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Articolo apparso sulla Cronaca Bizantina il 1 agosto 1883
Patto di sangue! Eugenia faceva uccidere miss Howard; Napoleone, Felice Camarata. L'avevo conosciuto in una soirée data dal principe di Canino ai principali emigrati politici, dopo la débacle colossale del 1848-49. Ero assiso sur un canapè, nel boudoir del principe. Venne a sedersi a fianco a me un bel giovane, dalla pelle bianchissima; i peli fulvi; gli occhi azzurrini - se ben li vidi alla luce dei doppieri - ma velati di profonda mestizia; alto della persona e spigliato. Il Masi, poi generale, si avvicinò a lui e con lui scambiò qualche parola in italiano. Allora anche io gli parlai. Erano nel salone moltissime persone: inglesi, tedesche, italiane, ungheresi e polacche - oltre i francesi, in maggioranza; e Pietro Bonaparte, col quale iniziai conoscenza, che poi durò. Quando fummo invitati a passare nella sala da pranzo per servirci al buffet, chiesi al Masi:
- Chi è quel giovane italiano con cui parlavo testé? E che mi sembra conoscere tutti ed essere conosciuto con molta deferenza. Mi ha l'aria di un Iacopo Ortis postumo!
- È il consigliere di Stato Felice Camarata, parente de' Bonaparte - mi rispose il Masi. E mi presentò al principe Pietro Bonaparte col quale e' parlava.
Non feci più caso né dell'uno né dell'altro. Ero allora repubblicano; Roma era stata vinta ed occupata allora; la conferenza di Gaeta deliberava contro di noi. Avevo quindi in orrore i Bonaparte, a causa di Napoleone. Mi riconciliai poscia con Pietro, quando l'incontrai in casa della signora Rattazzi; e simpatizzammo. Poi mi sovvenni pure del Camerata, quando, nei saloni di Carnot, di Jules Simon ed altre riunioni di repubblicani - dopo il colpo di Stato - si parlò dell'assassinio di lui. Quella morte era raccontata, dai repubblicani, su ragguagli non ancora ben noti, diversamente da quel che l'hanno poscia raccontata il barone di Rimini nelle sue Memorie e Marco Antonio Canini nei suoi Bricioli di Storia. E credo questa sia la versione più vera; perché raccontata da chi poteva saperlo meglio di chiunque altro.
Pellatan, oggi senatore il padre dell'abile direttore del giornale radicale La Justice - narrò dunque una sera, in casa di Simon: che Badinguet aveva sorpresa sua moglie in casa del suo amante Camerata, sur un canapè, in un atteggiamento finale.
Di un colpo di pistola aveva spacciato l'uno; esiliata l'altra, che si era messa in fuga. Ed altri minuti ragguagli più intimi. Ora, il barone di Rimini, e dopo lui il Canini, il quale da questo suo amico teneva il racconto, dà un'altra versione, che sembra la più vera. Se fra quella gente facinorosa è possibile una verità qualunque.
***
Aguado si era consolato dell'abbandono della deliziosa sua maitresse con altre ninfe, meno illustri, ma egualmente belle. Il camerata non mica. Ulisse era -inconsolable du dèpart de Calypso! "Una sera, poco dopo il matrimonio, ad una festa da ballo alla Tuileries, egli disse all'imperatrice qualche parola sul loro delizioso passato. Questa si accorse che l'imperatore l'aveva udito - perché si attorcigliava i baffi ed il pizzo; ed i suoi occhi vitrei si erano aminati. Impaurita della sua complicità involontaria, si volle mettere al sicuro da una punizione contro quale non aveva più scampo: le dolcezze della luna in miele erano già state esaurite ed il disinganno era succeduto ai primi impeti lubrici di Fontainebleau. Disse dunque al marito che Camerata le aveva chiesto un abboccamento a casa sua. - questa impertinenza - aggiunse ella - questa offesa a me ed a voi non debbe restare impunita. E non lo resterà, se rinnovella - promise il flemmatico figlio dell'ammiraglio olandese.
Però non aspettò che l'offesa si rinnovellasse. Rientrò nel suo gabinetto e fece venire a sé Zambo - un còrso addetto alla sua persona per custodirla. Mezz'ora dopo - o meno - Zambo uscì dalle tuileries; Napoleone riapparve nella festa e continuò a prodigare vezzi spiritosi alle dame invitate a chiacchierare con Nigra e Metternich.
