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Articolo apparso sulla Cronaca Bizantina il 16 giugno 1883
Majora canamus! Entriamo nella latitudine tropicale della high life del genere. Le inaugura Cora Pearl - passando per la regione delle Dames du Lac; le corona Eugenia Imperatrice - passando per la regione delle dame della sua corte, e le ambasciatrici, e le parenti della casa imperiale, rasentando le grandi attrici, le grandi e le piccole autrici, con nomi virili o senza.
L'Esposizione di Parigi del 1867 fu l'esposizione delle grandi etère. Tutte se la ricordano. Facevan corona tutte ad Eugenia Montijo...
Ma non violiamo la cronologia. Arriveremo anche a queste, salendo salendo. E l'ascensione è lunga, benché rallegrata da fiori, profumi, diamanti, broccati, traine imperiali e borghesi, crinoline, polissons, suivez-moi jeune homme!... polvere di cipria e di oro nei capelli... capelli quasi sempre sbocciati nella bottega del parrucchiere! Questa rivista potrebbe, dovrebbe essere butterata di nomi propri. Vi pongo mente. Affibbio alle creature viventi nomi di fantasia; alle morte farò qualche cortesia. Per fortuna esse hanno di già preso un nome di guerra - dopo Sedan cangiato con altro di circostanza. Non sono più la marchesa di G., la duchessa di M., la marchesa di P., la contessa di P., ma Canaillette, Souillette, Gaminette, Cochonette... Ma torniamo a Cora Pearl.
Io avevo conservato l'amicizia di Metella, nonostante il barone suo marito - e... per consolarla del barone! Ella abitava l'està, a St. James, una villetta la quale aveva una porta che si apriva sul Bois de Boulogne. Suo marito era andato nel dipartimento dell'Aube, dove avevano una bella proprietà, per sorvegliare un taglio di legname a fare colà, ed aveva condotto seco le bambine. Mammà era libera; e la sera si annoiava. Le sue amiche antiche e nuove venivano a vederla e sovente pranzavano con lei. La più assidua era Madame Monjon. Suo marito era professore di letteratura in un collegio, credo lo Chaptal. Lui, era giovane ancora, ma infermiccio. Ella, una bruna che aveva trenta mila diavoli in corpo. Ora, a domare i diavoli, un esile e malconcio professore non bastava. Per scongiurarli, si offerse un loro amico, dello stesso borgo in Normandia; il comandante Joubert, dei chasseurs d'Afrique, un amico intimo del colonnello Fleury: l'anima dei cospiratori del 2 dicembre, che in quel punto si ordiva.
Eravamo nel mese di ottobre. Il Presidente della Repubblica - le Prince Président - villeggiava a Saint-Claud. Dava una festa di ballo. Chi invitare, a quel ballo, del sesso bello? Le dame del Feaubourg St.-Germain non avrebbero accettato; tenevano il broncio perché la Francia si era data un padrone della casa Bonaparte e non mica il conte di Chambord, come re di Francia e di Navarra. Le dame del partito orleanista? Tanto meno. Portavano il lutto alla monarchia espulsa ed a quel tempo in Inghilterra. Non si rischiavano a invitare le signore dell'alta borghesia, dell'alta Banca, della classe dei letterati e professori: compromettevano troppo. Bisognò restringere gl'inviti alle mogli dei militari dei gradi superiori, e loro conoscenze, ed alle signore degli artisti.
Il comandante Joubert ricevè cinque biglietti d'invito. Ne diede uno a Metella, una a Madame Monjon, uno a Cora Pearl, gli altri ad altre. Metella mi pregò di accompagnarla al ballo del Presidente. Maria Monjon accettò, ma sub conditione! Metella doveva prestarle una parure di diamanti ricevuta dal suo conte di L. in occasione di certo giorno memorabile. Metella esitava a prestarlo. Io la confortai, per riguardo al comandante. Ed avevo la ragione dal lato mio.
- Come? - le dissi io - avete prestato 3000 franchi al comandante sopra una semplice cambiale - mentre la sua amica Cora Pearl rifiutò - ed esitate a prestare un monile che ne vale appena 1000, o poco più? So bene che voi contate sul successo del colpo di Stato, per la restituzione. Il comandante ne ha fatto il suo va-tout: sarà generale brigadiere o avrà un paio di palla d'insorti in corpo.
