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I.
L'orgia d'ira, di vendetta e di sangue della quale Parigi da molti giorni dà spettacolo al mondo, c'inchioderebbe la disperazione nell'anima se la nostra fosse opinione, non fede. Un popolo che si volge briaco, furente in sè stesso coi denti e lacera le proprie membra urlando vittoria, che danza una ridda infernale intorno alla fossa scavata dalle sue mani, che uccide, tormenta, incendia, alterna delitti senza una idea, senza scopo, senza speranza, col grido del pazzo che pone fuoco alla propria pira e sotto gli occhî dell'invasore straniero contro il quale non ha saputo combattere, ricorda alcune fra le più orrende visioni dell'Inferno Dantesco. Il terrore e i patiboli del 1793 avevano non foss'altro a scopo, nella realtà o nell'imaginazione, la difesa dell'unità della Francia. Le proscrizioni romane, da Mario e Silla al Triumvirato, sorgevano, non giustificate ma spiegate, da una contesa di secoli tra una aristocrazia, che voleva perpetuarsi quando i tempi e l'impotenza la dichiaravano decaduta, ed una democrazia, che preparava mal diretta le vie alle dittature militari e all'Impero, ma che generalmente tendeva ad allargare agli Italiani la cittadinanza romana. Perchè scorre a torrenti il sangue in Parigi? Perchè i combattenti delle due parti hanno pugnato o reprimono con ferocia irochese, con insana sete di strage, propria di belve e non d'uomini? Il Comune, sorto non per un principio di Patria o d'Umanità, ma per un interesse parigino, scannava deliberatamente gli ostaggi quando la loro morte non giovava menomamente la sua causa e deliberatamente commetteva alle fiamme gli edifizî e le glorie storiche della Città quando abbandonava via via le località dove erano posti. L'Assemblea, eletta per decidere della guerra e della pace e senza titolo in oggi d'esistenza legale, indice atroci carneficine non di combattenti ma di prigionieri e irrita al sangue con infami lodi e panegirici trionfali una soldatesca sfrenata che cerca soffocare, trucidando fratelli, il senso di vergogna, vivo in essa, per le disfatte patite nella guerra contro le milizie germaniche, quando fin l'ombra del pericolo è svanita e gli uomini del Comune sono spenti, imprigionati e fuggiaschi. Il sangue fu versato e si versa senza intento fuorchè di vendetta contro i vincitori da un lato, di vendetta contro i vinti dall'altro, per odio o crudele paura; basse passioni colpevoli sempre e indegne d'ogni buona causa, infami quando ricordano il delitto di Caino e infieriscono tra figli della stessa terra. La Francia intera assiste impassibile, senza aver tentato di trattenere con un unanime grido di orrore gli uomini del Comune da fatti ai quali negli ultimi giorni accennavano, senza coraggio di gridare oggi al Dittatore dell'Assemblea il Surge Carnifex di Mecenate ad Augusto.
Ma noi? L'Europa? L'Italia? Non abbiamo doveri? Ci adopriamo a compirli? Davanti all'agonia convulsiva d'un popolo suicida, dobbiamo abbandonarci a uno scettico sconforto ch'è codardia, o raccogliere, a seconda delle nostre tendenze, un legato d'ira o d'insana paura da quel letto di morte a rischio di preparare fra noi la ripetizione degli orrori compiti altrove?
Primo nostro dovere è quello di separarci apertamente, dichiaratamente, dalle due parti e provvedere a che non si smarrisca in Italia il senso morale perduto pur troppo in Francia. Guai a noi se non sentiamo nell'anima che ogni nostro progresso futuro è a quel patto! Guai se la santa battaglia tra il Bene e il Male, tra la Giustizia e l'Arbitrio, tra la Verità e la Menzogna, combattuta nella piena luce del cielo e sotto l'occhio di Dio in Europa, si converte in guerra condotta nelle tenebre senza norma determinata, senza un faro che guidi i combattenti, senz'altra inspirazione che d'impulsi d'un'ora e delle misere passioni d'ogni individuo!
Noi non alludiamo segnatamente ad alcuno, ma deploriamo un fatto innegabile: il campo dell'opinione s'è generalmente diviso in due, il campo di quei che più o meno apertamente parteggiano pel Comune e il campo di quei che parteggiano più o meno esageratamente per l'Assemblea: gli uni e gli altri tendenti a velare, tacere o magnificare i fatti e ingigantirne o dissimularne i caratteri e le conseguenze a seconda della parte adottata.
Abbiamo udito da un lato attenuare la strage degli ostaggi come di provati colpevoli di segreto contatto con Versailles e profanare a proposito degli incendî i sacri nomi di Sagunto, di Saragozza, di Missolungi. Gli ostaggi erano tali e non altro: non avevano subito processo nè un solo interrogatorio. E quanto alle città nominate, combattevano contro un invasore straniero e i prodi che avevano giurato difenderle fino all'ultimo alito di vita si sotterrarono sotto le loro rovine lasciandoci esempio che noi dovremmo, occorrendo, imitare: gli uomini del Comune davano moto agli incendî partendo, e commettevano a rovina la loro città e a morte cittadini abbandonati e indifesi quand'essi speravano di salvarsi. Pugnarono da forti, chi il nega? Ma il combatter da forti non merita il nome di eroismo: lo merita il combattere santamente per una santa bandiera: dove no, l'Italia conta difese di masnadieri che dovrebbero ottenere quel nome. Oggi pur troppo le tendenze instillate dai sistemi materialisti travolgono molti dei nostri giovani in una cieca adorazione del coraggio fisico, del fatto esterno, senza nesso coll'origine e col fine cercato, che minaccia di sostituire un nuovo militarismo all'antico.
Abbiamo udito dall'altro lato acclamare all'Assemblea come a tutrice dell'ordine e della libertà, e il nome incontaminato di Washington dato, senza arrossire, a Thiers. L'Assemblea e Thiers passeranno, checchè oggi si dica, ai posteri con una nota d'infamia. Firmarono tremanti una pace vergognosa, che smembrava la loro Patria, con lo straniero, quando dovevano mandare un grido solenne di resistenza collettiva alla Francia e disperdersi poi nelle provincie per capitanarla: non osarono recarsi in Parigi quando raccogliendosi intorno la popolazione più ragionevole potevano tentare conciliazione e riuscire: potevano, con una franca dichiarazione repubblicana richiesta dalla parte intelligente della nazione e con una legge di largo e libero ordinamento municipale, sopprimere ogni ragione di contesa, e nol vollero: spinsero contro gli insorti irritandoli col nome di malfattori, e quasi a impedire ogni possibilità d'accordo, i generali del Bonaparte: parlavano jeri d'abolire ogni legge di proscrizione, lasciando col fatto la facoltà di proscrizione alla soldatesca, e preparano oggi, pur sapendo di commettere a nuova guerra civile immediata o in breve periodo di tempo il paese, la via del trono alla dinastia Borbonica. Quei che inneggiano all'Assemblea o non guardano ai fatti o sono corrotti com'essa.
