ha l'Europa, può sprezzare, gazzettieri di parte monarchica, le vostre calunnie: i suoi titoli stanno sui registri dei morti nelle patrie battaglie dalle Cinque Giornate in poi: come i suoi padri che fecero grande l'Italia, essa è repubblicana perchè tutti i forti nobili ricordi della sua terra le parlano di repubblica e tutte le memorie di servitù, disonore e persecuzione le parlano del reggimento che sottentrò; ma non perch'essa veda nel mutamento esclusivamente un gradino al proprio miglioramento materiale o perchè, ròsa da ingiuste e turpi passioni d'invidia o vendetta, macchini guerra ad altre classi prima d'esse emancipate e pur troppo sovente immemori del dovere e del fine comune: non falsò il problema che involve l'avvenire d'Italia: non traviò dietro a sistemi che mirano a traslocare colla violenza il benessere da una ad un'altra zona sociale: non sostituì gli appetiti materiali all'adorazione dello spirito, dell'umana dignità e del progresso per tutti: non scisse, come in altri paesi, il campo dei credenti nella nostra fede, separando la vita economica dalla vita politica, dalle sante aspirazioni a una missione nazionale da compiersi colle forze di tutti. E voi che avete rinnegato quella missione pel fatto potente dell'oggi, sagrificando le convinzioni dell'intelletto a un officio, a un titolo, a una pensione, voi che nel poco contatto avuto per calcolo politico colle Associazioni operaje tentaste di persuaderle in Torino, in Milano, in Napoli ad abbandonare ogni pensiero, ogni dovere di cittadini per non occuparsi che delle proprie condizioni materiali, spingendole così al vizio ch'oggi atteggiandovi a puritani rimproverate, voi che, irritati dal generoso rifiuto delle più tra le Associazioni, le denunziate all'Europa come fomite di perdizione e chiamate gli agiati a premunirsi contro il pericolo, siete a un tempo calunniatori e - se noi fossimo capaci più d'ira che di disprezzo - imprudenti.

Lasciamo i tristi gazzettieri all'oblìo. Ma tra gli uomini che s'intitolano, non intendiamo il perchè, moderati, come se tra il bene e il male del paese la parola moderazione potesse aver senso, al di sotto delle poche centinaja di faccendieri raggiratori che invadono le altre sfere, sono migliaja d'Italiani che amano come noi la patria, illusi di buona fede sulle vie che guidano al suo incremento e non d'altro colpevoli che di lasciarsi ciecamente ingannare, tra per soverchia arrendevolezza d'animo, tra per ignoranza di noi e delle nostre idee, da quei pochi raggiratori. Molti fra i nostri confondono queste due classi d'uomini e hanno torto. I primi illudono, e con essi s'ha da fare assoluto divorzio: i secondi non sono che illusi, e ci corre debito fraterno d'insistere a illuminarli e richiamarli al severo esame dei fatti. E a questi diciamo:

Voi non avete in Italia minaccia di pericoli sociali, di guerre tra classe e classe, di sconvolgimenti inspirati da ree passioni o da cupidigie volgari. Gli artigiani delle nostre città, miseri e angustiati come pur troppo sovente sono, non trascorrono a pensieri di violenza o mutamenti ingiusti e arbitrarî per sottrarre la loro vecchiaja alle crisi inevitabili d'una condizione che concede raramente la possibilità di risparmî: costituiscono, per senno istintivo, pazienza e amore intenso, disinteressato, di patria, una delle migliori speranze del nostro avvenire; e spira in essi un alito di quella virtù cittadina che animava le generazioni di popolani per le cui opere le antiche nostre Repubbliche diedero spettacolo unico al mondo di prosperità e di grandezza. Scendete tra essi: affratellatevi: interrogateli. Vissi, io che scrivo, con essi, e li vidi - quando proscritto e dannato nel capo dai governucci d'Italia, cercavo, volendo pure di tempo in tempo rivedere la terra che mi diè vita, asilo nelle loro case - a piangere sulle pagine di storia che registrano le nostre sciagure, a inorgoglirsi d'orgoglio generoso su quelle che ricordano le nostre glorie passate. Quando il primo incerto e debole soffio di libertà corse le nostre contrade ed essi se ne giovarono a raccogliersi in associazioni, la loro vita collettiva non varcò mai, ordinati i modi d'ajuto reciproco, al di d'una giusta speranza di lento e pacifico progresso economico e d'un vivissimo desiderio d'una educazione che li rendesse capaci di giovare più efficacemente all'inalzarsi dell'edifizio italiano, all'onore, alla potenza, alla legittima influenza della bandiera italiana nel mondo: Nizza, Lissa, Custoza irritano le anime loro più assai che lo squilibrio frequente fra i salarî e le necessità della vita per e le famiglie; la servile politica seguìta dai nostri ministri e le transazioni col Papa che profanano Roma suscitano più fremito in essi che non l'ingiusto riparto dei frutti d'una produzione senza essi impossibile. E oggi, quando il numero cresciuto e l'ordinamento diffuso potrebbero, colla coscienza d'una forza importante, destarli a disegni più rapidi, a meno tolleranti esigenze, io non odo, nel mio contatto con essi, una voce che accenni ai concetti, cagione in altre terre di terrore alla classe abbiente, ma soltanto voci d'affetto all'Italia, di dolore per quanto la offende e profferte di sacrificî e d'opere attive a pro d'essa: fidano pel resto nella Patria rinata e nei beneficî inseparabili della Libertà. No: com'è vero che crediamo in Dio e nell'anima nostra immortale, voi non dovete, lo ripetiamo, paventare per quanto concerne le eterne basi dell'ordine sociale dalle classi artigiane d'Italia o da noi che da un terzo di secolo combattiamo, a viso aperto e senza riguardo al possibile allontanarsi da noi d'uomini traviati di parte nostra, le intemperanze e gli errori dei sistemi socialisti, come a viso aperto e senza riguardo allo stesso pericolo combattiamo il materialismo.

