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Molti fra voi m'amano e sanno ch'io v'amo. V'amo come s'ama una speranza d'immortalità per la creatura più cara, perchè so che in voi, uomini del Lavoro, vivono più che altrove i fati immortali d'Italia: v'amo perchè le ingiuste privazioni sofferte da secoli non v'hanno insegnato a odiare - perchè, soli forse in Europa, avete sentito che non s'hanno diritti se non meritandoli, e vi siete raccolti intorno a una bandiera che porta scritto Dovere - perchè da quando una speranza di risurrezione albeggiò per la patria vostra, voi compiste il dovere, combattendo, patendo, morendo - perchè combattete, patite, morite ignoti, senza orgoglio di fama tra i vivi, senza nome lasciato ai posteri, nel silenzio e nella santità del martirio. E voi m'amate perchè sapete che s'io non ho potuto fare, ho desiderato molto per voi, senza mire individuali o sprone fuorchè quello del culto al Bene; perchè sapete che s'io posso, come ogni uomo può, errare nell'intelletto, non posso, per colpa di cuore o per amore di vittoria più rapida, tentar d'ingannarvi; perchè sentite nell'anima ch'io amo oggi il vostro avvenire, svanita per gli anni ogni speranza di salutarlo con voi, com'io l'amava quando, fervido d'energia e di fiducia, io m'affacciava alla vita politica; e l'amerò, morendo, com'oggi. Io da lungo non vi scrivo direttamente, ma scrivendo intorno alle cose del paese, non ho mai taciuto dell'elemento vostro, nè del mutamento delle vostre condizioni come di cosa inseparabile da ogni possibile progresso Italiano. Di voi non temevo e sapevo che, per apprestarvi a quel progresso, non avevate bisogno di sprone. E s'oggi m'indirizzo a voi, lo fo per avvertirvi d'un pericolo che vi minaccia e che sta in voi soli d'allontanare.
Di mezzo al moto normale degli uomini del Lavoro è sorta un'Associazione che minaccia falsarlo nel fine, nei mezzi e nello spirito al quale v'inspiraste finora e dal quale soltanto otterrete vittoria.
Parlo dell'Internazionale.
Quest'Associazione, fondata anni addietro in Londra e alla quale io ricusai fin da principio la mia cooperazione, è diretta da un Consiglio, anima del quale è Carlo Marx, tedesco, uomo d'ingegno acuto; ma, come quello di Proudhon, dissolvente: di tempra dominatrice, geloso dell'altrui influenza, senza forti credenze filosofiche o religiose e, temo, con più elemento d'ira, s'anche giusta, che non d'amore nel cuore. Il Consiglio, composto d'uomini appartenenti a paesi diversi e nei quali sono diverse le condizioni del popolo, non può avere unità di concetto positivo sui mali esistenti e sui rimedî possibili, ma deve inevitabilmente conchiudere più che ad altro a semplici negazioni. L'unico modo ragionevole d'ordinamento per le classi artigiane d'Europa è quello che, riconoscendo sacre le Nazionalità e lasciando alle diverse Associazioni nazionali il maneggio delle cose proprie, formerebbe di delegati da esse muniti d'istruzioni un centro comune per ciò che può mantenere fin dove giova l'armonia del moto verso il fine generale. Un nucleo d'individui che s'assuma di governare direttamente una vasta moltitudine d'uomini diversi per patria, tendenze, condizioni politiche, interessi economici e mezzi d'azione, finirà sempre per non operare o dovrà operare tirannicamente. Per questo io mi ritrassi e si ritrasse poco dopo la Sezione operaja italiana appartenente in Londra all'Alleanza Repubblicana.