Noi dobbiamo, lo ripetiamo, separarci solennemente dagli uni e dagli altri. Nè cogli uni nè cogli altri stanno la Giustizia e l'eterno Diritto; e noi non dobbiamo avere altra norma ai nostri giudizî. Siamo repubblicani; e siamo convinti che se v'è modo perchè la Francia lentamente risorga, si rieduchi al culto del Vero e della Legge Morale e si sottragga alla tristissima necessità di violenti rivoluzioni periodiche e frequenti, sta nell'instituzione su giuste basi d'una repubblica. La corruzione francese è frutto delle due monarchie borboniche e dei due imperi: crescerebbe e diventerebbe cancrena durando la monarchia; nè la Storia ci ricorda esempio di popoli rigenerati pel ritorno di dinastie due volte cadute. L'argomento continuamente ripetuto che per fondare repubblica si richiedono anzi tratto repubblicani e virtù repubblicane, somma a dire che l'educazione repubblicana deve darsi dalla monarchia o in altri termini che la fede in un principio deve insegnarsi dal principio contrario. Le repubbliche si fondano appunto per creare, coll'educazione repubblicana, repubblicani. Esiste in Francia, sorgente di tutte le interne contese, un profondo squilibrio tra le città che sono repubblicane e le campagne che, ineducate e impaurite tuttora dai ricordi del terrore e delle carneficine del 1793, nol sono. Una educazione nazionale uniforme322 può sola vincere quello squilibrio; e quell'educazione non può darsi se non dalla Repubblica. Le monarchie, minacciate, condannate a vivere per un tempo soltanto e sapendolo, non possono dare ciò che presentono dover presto o tardi convertirsi in arme nelle mani dei suoi nemici. Ma perchè siamo repubblicani e ci assumiamo un'opera d'apostolato con chi non è tale, dobbiamo sapere e dire apertamente e senza riguardi tattici con amici o nemici, quale è, quale non è la Repubblica da noi invocata. L'appagarsi del nudo nome e dichiararsi campioni d'ogni uomo che scelga di proferirlo, è peggio che arrendevolezza puerile, è tradimento d'un dovere verso chi dobbiamo cercare di convincere: l'irritarsi della caduta di chi svisò il concetto repubblicano o intese a proteggerlo con fatti immorali o feroci, soltanto perchè chi determinò la caduta appartiene al campo nemico, è peggio che inutile: è oblio d'ogni missione educatrice sagrificata a un impulso d'odio che non dovrebbe allignare in noi. Poco importa inveire contro lo strumento immediato della caduta - quello strumento si romperà alla sua volta - ciò che importa è l'additare perchè quel travisato concetto fosse dal nascere condannato, per mano di chicchessia, a perire, e come non debba trarsene argomento alcuno a danno del vero e giusto concetto e della forza contenuta in esso per vincere. Ed è questo che la stampa repubblicana davvero dovrebbe fare. L'Instituzione che combattiamo non è oggimai più forte, tra noi, in Francia e altrove, di forza vitale propria: la sorreggono i nostri errori. Ogni incertezza lasciata dal nostro linguaggio o dal nostro silenzio su ciò che dovrà sottentrare, ogni vecchia paura rinvigorita da fatti come quei compiti a Parigi, ogni stolta minaccia di vendetta avventata nell'ira e dimenticata il momento dopo, è più potente puntello a un sistema cadente che non un esercito agitato da vergogne subìte e dal senso dell'onor nazionale o una moltitudine d'impiegati mal retribuiti, mal fidi e tentennanti fra le due parti o l'illusione mantenuta fiaccamente da una opposizione che accenna sempre a colpire, incapace di farlo, e alla quale il paese guardava un tempo sperando, oggi guarda a deplorarne le condizioni.
È tempo or più che mai pei repubblicani di mostrarsi partito e non fazione: collettività d'uomini raccolti intorno ad un principio, non nucleo d'individui collegati a tempo per l'interesse d'uno o di più. E questo principio - concetto della Vita fondato sopra una Legge di Progresso morale, intellettuale, economico, da svolgersi per mezzo dell'associazione di tutti gli elementi che formano Nazione e tra un popolo e l'altro - è sola sorgente d'autorità per noi, solo criterio per giudicare dei programmi e degli atti che via via si succedono in questo periodo di transizione: la forma repubblicana non è che un mezzo - unico a senso nostro - per tradurre in rapida realtà l'associazione alla quale accenniamo. Nei termini di questo principio sta la nostra solidarietà con quanti si dicono repubblicani. Ogni tentativo di rinnovamento politico e sociale che non muove da quel principio o lo viola col predominio dato alla sovranità dell'io, o chiude il varco all'Associazione smembrando l'unità della più alta forma d'Associazione, la Patria, o contamina la bandiera con atti d'ingiusta e non necessaria violenza funesti al progresso morale del popolo, non è nostro e lo respingiamo. La sua vittoria - se potesse averla - non sarebbe vittoria nostra, nè c'inorgoglirebbe di forza o speranze. La sua disfatta non è nostra disfatta, non c'infiacchisce per subiti irragionevoli sconforti, non scema probabilità di successo alla nostra fede.
II.