Eugenia sospettò qualche cosa; ed avvisò dal canto suo.
Uscì anch'essa dal ballo e chiamò nel suo gabinetto di toilette il Griscelli - il futuro barone di Rimini - anch'egli còrso, e addetto alla persona di lei
- Correte alla via di Gerusalemme, e fate fare un passaporto per quell'imprudente Felice che si è compromesso terribilmente. È in gravissimo pericolo. Luigi è una tigre - e più di una tigre - quando è geloso. Ora, adesso è geloso. Portate a Felice quest'oro e il passaporto; e che si allontani da Parigi, senza perdere un minuto di tempo. Andate, anzi volate. Ditegli che sono io che gli consiglio, che lo scongiuro di partire. È in pericolo estremo.
Griscelli - che voleva pur bene al bravo e sentimentale giovane, del pari che il prefetto di Polizia Pietri - non perdè un istante. Ebbe il passaporto in pochi minuti e corse alla casa del Camerata. Pietri gli tenne dietro anch'egli. Giunsero troppo tardi. Zambo li aveva preceduti: ed aveva eseguito gli ordini del padrone.
Trovarono il Camerata - tornato egli pure "alle sue stanze poco prima - dice il Canini - assassinato; giacente in un lago di sangue. Griscelli giurò di vendicarlo, sugli avanzi dell'infelice. Pietri, piangendo, abbracciava il cadavere tuttora caldo."
Claude, nelle sue Mémoires, dà un'altra versione. Certo, Camerata era morto.
La festa finiva, verso il mattino, alle Tuileries, quando Griscelli vi ritornò, e narrò all'imperatrice - la quale, vedendolo, lo aveva tirato da parte - la terribile tragedia. Eugenia ne fu come fulminata. Fuggì dal ballo; e mentre gli ultimi aneliti di questo spiravano, ella, udendoli, si stracciava i capelli e le vesti e dava in trasporti isterici fragorosi. Il racconto di Claude mi sembra più esatto.
***
Pochi giorni dopo, Pietri mandò Zambo a Londra per sorvegliare i rifugiati politici e con altra missione poliziesca. Poi gli mandò dietro Griscelli. Costui aveva la missione di sorvegliare Zambo. Però al Griscelli non talentavano le cose lunghe e complicate. Si mise dunque dietro le calcagna di Zambo, senza farsene scorgere, ma sapendone tutti i movimenti.
Zambo, per farsi merito, teneva specialmente d'occhio Ledru-Rollin, che viveva in un cottage dei sobborghi. Per recarsi da quella parte, doveva traversare Waterloo Bridge. Griscelli l'appostò colà, una sera, poco prima della mezzanotte, sapendo che Zambo sarebbe andato a gironzare intorno all'abitazione del glorioso tribuno e di altri - perché vi era stata in casa di lui una riunione di emigrati capi: Louis Blanc, Simon Bernard, Mazzini, Arnoldo Ruge, Kossuth... Infatti verso mezzanotte, udì un individuo che passava il cancello del ponte zufolando l'aria famosa:
Le sire de Framboisy avait pris femme,
Le sire de Framboisy...,
Que faite-vous ici, cordier! madame,
Que faite-vous ici?...
Griscelli uscì dall'agguato. Si precipitò sulla spia - l'assassino di Napoleone III - e lo coprì di pugnalate, sì che il cadavere divenne irriconoscibile, tanto più che Griscelli gli prese tutte le carte che aveva addosso. Vendicava così miss Howard e Camerata!
Egli racconta nelle sue Memorie:
"Circa quindici giorni dopo il ballo delle Tuileries, avevo accompagnato le loro Maestà a Saint-Cloud, e passeggiavo nella corte. L'imperatore mi fece segno, da una finestra, di salire da lui. Quando fui in sua presenza, Napoleone, dinanzi all'imperatrice, mi domandò:
- Sì, Maestà.
- Quando vi siete stato?
- Quando Vostra Maestà mi mandò a portare una lettera al signor di Persigny.
- Ma vi siete stato anche dopo - soggiunse, guardandomi in faccia.
- Sì, Maestà - risposi io guardandolo pure negli occhi - il giorno in cui Pietri mi diede un passaporto.
- Ah! Lo sapevo bene, io... vendetta còrsa - mi disse Napoleone volgendomi le spalle."
Eugenia doveva scoppiare di gioia nella sua pelle.
Questo Griscelli è una figura prominente nella storia segreta del secondo Impero. Era un uomo attagliato ai principi ed ai governi che li producono. Merita una digressione, corta ma notevole.
