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MISSIONE DELLA STAMPA PERIODICA
1848.
La stampa periodica politica ha oggi un'alta missione; è necessario per essa sollevarsi a quell'altezza o perir moralmente, consumando le forze, senza potenza d'iniziativa, per entro un misero cerchio di fatti transitori e di polemiche inutili o pericolose.
Tutto è transitorio oggi in Italia. Abbiamo innanzi agli occhi, nella penisola, il sublime ma disordinato fermento d'un'opera di creazione, e intorno, per tutta Europa, i sintomi innegabili d'un'opera di trasformazione. Troni edificati con cure ed arti ridotte per diciassette anni a sistema e forti d'armi, d'ingegno pervertito e di corruttela, rovesciati in un subito: principi nati e cresciuti tiranni frementi un tempo alla sola idea di progresso, conceditori a un tratto di libertà e vogliosi d'affratellamento cogli uomini devoti pochi anni prima al palco o all'esilio: un papa, successore a Gregorio XVI, acclamato dai popoli banditore d'emancipazione, apostolo della democrazia del Vangelo: il diritto che dal trattato di Vestfalia in poi regolava la vita internazionale dei popoli lacerato a brani, in una terra e provvidenzialmente, dagli oppressori, in un'altra dagli oppressi; e nazioni nuove accennanti sorgere, razze mute finora nella storia ch'oggi si raccolgono e si apprestano a proferire la loro parola, classi intere, e le più numerose, trattate finora con disprezzo o terrore, chiamate, dall'arcana potenza educatrice dell'umanità, ad atti meravigliosi di potenza e virtù, a coscienza imprevista di missione comune, di fratellanza d'eguali coll'altre classi; questo per l'Europa; - e qui in Italia, un popolo che si leva gigante da un sonno di secoli; un forte esercito straniero accampato da lunghi anni nelle nostre città, nelle nostre fortezze, nelle posizioni più difficili a vincersi, côlto di terrore dal suono a stormo delle nostre campane, fuggente davanti al berretto di giovani volontari, ricacciato in sulle prime fin quasi all'Alpi da insurrezione di cittadini; un grido unanime d'Italia e di libertà, là dove la statua d'Italia era velata e non poteva insegnarsi libertà che dai pochi e a prezzo di sangue; un anelito al confondersi in uno, al riviver fratelli, là dove l'ultima parola libera era stata parola di guerra, e il mondo diceva: non rivivranno più mai perchè non sanno amarsi l'un l'altro. È spettacolo grande e degno di Dio; spettacolo profetico della sua vita, che sommove in oggi le moltitudini, come l'alito dell'alba sommove l'addormentata campagna e le inonderà tra non molto d'una nuova immensa potenza e d'un nuovo amore, come il sole inonda, abbraccia la natura, ridesta di luce e calore. A nessuno, qualunque sia l'ostacolo ch'egli incontra, è lecito sconfortarsi senza ateismo. A nessuno, qualunque sia l'apparenza delle cose che gli suggerisce un'opinione o giudizio, è lecito far altro che presentir l'avvenire e dirlo fraternamente. Soccorrimi, o Dio, mormora l'abitatore delle spiaggie della Brettagna: Il mare è sì vasto e la mia nave è sì piccola! E noi siam tutti simili all'abitatore della Brettagna. Vasto è il mare d'un popolo che si ricrea a nuova vita: infiniti, incerti sono gli orizzonti che si rivelano successivi a chi rivive con esso, e l'intelletto, alimentato, spronato, determinato ne' suoi giudizî dai fatti dell'oggi, è sì piccola cosa!
L'intelletto suscitato dalle speranze e dai timori dell'oggi, è in una fase transitoria come il mondo che gli s'agita intorno e su cui si esercita: e vorremmo ricordarlo a quanti nostri fratelli parlano o scrivono intorno a' destini politici del paese. Noi non siamo in tempi normali. Ogni giorno rivela un nuovo elemento d'azione, una facoltà, una tendenza che ci era ignota. Ogni giorno sospinge innanzi d'un passo il nostro popolo; e i passi d'un popolo sono i passi del Nettuno omerico. In tempi siffatti, sopra un terreno vulcanico,davanti a un popolo inteso in sobbollimento d'affetti, di voti, d'aspirazioni, d'istinti, l'assoluto nelle opinioni è gravissimo errore, l'intolleranza una colpa, colpa, diciamo, non verso gl'individui, che poco importa, ma verso l'avvenire, verso i fati non decisi della nazione. Il pensiero è sacro. Forse nell'idea, ch'oggi vi sembra falsa e nocevole, cova il futuro sviluppo della patria comune. Noi tutti tendiamo verso lo stesso fine, adoriamo lo stesso ideale: differiamo sui mezzi. Noi crediamo che l'Italia una non potrà sorgere che all'ombra della bandiera repubblicana ondeggiante dall'alto della città ch'ebbe il Campidoglio ed ha il Vaticano; altri crede che a raggiungersi l'unità debbano costituirsi prima cinque Italie, poi quattro, poi tre, sino a fusione assoluta; altri che il sistema federativo sia preferibile all'unità. Discutiamo: illuminiamoci: fermi ed aperti intorno a pochi principî conquistati dal lavoro dei secoli e impiantati nella coscienza dell'umanità; tolleranti e modesti quanto ai disegni architettati su quello che noi chiamiamo fatti e non è forse che apparenza di fatti: tolleranti e modesti ogni qual volta noi non abbiamo fondamento ai disegni convinzioni perenni, ma solamente calcoli di opportunità e concessioni a necessità transitorie che il domani forse cancellerà. Le nazioni si fondano sull'eterno, pe' principî, pel vero. Ai credenti nell'eterno, nei principî, nel vero, spetta, nei grandi periodi di trasformazione, più assai parte d'iniziativa che non agli uomini del reale, del possibile, dei fatti, come oggi sono. Ricordatevi che Cesare Balbo aspettava l'emancipazione italiana dallo smembramento dell'impero turco: - che Massimo d'Azeglio dichiarava impossibile a un papa l'esser buono efficacemente; - ch'altri predicava il progresso italiano non potere che scendere dall'alto, e l'insurrezione, l'iniziativa sgorganti dalle viscere del popolo, esser cosa funestissima, rovinosa. E Dio e il popolo creavano Pio IX; e l'insurrezione di Sicilia conquistava libertà di Statuti a tutta l'Italia: e le barricate di Milano scioglievano, senza il beneplacito dell'Oriente, la questione d'indipendenza. Ah! ben altri segreti di forza e d'azione fremono nel core di questo popolo che non i calcolati dagli uomini del possibile e delle cinque Italie!
