Ferdinando Petruccelli della Gattina
Le Grandi Etére
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Dodicesima puntata Fra re e geometri

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Dodicesima puntata

Fra re e geometri

Articolo apparso su Cronaca Bizantina il 16 giugno 1884

La meravigliosa Lalage apparteneva - come già accennai - a tutti i regni morali della storia naturale dell'Impero. Ella, bene in Corte - ma di un piede e di nascosto; bene nel regno sociale - dando feste, proteggendo artisti, facendo il pastello, scarabocchiando una romanza per canto; bene pure nel regno politico - avendo sempre alla sua coda un battaglione di deputati, di senatori, di grossi finanzieri; i banchieri galanti che facevano correre, che frequentavano les premières, che non mancavano mai al tour du lac, e che proteggevano qualche attrice. Ma, nel mondo delle lettere, si accampava proprio come in casa sua.

Mirès le aveva aperto, à tout battant, le colonne de' suoi tre o quattro giornali. Il proprietario del Petit Journal, Millaud, l'accoglieva con grandi riguardi. Dumas - quando aveva un giornale - come una vecchia amica. Negli altri giornali, s'insinuava come la serpe presso di Eva - quando Eva era una gentille petite guenon - secondo l'evangelio di Darwin e di Haeckel!

La sospettavano.

Il Figaro la bombardava di calunnie.

Una sera, in tutti i caffè dove la legione della stampa sciupava spirito e consumava boks bavaresi - non erano stati ancora proscritti, o piuttosto diversamente battezzati - si vide comparire il piccolo Delaage - un giovane che si pretendeva spiritista, mistico amico di Edmond - il divinatore - e di tutte le tireuses de cartes del gran mondo, e amico del celebre spiritista Hume. Egli annunziò che un courrieriste prodigioso, piramidale, sarebbe sbocciato in un giornale bonapartista, un fenomeno, che, come il diavolo di Lesage, scopriva i tetti di tutte le case e vi cacciava lo sguardo; era terzo in ogni incontro segreto; presente in tutti i saloni di Parigi, testimone intimo delle toilette di tutte le dame.. ed il resto.

- Come si chiamerà?

- Con un nome di guerra.

- Quale?

Delaage lo spippolò. Io non ripeto neppur questo, perché la mia eccellente amica se ne serve ancora qualche volta anche adesso: ed io, per lei, non voglio essere indiscreto. M'invita ad andare a passare una settimana nel suo chàteau.

La sera seguente, in fatti, una nuova stella, nella Chronique parisienne, spuntò: ed incontrò così bene, che Villemessent ne impallidì, e si propose - anzi diede l'incarico a Delaage - de l'embaucher.

Il giornale di Mirès le dava 12,000 - dico dodici mila franchi l'anno - mille ogni mese che Lalage passava a Parigi! Ma ella aveva umori vagabondi.

Poi premeditava un matrimonio à sensation, adesso che era vedova novamente. Nei mercredis dell'Imperatrice si parlò di questo chroniquer che fascinava Parigi, Eugenia chiese:

- È persona presentabile? Posso invitarla?

Pietro Bonaparte, che era nel salone rispose con un certo ghigno:

- È presentabilissima. Ma non verrebbe ai mercredis de Votre Majestè!

- E perché?

- Perché dovrebbe poi fare certe transizioni. E quella ardimentosa fanciulla è selvaggiola.

L'imperatrice seppe dal prefetto di polizia chi era il cronista di quel giornale... e non insisté per vederlo. Però, qualche anno più tardi, l'invitò alle cacce aux flambeaux di Fontainebleu, non per affetto, perché l'odiava sempre, ma per obbligarlo alla discrezione.

***

Ma gli articoli nei giornali, le corrispondenze dall'estero - era adesso rimaritata, e contessa, e tuffata sino alla cima de' suoi capelli corvini nella politica - non costituivano la parte più cospicua del bagaglio di Lalage. Ella aveva già scritto, e scriveva sempre con fecondità stupefacente, romanzi, commedie, poesie, storie, viaggi... ogni cosa di cui udiva parlare, o che vedeva, o che inventava.