- Precisamente. E come ho il fiuto dell'abilità del comandante, è più probabile che toccherà il grado dall'Eliseo, anzi che le palle dai faubouriens del quartiere St.-Denis. Fleury non sciupa gli uomini come Joubert. Lo collocherà dove non correrà rischi.
***
Fui incaricato di portare il monile a Maria Monjon. Era un lunedì: il giorno della lezione del professore al collegio. Mi recai alla rue d'Amsterdam alle 11 ant. Una sua soubrette, che incontrai sul ballatoio, mi disse che la signora non era ancora alzata. Potevo però aspettare nel gabinetto di monsieur, fino a che ella non sarebbe tornata dalla crémerie per annunziarmi. Aprì quindi l'uscio e mi fece entrare.
M'incontrai faccia a faccia col comandante. Gli dissi perché venivo. Egli ordinò alla soubrette di annunziarmi immediatamente alla signora. Ed entrai.
La camera da letto era un piccolo nido, borghese ma molto confortevole, tappezzato di crétonnes. La perse di allora si chiama crétonne oggidì. Poi arredi di legno di tuya, allora alla moda, ed un gran divano di velluto. Quivi era assisa Maria, levatasi proprio in quel momento di letto ed ancora in peignoir de nuit.
Era alquanto chiffonnèe; non aveva ancora avuto tempo di vestirsi; dovevo scusare se mi riceveva in una camera non ancora accomodata... ma non voleva farmi aspettare, supponendo che le portavo una risposta della sua buona amica ...e ... e ... altro.
- In fatti - dissi io - cavando l'astuccio dei diamanti. Ella lo prese, l'aperse e si mostrò lietissima. Era provocante. Brunetta, alta, l'occhio serpentino, la bocca formidabile, lasciando vedere certi denticini di gattino che avrebbero croquè il Monte Bianco, se fosse stato un masso d'argento! Voleva alzarsi, e provare gli orecchini. Ripresi l'astuccio. Glieli proverò io, mi ero detto fra me! Con quelle orecchie bianche a lobo morbidetto, coperto dalla peluria rosa di una pesca matura! Voglio la mezzania.
- Ve li provo - dissi dunque io - V'è un gancetto un po' torto; io conosco come maneggiarlo; ne ho l'abitudine.
Mi prestò la guancia senza osservazione. Carezzai l'orecchio provocatore. Non protestò! Lo baciai. Appena si scostò un tantino! Lo mordicchiai. I suoi occhi si arroventarono; la respirazione si accelerò! Provai gli orecchini; andavano a meraviglia! Volli provare il monile al collo. Sbottonò il suo saute du lit di battista, si mise a nudo... Dio santo!
Un'ora dopo andai via. I ragazzi avevano bussato la porta, tornando dalla scuola, per baciare la petite maman.
***
Tutto fu combinato per andare insieme al ballo del Presidente. Il comandante veniva a prenderci alla casinetta di St. James. Avrebbe pranzato prima con noi quivi; poi sarebbe andato a prendere Madame Manjon, la quale non aveva potuto pranzare con noi, perché suo marito era infermo, opportunamente, e non poteva neppure accompagnarla a Saint Cloud. Cora veniva nel suo equipaggio... del marchese d'Aurillac.
Io non ho visto riunione più curiosamente, più eccentricamente e grottescamente composta di quella. La maggior parte delle signore erano americane, o spagnuole, o italiane; le altre, mogli, figlie di militari, o di impiegati: qualche moglie di pittore e di scultore in relazioni uffiziali coll'Eliseo. Le vesti di velluto - di velluto, in autunno! - abbondavano. Sul capo di quelle donne v'era un giardino botanico - fauna e flora - fiori ed uccelli di paradiso e piume; profusione di oreficeria; il resto all'avenant. Le meglio azzimate, per gusto, erano Metella e Maia; per ricchezza e originalità, Cora Pearl. Fecero quindi prime. Napoleone passando le salutò con distinzione, dando la mano al comandante.