Come hanno potuto aver luogo nel secolo XIX, in una città sede d'incivilimento com'è Parigi, gli eccessi dai quali prendemmo le mosse nel numero precedente? Perchè un popolo generalmente gentile, lieto, affettuoso come il francese, ha smarrito a poco a poco ogni senso morale? Come mai in una Nazione nella quale l'Unità e l'orgoglio di Patria sembravano più che altrove incarnati in ogni cittadino, assalitori e assaliti dimenticarono l'una e l'altro a un tratto, gli uni proponendosi un programma di smembramento affermato in ultimo con una insensata distinzione d'uomini e cose, gli altri combattendo i nati com'essi di Francia con una indegna ferocia, con un accanimento di selvaggi briachi, che aspettò, a rivelarsi, la vittoria dello straniero pacatamente e vergognosamente subìta? Non dovrebbero gli Italiani - invece di dividersi in fanciulli irritati che strepitano vendetta per opinioni e fatti non loro e machiavellisti senza cuore che non vedono nella rovina d'un popolo se non un'arme per ferire ingiustamente gli avversi al loro sistema - meditare severamente sulle cagioni dei tristi fatti e tentare di sviarle da noi? Non sanno i nostri che in Francia il nemico più potente della Repubblica è tuttora, nella popolazione rurale, il ricordo del settembre 1792 e dei patiboli del 1793 - che l'uccisione degli ostaggi e gli incendî hanno triplicato le probabilità d'un vicino successo alla monarchia - che in Italia ogni imprudente avventata manifestazione323 di favore ai colpevoli di quegli atti basta a suscitare nella classe media sospetti e paure propizie al Governo? Non sanno gli avversi che le loro esagerazioni, le loro condanne a una parte sola, i loro calcolati terrori che qui s'imitino dai repubblicani e dalle classi inferiori eccessi ripugnanti a tutte le tendenze italiane, irritano gli animi stanchi ormai di calunnie, suscitano spiriti di riazione pericolosi e possono trascinare le classi che hanno più ragione di lagnarsi del sistema attuale a dire: ci accusano ad ogni modo: facciamo?
Abbiamo detto e diremo senza ritegno e senza calcolo di conseguenze immediate possibili ciò che ci sembra vero agli uni e agli altri. Taluni dei nostri amici ci consigliano di tacere su certe questioni e di modificare il nostro linguaggio sovr'altre: correte rischio, dicono, d'allontanare da voi giovani nemici accaniti del sistema che voi combattete e che sarebbero forse primi, occorrendo, all'azione. Non possiamo accogliere quel consiglio. Se, perchè siamo repubblicani, dobbiamo far nostra la massima: la bandiera copre la merce, e accettare l'assurdo, retrogrado, politicamente immorale concetto di repubblica trovato novellamente in Parigi e sul quale dovremo tornare, meglio è gettare la penna e tacere. Se, perchè ad alcuni giovani piace di rinnegare la tradizione intera dell'Umanità, di chiamare Scienza la più o meno accurata descrizione dei fenomeni organici e la negazione della causa di quei fenomeni, di dirsi atei e nemici d'ogni religione soltanto perchè non credono nell'attuale, dobbiamo tacere di filosofia religiosa e desumere la missione e i fati della nostra patria dal concorso fortuito degli atomi o da un numero determinato di combinazioni passive d'una data quantità di materia, meglio è lasciare che caso e materia operino a senno loro e limitarci a registrare - e a rispettare - gli eventi. Le idee sono per noi una cosa santa. Non possiamo velarle o distribuirle a dosi omeopatiche per piacere ad altri e nella speranza che una parte infinitesima sia inavvertitamente assorbita. Le tattiche parlamentari non sono da noi, nè valgono a mutar gli Stati e collocarli sotto l'egida d'un nuovo principio. Noi amiamo sovra ogni altra cosa l'Italia; ma la vogliamo connessa colla vita e col progresso dell'Umanità, faro tra i popoli di moralità e di virtù. Vogliamo repubblica, ma pura d'errori, di menzogne e di colpe: a che varrebbe l'averla, se dovesse nudrirsi delle passioni, delle ire, dell'egoismo che combattiamo? Diversi dai sognatori che predicano pace a ogni patto, anche di disonore per le nazioni, e non s'adoprano a fondar la Giustizia unica base di pace perenne, noi crediamo, in dati momenti, sacra la guerra; ma questa guerra deve combattersi nei limiti della necessità, quando non è via, se non quella, al bene, diretta da un principio religioso di Dovere, leale, solenne, coll'altare della Clemenza eretto di fronte all'altare del Coraggio, non contaminata di vendetta, di brutale ferocia, di sfrenato orgoglio dell'io: se la nostra guerra diventasse quella delle soldatesche educate in Africa alle stragi del 2 dicembre o la combattuta recentemente in Parigi, non meriteremmo di vincere. Ignoriamo se dicendo questo noi siamo inferiori o superiori alla situazione: sappiamo che la Repubblica ha preso obbligo col mondo d'essere migliore dell'Instituzione avversa e ci dorrebbe che i repubblicani lo dimenticassero.
Il senso morale s'è smarrito in Francia sotto la lenta dissolvente opera del materialismo sociale pratico sceso negli animi dal materialismo filosofico. Non crediamo che, dalla China in poi dove la separazione della Morale da una credenza religiosa impietrì l'intelletto e vieta da duemila anni ogni progresso, prova più solenne di questa sia mai stata data a noi tutti delle fatali conseguenze che il materialismo trascina dietro a sè quando invade, non come momentanea protesta contro una fede spenta, ma come dottrina inviscerata nelle abitudini, le membra d'una Nazione. Gli ingegni superficiali e irriverenti alle severe lezioni dei grandi fatti e all'importanza delle questioni che trattano possono sfogarsi in maledizioni impotenti a Thiers, a un generale bonapartista, a una o ad altra congrega d'uomini, come cagioni determinanti delle tristi cose che accadono. Ma dicano, se possono, perchè dal 1815 in poi la Francia s'aggiri in un cerchio fatale, senza escita, d'esperimento in esperimento, di delusione in delusione: dicano perchè la parte repubblicana, potente di verità, di giustizia, d'intelletto, d'energia e di favore - non fosse che per patimenti durati e sete di mutamento di popolo - non possa finora vincere, sorga, trionfi e invariabilmente ricada: dicano perchè poteri invecchiati e consunti, perchè Instituzioni impotenti a inspirare amore e incapaci d'ogni virtù iniziatrice durano tuttavia scimiottando la vita e chiudono, fantasmi temuti, la via che guida al futuro. Uomini come Thiers, Assemblee di gente mediocre come quella di Versailles sono strumenti di cagioni, non cagioni. Davanti a un moto repubblicano fondato sopra un concetto di Vero e sull'amore sincero del Bene, sfumerebbero come sfumerebbe il Papato davanti a un popolo forte non di semplici negazioni, ma d'una fede religiosa migliore.