A Vienna era stata presentata a Corte: ma la brutta Elisabetta, gelosa di suo marito, che le ronzava intorno come un apone intorno ad una rosa, fece scrivere su' giornali certe scelleratezze da donna divota qual è: e Lalage fu consigliata da un ambasciatore straniero a lasciare la capitale dell'Austria, scrivendo un addio all'innamorato, cui vide, in un tète-à-tète vicino a Schoenbrun. E si recò a Torino. E conobbe il duca di San Donato, che la presentò a Rattazzi, e Rattazzi, o Cavour - non rammento più chi - la presentò al re.

Vittorio Emanuele s'infiammò, come s'infiammava per ogni gonnella che azzimava un bel corpicino, con occhi di maga, capelli neri, busto ben guarnito, e bocca da croquer tutti i quattrini che re Vittorio non aveva - neppure rosicando tutti i bilanci della nazione - neppure parte di certi segretissimi fondi segreti. Suo marito la richiamò, anzi, andò a Torino a pescarla, perché aveva avuto la leggerezza di esagerare il suo successo in tutta Torino - dove persino il geometra Menabrea, non ancora marchese di Valdora, perdeva la testa! Quando si presentava alla tribuna diplomatica alla Camera, Brofferio batteva la campagna. Ella si rassegnò allora a dare un figlio al marito, o almeno lo disse a costui, come la di già citata Giulia, figlia di Augusto, lo dava a intendere a suo marito Agrippa - quando aveva carica la sua nave e si sentiva libera di pigliare a bordo chi voleva; numquam, nisi plena, tollo vectorem! E tornò a Parigi, dove solitamente una donna con quella testa, e con quel carattere poteva liberamente respirare.

***

Dopo che Napoleone III aveva pubblicato la Vita di Cesare, e Duruy cominciato la pubblicazione della stupenda sua Storia dei Romani, la letteratura classica aveva fatto capolino di nuovo nei saloni, come al tempo del Direttorio. E Nizard ve la propagava bellamente con le grazie infinite del suo spirito brillante e di buona compagnia, del quale piacevasi a brillare nelle riunioni della principessa Matilde. Ed era curioso osservare come i poeti ed i letterati s'identificavano co' loro antenati romani. L'antenato è espressione di Sainte-Beuve - come diremo. Il babbo della nuova generazione, Charles Nodier, era morto da poco - e la chiusura del suo Salon all'Arsenal fu una calamità. Quivi aveva fatto le sue prime armi, nel mondo mentale, Victor Hugo; quivi regnava quel conquistatore irresistibile che si addimandava Dumas, il padre glorioso del non meno famoso attuale Alessandro Dumas. Vi facevano apparizione, come stelle volanti, il più spiritoso dei francesi dopo Valtaire, Beaumarchais e Diderot, Jules Mèry, Lamennais, Desnoyer, Eugenio Sue, Federico Soulier, il gran Balzac, ma raramente - a causa delle sue speciali abitudini di lavoro, Blaze de Bury - che non aveva ancora pubblicato il suo libro sull'Alemagna, Buche - lo storico; Delécluse - non ancora rosso arrabbiato allora, morto poi così eroicamente sulle barriccate della Comune, dicendo ai soldati: - tirez, làches! Poi l'immaginoso mio amico Paul Féval - cattolico e legittimista, come brettone a triplice corazza; una volta all'anno M.me de Girardin; Eugenio Guinot - adesso affatto obliato; Jules Janin - il tiranno del feuilletton dramatique prima dell'arrivo del Fiorentino nostro; Alfonso Karr - il terribile autore delle Guépes; Rémusat - uno dei capi del partito orleanista a cui il Nodier apparteneva, essendo amico intimo del duca d'Orléans; Romieu, celebre più tardi pel suo Spectre Rouge, spiritosissimo, orleanista e sottoprefetto, poi bonapartista idrofobo; Emilio Souvestre - un altro romanziero considerabile dalla restaurazione al 1848; lo spiritosissimo autore della Chartreuse de Parme, console a Livorno, rivelato, per così dire, da Balzac - il cui vero nome era Enrico Beyle; Léon Gozlan, Champfleury, De Vigny, Casimir Delavigne... e, non ultimo, un amico intimo di Lalage: Jacob (P.L. bibliophile), non che il celebre Adam Mickiewicz, professore di letteratura slava al Collegio di Francia - mistico e patriota ardente e martire di Nicola di Russia... Amica di Maria Nodier - la figlia di Carlo, - Lalage era sempre accolta all'Arsenal, come la rosa accoglie la rugiada.

