Giuseppe Mazzini
Scritti: politica ed economia
Lettura del testo

VOLUME PRIMO PENSIERO ED AZIONE.

SCRITTI DI GIUSEPPE MAZZINI

INTERESSI E PRINCIPÎ

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

INTERESSI E PRINCIPÎ112

 

 

I.

 

6 gennajo, 1836.

 

V'ha un rimprovero troppo spesso diretto a coloro che, come noi si arrestano volontieri sulle generalità politiche e insistono lungamente sui principî; ed è la poca cura per gli interessi materiali: la tendenza a sacrificare o trascurare il reale per ciò che si è convenuto di chiamare teorie astratte.

Ci vien detto: Voi siete sognatori: a che montano per noi tutte le vostre  discussioni di principî, che non possono se non maturare lentamente e che non potete rivolgere se non ad una piccola minoranza d'intelletti? A noi bisognano fatti, e fatti soltanto, in questo momento. Scendete dall'alta sfera nella quale non siamo disposti a seguirvi, e venite sul terreno delle applicazioni; lasciate le generalità; venite ai particolari. Parlate di ciò che si vede, che colpisce i sensi; affrontate la questione degli interessi materiali: pretendereste forse di far progredire le moltitudini con mere astrazioni? Vi è una gente che muore per mancanza di alimenti; uomini che hanno fame e sete; uomini che non hanno di che coprirsi nell'inverno. Tutte le vostre teorie di politica sociale, di Umanità, di credenza unitaria e religiosa, non li rifocilleranno, non daranno loro di che coprirsi. Palesate apertamente quei bisogni; insegnate al proletario quali sieno i suoi diritti; svelate una ad una le colpe, le ingiustizie, le turpitudini di coloro che li governano; condannate ogni atto del Potere che nuoca ad un qualche interesse, che leda un solo diritto. Lottate, lottate: gridate libertà nell'orecchio del Popolo. La reazione è l'elemento del secolo. Dirigetela. Nel mezzo l'atmosfera tempestosa che ne avvolge, nel mezzo alla procella politica che c'incalza e preme da ogni lato, non v'illudete113 a credere che la vostra parola di pace, la vostra debole voce d'uomini religiosi e compresi d'amore, possa essere intesa. Lasciate stare l'avvenire e la sua fede: il presente richiede ogni nostro pensiero. Consecratevi ad esso, e non venite a tediarci col vostro misticismo e colle vostre credenze spiritualiste.

Quelli che così parlano sono convinti di annientare colle loro apostrofi i sognatori.

E, nondimeno, quegli stessi uomini sono in preda allo sconforto; tacciono o maledicono. Cento volte hanno creduto adempiere il compito loro; e cento volte hanno dovuto rifarsi da capo. Tutto ciò ch'essi dicono, è stato detto: tutto ciò che fanno, è stato fatto; ma sempre inutilmente. Tutta la guerra d'analisi, tutta l'opposizione di dettaglio e d'applicazioni, che oggi ci viene consigliata, ha raggiunto in Francia il suo più alto grado di possibile svolgimento. E a qual punto si trova ora la Francia? È stata travolta di rovina in rovina; dalla Rivoluzione all'Impero; dall'Impero alla monarchia dei Borboni; da Carlo X a Luigi Filippo. Quale profitto seppe trarre da quei cambiamenti? Quale differenza vedete voi fra la censura della prima Restaurazione e le Leggi del settembre che riguardano la stampa? - Le sanguinose piaghe del proletariato sono state snudate. Mille volte si sono contate le vittime della profonda ineguaglianza sociale che è un insulto alla Croce di Cristo. Si sa oggimai quanto sudore e quante lagrime costi al povero il pane del ricco. Il povero stesso, l'operajo è venuto a perorare la propria causa davanti al tribunale dell'Europa atterrita, col suo Atto d'accusa in mano, compendiato in due parole, terribili nella loro energia: Morte o Lavoro. Un popolo di operai ha protestato contro l'attuale ripartizione del lavoro; contro l'avidità delle classi privilegiate. Che n'è venuto? Che cosa è stato fatto? Quali rimedî furono tentati? Quali grandi miglioramenti ottenuti? - Al grido di Morte o Lavoro del produttore, la classe speculatrice e improduttiva ha risposto: Morte. Il cannone ha tuonato. Tutta quanta l'opposizione, così intrepida, così instancabile nelle meschine guerricciuole d'interessi e di diritti, ha assistito immobile, coll'arme al braccio, alla carnificina. La Francia intera non ha proferito un solo grido che rispondesse al grido d'angoscia degli operai Lionesi. - D'onde ciò?