In Francia, il materialismo, insinuato prima dai tristi esempî di corruzione dati dai principi e dalle corti monarchiche, suggerito dal freddo incerto mentito deismo di Voltaire e d'altri fra i così detti filosofi che volevano, in nome di non sappiamo quale aristocrazia dell'intelletto, libertà assoluta per sè e un vincolo qualunque di religione pel popolo, si rivelò apertamente sul finire del secolo XVIII con Volney, Cabanis e più giù con d'Holbach, Lametrie, l'autore del Sistema della Natura, e altri siffatti. Per questi atei, i più tra i quali - ed era logica - furono poi, tra i muti del Senato conservatore o altrove, servi sommessi di Napoleone, il pensiero non era che una secrezione del cervello, definizione della Vita era la ricerca del ben essere, la sovranità era diritto di ciascun individuo, vincolato soltanto a non violare il diritto altrui. Là, nell'accettazione teorica o pratica, conscia o inconscia, di quelle stolte esose dottrine, sta il germe della rovina di Francia - e della nostra, se mai per la loro predicazione, impresa da giovani inconsiderati, migliori per ventura del loro linguaggio, prevalessero anche fra noi.
Cancellata così ogni idea d'adorazione a un ideale superiore comune di vita collettiva dell'Umanità, di fine assegnato all'esistenza terrestre, di Dovere comandato a raggiungerlo, di sovranità di una Legge Morale preordinata, non rimase a norma degli atti se non la nuda idea del diritto, della sovranità individuale, idea senza base per sè, inefficace in ogni modo a risolvere i grandi problemi che cominciavano ad agitarsi nell'anime. Quell'idea non può - se pure - guidare che alla libertà; e a risolvere quei problemi bisognava risolvere prima quello dell'associazione. E le conseguenze alle quali accenniamo, sono inevitabili, fatali. Noi sappiamo che, come s'incontrano in oggi uomini credenti a un tempo nel dogma cristiano e nella Legge del Progresso, molti fra gli attuali materialisti si professano credenti nel Dovere, nella vita collettiva e progressiva dell'Umanità, nell'Associazione, in ogni idea promulgata dal nostro campo; ma la patente contradizione non prova, se non che in molti uomini gl'impulsi del cuore sono, per ventura, migliori delle loro facoltà intellettuali e della loro potenza di logica. Nessuno può presumere d'educare altri - e la questione è per tutti noi di trovare un principio d'Educazione - a contradirsi ed essere illogici perennemente! nessuno può dire ad un popolo: «tu crederai nella caduta e nella redenzione e ad un tempo nel Progresso come in Legge data da Dio alla Vita»: nessuno può dirgli: tu crederai nel Dovere e nel Sacrificio, ma non crederai in una Legge Morale prefissa da un Intelletto supremo su tutti, nè in cosa alcuna fuorchè nella sovranità di ciascuno degli uomini che s'agitano nel tuo seno. Gli individui possono rinnegare per un tempo la logica e spassionare l'orgoglio a parlare di quello che non intendono: un popolo intero nol può. Togliete ad esso Dio, cielo, ideale, immortalità di progresso, nozione d'una Legge Provvidenziale prestabilita e il vincolo comune d'un fine assegnato; e lo vedrete guardare esclusivamente a' suoi interessi materiali, combattere, ma unicamente per essi, sperare per soddisfarli nella sola forza, soggiacere volonteroso a ogni potente che prometta curarli, sostituire alla sovranità dell'intelletto fecondato dall'amore quella dei proprî appetiti e delle proprie passioni. In questa ineluttabile necessità sta, lo ripetiamo, la sorgente di tutti gli errori, di tutte le colpe francesi.
La falsa teoria della sovranità dell'io, la falsa dottrina che ogni popolo, ogni individuo appartiene a sè stesso e non al fine che gli è prescritto, che deve a ogni patto cercar di raggiungere e che solo dà valore e consecrazione alla vita, trascinarono, nella Rivoluzione Francese, non dirò Hebert, Chaumette e altri siffatti alle orgie di terrore e di sangue che spaventarono e spaventano tuttora i popoli, ma uomini come Brissot e Isnard alla negazione d'ogni Sovranità Nazionale, al predominio delle più piccole località sull'insieme, al federalismo logicamente spinto fino alla sovranità del campanile di ogni comune che, ingiustamente attribuiti ad altri, costarono al paese il miglior sangue della Gironda e, riprodotti in oggi dagli insorti di Parigi, costano un nuovo grado di decadimento alla Francia. Poi sottentrò, accolto da un popolo stanco di stragi cittadine e al quale il terrore avea già insegnato a prostrarsi davanti alla vittoria e alla Forza, Napoleone; e nel secondo periodo della sua dominazione, quando il senso d'una missione perì in lui sotto l'orgoglio del Potere e la tendenza a sprezzare i popoli che lo adulavano, egli scavò più profondo il solco del materialismo pratico nell'anima della Francia, rinnovando, per calcolo errato, una larva di potenza a un Cattolicesimo incadaverito e nel quale ei non credeva: ponendo in luogo della Nazione sè stesso e un esercito, creando in quell'esercito l'idolatria della bandiera senza riguardo al principio che solo può santificarla, e nella Nazione l'idolatria della Gloria e della Conquista senza riguardo al fine pel quale è mietuta la prima, e alla missione d'incivilimento che sola può far talvolta legittima la seconda; aborrendo, perchè ne temeva, le idee e accarezzando soltanto una scienza collettrice di fatti; avvezzando i Francesi a credere che quanto la Francia voleva e poteva era diritto. Poi vennero le due Ristaurazioni Borboniche - il materialismo superstizioso della prima combattuto dal Voltairianismo borghese - il culto degli interessi materiali promosso sistematicamente dalla seconda a sviare il popolo dal culto dei grandi principî - la menzogna perenne degli uomini dell'Opposizione tendenti come i nostri d'oggi a minare una Instituzione e nondimeno giurandole fedeltà e acclamando al monarca pur congiurando contro la monarchia - una politica internazionale destituita d'ogni principio e fondata sfacciatamente sull'egoismo - una corruzione nelle alte sfere che coll'esempio e collo spettacolo dei conforti ottenuti allettava il popolo all'imitazione. Sorgeva intanto dai tempi maturi, dalla pessima distribuzione della ricchezza, dai bisogni e dall'intelletto più sviluppato degli artigiani la così detta questione sociale; questione santa e religiosa, per chi l'intende davvero, oltre ogni altra, dacchè mira a fondare l'Economia sul dovere e sull'amore reciproco e ad