Io mi aggiravo nei saloni - splendidissimi. Si ballò. Poi si passò nella sala del buffet. Mi trovai assiso vicino a Cora Pearl. Il comandante venne a salutarla, e mi raccomandò di servirla bene. Il presidente entrò. Lo vidi la prima volta - e mi piacque. Capii che quella statua di marmo aveva un interiore... d'altra cosa! Feci del mio meglio per divertire Cora - ricordandole d'averla già vista in casa d'Olga.
Alle due del mattino andammo via prima che la festa fosse finita. L'immagine del Presidente si bulinò in me.
- Comandante, io conoscevo Cora - dissi a Joubert. L'avevo perduta un poco di vista. Anzi, la credevo affatto eclissata fra le stelle del mondo galante parigino.
- Lo fu per un momento. Ha cominciato il suo terzo avatar.
- Come ciò, comandante?
- Ma l'è tutta una storia, quella di Cora! Già, in realtà si chiama Eugenia Bax, del Dipartimento del Pas de Calais. L'è tutta una storia parigina, ripeto, la sua. Sareste curioso di saperla?
- Ma! Ne ho tanto udito parlare! Poi sono straniero e le friandìses parigine stuzzicano l'ugola.
- Andremo doman l'altro a fare colazione con lei. Forse vi racconterà ella stessa l'epopea strana. Sa che scrivete nell'Evenément di Victor Hugo: o almeno vi scrivevate. Quelle donne hanno mai sempre un debole per i militari, i banchieri ed i giornalisti. Hanno sovente bisogno di qualche favore da qualcuno di queste tre classi. Dei giornalisti principalmente.
Vi andammo puntualmente. Mi aspettavo a grandi sorprese, avendo letto tanto nel Figaro dei suoi primi due avatar. Fui fascinato dallo splendore del suo piccolo quartiere ai Campi Elisi.
Quattro laquais sedevano nel vestibolo superbamente decorato di belle maioliche. Formano la gioia degli occhi con i loro smalti imitati da Palissy e dai grandi maestri di Gubbio. Salimmo al primo piano, rimpiangendo di non cominciare dal rez-de-chaussè. A piè della scala, una statua di marmo bianco: una baccante che spreme un grappolo d'uva. La balaustrata era di ferro fucinato come un gran serpente di argento. Sulle mura, arazzi incomparabili, e quadri di grandi artisti moderni - paesaggi, animali. Sul ballatoio, altri due laquais ed un haiduck. Uno dei domestici ci precedè, e c'introdusse in un piccolo gabinetto a mezza luna, che sembrava il santuario della dea. Avevamo traversato tre o quattro stanze tapezzate di ricche stoffe e mobiliate di arredi di stili diversi. Quel boudoir rococò aveva tre sopra-porte dipinti di amori tondi e panciuti - non so se caricatura o invenzione di artista che aspira all'originalità! I mobili erano moderni: superbe chiffonières e bellissimi piccoli bonheur-du-jour, capilavori d'intarsio con agate, onici e pietre preziose! Avevano appartenuto a Madame Elisabetta, sorella di Luigi XVI. Una porta, a due battenti ed a cristalli, permetteva di ficcar l'occhio in una stufa popolata di piante rare, fiori esotici preziosi, ed armoniosa dal cinguettio di un'uccelliera animata di gioielli viventi e molticolori, che vi volteggiavano.
Il soffitto di quel nido, capitonnè come quello di una tortorella, attirò però principalmente la mia attenzione. Rappresentava, sopra un fondo azzurro trapunto di stelle, un panthéon di donne celebri: Elisabetta d'Inghilterra, Antonietta, Caterina II, Maria Teresa... Che cosa significava quell'apoteosi di regine ed imperatrici nel plafond dell'oratorio pagano di una dame du lac della alta sfera delle etère parigine? Il comandante mi disse:
- Non interrogate a bruciapelo: si tacerebbe forse. Ascoltate, ed io completerò le reticenze, su ciò che la provocherò a dire. È sospettosa, quando non è vanitosa! Non so che umore avrà oggidì.
- Bonjour, mon ami - si udì una voce, a salutarci, da dietro la cortina di un altro uscio. E Cora venne a darci la mano. Sembrava un poco stanca. Dio sa che notte aveva passata! Il suo peignior ondeggiante lasciava tutto indovinare, non mostrava nulla. Ma che scrigno di cose preziose rivelava ancora, benché non più giovanissima!
