Giuseppe Mazzini
Scritti: politica ed economia
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VOLUME SECONDO PENSIERO ED AZIONE.

SCRITTI SUL MEDESIMO PERIODO

COSTITUENTE E PATTO NAZIONALE

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COSTITUENTE E PATTO NAZIONALE331

 

Due morti hanno i popoli: l'anarchia e l'indifferenza. Conseguenza l'una e l'altra del materialismo che sopprime ogni vincolo di fede comune, conducono ambe infallibilmente alla negazione di ogni iniziativa e alla schiavitù. Della prima e dei suoi risultati ci porge tale esempio la Francia, che dovrebbe, se pensassero, far rinsavire quanti imprudenti giovani s'affaticano oggi tra noi a risuscitare le vecchie ammirazioni e le vecchie speranze che ci indugiarono mezzo secolo sulla via. La seconda minaccia di soffocare, in Italia, sul nascere della Nazione, ogni coscienza di missione nel mondo, ogni virtù d'idea collettiva, ogni culto di tradizione d'avvenire e ridurci alla condizione d'una gente che produce e consuma, e vive di vita puramente materiale, senza individualità morale, senza fine comune da raggiungere, senza comunione di vita operosa spirituale colle altre Nazioni di Europa.

Indifferenza negli elettori provata, generalmente parlando, dalla cifra dei votanti nei collegi: indifferenza nei deputati provata ogni giorno dalla difficoltà di raccogliere il numero voluto per le sedute, dalla frequenza dei congedi chiesti e concessi, dall'affrettarsi dei rappresentanti alle loro città sull'accostarsi dalla menoma solennità che dia pretesto di vacanza prolungata sempre oltre i limiti voluti, dai voti dati senza discussione o quasi intorno a questioni di grave importanza: indifferenza negli uomini di governo che vivono d'espedienti, senza disegno premeditato, senza tradizioni politiche, senza quella tranquilla, tenace persistenza di concetti che in oggi lento ma continuo progressivo incremento alla Russia e agli Stati Uniti, e son paghi di superare le difficoltà della giornata senza guardare al futuro: indifferenza nei governati che biasimano e non combattono, presentano mali e non preparano i rimedî, pensano e non dichiarano ad alta voce il pensiero, e sembra accettino, regnante un sistema di semi-libertà, la vecchia formula dei tempi dispotici: non tocca a noi: indifferenza nei capitalisti che hanno innanzi, in Sicilia, nel mezzogiorno continentale, in Sardegna, nell'Agro Romano, nelle terre incolte d'Italia, una serie di nobili imprese da compiersi con giovamento proprio e del paese e le lasciano intentate o preda di speculatori stranieri. I lagni contro l'esagerazione e il pessimo assetto dei tributi prorompono da ogni lato e ad ogni ora; ma nessuno tenta contro un intero sistema una di quelle potenti agitazioni che in Inghilterra sorgono ordinate, pertinaci, sicure in ultima analisi di trionfo contro ogni atto o progetto economico non consentito dall'opinione. Le ire contro le giornaliere violazioni delle libertà individuali, gli arbitrî degli impiegati subalterni, la tristissima amministrazione delle leggi buone o cattive esistenti sono, più che frequenti, continui e suonano minacciose; ma da queste ire non è mai escito l'impianto d'una Associazione che, fornita di mezzi, s'assuma di rivendicare l'esercizio del diritto violato chiamando davanti ai tribunali i violatori, dall'addetto alla questura fino al ministro. Gli assennati si stringono nelle spalle come pensando: non gioverebbe; e i più frementi fra i giovani accennano a un giorno nel quale s'avrà da rifare l'intero edifizio: perchè affronterebbero noje e pericoli per correggere questo o quest'altro particolare?

Indifferenza alle cose dell'oggi e inerte presentimento d'inevitabili mutamenti; è questa la condizione generale delle menti in Italia. Un non so quale senso di provvisorio in tutto ciò che è, svoglia gli animi dal fare. Diresti che il paese, visitato da una grande, recente delusione, avesse smarrito la coscienza della propria forza e dei proprî fati e aspettasse rassegnato dai casi un incerto futuro.