Il classicismo non fu messo in voga che più tardi, da Musset - il più parigino dei poeti, che si paragonava a Catullo innestato su Marziale, per pigliare la mano della Sand, la quale stava sotto la direzione di Lamennais - ciò che contrariava Dumas figlio; perocché costui si portava come erede legittimo di Marziale. Catullo fu il gran poeta della voluttà; era dunque bene l'immagine del De Musset! Come lui morì giovane per abuso di piaceri, e fastidio della vita. L'uno e l'altro avevano natura nervosa, malescia e delicata. Gli alcoolici furono per De Musset ciò che per Catullo erano state le donne: un elemento deleterio di distruzione! Musset fu un pagano di proposito - della scuola erotica degli epicurei e degli scettici, al pari del poeta romano. L'uno si identificò con il mondo delle grandi Etère di Roma ed in mezzo a loro cantò; il Musset ebbe per muse la George Sand e la contessa di Agoult. Entrambe sguazzano nelle immagini e nei misteri della sregolatezza più ardita, ma l'una e l'altra si scusano di osare dipingerla - e cercano i veli casti, che qualche volta trovano. Parlo di loro perché morte e lasciarono scritti nei quali si rivelano audacemente. Catullo fu accusato di un vizio cui il Musset non rivelò se pur l'ebbe. In ogni caso non l'accusarono di aver avuto, come Catullo, il paziente Aurelio e il cinedo Furio.

Catullo ebbe si per maitresse tre o quattro cortigiane greche. Musset ne ebbe sicuramente di più ma non ne ostentò che una: la Sand, perché questa non curò dell'opinione del mondo. Gli amori del parigino e del romano non duravano lungamente. Gli amori per Lesbia - come quello di Musset per la Sand - si protrassero.

Catullo immortalò Lesbia con Passero, Musset imitò vagamente Catullo, in parecchie delle sue liriche abbarbaglianti.

Questa Lesbia poi era figlia del senatore Metello Celerio, per nome Claudia, come l'altra - la Sand - si chiamava Dudevant: nessuna delle due appartenenti alla classe delle cortigiane. Era bellissima:

Lesbia formosa est; quae pulcherrima tota est
bella dal capo al pie'!

Claudia non si espone; e, se può, nasconde il suo passero; la Sand e Musset invece pubblicano quello stupendo libro che è: Elle et Lui. Catullo scriveva: "Mi chiedi, Lesbia, quanti baci mi occorrono per soddisfarmi? Quanti vi sono granelli di sabbia nel libico, e nei deserti di Cirene... quante vi sono stelle, che, nel silenzio della notte, sono testimoni degli amori furtivi del genere umano!" Musset non si fa battere sull'iperbole.

Claudia era forse lesbia; Giorgio Sand era donna di forti passioni, ma muliebri e naturali. Un passerino era la gioia di Lesbia: se lo celava in seno; lo stuzzicava sul dito e provocava la piccola beccata ed il flebile zirlo; lo baciava; gli suggeva il becco, e se ne distraeva, aspettando Catullo. E quando morì questo passerino, Catullo ne cantò la morte crudele. Scrivo di memoria. Non posso dunque citare né i versi di Catullo: "Lugete Veneres..." né verificare come e quando morì il cane di Musset. Provarono di consolarsi: Catullo nol seppe; Musset, nella vita del mondo e tra le mondane. Prima di morire, Lesbia si era maritata, ossia si era data, come la Sand, amanti amati - e parecchi - tra i quali il Mazzini, cui scrisse a Roma così nobili e generose lettere contro l'invasione francese. Catullo dice a questo marito Bestione! "tu dunque nulla capisci?" ecc. ecc. E le passioni raffreddano con i facili amori. Nell'Elle et Lui si replica il contrasto che si legge nei versi di Catullo. Ma questi non cessa di rammentare, di vantare Lesbia; Musset e la Sand si evitano e si punzecchiano di allusioni nei loro libri. Il poeta francese però va a caccia delle distrazioni; il romano si coagula nelle rimembranze della morta. Gli è che il Musset aveva più sensi di Catullo. Lesbia, poi, prima di morire, tornò a Catullo:

Restituis cupido, atque insperanti ipsa refers te
Nobis, o lucem candidiera nota!...