Grazie agli scrittori di tutto un secolo - grazie ai martiri di più secoli - la Libertà e l'Eguaglianza, come principî, sono ammesse oggi nella serie degli assiomi sociali. L'Indipendenza è universalmente riconosciuta come la più bella gemma della corona d'un Popolo. Il diritto di non essere oppresso, stremato, torturato dalla tirannide dei pochi o dall'invasione straniera è, nel cuore di tutti, un diritto sacro, imprescrittibile. Progrediamo noi per questo? - In Italia, in Polonia, in Germania, per tutto, gl'interessi materiali sono evidentemente lesi e non pertanto la coscienza del proprio diritto è in tutte le anime. Interrogate uno ad uno gli abitanti di quelle infelici contrade: incontrerete per ogni dove l'odio verso il Russo e verso l'Austriaco, e il desiderio manifesto d'emancipazione; la coscienza del diritto che sancirebbe l'insurrezione; il convincimento dei vantaggi reali che ne risulterebbero per le generazioni future. E nondimeno soffrono in silenzio; si curvano al giogo; non si adoperano a spezzarlo. - D'onde ciò?

Perchè, fra la tirannide e l'insurrezione, è forza passare a traverso gendarmi, prigioni e patiboli. Perchè, per affrontare tutto ciò, non basta la conoscenza del fatto; è d'uopo sentire che è dovere il distruggerlo. Perchè il mero convincimento non basta a iniziare la lotta: conviene che questa sorga come manifestazione d'una fede.

Vi furono uomini che predicarono la reazione a quei Popoli; che hanno detto loro: Voi avete interessi materiali; questi interessi sono calpestati; spetta a voi il provvedere al rimedio. Voi avete diritti: que' diritti sono violati: spetta a voi il rivendicarne il libero esercizio. - A tale intento si è cospirato. Ma la tirannide vegliava; ha fatto scorrere sangue in mezzo alla cospirazione; rotolar qualche testa ai piedi dei cospiratori. Si è quindi indietreggiato; una sola probabilità di morte ha avuto maggior peso che non mille probabilità di successo. S'è detto: I nostri diritti sono una buona cosa, e ci sarebbe caro il conseguirli: ma il primo di tutti è il diritto di vivere. L'interesse della vita è superiore a tutti gli altri interessi materiali possibili; li racchiude tutti; li vince tutti. Senza vita, non possono esservi diritti, benessere, ricchezza, miglioramento materiale. Perchè dovremmo arrischiare la vita per cosa incerta? Dove ne sarebbe il compenso? - Questo fu detto; e non volendo uscire dalla cerchia del calcolo materiale, noi diciamo che ciò è logico. Due terzi almeno delle rivoluzioni dei Popoli riescono a vantaggio della generazione che deve succedere a quella che le compie. Quest'ultima è quasi sempre condannata a segnare alla seguente coi suoi cadaveri la via del progresso. Essa stessa non può goderne. - Ora, per quale teoria d'interessi materiali, per quale dimostrazione di diritti individuali, potremmo noi dedurre una legge di114 sacrificio, una legge di martirio, se il martirio è la meta che ci attende? - Analizzate confrontate frase per frase tutte le dottrine degli utilitarî; non riuscirete mai a fare armonizzare con esse il sacrificio che uccide. Per qualunque Popolo, che non abbia altro stimolo che quello degl'interessi materiali, il martirio è atto di follia; Cristo non ha più alcun significato nella vita dell'intelletto.

In quanto a noi, affermiamo non esservi stata una sola grande Rivoluzione che non abbia avuto ben altra sorgente da quella degl'interessi materiali; sappiamo di sommosse, di insurrezioni popolari, ma non d'alcuna fra queste che sia stata coronata dal successo, non d'una che si sia mutata in Rivoluzione.