avvicinarci d'un grado all'unità umana ch'è nostro fine; ma che, immiserita e sviata anch'essa dal materialismo dei capi-scuola, si concentrò sull'unico problema dei godimenti fisici, propose come fine ciò che non doveva essere se non mezzo al progresso intellettuale e morale, scisse in due il campo repubblicano, allontanò più sempre una moltitudine d'operaî dalle grandi idee e dai grandi doveri che soli fanno o promovono un popolo, intiepidì in essi l'amore e il culto della Patria fomentando l'odio tra chi aveva già raccolto i frutti del lavoro e chi voleva raccoglierli e sostituendo all'ideale della Nazione il Falanstero, il compartimento Icariano o l'Opificio ordinato in un dato modo. Allora, mentre Saint-Simon e Fourier petizionavano per danaro, a pro della trasformazione sociale, ad ogni Autorità o frazione d'Autorità, e Proudhon aboliva Dio per sostituirgli logicamente la Forza, s'insinuò negli animi l'immorale concetto che le questioni politiche a nulla giovavano, che la questione economica era la sola da contemplarsi, che da qualunque parte o in nome di qualunque principio venisse tentativo o promessa di risolverla, doveva accettarsi. E vedemmo da un lato insurrezioni senza programma determinato attizzare tremenda la guerra civile e rovinare la Repubblica del 1848 tiepida nella fede e inferiore al mandato, ma che avrebbe avuto miglioramento dall'unione e dal tempo; dall'altro, gli artigiani di Parigi a incrociare le braccia davanti all'usurpazione del secondo impero per la incerta e triste speranza che da esso potesse scendere il mutamento sociale invocato. Intanto, mentre l'esclusivo intento dei vantaggi materiali da conquistarsi in ogni modo e per qualunque via pervertiva il senso morale del popolo, l'Esercito, travolto dietro al materialismo della bandiera, del simbolo sostituito all'idea, combatteva con animo eguale contro la Repubblica Romana, contro lo Tsar, contro il Messico, contro i proprî concittadini. Per l'Esercito, pel Popolo, pe' suoi nemici la vita - sacra per noi nell'origine e nell'avvenire, escita da Dio e destinata all'immortalità - ha perduto ogni santità; quale santità può mai avere un frammento di materia animata da una forza destinata a morire per sempre?
Così è caduta la Francia. Così cadrà ogni popolo al quale il materialismo insegni che gioire e vincer gli ostacoli ai godimenti son norma alla vita. Così non cada, appena nata, l'Italia!
La nostra bandiera, o giovani, è santa come se ci fosse affidata da Dio pel compimento del suo disegno sull'Umanità, o non è che misera insegna di risse civili e di passioni suscitate nell'anima nostra dall'egoismo sotto qualunque nome si celi. Custoditela santamente, come custodireste l'onore della madre vostra. Circondatela, incontaminati, incontaminata, di forti e pure opere, di forti e puri pensieri, tanto che il mondo vegga la virtù moralizzatrice ch'è in essa. Non la macchiate d'un solo pensiero di vendetta, non l'appannate d'un solo alito d'egoismo. Voi dovete esser migliori di quei che v'avversano e, dove nol siate, credete a me e all'insegnamento dei fatti, non vincerete. Non adorate la forza, il coraggio, l'orgoglio della vittoria per ciò che hanno di splendido in sè: adorate l'idea, della quale forza, coraggio, vittoria hanno ad essere strumenti e senza la quale la forza si trasforma in violenza brutale, il coraggio è dote sterile d'organismo, la vittoria è supremazia inefficace di fratelli sopra fratelli. Non rievocate dagli esempî stranieri ricordi d'un terrore che ha infamato la libertà, o nomi d'uomini che mutarono in concetto d'odio un concetto d'amore e spianarono con quel mutamento le vie a nuove tirannidi: la vostra storia vi porge ricordi e nomi migliori, e in verità la memoria dell'ultimo fra gli artigiani che posero nel 1530, senza ira e basse passioni, sostanza e vita per la libertà repubblicana di Firenze, è miglior auspicio all'impresa futura che non i nomi di Robespierre e Marat. Lasciate la Francia e le sue false dottrine: non vedete a quali termini dottrine e uomini l'hanno ridotta? Inspiratevi alle vostre tradizioni fecondate dalla grande tradizione dell'Umanità: raccoglietene la perenne voce, riveritene le costanti idee trasformate sempre, non mai cancellate. Voi non potete, in nome d'un istinto passeggero di ribellione, rinnegare il Genio dell'Umanità e de' suoi Grandi che vi grida di secolo in secolo, d'epoca in epoca, Dio, Legge, Dovere, Patria, Amore, Progresso, Immortalità. Come gli uomini della Compagnia della morte nelle battaglie lombarde, prostratevi all'eterno Vero e sorgete per vincere.
Ricordo una preghiera d'un poeta slavo-polacco che ama la patria come pochi l'amano: «Noi non vi chiediamo, o Dio, la speranza; essa scende, come pioggia di fiori, sulle nostre teste - non la morte dei nostri oppressori: la loro fine è scritta sulla nuvola di domani: - non di varcare la soglia della morte: è varcata, o Signore: - non corredo d'armi potenti: le avremo dalla tempesta: - nè ajuti: il campo dell'azione è aperto oggi davanti a noi. Ma oggi, mentre è cominciato il vostro giudizio nei cieli sui duemila anni vissuti dal Cristianesimo, concedeteci, o Signore, una volontà pura, concedeteci una volontà santa.»
Quando le vostre anime, o giovani, saranno capaci di proferire unite quella preghiera, voi sarete ciò ch'oggi non siete, forti di virtù iniziatrice e d'assenso di popolo; e l'Italia, come la invochiamo, sarà.
III.
Abbiamo francamente parlato ai nostri: era un dovere e, a rischio di spiacere a molti che militano sotto la bandiera da noi venerata, l'abbiamo compito. Ma se a questo punto tacessimo, se non accennassimo ai colpevoli errori della classe d'uomini rappresentata in Francia dall'Assemblea, ma esistente per ogni dove, avremmo rimorso. Non riparliamo dell'animo di vendetta feroce spiegato da quella classe: vendetta e ferocia tanto più ree quanto più sono adoprate da chi è più forte e finora vinse, mentre furono negli altri inspirate da una riazione non giustificabile, ma intelligibile. La questione vive più in alto del triste presente. Cerchiamo rimedî al futuro. Tentiamo via d'accertare come si possa provvedere a che i turpi fatti di jeri non si rinnovino domani. Pensiamo all'Italia, dov'oggi i buoni istinti e l'apostolato dei nostri allontanano il pericolo, ma dove le cagioni esistono e, se durasse, la noncuranza o l'ostinata resistenza a bisogni reali e a sacre aspirazioni lo produrranno.