Egli raccontò la sua biografia al signor Canini - prima di scrivere le sue Memorie, curiosissime. Era un pastore còrso - di Vezzani - quasi illetterato. Entrò nell'esercito francese, si vantava di avere intelligenza, audacia e saldo braccio - ciò che occorreva per innalzarsi nella scala sociale tenebrosa. E narra come ebbe intimità con Eugenia, Napoleone, Francesco II di Napoli, Pio IX... "Ho veduto Eugenia piangere e supplicare. Fui accanto a Pio IX, quasi da pari a pari; e non gli baciai giammai la pianella come tanti imbecilli. Col cardinale Trevisanato di Venezia siamo amiconi. A Frankfurt, fui commensale di Francesco Giuseppe... ed eccomi io, antico pastore, barone di Rimini, del quale titolo m'investì Francesco II di Napoli, col consenso di Pio IX, pei grandi servizi resi, come Cialdini ebbe il titolo di duca di Gaeta. Sono uomo d'azione, e, quando occorre, non ripugno a versare anche il sangue. Napoleone mi deve più volte la vita: e me la deve pure Garibaldi - perché l'avrei potuto uccidere e non feci, sebbene Pio IX mi assicurasse esser quella la via più corta e certa per andare in paradiso..."
E nelle sue Memorie racconta i particolari e le circostanze che occasionarono queste relazioni tra un assassino ed eminenti personaggi. E ricorda altresì, come Pietri - caduto in disgrazia dopo l'attentato dell'Orsini - lo propose al Cavour. Questi lo mandò come agente segreto e fidato a Firenze, Roma e Napoli, in missione delicata e confidenziale. Servì allora papa e Borboni - per ispirar loro fiducia - e si vanta di fedeltà, non a costoro, ma al governo italiano. Mostrò infatti - se ciò che scrive è esatto - capacità insigne nella diplomazia segreta. Non si perita molto di atteggiarsi ad agente di polizia, né alta né bassa. E nella diplomazia! Pure, finì con l'essere spia dell'Austria "a fin di gittare fango a Napoleone III." E questo l'indusse a pubblicare le sue Memorie - nel 1867 - a Bruxelles.
L'incontreremo sovente nel nostro cammino in queste carte.
Ma torniamo alla coppia delle Tuileries.
***
Come dissi, si valevano. Si stimavano reciprocamente al loro giusto valore; e poco o nulla stimavano gli altri - niente affatto, la Corte; meno ancora, la Francia. Un certo Ottaviani, còrso, che aveva ufficio di economo nelle Tuileries, avvisò Napoleone: che gl'impiegati superiori del castello lo ingannavano e derubavano.
- Lo so benissimo - rispose egli cinicamente. - Ma non posso disfarmi di loro. Mi aiutarono il 2 dicembre. Vi pare, eh! che si facciano colpi di Stato con uomini onesti?
Pure, ciò che non osava apertamente, lo compieva occultamente. Non si disfece egli di Saint-Arnaud - colto a rubare nel suo gabinetto - donde seguì il duello, in sua presenza quasi, col generale Cornemuse, che fu ucciso? Lo fece avvelenare con tossico lento - si disse - e disse egli stesso, Saint-Arnaud - mandandolo poi a coronarsi di gloria a Sebastopoli. Non disgraziò Walewski e sua moglie - la famosa Ricci - con un pretesto d'incompatibilità con gli eventi politici? Walewski si era infatti compromesso, favorendo sfacciatamente Francesco II e Pio IX; contrariando Cavour. Non si disfece di Persigny, facendogli sposare una bella etèra - una delle stelle della via lattea di Eugenia - e mandandolo, esiliandolo a morire di crepacuore a Londra, dopo averlo enormemente arricchito? Morny scampò; perché era più astuto di lui; e stette sempre in guardia; e rese servigi eminenti, ricevendo onori e tesori, senza mai dimandarli, senza mai imporsi, mettendo dalla sua Eugenia, con la quale stette in termini intimi. Questa intimità con la spagnola salvò pure Fleury, quando ella non era ancora fastidita dagli amori virili, e non aveva ancora soccombuto alla Metternich. Pure lo mandò a Pietroburgo, dove, sperava, il clima l'avrebbe ucciso. Questo salvò il principe Napoleone... ed altri. Ma dei delitti di lui, più oltre, a suo tempo.