 

 

II.

 

Ogni Rivoluzione è l'opera d'un principio accettato come argomento di fede. Invochi essa la Nazionalità, la Libertà, l'Eguaglianza, la Religione, essa si compie pur sempre in nome d'un Principio, cioè d'una grande verità che, riconosciuta, approvata dalla maggioranza degli abitanti d'un paese, costituisce credenza comune e affaccia un nuovo fine alle moltitudini quando il Potere non lo rappresenta o lo nega. Una Rivoluzione, violenta o pacifica, racchiude una negazione e una affermazione: negazione d'un ordine di cose esistente, affermazione d'un nuovo ordine da sostituirsi. Una Rivoluzione dichiara che lo Stato è guasto, che il suo meccanismo non è più in relazione coi bisogni del massimo numero dei cittadini, che le sue istituzioni sono impotenti a dirigere il moto generale, che il pensiero sociale, popolare, ha oltrepassato il principio vitale di quelle istituzioni, che il nuovo grado di sviluppo delle facoltà nazionali non trova espressione e rappresentanza nella costituzione officiale del paese, e che gli è forza crearsela. La Rivoluzione la crea. Dacchè essa imprende ad accrescere non a diminuire il patrimonio della nazione, essa non viola le verità conquistate i diritti dichiarati sacri dalla maggioranza; ma riordina ogni cosa sulla nuova base: ricolloca in armonia intorno al nuovo principio tutti gli elementi, tutte le forze del paese; e comunica una direzione unitaria verso il nuovo fine a tutte le tendenze che si sfogavano prima in cerca di fini diversi. Allora, la Rivoluzione è compita.

Noi non intendiamo le Rivoluzioni altrimenti. Se non si trattasse in una Rivoluzione d'un riordinamento generale in virtù d'un principio sociale, d'una dissonanza da cancellarsi, negli elementi dello Stato, d'una armonia da ristabilirsi, d'una unità morale da conquistarsi, noi, lungi dal dichiararci rivoluzionarî, crederemmo debito nostro d'opporci con ogni sforzo al moto rivoluzionario.

Senza l'intento accennato possono aversi sommosse, e talvolta insurrezioni vittoriose; non Rivoluzioni. Avrete mutamenti d'uomini, rinnovamenti d'amministrazione, una casta sottentrata a un'altra, un ramo di dinastia salito al potere invece d'un altro. È quindi necessità fatale di retrocedere, di rifare lentamente il passato distrutto in un subito dall'insurrezione, di stabilire a poco a poco sotto altri nomi le vecchie cose che il popolo s'era levato a distruggere: le società hanno siffattamente bisogno d'unità che tornano addietro, se non la trovano nell'insurrezione, fino alle Restaurazioni. E quindi pure, un nuovo disagio, una nuova lotta, una nuova esplosione. La Francia lo ha provato a dovizia. Essa fece nel 1830 miracoli d'audacia e valore per una negazione: si levò per distruggere senza credenze positive, senza disegno organico determinato; e stimò aver compito l'opera sua cancellando il vecchio principio della legittimità. Essa scese in quel vuoto che l'insurrezione sola non basta a colmare. E perchè non riconobbe la necessità d'un principio riordinatore, essa si trova in oggi, sei anni dopo il luglio, cinque dopo le giornate del novembre, due dopo quelle dell'aprile, avviata verso una assoluta Restaurazione.

Noi citiamo l'esempio della Francia, perchè ad essa si chiedono generalmente insegnamenti, speranze e simpatie politiche; poi perchè la Francia essendo quello tra i paesi moderni nel quale più campeggiano le teoriche di pura riazione fondate sulla diffidenza, sul diritto individuale, sulla libertà sola, le conseguenze pratiche de' suoi errori riescono più convincenti. Ma venti altri esempi sarebbero presti. Da ormai cinquanta anni, tutti i moti che, l'un dopo l'altro, vinsero come insurrezioni e come rivoluzioni soggiacquero, provarono come ogni cosa dipenda dall'intervento o dal difetto d'un principio riordinatore.