Tristissima sempre, condizione siffatta di cose par quasi inesplicabile in una gente che, come la nostra, sorgeva jeri appena a Nazione o che, come la nostra, non visse mai nel passato di vita propria e spontanea senza diffonderne il calore e la luce a tutta l'Europa: inesplicabile a chi ricorda il levarsi ad impeto di marèa di questo nostro popolo, oggi intorpidito di scetticismo, dapprima nel 1848, poi dal 1859 al 1861, quando rifulse possibile la speranza d'unirsi in fratellanza d'azione, e i Mille iniziavano un'epopea rotta a mezzo da un cenno di re. Non basta a darne ragione il difetto d'educazione politica, il lungo servaggio, l'influenza addormentatrice d'un pugno di raggiratori o d'inetti che riuscirono a usurparsi i frutti delle opere altrui, e dai quali il paese, se si svegliasse, si libererebbe in tre giorni. Un'altra più profonda cagione signoreggia tutti i fatti secondarî e perpetua d'anno in anno, anche modificate, le circostanze, la condizione di cose alla quale accenniamo.

Abbiamo fin dal nostro programma indicato questa cagione; ma dacchè stampa e partiti fanno a gara per obliarla, è pur forza a noi di ripeterla e insistervi.

L'Italia non è costituita. La Nazione esiste di nome soltanto, senza espressione ordinata della propria vita. La leva che crea e mantiene la virtù iniziatrice nei popoli non ha punto d'appoggio nel paese. Ogni elemento è quindi passivo: soggiace: ripete fatalmente una serie d'atti in una direzione circolare; non trova in potenza per progredire.

Lasciamo da banda i vizî del nostro sorgere; l'azione straniera accoppiata, con pensiero diverso, alla nostra, e le vergogne che ne seguirono e pesano tuttora, a intorpidirla, sulla nostra coscienza di popolo. Ma non è il carattere predominante del nostro moto radicalmente falsato e in aperta, diretta contraddizione col metodo invariabilmente additato dalla storia, dacchè storia fu, come condizione essenziale d'ogni moto nazionale? Quando, dopo una impresa comune contro chi le manteneva smembrate, popolazioni appartenenti alla stessa zona geografica si levano coll'intento dichiarato di stringersi a vincolo di Nazione, esse affermano col fatto la coscienza attinta dall'identica origine, dalle tradizioni del passato, dalle conformi tendenze d'un fine comune, d'una via comune da corrersi, d'un metodo comune d'associazione da ordinarsi per tutte. Ma quella coscienza ha bisogno d'essere definita. Ed è necessario definire pubblicamente, solennemente, per tutti quale sia il fine nazionale, quale la migliore forma di associazione che può, salvi i perenni diritti del Progresso, guidare i cittadini della nuova Nazione a raggiungerlo.

Bisogna, in altri termini, che la Nazione interroghi la propria vita e le dia espressione di legge perchè sia norma alle opere nel paese e base riconosciuta di contatto cogli altri popoli.

Questa pubblica, solenne espressione è il Patto Nazionale. Senza esso non esiste Nazione.

Quale autorità può dettarlo?

Una sola: la Nazione medesima.

È necessario a questo esame della propria vita comune e della propria vocazione l'intervento di tutti gli elementi che compongono la Nazione. L'esclusione di un solo elemento costituirebbe a suo danno ingiustizia e tirannide.

Il paese che intende a formar Nazione elegge con voto universale i migliori tra i suoi a rappresentarlo e dettare il Patto, l'insieme dei principî che ne costituiscono la vita comune e dei quali tutte le leggi future dovranno essere progressivamente l'applicazione.

Assemblea siffatta, che noi chiameremmo volontieri Concilio nazionale, ha nome universalmente adottato di Costituente.

Senza Costituente e Patto nazionale non esiste Nazione fuorchè di nome.

L'Italia non ebbe la prima e non ha il secondo.

Le popolazioni italiane, fatte libere per le armi altrui o per virtù propria, furono interrogate se volessero unirsi o rimanersi divise, e la risposta non poteva esser dubbia. Non fu chiesto ad esse in nome di che, con quali principî, sotto quali forme d'associazione, con qual fine. Alla Costituente fu sostituito un Parlamento di pochi privilegiati per censo ed altro, continuazione di quello ch'era espressione incompiuta delle provincie sabaude quando l'Italia non era. Al Patto nazionale fu sostituito uno Statuto dato precipitosamente, per volontà regia e per paura d'insurrezione, a quelle provincie, dodici anni prima che l'Italia fosse. La Nazione non fu mai convocata a dichiarare la propria fede, le proprie volontà, le proprie tendenze. I suoi deputati giurano alla monarchia e al vecchio Statuto. L'Italia vive oggi come nel 1848 di vita piemontese, se buona o cattiva, sviata, perpetuata o migliorata non monta. La storia non offre un solo esempio d'una rivoluzione nazionale compita, tradita a quel modo.