***

Non continuo il parallelo. Catullo non aveva che versi per esprimere la sua gioia e la sua riconoscenza. Il suo occhio, estinto oramai, si riaccendeva ancora una volta; un rossore inusitato aveva tinto le sue guance emaciate, solcate da lacrime; stringevasi la sua amata sul seno; ed ella lo contemplava e piangeva; e se ne coglieva l'estremo respiro. Aveva trentasei anni appena! Che donna doveva essere quella Lesbia che aveva ispirato a quel poeta tanta deliziosa deferenza... Ah!, quel povero Musset non ebbe questa sorte. Ispirò alla Sand frenesie amorose; esaltamenti isterici; les lettres d'un Voyageur; poi cento altre passioni a dame note ed ignote; ma a nessuna un sacrificio, a nessuna quel dévouement sublime di Lesbia per Catullo. Del resto, dovrò tornare più di una volta sul De Musset, che impresse uno stampo suo proprio ed originale alla letteratura del suo tempo, come i tre altri colossi dell'epoca: Hugo, Balzac e Michelet. Non parlo di Dumas, che aveva un tipo unico servitogli dalla natura, ed era, come lo definì Michelet: une force de la nature! Ma Musset? Finire così misteriosamente e miseramente! Una mattina fredda e nebbiosa di dicembre, fu trovato appiccato a una cancellata di finestre. Era stato suicidio, o assassinio? Mistero. Forse cascava ubbriaco di assenzio, e inconscio di ciò che si facesse, si era appeso a quella finestra!

***

Un altro letterato, essere complesso, presiede al movimento, allo sviluppo classico della poesia e all'adattamento di essa all'epoca sua. Egli fu il Properzio, l'Ovidio, con qualche tinta del Tibullo, nel mondo mentale del suo tempo: Mèrimée. Come Ovidio, ebbe piede in una Corte. In un suo viaggio in Spagna, aveva conosciuto la famiglia Montijo, che poscia installata alle Tuileries, ve lo tenne come ospite gradito, amico indispensabile. Aveva sedotta Eugenia col suo spirito a Madrid; fascinò Napoleone con la sua lealtà, il suo buon senso, la sua devozione illimitata. Alla guisa che Properzio era divenuto poeta leggendo Catullo, Mérimèe divenne poeta, romanziere ed acquistò quell'abito dello spirito che si forma sulla letteratura generosa e cavalleresca di Spagna. Properzio si lasciò prendere d'amore per Ostilia, figlia di un letterato ed istorico; Mérimèe si attaccò a quella che s'idealizzò poi nella fascinante Colomba, l'eroina del suo romanzo di questo nome - e della quale serbò il segreto. Egli non si vantava delle sue molte buone fortune. E questa gli ispirò il disegno di scrivere: L'Histoire de Don Pedro I roi de Castille; l'Episode de l'Histoire de Russie; Les Faux Démètrius....

Quella sua Ostilia viveva pubblicamente col ricco Pretore dell'Illiria, Statilio Tauro, e per lei aveva fatto costruire, a sue spese, un anfiteatro. E Properzio, che era povero, subiva questa comunità di amore. Vi si rassegnava, però, perché il Pretore pagava, e lui, il poeta, godeva dei favori della bella donna, preferito da lei - tanto più che l'altro si assentava spesso, e per lungo tempo, da Roma. Mérimèe si trovava nella stessa condizione di Lalage. Due amici di lui la colmavano d'oro, un romanziere celebre ed un autore drammatico, non meno noto. E come Lalage spasimava di tornare alle Tuileries, a dispetto stesso di Eugenia, Mérimèe ne prese l'impegno, e, aiutato da Pietro Bonaparte, riuscì - a certe condizioni. Per piacere a Lalage, il favorito della Corte e delle dame di essa le dedicò un'edizione della sua famosa Clara Gazul; come per piacere alla contessa di Agoult aveva scritto la Guzla - una raccolta di canti lirici - senza il suo nome - versi che, con la Clara Gazul, précipitèrent la révolution romantique en France, come scrisse Gustavo Planche.