Rassicuratevi dunque; ma badate: le condizioni d'armonia, di concordia civile, delle quali andiamo alteri e che darebbero al nostro risorgere un carattere perduto in Francia e minacciato in Inghilterra, non dureranno se non ad un patto: che siate antiveggenti, giusti, devoti al progresso comune, come le classi operaje sono pazienti, tolleranti, devote alla Patria più che ai loro vantaggi materiali. Ogni diffidenza non meritata irrita chi ne è fatto segno: ogni accusa come quelle che, vergognando per chi le scrisse, abbiamo citate, infonde inconscia una amarezza nelle anime che può produrre gravi effetti più tardi: ogni perenne oblìo dei diritti creati da sacrificî compiti a una classe di fratelli, può suscitare in essa il pensiero di conquistarli colla forza, cieca sempre e travalicante oltre il segno. Pensateci. Al noncurante egoismo degli agiati di Francia, all'imprudenza d'un sistema col quale i vincitori d'un giorno negarono al popolo che aveva combattuto per essi il programma politico ed economico conquistato, è dovuta gran parte dei traviamenti e delle esagerazioni che lamentate e lamentiamo con voi: abbandonata e delusa, la classe artigiana seguì per diverse vie quanti agitatori, repubblicani o dittatoriali, furono ad essa più larghi di speranze e promesse. Gli operaî italiani hanno da ormai cinquant'anni dato l'obolo e il sangue a quanti nobili tentativi vi guidarono al possesso di quanti diritti di elettorato, di stampa d'ufficî or voi possedete: non lo rammentano adesso perchè vedono tuttora mutilata l'Unità della Patria e minacciata l'Indipendenza: ma lo rammenteranno il giorno in cui l'una e l'altra saranno fatte secure; e il come, con quale tendenze o fremere di passioni, dipenderà, ricordatevene, dalla vostra condotta dell'oggi. È il manifesto decadimento di tutte le instituzioni esistenti; il difetto di virtù iniziatrice in tutti i Governi; l'incapacità loro di andare oltre una stolta, infeconda dottrina di resistenza; il dualismo esistente più o meno per ogni dove tra governanti e governati; l'assenza di ogni credenza, d'ogni patto comune, norma agli atti della vita internazionale; le aspirazioni, i tumulti frequenti in ogni angolo dell'Europa; il sorgere di popoli a formare Nazioni nuove e il lento progressivo smembrarsi di vecchî Stati; le guerre, le insurrezioni, le paci brevi ed incerte; il bene e il male che si svolgono alterni davanti a noi: tutto v'avverte che il problema è generalmente, non di lente e graduali riforme, ma di Rivoluzione fondamentale; che, come andiamo e andremo ripetendo ogni giorno, un'epoca di civiltà sta morendo, una nuova deve ordinarsi sul suo sepolcro. Pretender di chiudere il varco all'Avvenire è follìa: follìa il non curarlo e nascondere, come lo struzzo, il capo dentro la sabbia per non vedere il nemico che si avvicina. Tutti i problemi secondarî della vita stanno racchiusi in quell'Avvenire e ne dipendono. E quasi tutte le convulsioni d'anarchia, di risse civili, di rovina economica, che afflissero negli ultimi cento anni i popoli d'Europa, derivarono, a chi ben guarda, dalla improvvida noncuranza, dalla resistenza tentata, dalla ostinazione delle classi già fornite d'educazione intellettuale e ricchezza a non voler assumersi l'iniziativa degli inevitabili mutamenti e averla invece lasciata ai casi fortuiti o agli istinti, buoni quasi sempre, ma facili a traviarsi, delle moltitudini.