Dove infatti i diritti individuali non s'esercitano sotto l'influenza d'un grande pensiero comune a tutti, dove gli interessi individuali non si affratellano nell'armonia d'un ordinamento diretto da un principio positivo dominatore e dalla coscienza d'un unico fine, esiste inevitabile una tendenza usurpatrice dell'uno sull'altro. In una società come la nostra, nella quale la divisione per classi, con qualunque nome si chiamino, vive tuttora potente, ogni diritto è certo d'incontrarsi in un altro ostile, invido, diffidente, ogni interesse è naturalmente combattuto da un interesse contrario, quello del proprietario da quello del proletario, quello del manifatturiere o del capitalista da quello dell'operajo. Per ogni dove in Europa, dacchè l'eguaglianza accettata in diritto è smentita dal fatto e l'insieme delle ricchezze sociali s'accumula nelle mani d'un piccolo numero d'uomini, mentre la moltitudine non ha da un assiduo lavoro se non la pura esistenza, impiantar libertà, libertà sola, dicendo agli uomini: eccovi emancipati; voi avete diritti; usatene, torna davvero in sanguinosa ironia e perpetua l'ineguaglianza.

È indispensabile un centro alla sfera sociale, un centro a tutte le individualità che s'agitano in essa, un centro a tutti i raggi diffusi in direzioni contrarie e dai quali non escono quindi luce e calore che bastino. Or la teoria, che colloca l'edifizio sociale sulla base degli interessi individuali, non può darlo. Assenza di centro o scelta, fra i diversi interessi, di quello che vive di vita più vigorosa - anarchia o privilegio - lotta senza risultati o germe d'aristocrazia di qualunque nome s'ammanti: è questo un bivio dal quale non s'esce.

Vogliam noi questo?

Vogliamo noi condannarci da per noi a travolgerci continuamente nel vortice che aggira da mezzo secolo in poi la Francia e l'Europa? Vogliamo ostinarci a fare, disfare, rifare, e sempre in una condizione provvisoria di cose, sempre incerti del che segue? Vogliamo lotta o pace e armonia? Tutta la questione è qua dentro.

Per noi non v'è dubbio. Per trovare un centro agli interessi molteplici, è necessario innalzarsi a una regione suprema su tutti, indipendente da tutti. Per metter fine alla condizione provvisoria e ordinare un avvenire pacifico, è necessario riannettere quel centro a tal cosa che sia eterna come il Vero e progressiva come il suo svolgersi nella sfera dei fatti. Per impedire l'urtarsi della individualità è necessario scoprire un fine comune a tutte e dirigerle verso quello. Per accrescere a pro' di ciascuna le probabilità di raggiungerlo, è necessario accomunare gli sforzi di tutte, associarle. Che altro è l'associazione se non un concetto unitario? E come intendere un concetto unitario senza un principio intorno al quale si svolga?

Noi siamo dunque trascinati forzatamente sul terreno dei principî. Dobbiamo ravvivare la credenza in essi: compire un'opera di credenza, di fede. Lo esige la logica delle cose.

I principî soli fondano. Le idee non si traducono in fatti senza forti credenze universalmente riconosciute. Non si compiono grandi cose se non rinegando l'individualismo e con un sacrificio costante al progresso generale. Ora, il sacrificio è il sentimento del Dovere in azione. E il sentimento del Dovere non può scendere dagli interessi individuali, ma esige la conoscenza d'una legge superiore inviolabile. Ogni legge posa sopra un principio; dove no, è arbitraria ed è permesso violarla. È necessario che quel principio sia liberamente accettato da tutti; dove no, la legge è dispotica ed è dovere violarla. L'applicazione del principio sta in una vita conforme alla legge. Scoprire, studiare, predicare il principio che deve esser base alla legge sociale del paese e del tempo in cui si vive: è questo lo scopo d'ogni uomo che volga il pensiero a un ordinamento politico. La fede in quel principio genera le opere efficaci e durevoli. La sola e sterile conoscenza degli interessi individuali non può generare che la sola e sterile conoscenza del diritto individuale. E la conoscenza del diritto individuale può generare alla volta sua, quando quel diritto è negato, disagio, opposizione, lotta, insurrezione talora, ma insurrezione che, come quella di Lione, non frutta se non rinacerbimento d'ostilità tra le classi che compongono la società. È necessario dunque tornare pur sempre, quando si vuol compire un di quei grandi fatti che si chiamano Rivoluzioni, alla conoscenza, alla predicazione dei principî. Il vero stromento del progresso dei popoli sta nel fatto morale.