Ostilia poi - o Cinzia - non era solamente bella, ma era dotta. Come la contessa d'Agoult, aveva spirito, ingegno, culto, scriveva versi - e se, come la parigina, non aveva un Liszt che l'incantava con la musica - ella stessa, Ostilia, si schermiva sulla cetera.

Properzio la dipinge così: "I suoi versi sono il più piccolo alimento alla mia fiamma. O Basso, ella ha non poche altre perfezioni per le quali darei tutta la mia vita; l'ingenuità che la fa arrossire; lo splendore di mille capacità e talenti; le deliziose voluttà nascoste sotto una veste discreta - gaudia sub tacita ducere veste libet." Properzio non avrebbe voluto che la si fosse azzimata di tante gioie, di tanti addobbi incomodi. "Perché venderti a quel lusso da barbari? Perché sotto un vestimento così caramente comprato, soffocare le bellezze a te largite dalla natura, e non lasciare i tuoi vezzi risplendere di tutto il loro spanto? Credimi, tu sei troppo bella da aver bisogno di ricorrere a quegli artifizi. L'amore è nudo: esso non gradisce il prestigio degli affusolamenti". Era proprio ciò che Mérimèe scriveva a Lalage, otteneva dalla bella D'Agoult; e che, sotto il nome di Alceste - vagheggiò sempre i nomi di guerra - fece udire alle dame della Corte ed all'imperatrice, che l'annoiavano con le loro robes à queue e l'oeil de poudre, e la poudre d'or dans les cheveux. Ma queste non gli ponevano mente, e le chiamavano fantasticherie di un veillard prématurè, come Cinzia - o Ostilia - si ostinava a conservare, anche ne' più intimi incontri col suo poeta, gl'impedimenta del vestiario e dei gioielli. Laonde, in una boutade, Mérimèe sclamò, imitando Properzio: la femme n'est qu'un paquet de chiffon!

***

Properzio però tornava alla carica - e spingeva l'orrore dei vestimenti complicati fino a quelli che servivano semplicemente al pudore. "Perché condannare Venere a brancolar nelle tenebre? Ignori tu che gli occhi sono la guida in amore? Nuda, ed uscendo dal talamo di Menelao, Elena infiammò Paride; nudo, Endimione si cattivò il cuore di Apollo; nuda, la dea con lui dormiva - nudae concubuisse deae. Se tu persisti a coricarti meco vestita, vedrai se le mie mani sono abili a lacerare una tunica. Sarebbe il tuo seno pendente e la vergogna a mostrare le tracce della maternità, quel che t'impedisce di abbandonarti a queste delizie?"

Ma Cinzia, dura, vedeva sempre alla fine Properzio transigere. Inoltre, ella aveva il suo perché. Non doveva contentar solamente Properzio: altri pagavano ed avevano altri gusti; come la Ricci - che prese pure impero sopra Mérimèe - doveva subire le convenienze di suo marito Walewski e della Corte. E quindi poudre d'or, robes a queue e manteaux de cour, con venti metri di strascico. Poi, come Cinzia metteva a conto di Giunone e d'Iside la continenza che s'imponeva per non sciuparsi troppo, ciò di che si lamentava Properzio: "Cinzia ha passato dieci notti lontana da me!" - il bel vescovetto, mons. Bauer, o il cardinale Morlot, consigliavano le apparenze divote alle dame della Corte, ed alla loro padrona la divozione. La religione preservava le grazie troppo esposte agli assalti.