D'onde scese al popolo, alle classi artigiane, il materialismo? D'onde vanne ad esso l'esempio del culto esclusivo dei beni terrestri, l'idolatria degli interessi sostituita all'adorazione dei principî, delle sante idee?
Dall'incredulità e dai vizî delle corti, dalla corruzione e dalla condotta dell'alto clero, dalle abitudini dei doviziosi, dal fine che s'è visibilmente proposto quell'ordine d'uomini che hanno scelto per sè stessi il nome collettivo di borghesia e che chiameremo classe media. Questa classe, formata non solamente dei detentori di capitali e di ogni altro elemento di produzione, ma di quanti per condizioni propizie hanno potuto educar l'intelletto a una o ad altra funzione e conquistare predominio negli ufficî, nell'insegnamento, nella stampa, nelle imprese industriali, in tutto ciò che rappresenta officialmente o quasi il paese, aveva innanzi la più bella, la più grande, la più santa missione che potesse idearsi; stendere una mano fraterna alla classe immediatamente inferiore e sollevarla al proprio livello; giovarsi dei vasti mezzi posseduti da essa per educare gli ineducati, per aprire a quei che trascinano l'esistenza nella povertà e nell'incertezza le vie del libero lavoro e di vita più umana: schiudere insomma sulla terra ai milioni di figli del popolo, ciò che il Cristianesimo schiuse ad essi nel cielo, la Patria degli eguali e dei liberi. Non aveva la Religione abolito, da diciotto secoli, la perpetuità delle classi anatemizzando il dogma delle due nature e insegnando che tutti gli uomini sono figli di Dio? Non vaticinava la Storia ai discendenti degli emancipati di sette secoli addietro che, come anteriormente al tramutamento dei servi in uomini dei Comuni gli schiavi s'erano mutati in servi, verrebbe tempo nel quale gli assalariati si convertirebbero in lavoranti associati? E non esciva da ogni tradizione politica severa e perenne lezione che i gradi di Progresso assegnati all'Umanità si compiono lentamente, pacificamente, per iniziativa di chi sta in alto o colla violenza del turbine dalla ribellione di chi sta in basso?
Le classi medie dimenticarono il loro Dovere e dimenticarono le norme elementari d'ogni prudenza. Traviata da una falsa filosofia e da una politica derivata da quella e che non potea varcare al di là dei diritti dell'io, obliarono che ogni loro conquista s'era compiuta coll'ajuto delle moltitudini chiamate, infiammate da promesse di miglioramenti e di libertà. I loro diritti, diritti di stampa, di associazione, d'ammessione agli ufficî, d'elettorato e d'eleggibilità, pei quali il popolo, ineducato e costretto a un lavoro di tutte le ore per vivere, non potea giovarsi, erano oggimai securi: a che combattere per gli altrui? Senza concetto di Dovere, che non può derivare se non da una Legge suprema, nè di fine comune, che non può derivare se non da un disegno intelligente preordinato, nè di vita oltre questa, che il freddo sterile Deismo adottato non racchiudeva, rimaneva il culto degli agi, dei conforti, degli interessi, della materia; e vi si travolsero. E allora si svolsero tutte le tristissime conseguenze dell'Egoismo, gelosia di qualunque accennasse a intenzione di salire ov'esse erano, sospetto d'ogni progresso di libertà nelle moltitudini come di mezzo a tradurre in fatto quella intenzione, adesione non sentita, ma calcolata, alla monarchia come a dottrina di privilegio che afforzerebbe il loro, immobilizzazione della vita elettorale nel censo, favore dato agli eserciti permanenti e riluttanza all'armamento della Nazione, monopolio di legislazione e quindi i proprî interessi curati; traditi o negletti quelli del popolo; concentramento amministrativo come barriera contro il temuto futuro, stolto anti-scientifico terrore d'ogni disegno di miglioramento economico nelle condizioni del popolo come se non potesse compiersi che a danno loro e non dovesse invece accrescere la produzione e la ricchezza comune; cento altri errori e mali ch'or non giova numerare, ma sopra ogni cosa il problema vitale, indispensabile, unico potremmo dire, dell'Educazione Nazionale, falsato, immiserito a proporzioni d'una istruzione che, scompagnata dall'educazione morale e patria, è un'arme a due tagli; e questa istruzione ineguale, anarchica, poca e inaccessibile a quanti poveri combattenti per l'esistenza fisica non possono sottrarre il fanciullo al lavoro o soggiacere a quelle, comunque menome, spose di vestiario o d'altro che l'intervento alla scuola richiede. Da quel contegno delle classi medie scende il contegno delle classi artigiane: dalla gelosia e dal sospetto hanno imparato a sospettare e ad essere gelose dell'altrui condizione, dal culto degli interessi materiali l'avidità, dalla ingratitudine l'ira, dalla guerra la guerra.
Oggi ancora e di fronte al pericolo ch'essa dichiara minaccioso, imminente, la stampa monarchica, la stampa che si millanta dell'ordine e parla in nome delle classi medie, versa in Italia su questo popolo accusato, rimproverato, il più esoso materialismo da ogni suo foglio. Per essa, il problema Italiano si risolve in una cifra di produzione, se bene o male ripartita non monta: un lieve progresso nell'esportazione, un arrivo di qualche nave di più in uno o in altro dei nostri porti, un incerto aumento di ricavato da un tributo a danno probabilmente della classe più misera, la suscitano ad inni d'entusiasmo per le condizioni dell'oggi; diresti che l'Italia, convertita in bottega, non dovesse più vivere se non di ciò che si misura e si pesa, e che l'onore, la dignità, le idee, il progresso morale, la missione da compirsi al di fuori pel bene altrui, fossero elementi estranei alla costituzione e allo sviluppo della Nazione. Materialismo d'interessi momentanei, senza norma alcuna di principio morale che guidi, nella politica internazionale - materialismo d'interessi governativi di un giorno, senza concetto che immedesimi popolo e capi in un fine comune - materialismo nella questione del vincolo religioso, invocato fin dove può giovare a sorreggere l'autorità politica, sprezzato e violato ove accenna a limitarla o dirigerla, e tradotto nella vertenza col Papa, in ipocrisia che cospira genuflettendosi - diffidenza del Pensiero considerato pericoloso, d'ogni proposta innovatrice dichiarata utopia, d'ogni incremento di libertà, d'ogni associazione che miri a procacciarlo, d'ogni idea che schiuda o annunzii un nuovo orizzonte allo spirito - è questo l'insegnamento che sgorga ogni giorno dalle manifestazioni officiali o semi-officiali degli organi di ciò che è. La pratica, che convalida pur troppo l'insegnamento, è nota all'Italia, e noi non vogliamo insozzarne le nostre pagine.