La coppia si pigliava sul serio. E quindi professava il principio: tutto essere loro lecito! Che cosa aveva mai fermato gl'imperatori romani? Che cosa aveva ritenuto l'imperatore Napoleone I? Essi riallacciavano la loro filiazione a questa doppia serie di Cesari. Si giustificavano, si legittimavano così.
***
Abbiamo accennato qualche cosa del cinismo adultero e incestuoso di Napoleone I. Tutta la sua famiglia - eccetto madama Letizia ed il cardinale Fesch, che furono se non più puri, più temperati e riservati - tutti, dico, ebbero costumi infami. Napoleone diceva: "Sono l'erede di Cesare; dunque, l'imito - come l'imitarono i suoi successori." Infatti, ricordiamoli a volo di rondine.
Si direbbe che Giovenale parlasse tanti secoli prima di Napoleone, del Direttorio, del Consolato e dell'Impero, e della Francia.... quando sclamava che il vizio avea toccato il suo culmine - Ecco a quale estremità di decadenza siamo giunti!... scrive Giovenale. - Abbiamo, è vero, portate le nostre armi all'estremità dell'Iberia; abbiamo, recentemente, sottomesso le Orcadi e la Bretagna... ma quel che fanno i vincitori nella città eterna, i popoli vinti ed i vincitori nol fanno. "Fabio Gurio, edile, ottenne la condanna di certe matrone che s'erano addette alla scostumatezza - stupri damnatas - e coll'ammenda percepita fece costruire un tempio a Venere, vicino al gran Circo. Altrettanto avevano eseguito, anni prima, gli edili V. Rapullo e M. Fundanio. Il console Postumio l'imitò, anni dopo - in un caso singolare, che sarebbe troppo osceno e troppo lungo a ricordare qui. Ma segnaliamo i più celebri.
Giulio Cesare - il cui genio creò una seconda Roma - volle provare che il suo antenato Enea gli aveva trasfuso il sangue di Venere. E fu fastoso nel vizio - come Napoleone: pronum et sumptuosum una in libidine fuisse, dice Svetonio, ripetendo ciò che Plutarco e Dione Cassio avevano detto e riconfermarono dopo di lui. Corruppe tutte le matrone romane: Postumia, Lollia, Tertulla, Marcia, moglie di Pompeo, ne amò una sola, Servilia, madre di Bruto. Era bello, effeminato; la gloria l'aveva carezzato; la vittoria l'aveva costellato di nimbi divini, su quei campi stessi che dovevano, tanti secoli dopo, vedere Bonaparte imitarlo, seguirne la tattica, gl'istinti di dominio. Né si contentò di Servilia solamente. Sedusse la figlia di lei, Terzia - come Napoleone non si contentò di Giuseppina, e volle la figlia di lei, Ortensia. Quando entrava nelle città vinte, i suoi soldati cantavano in coro:
"Cittadini, custodite le vostre donne. Conduciamo con noi il libertino calvo - mocchum calvum adducimus - Cesare, tu hai dissipato nelle Gallie, in amori, tutto l'oro preso a Roma."
Né lo sedussero solo le donne di Roma e delle Gallie. Amò Eunoe, moglie del re di Mauritania; amò Cleopatra, regina d'Egitto. E Svetonio nota che Curione, in un suo discorso, lo qualificò per: "il marito di tutte le donne; la moglie di tutti i mariti."
E questo rimprovero sanguinoso di moglie di tutti i mariti si riferisce alle sue relazioni col re Nicomede di Bitinia. Laonde Dolabella lo chiamò in pieno Senato: concubina di un re; pagliericcio di un talamo reale. E Curione: lupanare di Nicomede; prostituta bitiniana. Ed un Rochefort dell'epoca dava a Cesare il titolo di regina ed a Pompeo quello di re. Infine, i soldati che l'accompagnavano al Campidoglio dopo il trionfo delle Gallie, cantavano: "Cesare ha sottomesso le Gallie, Nicomede ha sottomesso Cesare."
Ottavio non fu da meno. Svetonio scrisse di lui: "La sua giovinezza fu contaminata da parecchi obbrobri. Sesto Pompeo lo tacciò di effeminato; Marco Antonio, di avere comprato l'adozione di suo zio, a prezzo di disonore; Lucio, fratello di costui, pretese che Ottavio avesse dato il fiore della sua innocenza a Cesare; la vendette poi ad Irzio, in Ispagna, una seconda volta, per 300,000 sesterzi - (52,225 franchi)...