- Mi portate un bell'appetito, eh! Non so che cosa vi servirà Giorgio. Gli ho fatto raccomandare di mostrare la sua valentia - e farsi, e farci onore.
- Ah! osservò il comandante - che volo d'aquila dal piccolo appartamento di via della Aumale a questo piccolo paradiso.
- A proposito, l'altro giorno incontrai quel bravo giovane, Alfredo Petit. Mi annunciò che entrava come sotto direttore al Bon-Marchè.
- Pauvre garçon! Mi fa proprio piacere. Era la sua vera via. Io non potevo pigliarlo neppure come zavorra. Avremmo fatto naufragio entrambi. Voi sapete come lo congedai.
- Mi pare che proprio perché avevate preso per zavorra il marchese d'Aurillac.
- Appunto. Io mi ero trovata al bivio, come sapete, tra un giovane e un vecchio; Alfredo Petit e il marchese d'Aurillac. Alfredo era disperatamente innamorato e mi portava i suoi 300 fr. al mese cui guadagnava come chef de rayon al magazzino della Chausèe d'Antin. Pauvre cheri! che sforzi, che lavoro non faceva egli per rassembler la petite troupe! Avrei finito col commettere la sciocchezza di amarlo! Si presentò opportunamente il vecchio.
Aveva settantacinque anni, qualche infermità, e 85,000 franchi di rendita. Era ancora celibe. Si vestiva da cocodès: collarino alla Shakespeare, panciotto a cuore con due soli bottoni, calzoni strettini... Ed aveva la pretensione di essere adorato per sé stesso - vantandosi di non aver pagato mai dieci centesimi a una donna! Faceva regali. E regali semplicemente io ricevei da lui. Mi offrì scheggioli di diamanti, collane, braccialetti. Io accettavo tutto, senza neppur dirgli mille grazie... E rivendevo quella roba il giorno dopo.
- E come faceste per disfarvi d'Alfredo? Si potevano incontrare, e l'urto rovesciare tutto il vostro edifizio. Mi pare che Alfredo si mostrò tenace.
- Come cemento romano, più della pece! Gridò, andò in collera, minacciò... persino di uccidersi nella mia camera da letto! Lo misi alla porta per evitare lo scandalo. Poco valse. Tornò due giorni dopo, promettendo di subir tutte le condizioni che io avessi voluto imporgli - anche la tolleranza del vecchio.
- E il vecchio che sapeva? Che diceva?
- Era al quinto cielo! In perfetta estasi! Pel piacere. Era il lord protettore. Non dava nulla... quindi era amato! Figuratevi, egli era l'amant du coeur. Faceva regali: ciò era da marchese. Ed io chiesi al marchese di Lauzun - come lo chiamavo - prima un coupè; poi un cavallo da sella; poi un huit-ressorts; poi una caléche a due cavalli; poi un palco agli Italiani; poi un altro all'Opèra; poi un appartamento magnificamente mobiliato. Insomma, in meno di due mesi consentii ad accettare circa 150,000 franchi di regali! Ed egli dava la baia all'imbecille a Gramont Caderousse che pagava Giulietta; a Rustan Bey che pagava la Schneider; e al principe di L. che dava portafogli pieni di biglietti da 1,000 fr. a Metella che aveva comperata una bella proprietà e non l'aveva finita di pagare - diceva ella - sempre.
- Adesso ha pagato tutto - dissi io. Il principe è ito.
- Quanto al marchese, diveniva proprio divertente, per non dire grottesco - continuò Cora, lanciata a tutto vapore. I domestici pigliavano un'aria misteriosa per introdurlo. Lo facevano aspettare con pretesto che madame si trovava in camera con monsieur! E quando io volevo sbarazzarmi di lui, non avevo che un segno da fare alla cameriera; e poco dopo ella tornava queta queta e mi sussurrava: - C'est monsieur qui arrive! - ed il marchese, che aveva udito, ad infilar la porta con la cautela di un ladro - e via per la scala di servizio - felice di fare le ciambelle al mio amante!
- Bisogna convenirne, voi avete dello spirito.