L'Internazionale esercitò predominio sul secondo periodo segnatamente del recente moto parigino. Di questo, del programma da esso adottato, degli atti che deturparono quel periodo, ho parlato altrove. Il programma trovò inerte la Francia: per la prima volta Parigi sorse e cadde isolata. E quanto al fascino ch'esercita su molti la potenza della quale fece prova in Parigi l'Associazione, non cercherò, come potrei, di scemarlo esaminando le circostanze singolari tanto da non riprodursi probabilmente più mai, che posero armi, uomini, mezzi e passioni di popolo offeso in mano ai capi. Mi sentirei reo di pensare bassamente di voi s'io, esortandovi a star discosti da quell'Associazione, vi parlassi d'altro che del fine a cui tende. Da quello soltanto, non dalla cifra de' suoi affigliati, voi dovete giudicarla. Come me voi sapete che ogni forza è incapace di durare se non s'appoggia sul Vero e sul Giusto. L'Internazionale è condannata a smembrarsi; e in Inghilterra, sede del Centro, lo smembramento è già cominciato.
Accennando ai principî che dirigono l'Associazione non intendo di dire che formino la fede di tutti i suoi membri. In un ordinamento come quello che la costituisce non può esistere vera unità; e so di Sezioni collocate in terre lontane dal Centro che ignorano completamente le sue tendenze: sanno d'appartenere a un'Associazione europea che ha per fine l'emancipazione delle classi operaje e null'altro. Gli atti officiali del Centro furono sino ad oggi rari e mal noti. Ma quei principî rivelati dapprima da oratori imprudenti nei Congressi internazionali tenuti negli anni vicini a noi nella Svizzera e nel Belgio, non furono smentiti dal Centro; ebbero di tempo in tempo conferma da discorsi pubblici d'uomini del Consiglio in Londra e l'ebbero più recentemente, dominando il Comune, in Parigi.
I principî promossi dai capi e dagli influenti dell'Internazionale sono:
Negazione di Dio - cioè dell'unica, ferma, eterna, incrollabile base dei doveri vostri e dei vostri diritti, dei doveri altrui verso la vostra classe, della certezza che siete chiamati a vincere e che vincerete. Cancellata l'esistenza d'una prima Causa intelligente, è cancellata l'esistenza d'una Legge Morale suprema su tutti gli uomini e costituente per tutti un obbligo; è cancellata la possibilità d'una legge di Progresso, d'un disegno intelligente regolatore della vita dell'Umanità: progresso e moralità non sono più che fatti transitorî, senza sorgente fuorchè nelle tendenze; negli impulsi dell'organismo di ciascun uomo, senza sanzione fuorchè dall'arbitrio di ognuno, da interessi mutabili o dalla forza. Dio, il caso, la forza, cieca, insuperabile, delle cose, sono infatti le sole tre sorgenti imaginabili della Vita; ma, rinnegata la prima e accettata l'una o l'altra delle ultime due, in nome di che v'assumerete il diritto d'educazione? in nome di che condannerete l'uomo che s'allontana per egoismo dalle vie del Bene? in nome di che protesterete contro i vostri ingiusti padroni? in nome di che li combatterete? Da dove dedurrete l'esistenza d'un fine comune a tutti che v'autorizzi a dir loro: «siamo, dobbiamo essere tutti fratelli e associati a raggiungerlo?» Invocherete l'interesse che vi sprona a conquistare? Ma con qual diritto negherete agli altri l'interesse che li sprona a conservare? In virtù di quale principio, di quale dovere chiamerete gli avversi, i vostri, occorrendo, al Martirio? E perchè? I sacrificî, il martirio non possono creare immediato il mutamento di condizioni invocato. Voi combattete e chiamate altri a combattere pei vostri figli, per quei che verranno: or chi v'assicura, se il mondo è governato dal caso o da forze fisiche operanti senza scopo e d'incerta durata, che esciranno dalle opere vostre e rimarranno stabilmente i frutti sperati? Invocherete la Forza, che senza santificazione d'un fine prescritto è violenza? Il numero che, se non è l'espressione, l'interprete d'una Legge