Trascuriamo noi, perchè diciamo queste cose, il fatto economico, gli interessi materiali, l'importanza delle conquiste operate nella sfera industriale e dei lavori che le operarono? Predichiamo i principî pei principî, la fede per la fede, come la scuola letteraria romantica predica in oggi l'arte per l'arte?

A Dio non piaccia. Noi non sopprimiamo il fatto economico: lo crediamo al contrario destinato a ricevere, nella società futura, un allargamento più e più sempre considerevole del principio d'eguaglianza, e ad ammettere in il principio fecondatore dell'Associazione. Ma lo sommettiamo al fatto morale, perchè sottratto alla sua influenza direttrice, disgiunto dai principî e abbandonato alle teoriche d'individualismo che lo governano in oggi, sommerebbe a un egoismo brutale, a una guerra permanente fra uomini chiamati ad esser fratelli, all'espressione degli appetiti della specie umana, quando invece esso dovrebbe rappresentare, sulla curva ascendente del progresso, la traduzione materiale della sua attività, l'espressione della sua missione industriale.

Non trascuriamo gli interessi materiali: respingiamo al contrario come imperfetta e inconciliabile coi bisogni dell'epoca ogni dottrina che non li comprendesse in o li riguardasse come meno importanti di quel che veramente sono: crediamo che ad ogni grado di progresso debba corrispondere un miglioramento positivo nelle condizioni materiali del popolo; e questo successivo miglioramento è in certo modo per noi una verificazione del progresso operato. Ma non ammettiamo che gli interessi materiali possano svilupparsi soli e indipendenti dai principî, quasi fine della società; perchè sappiamo che teorica siffatta cancella la dignità umana: perchè ricordiamo che quando in Roma il fatto materiale cominciò ad essere predominante e il dovere verso il popolo si ridusse a dargli pane e spettacoli, Roma e il popolo correvano a rovina, perchè vediamo oggi in Francia, nella Spagna, per ogni dove, la libertà conculcata o ingannata in nome appunto degli interessi di bottega, in nome della dottrina servile che separa il benessere materiale dai principî.

Non dimentichiamo i servigi resi alla causa del progresso dalla scuola politica dei diritti, l'importanza dei lavori economici che assalirono, sul finire del XVIII secolo, l'assurdo e immorale sistema restrittivo col quale i Governi commettevano a' doganieri lo sviluppo industriale della Nazione come ne commettevano lo sviluppo morale a censori e birri: in un'epoca nella quale i diritti degli individui erano sistematicamente violati, quei lavori erano indispensabili, e senz'essi noi non saremmo ove siamo. Ma quei lavori sono oggi oltrepassati: non possiamo durare inerti per entro i limiti ch'essi segnarono, senza rinegare le nuove tendenze che mirano a riedificare. I popoli fecero plauso all'opera distruggitrice dello scorso secolo, perchè speravano sottentrasse un nuovo ordinamento all'antico; ripetutamente delusi, non moveranno se non suscitati da un nuovo programma organico. L'individuo è sacro: i suoi interessi, i suoi diritti sono inviolabili; ma porli come unico fondamento all'edifizio politico, e dire agli individui: conquisti ciascuno, e colle sole forze che ha, il proprio avvenire, è un dare la società e il progresso agli arbitrî del caso e alle alternative d'una lotta perenne; è un trascurare il fatto principale dell'umana natura, la socialità; è un impiantar l'egoismo nell'anima e ordinare per ultimo il dominio dei forti sui deboli, di quei che possedono mezzi su quei che ne sono privi. I molti inefficaci tentativi degli ultimi quarant'anni lo provano.