Logorata dal tempo e dal materialismo l'antica fede che prometteva almeno le benedizioni del cielo ai condannati a patir sulla terra - senza Educazione che guidi a fede più alta e più unificatrice dei doveri e delle speranze - senza alcuna di quelle grandi idee che han nome Patria, Onore, Gloria, Libertà, Indipendenza, Missione, e hanno potere di creare la virtù del Sacrificio nel core delle moltitudini - come mai le aspirazioni delle classi temute non si sarebbero concentrate intorno alla conquista dei beni materiali negati? Perchè non avrebbero dai godimenti delle classi socialmente superiori imparato il desiderio di godere alla volta loro? E perchè, respinte nei loro più temperati disegni e condannate - in un mondo pel quale il dito di Dio ha stampato per ogni dove la parola progresso - all'immobilità delle loro attuali condizioni, non travierebbero dietro ai primi che, rivelando ad esse la loro forza, le chiamano a conquistare colla violenza e a danno altrui ciò che dovrebbero ottenere per altra via e senza rovina di chi ha già, per lavoro compito nel passato, ottenuto? Gli errori abbondano nelle loro file; ma dov'è il Potere, dov'è la classe fornita di mezzi intellettuali o materiali che abbia educato quei milioni d'uomini al Vero e li abbia poi condotti di grado in grado alla pratica di quel Vero? Una colpevole tendenza all'ira contro gli abbienti, alla vendetta contro chi li offese e rise delle loro richieste, affatica, irrita le anime loro; ma se noi possiamo biasimarli e li biasimiamo, in nome di qual dritto le classi non curanti prima, feroci contr'essi poi, esigerebbero da essi quelle virtù ch'esse non hanno? Da oltre a quarant'anni, la questione della quale Parigi s'è fatta in questi ultimi mesi tristissima interprete, s'agita esplicita, più e più sempre minacciosa in Francia, in Inghilterra e in Germania, nelle classi artigiane; e chi pensò seriamente a risolverla? Chi provvede a schiuderle le vie del progresso pacifico? Le classi governative, i posseditori, nei Parlamenti o fuori, degli ufficî e dei capitali, schernirono la parola di quelle classi e ne soffocarono gli atti nel sangue. Hanno convertito ciò che avrebbe dovuto essere opera concordemente tentata in duello: hanno detto: v'impediremo la via colla Forza: le conseguenze dovevano escire inevitabili. Non giova maledire: bisogna mutar le premesse. E affrettarsi: per quanto è più sacro, affrettarsi.
Professori, senatori, marchesi, gazzettieri e voi tutti che, atteggiandovi a sussiego d'economisti, degnate annunziarci per via d'epistole laudatorie reciproche che v'occupate di salvare la società minacciata, perchè, invece di consigliare amorevolmente il malato e lenirne l'irritazione, cominciate per oltraggiarlo? E perchè, usurpando la definizione materialista e puramente negativa data da Bichat324 alla Vita, non trovate dall'alto della vostra scienza altri rimedî da quelli infuori che sommano nella parola resistere? Religione, voi dite; e lo diciamo noi pure; ma quale? Noi la cerchiamo nel futuro e tale che dall'alto dell'eterna rivelazione di Dio attraverso le nostre facoltà e le tendenze della vita collettiva, stringa in armonia Terra e Cielo, santifichi coll'adempimento del Dovere i diritti, e insegni all'uomo che deve non distruggere, ma sviluppare e perfezionare gli elementi dei quali si compone la Tradizione dell'Umanità: voi retrocedete a brancolare tra le rovine del lontano passato e vi riannettete per tardo calcolo di paura a una religione che insegnava rassegnazione al Male quaggiù, diceva: al cielo, al cielo! perchè si sentiva incapace di trasformare la terra, e scaglia oggi col Sillabo anatema al Moto. Altri fra voi fantastica di un Partito Conservativo da fondarsi con tutte le reliquie delle fazioni spente o morenti. Il Partito Conservativo esiste: esiste da secoli: esiste nella coesione naturale di tutti gli interessi nati dal tempo e dalla possessione: esiste forte d'ordini, di vasta rete d'ufficî, di tesoro, d'esercito; e non ha potuto impedire alla marea di salire. Sarà più forte se riuscirete a ingrossarlo d'alcuni retrogradi che non seppero difendere, quando occorreva, i loro padroni? E quanto a reprimere, sì, lo potete; lo potete per un po' di tempo ancora; ma lo dovete? Vi basta l'animo di combattere senza rimorso battaglie periodiche, di mantenere ordinata con sagrificî continui, crescenti, la guerra civile nella vostra terra, d'insanguinarvi a ogni tanto le mani nel sangue d'uomini che illusi, traviati, son pure vostri fratelli? E a qual pro? Non riescirete lungamente, e dovete saperlo. O siete ciechi di tanto da non vedere l'inesorabile progressione seguìta in questa guerra tra chi chiede e chi nega? Paragonate le eroiche sommosse del chiostro di Saint-Mery col moto del 1848 e le ribellioni di Lione ai giorni di Luigi Filippo coll'ultima insurrezione del Comune in Parigi. Le vostre sono vittorie di Pirro. Voi potete spegner nemici; ma il Nemico è immortale. Il Nemico è un'idea.
Voi sollevate imprudentemente il grido selvaggio: i barbari sono alle porte della nostra città. Quel grido non è vostro: non esce, la Dio mercè, da concetto italiano. Voi lo usurpaste a Guizot. Ma ricordatevi almeno che l'averlo proferito non salvò Guizot, nè la dinastia ch'egli proteggeva, nè quell'ordinamento della borghesia ch'ei sognava e che rovinò sotto la brutale violenza del Bonaparte. E ricordatevi che i Barbari del V secolo vinsero. A respingerli, bisognava rifare i decaduti, immemori, scettici, corrotti Romani.
