Guglielmo Berchet
La Repubblica di Venezia e la Persia
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DOCUMENTO XXXVIII.

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DOCUMENTO XXXVIII.

1609 (1610) 30 gennaio.

Venne li giorni passati il fedelissimo Giacomo Nores interprete pubblico, alle porte dell'ecc. Collegio, a dar conto dell'arrivo in questa città di un armeno suddito del serenissimo re di Persia, e della istanza che questo li aveva mandato a fare per alcuni della sua nazione, acciò lo andasse a trovare al suo alloggiamento a' ss. Apostoli in camera locante; ma non aver voluto il detto Nores muoversi senza saputa et comandamento di Sua Serenità, dalla quale disse che attenderebbe quell'ordine che le fosse piaciuto darle, che tanto egli avria puntualmente eseguito.

Li fu commesso di andare da detto armeno, e come da se, intendere ogni particolare del suo viaggio, e notar la causa della venuta sua in questa città, e di riferir poi il tutto all'ecc. Collegio.

Ritornato il Nores riferì in questa sostanza:

Io sono stato all'alloggiamento dell'armeno in ordine a quanto mi fu commesso, e mi sono abboccato con lui. Questo è giovane di 32 anni in circa, parla bene, e nelli suoi ragionamenti si mostra molto sensato e discreto; disse essere stato alquanto da figliuolo in corte del re, ed esser al presente cameriere di S. M. Che sono 10 mesi che manca di Persia; che è capitato in cristianità per via di Sorìa, dove si imbarcò sopra un vascello francese che lo condusse a Marsiglia; di passò a Genova, a Livorno, a Fiorenza, di dove s'è poi[204] condotto in questa città. Ha lettere del re per la Serenità Vostra, e me le ha mostrate e sono senza borsa e senza sigillo, la contenenza delle quali per una breve scorsa che io ne feci è la buona amicizia di quella corona con questa Serenissima Repubblica ed il desiderio e pronta disposizione di continuarla dal canto di S. M., e che si mandò de questo chogia Seffer nominato suo agente, per la recuperazion di quelle robe che si trovano in questa città riportate da Sorìa, che furono condotte in quelle parti dall'agente di quel re che fu qui nelli anni passati e che nel ritorno fu dilapidato da' Turchi. Io presa occasione dalla qualità del negozio suo, giudicai a proposito, come da me considerargli, che il proprio luoco era di indirizzare le sue trattazioni non con Vostra Serenità, ma cogli ill.mi signori V Savj alla mercanzia, che è un magistrato di senatori principali al quale sono raccomandati tutti gli affari di quelle parti orientali, pertinenti ai mercanti. A che egli rispose che farebbe quanto fosse consigliato; ed aggiunse, che fornito qui il suo negozio ritornerà a Firenze, poi a Roma, quindi in Spagna, per ritornarsene in Persia da quella parte; che tiene lettere del suo re per quei principi, colle quali li esorta a muoversi contro il Turco. Ho veduto anco una lettera diretta al signor Bartolomeo del Calese scrittagli da un Giacomo Nava che si trova in Persia ed al presente è tenuto come prigione per pieggio di quell'Anzolo Gradenigo che gli anni passati ebbe una quantità di sete di ragione di quella Maestà, per contrattarle in Venezia, ed ha malmenato il capitale.

Ho anco veduto un piego di lettere dirette a questo monsignor Nuncio del Pontefice, scritte per quanto mi ha narrato esso armeno da un certo frate scalzo, che dice risiedere in Persia presso il suo re, spendendo nome e titolo di ambassadore di S. Santità, e due altre lettere scritte dal medesimo frate una al padre generale dei Carmelitani, l'altra ad un segretario del pontefice. Questi dice che al partir suo dalla corte, lasciò il re con tutti tre i suoi figliuoli a Tauris, che aveva diviso il suo esercito in due parti, e mandatane una sotto Van, con quel numero di ribelli che s'erano accostati a S. M., e si intendeva aver preso un castello vicino a Van in sito molto forte, di dove stringevano talmente quella fortezza che speravano doverle capitar presto nelle mani: che l'altra parte dell'esercito aveva il re mandato alla impresa di Babilonia, sotto il comando di un valorosissimo capitano. E questo è quanto ho potuto sottrarre del suo viaggio e del suo negozio; avendomi inoltre narrato i molti favori e cortesie che ha egli ricevuti in Aleppo dal console di Vostra Serenità, delle quali mi disse aver dato conto con sue lettere particolari alla[205] maestà del suo re, lodandosi sopra modo dei buoni trattamenti che gli erano stati usati dal predetto console.