Quando dunque noi predichiamo quasi esclusivamente i principî che ci sembrano derivare dalla condizione attuale della conoscenza umana, intendiamo seguir la via che guida al futuro, tanto materiale quanto morale, delle nazioni. Quando insistiamo sulla necessità d'inalzare su quei principî un edifizio di credenze che sottentri alle credenze spente o vicine a spegnersi, intendiamo soddisfare a un voto dei popoli sovente male espresso, più sovente frainteso, ma che rivelato a ogni modo dalle manifestazioni più disgiunte e dissimili, è il segreto storico del XIX secolo. E quando diciamo: «inalzatevi alla sfera dei principî: guidate i popoli, oggi erranti nel vuoto, alla legge del Progresso, all'Umanità, a Dio: ridestate il senso morale, il sentimento del Dovere negli uomini ch'altri tenta convertire in macchine da calcolo: mostrate un grande intento ai giovani oggifacilmente assaliti dallo sconforto e dal dubbio: rifate coll'entusiasmo colla religione, coll'amore, una esistenza morale all'uomo, dacchè l'antica del privilegio e dell'ineguaglianza è cenere e polve:» lo diciamo convinti che ogni altro modo di trattare le cose politiche è illusione o menzogna; convinti che le forme politiche considerate isolatamente e per , sono, come l'antichità diceva delle leggi, ragnateli che imprigionano i piccoli insetti e son lacerati dai grandi; convinti che lo spirito solo importanza alle forme: che le istituzioni sono lettera morta, inefficace, impotente, ogni qual volta l'alito del progresso popolare della fratellanza, dell'associazione non le vivifichi: che tutte le dichiarazioni scritte sono un nulla dove tutti, abbandonati all'individualismo e ordinati sopra una base d'ineguaglianza, tendono naturalmente a eluderla cercandovi a un tempo uno stromento di difesa contr'altri: convinti che ogni altra via non può giovare alla causa dell'Umanità, ai grandi interessi del popolo, del lavoro, della nazionalità, del miglioramento morale, sole cose che meritino il nostro sagrificio e le nostre fatiche.

Riuscite a istillare nell'anima d'un popolo o nella mente, de' suoi educatori, de' suoi scrittori, un solo principio, e varrà più assai per quel popolo, per quel paese, che non tutto un corso d'interessi e diritti indirizzato a ciascun individuo, che non tutta una guerra mortale agli atti d'un Potere corrotto.

Quando avrete, a cagion d'esempio, radicato nel core della nazione quel principio dichiarato, non applicato, dalla Rivoluzione Francese: lo Stato deve l'esistenza o il lavoro per essa a ciascuno de' suoi membri, avrete, aggiungendovi una giusta definizione dell'esistenza, preparato il trionfo del diritto sul privilegio, il termine del monopolio d'una classe sull'altra e la fine della mendicità, per la quale non avete oggi che palliativi, carità cristiana o consigli freddamente atroci come quelli dati dagli economisti della Scuola Inglese.

Quando avrete educato gli animi alla fede nell'altro principio: la società è una associazione di lavori e potrete, mercè quella fede, desumerne logicamente e praticamente tutte le conseguenze, non avrete più caste aristocrazie guerre interne crisi: avrete un popolo.

E quando la parola: tutti gli uomini d'una nazione sono fratelli avrà fatto dell'anima un santuario di virtù e d'amore - quando il grande pensiero della Nazionalità non sarà più ringrettito a proporzioni meschine e non si limiterà più ad appoggiare il proprio diritto sopra un interesse materiale contrastato sempre da un altro, ma si verserà, puro e santo, dalla madre al fanciullo nella preghiera del mattino, in quella della sera, in quell'ore nelle quali la donna trasformata in angelo insegna le verità del cielo alla propria creatura, siccome assiomi e principî immutabili - avrete allora soltanto una Nazione quale non può esservi data dai sofisti che pretendono fondare nazionalità senza Dio; perocchè una Nazionalità è una credenza in una origine e in un fine comuni, e costituita oggi da un interesse può essere rovesciata domani da un interesse più audace e più potente.