E uno dei principali caratteri di quest'Epoca nuova che albeggia, di questo moto europeo, è visibilmente la tendenza all'associazione, all'associazione proposta al libero assenso dell'individuo, siccome fine d'ogni suo sforzo e missione della sua vita; e il principale nuovo elemento, chiamato a tradurre in atto la nuova tendenza, è l'elemento delle Classi operaje. Ogni epoca reca infatti con una definizione della Vita; ed è in oggi la definizione, che sostituisce la legge del Progresso a quella della caduta e dell'espiazione: - un'idea del fine da cercarsi, ed è l'idea dell'Associazione che sottentra all'attività individuale: - un nuovo elemento, stromento aggiunto, per raggiungerlo, agli altri; ed è, al di fuori dei popoli già costituiti, l'elemento slavo; in seno a ogni popolo, l'elemento operajo.

Il moto ascendente delle classi artigiane nelle città ha data oggimai da un secolo; lento ma tenace nel suo progresso e procedente di decennio in decennio colla legge del moto accelerato, e crescente negli ultimi vent'anni, visibilmente per tutti, in intensità ed estensione e acquistando via via ordinamento, potenza reale e coscienza d'essa. Traviato sovente altrove e guasto, in parte mercè l'altrui resistenza, da germi d'anarchia, è in Italia moto maestoso di fiume che aumenta la propria piena senza minacciar di sommergere le terre attraverso le quali scorre fecondatore. E dovrebbe far balzare l'anima di gioja a quanti Italiani sanno amare e vedono, nell'inalzarsi di tutti gli elementi che la compongono, l'inalzamento della Nazione e un pegno della futura Unità. Non siamo noi, tutti quanti nascemmo e nasciamo su questa diletta terra Italiana, fratelli e stretti ad un patto e necessarî tutti al compimento dei fati della Nazione? Non è l'Unità morale onnipotente mallevadrice dell'Unità materiale? E può l'unità morale fondarsi e viver perenne sopra basi che non siano d'eguaglianza e d'associazione?

 

 

 

II.

 

Noi intendiamo il dubbio e l'esitanza dei più davanti alla prima proposta d'un mutamento, d'un grado di progresso da salirsi, quando s'affaccia subita, proferita da poche voci, assoluta e minacciosa alle basi dell'esistente assetto sociale e isolata da ogni tradizione.

Ma quand'essa si presenta parte di tutto un moto d'emancipazione collegato colla vita provvidenziale dell'Umanità e anello logicamente aggiunto alla catena della Tradizione universale - quand'essa persiste crescente per lunghi anni, attraverso ogni sorta di prove, e conquista gradatamente a un maggior numero d'intelletti - quando il suo fine è sulla via del fine generale assegnato all'Umanità e le sue conseguenze non accennano a rovina di giusti interessi attuali e di diritti legittimamente acquistati, pecca contro Dio e contro gli uomini, tenta l'impossibile e provoca riazioni tremende chi ad essa resiste.

Debito d'ogni uomo che ama davvero il paese e intende la Legge morale è ajutarla e dirigerla per le vie più pacifiche alla vittoria.

L'emancipazione degli schiavi era una rivoluzione di libertà inevitabile tra il conchiudersi del Politeismo e il trionfo del Cristianesimo. L'emancipazione dei servi era una rivoluzione d'eguaglianza inevitabile nell'epoca iniziata dai nostri Comuni. L'emancipazione degli operaî è una rivoluzione che si compirà in nome del principio di associazione, nell'epoca nostra. Essa darà, compiendosi, un nuovo elemento di vita al progresso morale delle affiacchite generazioni, un nuovo pegno di forza al nostro sviluppo politico, un nuovo impulso alla produzione.