Morale, cede all'arbitrio d'un impulso, d'una seduzione, d'un errore? Il senso d'un interesse materiale ch'io ho veduto spingere il popolo un giorno a fondare Repubblica, un altro a fondar l'Impero? E badate: la questione ridotta nei termini della pura forza pende dubbiosa. I sostenitori dell'ordine attuale hanno ordinamento vecchio di secoli, potente di disciplina e di mezzi che nessuna società internazionale, combattuta d'ora in ora e costretta a operar nel segreto, potrà raggiungere mai. Oggi, il vostro moto è santo perchè s'appoggia appunto sulla Legge Morale negata, sulla progressione storica rivelata dalla Tradizione dell'Umanità, sopra un concetto d'educazione, d'associazione crescente, d'unità della famiglia umana, prefisso da Dio alla Vita. Voi distaccate ogni giorno, in nome di quella legge, di quel disegno divino, il cui compimento è quindi presto o tardi inevitabile, uno o altro elemento dall'esercito dei conservatori, dai difensori del vecchio mondo. La vostra è crociata. Convertitela in ribellione, in minaccia d'interessi contro interessi: voi non potrete più far calcolo che su forze vostre. Siete certi che bastino? E ov'anche bastassero, non contaminereste la vostra vittoria di lunghe, terribili battaglie civili e di sangue fraterno?
Negazione della Patria, della Nazione - cioè del punto d'appoggio alla leva colla quale potete operare a pro di voi medesimi e dell'Umanità; ed è come se vi chiamassero al lavoro negandovi ogni divisione del lavoro stesso o chiudendo davanti a voi le porte dell'opificio. La Patria vi fu data da Dio, perchè in un gruppo di venticinque milioni di fratelli affini più strettamente a voi per nome, lingua, fede, aspirazioni comuni e lungo glorioso sviluppo di tradizioni e culto di sepolture di cari spariti e ricordi solenni di martiri caduti per affermare la Nazione, trovaste più facile e valido ajuto al compimento d'una missione, alla parte di lavoro che la posizione geografica e le attitudini speciali v'assegnano. Chi la sopprimesse, sopprimerebbe tutta quanta l'immensa somma di forze creata dalla comunione dei mezzi e delle attività di quei milioni e vi chiuderebbe ogni via all'incremento e al Progresso. Alla Nazione l'Internazionale sostituisce il Comune, il Comune indipendente, chiamato a governare da sè. Voi esciste dal Comune, dicono: in esso s'educò la vostra vita; ed è vero, ma retrocederete voi alla vita dell'infanzia, darete ad essa prevalenza sulla vita virile, perchè prima d'essere uomini foste fanciulli? La vita del Comune fu storicamente preceduta da quella di famiglia: perchè non risalir fino a quella? Non leggete appunto nella progressione ascendente seguìta ovunque dalla famiglia al Comune, dal Comune alla Nazione, dalla Nazione isolata al concetto della Federazione delle Nazioni, l'opera della Legge che vi chiama a stringervi più sempre in più vasta e intima Associazione? Se vi sentite, insistono, stretti a fratellanza di Patria, anche col nostro ordinamento rimarrete tali. No; non rimarrete. L'educazione morale eguale e le leggi uniformi son necessarie a trasmettere di generazione in generazione quel sacro accresciuto deposito di fratellanza in un fine concordemente accettato: ed essi lasciano l'educazione e le leggi all'arbitrio d'ogni Comune. Abbiate educazione e leggi affidate in quasi novemila Comuni a influenze predominanti per un tempo negli uni o negli altri d'uomini di progresso o retrogradi, d'unitarî o federalisti, di credenti in Dio e nell'anima immortale o di materialisti o di clericali cattolici; e avrete, dopo un terzo di Secolo, rinati tutti i piccoli egoismi locali, financo il nome di Patria svanito e risorte le risse civili del medio evo; e intanto, angustia di mezzi per ogni dove, tronche le vie ai grandi sviluppi politici, intellettuali, economici, ridotta la vita italiana a povera, gretta esistenza vegetativa. Il concetto dell'Internazionale guida inevitabilmente all'anarchia e all'impotenza.