E nondimeno, il principio d'una Costituente e d'un Patto fu affermato, sin dal 1848, dagli istinti dei popoli sollevati e da solenni promesse regie.

A guerra vinta, un'Assemblea italiana deciderà dei destini di Italia.

Il paese, comunque deluso, si rassegnò negli anni passati. Mancava Roma all'edifizio; e un'antica profetica riverenza alla città dalla quale si svolsero non solamente i fati storici italiani, ma quelli d'Europa, persuadeva alle menti che di soltanto potessero, come dal Sinai, scendere le tavole della legge. Oggi, abbiamo Roma e invece di Costituente e di Patto, i reggitori d'Italia vi agitano paurosi il problema del come possa perpetuarvisi, a patto di concessioni avverse ai tempi, il dualismo che fu l'anima e il tormento del medio evo.

In questo, dica altri a suo senno, sta la cagione suprema delle condizioni morali che lamentiamo e che minacciano di spegnere in culla la nuova vita. Gli Italiani sentono, consci o inconsci, l'assurdo, diremmo quasi, se la venerazione alla patria non lo vietasse, il ridicolo d'una situazione che vorrebbe aggiungere alle Nazioni una Nazione muta e senza espressione della propria vita. Un intenso senso potente benchè mal definito dice ad essi che quanto è in oggi è fantasma, e che i fantasmi non durano. Quindi il dubbio, l'irresolutezza sopra ogni cosa e l'inerzia: colpevoli senz'altro, ma intelligibili in un popolo che esce da un sepolcro di trecento anni.

Le idee, bisogna ripeterlo, governano il mondo. Manca all'Italia una iniziativa, e questa iniziativa di moto e progresso non sorgerà se non per la via che additiamo. Come in tutte le grandi questioni, è necessario che nella questione nazionale s'accerti il punto d'onde moviamo, il punto verso il quale moviamo, la via migliore per andare da un punto all'altro. E questo non può farsi se non colla Costituente e col Patto.

Non è qui parte nostra dire come gli Italiani debbano e possano tradurre in atto questi due termini del programma nazionale. Ma non s'illudano a credere di conquistare incremento, progresso continuo interno e vita fra le Nazioni d'Europa se non a patto di riescirvi. Noi guardiamo commiserando in silenzio la ruota d'Issione intorno alla quale sono legati i nostri amici parlamentari: i loro tentativi, le loro evoluzioni per escire dal cerchio fatale riesciranno inutili finchè la posizione del problema non sarà radicalmente mutata: come trarrebbero essi dal concetto dell'Italia smembrata del 1848 inspirazioni e iniziativa a dirigere innanzi l'Italia una del 1872? E commiserando leggiamo programmi di vaste riforme economiche e di nuova vita industriale italiana come quello di un uomo che stimiamo332 e che da qualche anno rotola, nella Camera e fuori, il sasso di Sisifo delle proposte tendenti a ricreare una condizione di progresso normale materiale all'Italia. Le più tra quelle proposte son buone; ma come attuarle? Può una Instituzione, la cui vita ha le sue radici nel passato e in un determinato tradizionale ordinamento economico amministrativo, mutare a un tratto e accogliere in un alito di libera vita nazionale senza paventarne rovina?

Poteva Turgot compire nella Francia della monarchia aristocratica ciò che la rivoluzione compì in brevi giorni? Le grandi riforme esigono, ad essere afferrate nel concetto e tradotte in realtà, un sovra eccitamento nella vitalità popolare, un senso d'audace fiducia in e nel futuro che sorge appunto dal fermento di tutte le forze condannate a giacersi latenti in una condizione come la nostra. Suscitatele e otterrete: non prima. Fate che la Nazione viva, e avrete da quella vita trasfusa negli intelletti e nelle volontà miracoli di rinnovamento. Non può darveli una Camera inceppata da un falso programma: nol può un popolo intorpidito nello sconforto e nel dubbio.

Il problema politico predomina su tutti gli altri. E il problema politico non può risolversi se non come abbiamo accennato. Manca nel caos che ci si stende d'intorno il fiat della Nazione. E quel fiat non può essere proferito che da una Costituente: non può incarnarsi che in un Patto nazionale. Tutto il resto è menzogna o, per ora, impossibilità.


 

 

 





331 La Roma del Popolo, N. 47.



332 G. Semenza, nel Progresso del 7 gennajo.



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