Gli operai hanno diritto meritato di sviluppo alle loro facoltà morali, e devono averlo dall'amore e dal plauso di tutti i loro fratelli - diritto di sviluppo alle loro facoltà intellettuali, e devono averlo dall'Educazione Nazionale obbligatoria per tutti e dall'insegnamento di professione agevolato, accessibile a tutti - e dacchè quel doppio sviluppo non può compirsi quando le necessità della vita fisica esigono un lavoro di tutte le ore, diritto di miglioramento nelle loro condizioni economiche; e devono averlo in parte dall'opera loro, in parte dalla Nazione. Ma questa parte della Nazione non costerebbe gravi sacrificî ad alcuno e accrescerebbe a benefizio di tutti le sorgenti della produzione. Un sistema di tributi che lascierebbe inviolato il necessario alla vita: un sistema di Banchi che fonderebbero il credito locale e speciale tanto da concedere alla moralità e alla capacità accertate delle Associazioni operaje quelle anticipazioni ch'oggi non si concedono se non a firme note di negozianti; un sistema di colonizzazione applicato ai quattro milioni, o poco meno, d'ettari di terreno tuttora incolto in Italia; pochi ajuti e agevolmente dati al metodo d'associazione destinato a riunire nelle stesse mani il capitale e il lavoro; alcune instituzioni tendenti a costituire giusti giudizî arbitrali tra gli operaî e gli attuali detentori di capitali, basterebbero ad accertare pacifico trionfo al moto emancipatore, senza perturbazione alcuna nelle condizioni economiche ch'oggi sono.

Inseparabili da questi provvedimenti e dal moto emancipatore delle classi industriali sono, noi lo sappiamo, altri mutamenti nelle condizioni civili ed economiche necessari ad assicurarne la durata e gli effetti reali - una semplificazione delle forme giudiziarie, gravi egualmente in oggi a chi ha molto e può superarne i danni, e a chi ha poco e nol può - l'abolizione d'ogni privilegio dato ad alcune categorie di creditori sui beni mobili ed immobili dei debitori - la soppressione d'ogni cosa che inceppi la circolazione dell'elemento territoriale - l'abolizione dei tributi indiretti e la successiva unificazione di tutti in uno - un sistema finanziario fondato sull'economia e sull'incremento delle sorgenti di produzione - ed altro. E sappiamo pure che disposizioni siffatte non sono da sperarsi colla Instituzione che regge, ed esigono l'ordinamento d'un Potere Legislativo nel quale il Lavoro possa essere largamente rappresentato - d'un Potere esecutivo, responsabile tutto e amovibile, richiamato all'ufficio definito dal nome - d'una amministrazione lasciata il più possibile all'elezione delle località - d'un sistema di difesa che sostituisca all'Esercito permanente la Nazione armata - d'un concetto di vita politica insomma che, considerando il Progresso come fine alla Società, il diritto come emanazione del Dovere, l'Educazione morale verso la coscienza del fine comune come base di Legislazione, il Voto e l'Armi come segno di missione nei cittadini, inalzamento dell'umana dignità e stadio iniziatore all'Educazione, faccia possibile l'armonia fra Governo e Popolo, l'economia nelle spese, l'applicazione dell'entrata al bene di tutti, l'aumento della produzione e del consumo corrispondente. Ma non sono, per gli uomini di buona fede, le questioni di forma governativa dipendenti dal fine che dobbiamo raggiungere? E se essi dovessero, riesaminando, convincersi che il problema delle classi artigiane, quale noi lo accennammo, esige una soluzione, e che questa soluzione è nell'attuale sistema impossibile, non dovrebbero cercarla altrove con noi?

È tempo che i buoni s'adoprino a intendersi e a cancellare dall'animo le ostili, sospettose, rissose abitudini di partito. Avversi e irreconciliabili a quelle poche centinaja di tipi, che, nascenti dall'avidità o dall'ambizione, fanno bottega del tempio, noi non guardiamo ai dissenzienti sinceri come a nemici; combattiamo idee, non uomini; serbiamo l'anatema a quei che illudono, non agli illusi. In questa nostra Italia nascente, sui primi passi della quale dovremmo noi tutti vegliare con amore e trepidanza religiosa, ogni guerra di passioni, ogni linguaggio che susciti a istinti di terrore, d'invidia, di riazione, ci sembra colpa. Fummo e saremo, affermando, colla parola e quando che sia col fatto, la nostra credenza, tolleranti d'ogni passato leale. E perchè ci sentiamo tali, abbiamo diritto d'esser creduti quando diciamo che scrivendo ai moderati d'oneste intenzioni, noi non pensiamo che all'avvenire della madre comune e al male che può escire dal loro improvvido attraversarsi a ciò che è disegno di provvidenza più assai che d'uomini, dall'indifferenza stessa a un progresso che deve compirsi, con essi o contr'essi.