Negazione d'ogni proprietà individuale - cioè d'ogni stimolo alla produzione da quello della necessità di vivere in fuori. La proprietà, quando è conseguenza del Lavoro, rappresenta l'attività del corpo, dell'organismo, come il pensiero rappresenta quella dell'anima; è il segno visibile della nostra parte nella trasformazione del mondo materiale, come le nostre idee, i nostri diritti di libertà e d'inviolabilità della coscienza sono il segno della nostra parte nella trasformazione del mondo morale. Chi lavora e produce ha diritto sui frutti del proprio lavoro; in questo risiede il diritto di proprietà. E se la maggiore o minore attività nel lavoro è sorgente d'ineguaglianza, quell'ineguaglianza materiale è pegno d'eguaglianza morale, conseguenza del principio che ogni uomo deve essere retribuito a seconda dell'opera sua: avere quanto egli ha meritato. Bisogna tendere all'impianto d'un ordine di cose nel quale la proprietà non possa diventar monopolio e non scenda in futuro se non dal lavoro, nel quale, quanto al presente, le leggi tendano a scemare gradatamente il suo permanente concentramento in poche mani e si giovino d'ogni giusto mezzo ad agevolarne la trasmissione e il riparto. Ma l'abolizione della proprietà individuale e la sostituzione della proprietà collettiva sopprimerebbero ogni sprone al lavoro - sopprimerebbero ogni stimolo a dare, coi miglioramenti e col pensiero dato ai prodotti futuri, il più alto valore possibile di produzione alla proprietà - sopprimerebbero la libertà del lavoro negli individui - e, attribuendo all'autorità di pochi rappresentanti lo Stato o il Comune, accessibili all'egoismo, alla seduzione, a tendenze arbitrarie, l'amministrazione d'ogni proprietà, ricondurrebbero sott'altro nome tutti i cittadini al sistema del salario, al quale vorremmo che a poco a poco sottentrasse l'associazione, e riaprirebbero le vie a tutti quei mali ch'oggi provocano le vostre lagnanze contro i pochi detentori di capitali. La proprietà collettiva rappresentò il primo stadio della vita economica, quando l'umanità nell'infanzia non era peranco escita dal sistema patriarcale delle famiglie. Oggi non dura che nei Comuni di Russia, dove da alcuni anni i lavoratori, emancipati dalla servitù, s'affrettano a procacciarsi proprietà individuale.
Nè prolungherò questo ingrato esame. I pochi punti toccati devono, parmi, bastarvi per giudicare se dall'Internazionale possa o no venirvi salute.
No; voi non lascerete, per proposte siffatte, la via calcata sinora, e io potrò, sino all'ultimo giorno, movere su quella con voi. Se v'è città fra le nostre nella quale l'Internazionale abbia trovato aderenti, è quella - non la nomino, ma v'è nota - dove l'elemento operajo e più muto, più ritroso ad ogni vitalità di progresso.
Quando, riandando la Storia, trovate idee che, sorte col primo noto periodo della vita dell'Umanità, hanno vissuto con essa d'Epoca in Epoca, trasformandosi sempre, ma rimanendo sempre e per ogni dove, nella loro essenza, inseparabili dalla società e più forti d'ogni rivolgimento distruggitore d'altre idee appartenenti a un solo Popolo o a un'Epoca sola - e se, interrogando nei migliori momenti d'affetto, di santo dolore, di devozione al Bene, la vostra coscienza, sentito dentro un'eco a quelle idee che i secoli vi trasmettono - quelle idee son vere e ingenite nell'Umanità della quale devono seguire il progresso: voi potete e dovete modificarle, purificarle, migliorarne lo svolgimento e l'applicazione; non abolirle. Dio, l'Immortalità della Vita, la Patria, il Dovere, la Legge Morale che sola è sovrana, la Famiglia, la Proprietà, la Libertà, l'Associazione sono tra quelle.