- Volete dire che sono canaille? Dite pure, comandante. Tra di noi altre ce ne diciamo ben altro! Io però cominciavo ad essere più nota. Si parlava di me. J'étais lancèe. Quando passeggiavo al Bois, la gente volgevasi per contemplare: il Figaro, il Nain Jaune, lo Journal Amusant parlavano di me; non potevo entrare nei miei palchetti senza sentirmi esposta al fuoco incrociato di tutte le lorgnettes alla Paixant che si potevano puntarmi su. Ero ora - mai corazzata a questa tacita adorazione di lontano. Ma m'imbarazzava sempre Alfredo. Egli minacciava di non so che eccesso disperato per mettere in fuga il marchese. Una doppia catastrofe mi liberò di entrambi. Consegnai all'uscio Alfredo. Ed il colpo fu talmente decisivo, che, avendolo un giorno incontrato ai Boulevards, io lo guardai fingendo di non vederlo; egli mi guardò e salutò. Non restituii il saluto. Mi sentii salva. Qualche giorno dopo, un'indiscrezione del Figaro mi apprese che stavo per essere abbandonata! Il marchese d'Aurillac sposava non so che principessa italiana, presentata a Corte - si chiamava già così l'Eliseo - dalla Contessa di Castiglione - una dama piemontese. La notizia mi rallegrò; mi affrancavo di quel vecchio ridicolo; potevo prestare l'orecchio a certi complimenti che mi assalivano nei corridori agli Italiens quando vi andavo. Il mio vecchio fu immediatamente fetè pardessus bord. Era un poco precoce. Non mi ero ancora costituita una fortuna al livello della spesa che mi costava il treno della vita in cui mi ero messa. Il marchese pregò, supplicò, negò di aver preso impegno con la giovane moricaude napoletaine. Fui inesorabile. Lo mandai via... e vendei tutto per 60,000 franchi. Fu la mia prima grande caduta! Ma che importava? Ero oramai la dame du lac più in voga nell'Olimpo galante parigino, ed avevo poco più di trent'anni! -
Fummo chiamati a far colazione. Era tempo. Cora navigava a vele ed a vapore.
Dopo la colazione, di un vescovo - ed il Vatel Giorgio si era fatto davvero onore, come la padrona gli aveva ordinato, e noi gli avevamo fatto onore con eccellente appetito - passammo a prendere il caffè nella stufa tra i fiori e gli arbusti. Il comandante ricondusse, con garbo, la conversazione su i fasti consolari di Cora. Ci raccontò che, per fortuna, pochi mesi dopo, aveva incontrato al Bois de Boulogne Rustan Pascià dei famosi smeraldi, dei quali aveva tanto parlato tutta Parigi. E ce ne narrò la storia.
- Una sera, Rustan, bey ancora, dava una cena nel suo - ossia mio - Hotel de l'Avenue de la Reine. Venti invitati, non più, lui compreso - e tutti i signori dal sangue azzurro del Foubourg Saint-Germain - intendo del Faoubourg del demi-monde. Fra noi Rustan aveva, non so come, introdotto la Schneider, a quel tempo quasi sconosciuta. Ma quale non fu lo stupore generale, quando, in quel festino degno del congresso di Vienna - prima degli entremets - zuccherati - i domestici annunciarono: Pois-chiches à la turque! Si sorrise, ma nessuno osò rifiutare, per non offendere Rustan.
La Schneider, che era ancora novizia - rifiutò. Io feci qualche osservazione. Rustan mi disse: - Non l'imitate, Cora, ve ne prego.
Lasciai quindi che il domestico mi mettesse innanzi il piattino. In quel piattino v'era per un milione di smeraldi - i famosi piselli turchi! Quando io li ebbi esaminati, al domani, li mandai ad un gioielliere della Rue de la Paix. Me li pagò 800,000 franchi, il birbone! Gli produssero un milione e mezzo sparpagliandoli. Tutte le dame - du lac e de la coeur vollero dei pois chiches à la turque da me messi in voga. Io nol sapevo; poi avevo bisogno di un milione e cinquecento mila franchi per terminare l'hotel che mi facevo costruire. E Rustan Bey era stato richiamato a Costantinopoli. Rivendei l'hotel, e, dopo aver pagato i debiti mi restavano appena 80000 franchi, ed un anno innanzi a me - allora di 34 anni - potevo rimuovere l'Europa! Furono annunziate delle visite. Partimmo. -Vi racconterò il resto - mi disse il comandante - la parte più interessante.