Giuseppe Mazzini
Scritti: politica ed economia
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VOLUME SECONDO PENSIERO ED AZIONE.

SCRITTI SUL MEDESIMO PERIODO

ALLE SOCIETÀ OPERAJE L'AVVENIRE di torino e L'UNIVERSALE della spezia

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ALLE SOCIETÀ OPERAJE

L'AVVENIRE di torino e L'UNIVERSALE della spezia327

 

Voi m'avete scelto a vostro rappresentante nel futuro Congresso operajo. Non potevate farmi più alto onore e vi serberò riconoscenza perenne; ma non posso accettare e devo accennarvene le ragioni.

La prima è nelle mie condizioni fisiche. Infiacchito dagli anni e malfermo nella salute, io mi sento oggimai assolutamente incapace di lunghe discussioni pubbliche e non potrei compire debitamente la parte che voi mi assegnate.

La mia presenza nuocerebbe probabilmente al fine che vi proponete e darebbe, nell'opinione di molti, al Congresso un carattere politico che voi dovete e volete evitare. Voi non potete, operaî italiani, rinnegare, come tentarono e tentano in altre terre, l'unità del problema umano e separare dalla questione nazionale e di progresso politico la questione economica: siete uomini e cittadini come operaî e non può compirsi progresso per voi se prima non si compie nell'elemento patrio in cui foste posti a vivere. Ma l'intento principale del vostro Congresso è oggi quello di costituirvi, di raccogliervi tutti quanti siete, smembrati tuttora in nuclei locali, sotto il Patto di fratellanza e la Direzione centrale che deve farvi capaci d'esprimere officialmente ed efficacemente al paese i vostri bisogni, i mali che vi affliggono, i rimedî che intravedete possibili. E per questo, voi non avete bisogno di me. Importa anzi tutto che la vostra voce a le vostre deliberazioni escano spontanee e libere, per tutti quei che guardano in voi, da ogni sospetto d'influenza straniera al fine che ora vi proponete. Quando udrò determinato il tempo pel vostro convegno, io vi porgerò pubblicamente quei pochi consigli che il mio cuore mi suggerisce opportuni; ma il mio intervento personale darebbe pretesto agli avversi a voi per accusarvi d'aver ceduto, in qualche vostra determinazione, all'amore che, meritamente o immeritamente, avete per me e per accusarmi, dacchè gli uomini di mala fede non credono mai alla sincerità altrui, di tendere a mutare la vostra in una manifestazione esclusivamente politica e favorevole alle credenze dell'anima mia. Parmi debito d'evitarlo.

E finalmente - perchè tacerei con voi di ciò che forse non è che debolezza mia individuale? - quando nel 1849, dopo la santa e gloriosa difesa, Roma fu occupata dalle armi di Francia, corsi e ricorsi solo, per una settimana ancora e pericolando, le vie della città misteriosa, ch'io fin dai primi anni della mia gioventù adorai come cuore e centro della Missione italiana e tempio d'una terza Epoca di vita della patria nostra a pro dell'Europa e del mondo. E allora, tra i ricordi dell'immenso passato e i presentimenti ostinati d'un immenso avvenire, di fronte ai segni visibili d'un Papato che aveva spinto contro Roma i soldati stranieri e d'una Monarchia che aveva contemplato immobile l'agonia della Metropoli d'Italia, io giurai a me stesso che non avrei più mai liberamente respirato quelle sacre auree se una bandiera repubblicana non sventolasse dal Campidoglio e dal Vaticano o io non potessi giovare a piantarvela. Lasciate che, in questo periodo di giuramenti falsati per calcolo o leggierezza di scettici, io, credente in Dio e nella coscienza immortale, serbi, canuto, il mio. Mi sentirò più degno d'amarvi.


 

 

 





327 La Roma del Popolo, N. 32.



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