Voi - perchè meritaste col sacrificio, perchè non cercaste di sostituire alle altre la vostra classe, ma d'inalzarvi con tutti, perchè invocate una diversa condizione economica, non per egoismo di godimenti materiali, ma per potere migliorarvi moralmente e intellettualmente - avete oggi diritto a una Patria di liberi e d'eguali nella quale abbiate comune con tutti i vostri fratelli l'educazione, comune il voto per contribuire all'avviamento progressivo del paese, comuni l'armi per difenderne la grandezza e l'onore, esente da ogni tributo diretto o indiretto il necessario alla vita, libertà di lavoro e ajuti ove manchi a dove lo vietino gli anni o le malattie; poi favore e agevolezza di credito nei vostri tentativi per sostituire a poco a poco al sistema attuale del salario il sistema dell'associazione volontaria fondata sull'unione del lavoro e del capitale nelle stesse mani. Non vi sviate da quel programma: non v'allontanate da quei tra i vostri fratelli che riconoscono questi vostri diritti e s'adoprano a spianare le vie a instituzioni che possano riconoscerli e tutelarli. Chi vi chiama ad altro non può giovarvi.
Educatevi, istruitevi come meglio potete: non dividete mai i vostri dai fati della vostra Patria, ma affratellatevi con ogni impresa che miri a farla libera e grande: moltiplicate le vostre associazioni e inanellate in esse, dovunque è possibile, l'operajo dell'industria con quello del suolo, città e contado: adopratevi a creare più frequenti le società cooperative di consumo. E fidate nell'avvenire.
Ma unitevi compatti, serrati, ordinati a modo d'esercito. Oggi nol siete. Le vostre società sono moralmente collegate dalle comuni tendenze; ma nessuna ha mandato per parlare, se non nel proprio nome, nessuna può far suonare davanti al paese la voce di tutta la Classe artigiana a esprimerne bisogni e voti, nessuna può dire autorevolmente: questo vogliono, questo respingono gli operaî d'Italia. Voi avete unità di fine, non d'azione e di metodo. Senza un Patto di fratellanza, senza un Centro direttivo, voi non potete acquistare nè infondere in altri coscienza della forza ch'è in voi: non potete ordinare e pubblicare una statistica dei mali che affliggono la vostra classe: non potete dar vigore d'uniformità o di periodicità all'indicazione degli opportuni rimedî.
Queste cose io vi dissi pochi anni addietro; e voi le accoglieste convinti. Un Patto fu steso e accettato dalla maggioranza delle società in uno dei vostri Congressi. Ma per un errore commesso nella formazione dell'Autorità direttiva, quel Patto rimase lettera morta, inutile, dimenticato. Perchè non date opera a ravvivarlo, a ridare, con più saggi provvedimenti, vigore a quel moto di concentramento oggi più che mai urgente? E perchè volete, voi, elemento nuovo che sorge, nè può arrestarsi senza retrocedere, far vostra la colpa frequente pur troppo in Italia del dire e non fare?
Roma, la Città madre, è oggi nostra; ma nostra a mezzo, nostra materialmente soltanto; e incombe a noi tutti di versare in essa l'anima della Patria e da essa ricevere la consecrazione alla via che dobbiamo correre perchè si compiano i vostri fati e una manifestazione potente della Vita Italiana faccia santa e feconda l'unione. Perchè non v'affrettate a raccogliervi in Roma a Congresso e attingervi nuovo battesimo alla vostra Fratellanza? Forse, oltre all'immenso vantaggio per voi, ricordereste coll'esempio e quasi iniziatori all'Italia che da Roma deve escire un altro e più largo Patto, il Patto Nazionale, definizione della nostra vita avvenire, senza il quale Roma e l'Italia son vuoti nomi.