Ma intanto, e mentre noi tutti discuteremo fraternamente sui mezzi, sulle vie da scegliersi, esiste una sfera superiore alla quale è necessario che la stampa periodica s'inalzi, o, ripetiamo, rinneghi ogni potenza d'iniziativa. Il problema che s'agita è problema d'educazione; gli scrittori politici hanno ad essere educatori, e un giornale deve essere un atto di sacerdozio, un'opera d'apostolato. Noi non combattiamo solamente per l'impianto d'un sistema o d'un altro: combattiamo perchè gli uomini, e gl'Italiani, segnatamente, migliorino, perchè imparino più sempre ad amarsi, perchè vie meglio corrispondano, facendo sempre più potente e diffondendo al maggior numero possibile l'associazione, il patto fra gli eguali, al disegno della provvidenza; perchè crescano in intelletto, in attività progressiva verso il fine che Dio prefisse all'umanità. Le istituzioni che noi cerchiamo son mezzi d'educazione, non altro. E questa educazione morale che le istituzioni, quando che sia, compieranno, noi possiamo e dobbiamo iniziarla fin d'ora. Noi dobbiamo rannodare cielo e terra; religione e politica. Dalla sfera secondaria nella quale le ricerche e le discussioni sfumano pur troppo sovente in querele di partiti avidi del trionfo d'un giorno, dobbiamo salire, quante più volte possiamo e perch'altri vi salga con noi, alla più sublime, dove vivono e s'inculcano la fede in Dio, nell'umanità e nella patria; la soggezione alla legge morale che guida i fati del mondo; la riverenza al popolo, non perchè forte di cifra potente inevitabile, ma perchè riassumendo in sè tutte quante le facoltà di religione, di politica, d'industria e di arte largite all'umana natura ma disperse sugli individui, e solo interprete progressivo di questa legge: alla sfera insomma dei principî, comunque immediata o remota possa esserne l'applicazione. Dobbiamo fondar la politica sulla definizione della vita sulla missione della creatura quaggiù, sulla credenza di dovere e di sacrificio che solo fa santa la politica, sola può avviare a un'armonia permanente d'affetti e d'azioni le moltitudini. Dobbiamo ritemprare, riconsecrare a grandi pensieri, a forti fatti, l'uomo ineducato per ineguaglianza di sorti, corrotto dall'arti della tirannide, avvezzo alla diffidenza, alle cieche subite reazioni. Dobbiamo insegnargli l'umanità ch'egli ignora, per la quale egli sta, ne' suoi atti, mallevadore, lavoratore nell'opificio speciale che Dio gli assegnava, la patria. E per questo dobbiamo mostrargli in noi gli uomini: gli uomini ch'egli cerca e, trovati, venera, lontani dalle esagerazioni, dai tristi sospetti e dalle stolide adorazioni, cercatori unicamente del vero e devoti a rappresentarne il culto negli atti pratici della vita. Gli uomini sono i libri del popolo; la parola vivente ch'ei cerca e segue. Un uomo uno nell'idea e nell'azione, del quale nessuno possa dire: l'opere vostre non consuonano co' vostri detti, è più potente di mille volumi sopra una nazione che si rigenera.
E base, principio sommo di questa opera educatrice a cui noi invitiamo i nostri fratelli della stampa politica, è la santità, l'inviolabilità del pensiero. È il nostro palladio; e noi ne siamo custodi. Ognuno di noi qualunque sia l'opinione particolare alla quale appartiene, dovrebbe farsi mallevadore per tutti della libertà del pensiero. Ognuno di noi, repubblicano, monarchico, unitario o federalista, dovrebbe stringersi agli altri come a fratelli su questo terreno comune.
Noi facciamo a' nostri colleghi proposta formale in nome della inviolabilità del pensiero, d'un'associazione diretta a tutelarne, qualunque sia l'avvenire, la libertà: d'un'associazione che s'opponga, in ogni caso d'arbitrio e di tirannia, colla voce di tutti, coi mezzi di tutti, a qualunque violazione, a qualunque ingiusta limitazione ne fosse in avvenire tentata. Se la proposta verrà accettata, noi ne sminuzzeremo le condizioni, e un'assemblea, composta d'un delegato per ogni giornale, le giudicherà.
Il primo atto collettivo del giornalismo ne fonderà a un tempo la moralità e la potenza. In noi sta oggi l'espressione molteplice della coscienza italiana. È deposito sacro; e dovremmo vegliarvi sopra, come i Leviti vegliavano sull'Arca del Patto.