Ma erano poi i sentimenti religiosi che ritenevano le dame della Corte, contro le quali Mèrimèe tempestava; ed erano, sole Iside e Giunone, che obbligavano al pudore Cinzia? Le apparenze, a Parigi come a Roma, coprivano le brutture reali: vous poudrez la religion de farine de riz et de sable d'or - sclamava Alceste in un'altra boutade; e Properzio, più avveduto o più franco, diceva a Cinzia: et miser in tunica suspicor esse virum.

***

Poi, Cinzia aveva i bagni di Baia, come le dame delle Tuileries avevano Compiégne, Saint Cloud e Fantainbleu - e lo vedremo - per celare le loro dissolutezze e godere di certa libertà, non consentita a Parigi come non gustata a Roma, da amanti esigenti ed egoisti. E nelle lettere postume di Mérimèe si vede in quale guisa egli giudicava con giusto apprezzamento quei fugit ad salicem, consigliati dalla Castiglione, dalla Metternich, dalla bella Gallifet, ecc. ecc. Colà, esse erano tutte intese al Fleury - il grande provveditore delle alcove reali del marito e della moglie, - delibate dal Morny; dal barone di Goltz con poco e dal Nigra con molto successo. Properzio sospettava dunque ed era geloso di quei bagni; e cantava indignato: "Perisca per sempre Baia e le sue acque che ingenerano i delitti dell'amore!"

Cinzia era stata la sua prima amica: ma - "scellerata, tu non puoi dunque coricarti sola una sola notte, né passar sola neppure un giorno intero?" E quindi querimonie, garriti, separazioni seguite da subiti nuovi incontri, e poi nuove querele. Properzio, per distrarsi - come Musset per distrarsi dalla Sand - si tuffa nella sregolatezza - ipso petita lacu nunc mihi dulcis aqua est. - Rimedio vano! Cinzia cade malata. Properzio corre da lei, e diventa il suo infermiere. I baci sono riconciliatori; e tanto, che la ganza diviene gelosa del poeta, e lo batteva, lo mordeva, lo graffiava, lo rendeva insomma infelice.

Properzio abitava una casetta all'Esquilino. Tentò d'emanciparsi dall'implacabile amica con una diversione. Ed una notte si fece venire due cortigiane bellissime: Fillide e Teia. Bianca come giglio ed insaziabile di voluttà e lubricità Teia; meno ardente, ma del pari bella, Fillide. Properzio si apprestò a riceverle con festa e gustare di gioie segrete a lui ignote - et venere ignota furta novare mea. Imbandì la cena nel giardino; e si collocò fra le due. Un egiziano suonava il flauto, Fillide i crotali, un nano una fibula di legno. Ligdamo aveva cura dei fiaschi di vecchio Metimmo - e nulla mancava: né sorbetti, né rose sfogliate. Le ragazze divennero subito brille. La luce della lampada si affievolisce. Tre in un sol letto! Si posero a giocare ai dadi il numero uno - ossia il corpo di Venere. Fillide scoprivasi il seno. Teia apriva la sua tonaca e mostrava i suoi tesori divini... Ma cantabant surdo, nudabant pectora caeco...! Properzio pensava a Cinzia che era andata, con grande pompa, al Tempio di Lanuvio.

Ad un tratto, le porte si aprono; ed eccoti Cinzia precipitarsi sul trio come in una città presa d'assalto - spectaculum capta nec minus urbe fuit! Figuratevi il resto. Povero Properzio! povere ragazze! poveri tutti quanti! Conclusione?... Si riconciliano: si fanno mettere al letto lenzuola di bucato... et toto solvimus arma loro. Lalage sorprese Mérimèe in una piccola orgia simile, in un cabinet particulier, e si ruppero per allora - perché Mérimèe le disse: "A vous PL... S..., à moi ces petites vestales de l'Opèra qui avaient faim et soifEra giusto di carnevale, e Mérimèe era stato al ballo dell'Opéra! E povera Cinzia pure!

Una cortigiana, Nomas, per vendetta, l'avvelenò - come Eugenia avvelenò la Castiglione - quella che Claude chiama sempre: la Prussienne, la Grande Duchesse, e che vedemmo già nella cacce di Compiégne e vedremo meglio in quelle di Fontainebleau. Il pretore forse aveva fatto avvelenare Cinzia.


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