Chi non rispettava la sua persona, non poteva per fermo rispettare le mogli degli altri e la propria famiglia. Ovidio fu mandato in esilio, in parte perché amava Giulia figlia di lui - già Augusto - ma sopra tutto perché lo aveva sorpreso in legami incestuosi con questa.
Nella vecchiezza, sazio di matrone e di nubili di ogni ceto, per eccitarsi, ricorda Svetonio, si faceva passare davanti nubili e matrone nude per esaminarle, come le schiave a vendere nel mercato di Toranio. Le vergini lo seducevano principalmente: ad vitiandas vergines promptior - e la stessa sua moglie, Livia, gliele procurava per ritenerlo. Nella sua giovinezza aveva inventato il Festino delle dodici divinità - ossia un'orgia, nella quale dodici convitati, Dei e Dee, si sollazzavano promiscuamente.
Giuseppina, per non essere ripudiata, se vuolsi credere alle Mémories di M. me De Rémusat - non si peritava di lasciare arrivare a Napoleone quante donne ed attrici voleva - prova la famosa Géorges; Eugenia era gelosa: pigliava le belle fanciulle per suo proprio uso e consumo - da succuba o da incuba, come il capriccio le ispirava.
Le orgie di Augusto e gli amori bi-naturali di Cesare erano eccessivi anche per Roma; Tiberio li superò. Era inclinato all'ubbriachezza. Mostrò severità per l'adulterio, perché fu marito sfortunato. Svetonio segnala le sue sregolatezze e le inconseguenze di condotta. Rimproverava a Sesto Gallo, in Senato - un vecchio liberto - le oscenità crapulose; poi, uscendo dal Senato, s'invita a pranzo da lui - a condizione però, che non si fossero cangiati gli usi di casa - ossia, che il pranzo fosse servito da ragazze nude - nudis puellis ministrantibus. Intende alla riforma dei costumi; e passa due giorni e due notti con Pomponio Flacco e L. Pisone - sguazzando in orgie. Ordinò si accusasse la bella Mallonia, perché non aveva voluto condiscendere ai suoi lubrici desidèri.
Questa si uccise.
Le crapule di Capri, raccontate da Svetonio, erano stomachevoli, e mancavano della poesia di Fontainebleau - cui raccontammo a suo tempo. Aveva i gusti di un caprone.
Ecco come le racconta Svetonio... Ah!, no: è impossibile ogni traduzione che non desti orrore, nausea, indignazione per la lurida bestialità di quel mostro. Non havvi parola onesta che possa pingere quella sozzura! Non motto, che non puzzi del più immondo lupanare, può esprimere, può accennare quelle infamie di uno spirito aberrato, malato. Passo oltre.
E Caligola? Non presenta nulla di meno osceno. Basti dire: che stabilì nel suo palazzo un lupanare e si faceva pagare dagli avventori che lo bazzicavano - dicono Dione Cassio e Svetonio. Pare incredibile! A confronto di questi due, Nerone e Claudio sembrano rispettabili. Quegli, un grande artista anche nelle cose sudice: Claudio moltiplica le sue mogli, per rifarsi delle infamie di Messalina.
Questa era una donna ninfomaniaca, quindi malata. Giovenale racconta in versi scultorii: "Quando credeva l'imperatore addormentato, l'augusta cortigiana, la quale osava preferire il pagliericcio della prostituzione al letto di Cesare, si calava sul capo la cuculla di notte, si faceva accompagnare da una sola schiava; nascondeva la sua nera capigliatura sotto una parrucca bionda, ed entrava in un lupanare frequentatissimo, tirando da parte le cortine rattoppate. Occupava una cellula, che era sua propria. Poi, nuda, il seno coperto di un velo dorato, sotto il nome di Licisca, iscritto sulla porta, accoglieva con carezze chiunque entrava. Si faceva pagare il salario. Infine, quando il lenone licenziava le sue ragazze, ella pure andava via melanconica - avvegnacché non chiudesse la sua cellula che l'ultima. Bruciava ancora di desideri più irritati che mai, e stanca di uomini, ma non sazia, si ritirava col viso sudicio, gli occhi spenti, annerita dal fumo della fetida lampada, e portava al letto imperiale l'odore del lupanare."
Ciò dà una pallida immagine della cosa. È inutile aggiunger altro - cui narrano Sinforiano ed Apollonio di Tiro, e cui io racconto nella seconda parte delle Memorie di Giuda.