E così via via. Per natura loro, i principî, che taluni relegano tra le cose astratte, sono sì poco separati dagli interessi materiali e da ciò che chiamano fatto economico, che ne trascinano il trionfo pratico siccome conseguenza inevitabile. La loro sfera li comprende, li abbraccia tutti. Ma ogni progresso materiale è risultato infallibile d'ogni progresso morale. Invece di logorare le forze in una guerra minuta, cercando conquistare gli interessi ad uno ad uno e sempre senza certezza di stabilità, noi tentiamo di risalire alla sorgente comune e stabilirci trionfatori nel centro della contesa. Gli effetti di questo lavoro possono parere più lenti; ma sono più certi e soli durevoli. L'opera di fede, l'opera morale, si compie, come il moto dell'ago sull'orologio, insensibilmente; ma spetta ad essa soltanto d'indicare le ore solenni delle Nazioni.

Un Giornale non è un lavoro di legislazione: non opera se non a gradi. Un Giornale non ricopre i poveri seminudi, non pane agli affamati: predica, insiste perchè si faccia. Or come operare sull'anima di chi legge? Come convincere non solamente dell'esistenza del male ma della necessità di porvi rimedio? Come comunicare al lettore lo spirito d'attività, la forza di sagrificio necessaria per superare gli ostacoli? Un Giornale è, generalmente parlando, scritto per le classi agiate; e queste classi, confortate di prosperità, non hanno l'esperienza dei patimenti, delle privazioni: esse vedono talora i mali del povero, ma s'avvezzano facilmente a considerarli115 come una triste necessità sociale, o lasciano la cura di rimediarvi alle generazioni future. L'indifferenza e l'obblìo sono sì dolci per chi siede nel sacrario della famiglia, circondato da volti sorridenti, mentre il vento d'inverno soffia al di fuori e la neve batte, minuta e rapida, l'invetriata d'una doppia finestra! Sperate voi di strappare quei felici del mondo all'inerzia colla semplice espressione del fatto economico e di ciò che dovrebbe sostituirglisi in una società ben ordinata? Sperate di scotere il loro riposo d'egoismo colla sola fredda analisi di ciò che accade in una sfera nella quale essi non penetrarono mai? Approveranno forse, come mera teorica, le vostre dottrine d'utilità; ma non chiedete loro d'operare a seconda. Perchè lo farebbero? voi parlate in nome degli interessi. Non è primo fra tutti il godere? or essi godono.

Tra l'approvazione e il sacrificio perciò che s'approva, giace un abisso che voi, col metodo vostro, non potete varcare. E nondimeno è quello il problema. L'uomo è pensiero e azione. Le vostre teoriche possono modificare il primo, non creare l'azione.

È dunque necessario modificare, riformare, trasformare l'uomo tutto quant'è nell'unità della vita. Bisogna insegnargli non il diritto, ma il dovere: ridestare al meglio l'indole imbastardita, l'anima semispenta, l'entusiasmo appassito: risollevare una potenza d'agire oggi schiacciata sotto l'indifferenza, colla coscienza della dignità umana e d'una missione da compirsi quaggiù. Ed è opera questa che spetta ai principî, alle credenze, al pensiero religioso, alla fede.

E fu l'opera di Gesù. Ei non cercò salvare coll'analisi il mondo morente. Non parlò d'interessi a uomini sui quali il culto degli interessi avea versato il veleno dell'egoismo. Affermò, nel nome santo di Dio, alcuni assiomi fino allora ignoti; e quei pochi assiomi che noi, dopo diciotto secoli, cerchiamo tradurre in fatti, mutarono aspetto al mondo. Una sola scintilla di fede compì quello che tutti i sofismi delle scuole filosofiche non avevano saputo intravvedere: un passo nell'Educazione del genere umano.

Il problema attuale - non ci stancheremo di ripeterlo mai - è, come ai tempi di Cristo, un problema d'educazione. Or cos'è mai una educazione che non posa su principî, che non è desunta da una fede comune, che non mira a conquistarle vittoria?


 

 

 





112 Quest'articolo è stato in gran parte tradotto dall'Autore stesso, come indicano le virgolette che segnano quella parte.

Nota della Trad.



113 Nell'originale "illudetete". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



114 Nell'originale "si". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



115 Nell'originale "consideraarli". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License