L'Italia, quale oggi l'abbiamo, senza patto, senza norma morale che inspiri gli atti pubblici della sua vita, senza intelletto delle sue grandi tradizioni, senza coscienza di missione nel mondo, senza definita politica internazionale, trascinata da pochi uomini che si sottentrano sempre gli stessi, cadendo e rizzandosi a vicenda per breve tempo, entro un cerchio che ha scritto da un lato: inferiorità fra le Nazioni, dall'altro: resistenza e rovina, non è l'Italia che essi vogliono, che noi vogliamo. Ma limitandoci ora alla questione speciale che ci occupa, credono essi che una rivoluzione nazionale possa compirsi nell'angusta sfera politica e senza produrre gravi modificazioni nella sfera della vita sociale? Credono che le classi diseredate di diritti politici e socialmente inferiori possano affratellarsi durevolmente con essa, possano eternamente rassegnarsi a dare per essa il loro sangue e l'opera loro se non raccogliendone giovamento alle loro misere condizioni? Intendono la voce del Fato che domina d'alto la logica progressione storica seguìta sulla spirale del Progresso dal moto emancipatore? Non sentono nell'anima ciò che spira di santamente solenne nel lento sorgere del popolo tendente a formare nell'eguaglianza e nell'amore l'unità della umana famiglia? E hanno mai veduto nella Storia milioni d'uomini agitarsi lungamente in seno a una Patria verso un giusto miglioramento e rimanere lungamente inascoltati, senza travolgersi, dietro a suggerimenti pericolosi, nel rancore, nella tendenza a ribellioni violente e nella esagerazione del fine cercato?

Gli uomini delle classi medie, gli agiati, pensino e provvedano. Figli dei Comuni, ricordino che gli artigiani chiedono oggi emancipazione dagli ordini che regolano il salario, ajuti all'associazione e diritti di cittadini in nome della stessa legge di Progresso che li spingeva, sei secoli addietro, a emanciparsi dagli ordini del signorilismo feudale. Sciolgano il problema del Lavoro, se possono, colla Instituzione attuale: se non possono, vengano a noi. Ma sopratutto rinneghino ogni linguaggio simile a quello del gazzettiere imprudente dal quale prendemmo le mosse. Ogni sillaba d'articoli siffatti è veleno nelle vene del corpo sociale.


 

 

 





318 La Roma del Popolo, numeri 7, 8.



319 Alludiamo segnatamente a un articolo della Perseveranza, 26 marzo, non per importanza da darsi agli scrittori di quella gazzetta, ma perchè essi sono, nel difetto di meglio, accettati come espressione d'una setta governativa lombarda.



320 «Quella bordaglia che in Parigi, immemore d'ogni affetto di patria, pazza di furore, avida di lucri, insofferente di freni, invidiosa, pervertita dai vizî, dai bisogni e da un sentimento crudele che il godere sia il solo ed uguale diritto di tutti... non è nella sola Parigi.

«L'Assy... è l'agente d'una setta che distende le sue fila per tutte le società d'Europa, e che lega dentro di esse, più o meno, le classi operaje delle principali città industriali al di e al di qua dei monti.

«In queste classi non mancano, certo, gli animi onesti e puri, e forse, in parecchie delle città italiane, questi abbondano ancora. Ma è certo che nel seno del maggior numero cova un lievito d'odio, di rancore, di sospetto, che niente è più adatto a calmare. La parte ch'esse prendono nella produzione della ricchezza - parte certo grandissima - le accieca sul valore e sul diritto proprio... Possiamo inorridire agli assassinî dei quali ci arriva l'eco; ma in ognuna delle città d'Europa vive pur troppo una perversa ed abjetta genia, che sarebbe capace di riprodurne lo spettacolo... E nelle classi operaje che sono pure il fomite di cotesto sobbollimento plebeo, si raccolgono le menti più sveglie ed istruiteArt. citato, e conchiude: «quando l'idea del Governo si abbassa e l'influenza delle classi agiate s'annulla, non mancano se non le occasioni perchè l'infima feccia delle città salga a galla, come ora fa in Parigi, con isgomento e nausea di tutti.»



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