Questi che voi oggi chiamate Barbari rappresentano sviata, guasta, sformata per colpa vostra in gran parte, una Idea: il salire inevitabile, provvidenziale, degli uomini del Lavoro. Perchè lo dimenticate? Voi balbettate a ogni ora la sacra parola Progresso; ma cos'è questa Legge divina che noi scrivemmo d'antico sulla nostra bandiera se non l'avvicinarsi di passo in passo all'unità della famiglia di Dio? Non è questo moto ascendente degli Operaî, nelle sue radici, una fase, indicata dai tempi, di quel Progresso? Non dovreste benedirlo come adempimento del disegno divino nel mondo? Voi siete studiosi e forse dotti di Storia; ma non v'insegna la Storia che un'Epoca dell'Umanità o una Nazione non sorge se non coll'affacciarsi d'un nuovo elemento alla vita sociale? Perchè non sentite il bisogno e il dovere d'ajutare a sorgere questo elemento? Perchè volete conservare l'inferiorità di milioni d'uomini, figli come voi di Dio, nati con voi nella stessa terra e chiamati allo stesso fine? Noi abbiamo, scriveva dì sono, meravigliando dell'ingratitudine popolare, un gazzettiere dei vostri, fondato le Casse di Risparmio pei malcontenti. È derisione? È follìa? Casse di risparmio per chi si lagna di non poter risparmiare? Casse di risparmio per risolvere un problema d'eguaglianza, di libertà non mentita, d'associazione, d'unità morale da ordinarsi nello Stato? E voi, professori, senatori e marchesi, che dichiarate, esagerando, urgente il problema e gigantesco il pericolo, date e chiedete lodi e patenti di salvatori al gazzettiere che intende a risolvere l'uno e scongiurar l'altro con rimedî siffatti?
Ciò che le Classi Operaje in Italia vogliono - ciò che noi pure, credenti in Dio, nella santità della Famiglia, nella Proprietà individuale, nella Patria, e avversi alle stolte teoriche del Comune di Parigi e alle tendenze, come ci sono note, dell'Internazionale, vogliamo per esse - è questo:
In un Popolo che sorge a Unità di Nazione, Unità per la quale essi hanno largamente versato il proprio sangue, gli Operaî vogliono sorgere essi pure e aver parte di cittadini, d'uomini liberi su terra libera, in quell'Unità, migliorando le loro condizioni morali, intellettuali e - dacchè quel miglioramento esige tempo e mezzi ch'oggi mancano ad essi - economiche:
Vogliono una Educazione Nazionale, uno Stato che ad essi e a tutti comunichi, come pegno d'eguaglianza morale e di progresso futuro, il programma, la tradizione, i principî universalmente accettati e il fine del paese in cui sono chiamati a vivere e ad agire - e che agevoli l'insegnamento speciale necessario al genere di lavoro che scelgono:
Vogliono il voto, un ordinamento politico nel quale essi possano per mezzo dei loro rappresentanti esprimere bisogni, tendenze, desiderî oggi commessi a uomini d'altre classi e con interessi diversi:
Vogliono un ordinamento di Milizia Nazionale che li chiami, occorrendo, tutti a combattere per l'integrità, l'indipendenza, l'onore, la missione della propria terra e che li ammaestri a compire questo sacro dovere, ma senza pericoli per la libertà del paese e col menomo dispendio del tempo sottratto alla vita di famiglia e alla produzione:
Vogliono un ordinamento di libertà amministrativa che, senza nuocere menomamente all'Unità morale e politica della Nazione, affidi agli eletti dal voto universale del Comune la gestione degli interessi economici e degli Ufficî del Comune medesimo, la tutela della sicurezza pubblica locale, la scelta dei più tra gli ufficiali preposti all'esecuzione delle leggi nazionali:
Vogliono un sistema di tributi che, lasciando inviolabile da ogni diretta o indiretta sottrazione il puro necessario alla vita, graviti equamente su ciò che varca quel limite:
E vogliono pacificamente, gradatamente, sostituire all'ordinamento attuale del lavoro retribuito con salario dai detentori di capitali quello del lavoro associato: unire, in altri termini, nelle mani d'associazioni libere e volontarie, industriali e agricole, capitale e lavoro.
Questo vogliono e avranno le Classi Operaje: sono aspirazioni fondate sulla giustizia, additate dalla progressione storica della vita collettiva dell'Umanità, attuabili senza spogliazioni o brutali violazioni di diritti legittimamente acquistati, promettitrici d'incremento alla produzione e di meno anarchico assetto alla vita economica, giovevoli quindi a ogni classe di cittadini; e quando da quasi mezzo secolo queste aspirazioni sprezzate, neglette, combattute, invigoriscono tuttavia d'anno in anno e numerano oggi non migliaja, ma milioni d'uomini affratellati in esse, i tempi sono evidentemente maturi perchè, entro un tempo non remoto, trionfino.
Soltanto - e parliamo non ai professori, senatori e marchesi inaccessibili probabilmente ai nostri consigli, ma ai numerosi uomini delle classi medie che non sono vincolati a sistemi o interessi privilegiati, che possiedono perchè hanno lavorato e lavorano, che vorrebbero il bene; ma, soverchiamente diffidenti d'ogni mutamento, paventano per ogni dove guai che sta in essi d'evitare - soltanto, se quest'elemento popolare chiamato irrevocabilmente a salire non troverà nei già saliti fuorchè resistenze cieche, repressioni feroci e oltraggi dagli uni, noncuranza, scherno, diffidenza e disamore dagli altri, evocherete i pericoli che temete: quell'elemento inoltrerà non come fiume fecondatore, ma come torrente che straripa, inonda e affoga: quel popolo abbandonato, rejetto, accoglierà facilmente la parola d'ira e vendetta, le idee puramente negative e sovvertitrici che abbondano oggi in Europa: avrete imitazioni di Comuni parigini, Internazionale e flagello periodico di guerra civile.
Amare, concedere le prime richieste or ora accennate, giovare all'ultima, affratellarvi, a temperarlo, col moto: questa è oggi la parte vostra.
Ma potete, nelle condizioni in cui siete, compirla? Potete collocarvi, pacificatori efficaci, tra l'elemento temuto e chi è costretto a tentar di reprimerlo, nè cura se andiate voi pure sommersi? È la prima questione che ciascuno di voi dovrebbe, nella propria mente, risolvere. Per noi, è da lunghi anni risolta.