Fu consigliato sopra la relazione del Nores nell'ecc. Collegio, e commessogli, che andato di nuovo all'armeno lo ricercasse come da se della risoluzione che aveva preso intorno il presentar la lettera del suo re, o nell'ecc. Collegio, o nel magistrato dei V Savj alla mercanzia, perchè sarebbe stato nell'una o nell'altra via gratificato.

Ed avendo il Nores fatto l'ufficio riportò questa risposta: che esso armeno avrebbe desiderato presentar la lettera a Sua Serenità, perchè altrimenti facendo, crederia commettere grande errore e mancamento, ed essere grandemente ripreso da ognuno, che essendo stato mandato in questa città con lettera del suo re, fosse egli partito senza vedere la faccia di Sua Serenità, alla quale vorria presentare esse lettere per essere da lei raccomandato alli signori V Savj.

Onde fu stabilito di deputargli l'audienza per venerdì 22 del presente e farlo seder sopra gli ill.mi signori savj di Terraferma.

Di più disse il Nores, che ragionando esso armeno, del suo viaggio gli ha narrato che l'intenzione sua era di passare da Sorìa addiritura in questa città, ma il mancamento dei passaggi lo aveva necessitato ad imbarcarsi in un vascello francese che lo condusse a Marsiglia dove prese una barca con animo di venire in questa città; ma perchè a Nizza ed a Monaco si ebbe sospetto che fosse spia, fu necessitato palesarsi essere agente del re, per non essere offeso; e continuando li tempi cattivi, fece risoluzione di licenziare la barca ed andar per terra a Genova, essendo stato accarezzato e molto ben veduto da quei signori: che di si transferì a Livorno per barca, e da quel governatore, per sospetto pure che fosse spia, fu mandato a Fiorenza: che il segretario Vinta fu a vederlo, al quale diede conto di se e del suo viaggio, e per farsi conoscere agente del re procurò di essere ammesso alla udienza del signor granduca, ma non volendo S. A. darle audienza e riceverlo nel pubblico palazzo, gli fu fatto sapere, che dovesse in una mattina ritrovarsi in una chiesa a messa dove saria stata anche la A. S., siccome egli fece, e le diede la lettera del suo re che portava per S. A., benchè avesse disegnato di presentarla solo al suo ritorno da questa città.

Averle detto inoltre esso armeno, che li signori ambasciatori di Francia e di Spagna ed anco monsignor Nunzio, gli hanno mandato a dire che desiderano vederlo, ma che egli si è scusato per ora colle sue molte occupazioni.

Venerdì mattina venne esso chogia Seffer armeno, con quattro servitori[206] vestiti alla persiana nell'ecc. Collegio, e seduto sopra li signori savi di Terraferma, parlò in questa sostanza così interpretando il Nores:

Ringrazio l'Altissimo Iddio, che mi ha fatto degno di vederla faccia di Vostra Serenità principe giusto, savio e potentissimo, il cui nome è onorato e celelebrato per tutto l'universo, ed in particolare alla corte del mio re, il quale ama, stima ed onora per questi rispetti grandemente Vostra Serenità; e desiderando continuar nella buona amicizia amore et union di animi con questa eccelsa Repubblica, è parso a S. M. mandar me suo umile servo con una sua regal lettera, per significar a Vostra Serenità, questa buona volontà, e l'affezione grande che ab antiquo porta a questo felicissimo e potentissimo dominio.

Rispose sua Serenità: che era da rallegrarsi del giunger suo sano e salvo in questa città da così lungo viaggio: che si vedeva volontieri la persona sua per rispetto del suo potentissimo e valorosissimo re, da S. Ser. e da tutta la Repubblica grandemente amato ed osservato, col quale si conserva quella sincera amicizia e benevolenza, che per il passalo si ha tenuto con quella corona; che avendo lettere di S. M. le poteva presentare, perchè si farieno leggere, ed intesa la continentia di quella, si potria forse darle a bocca qualche risposta.

Ciò detto, si levò l'armeno da sedere e accostatosi alla sedia di Sua Serenità le baciò la veste, e presentò in mano propria una lettera del clarissimo console in Aleppo, ed immediate uno dei suoi uomini presentò una scatola lunga, coperta di panno di Bursa, involta in un fazzoletto vergado, nel qual era una lettera posta in due borse una di raso sguardo, e l'altro di velluto verde, involta in un altro fazzoletto.

Ed il Nores spiegata essa lettera, la lesse ad alta voce, poi la interpretò con gran prontezza e con piena soddisfazione di tutto l'eccellentissimo Collegio.

Dopo letta essa lettera, il Serenissimo Principe ringraziò S. M. del suo amorevole ufficio, e della ottima volontà sua verso la Repubblica, dalla quale è ricambiato di vera affezione ed osservanza. Quanto al negozio disse non aver a memoria se siano venule di Sorìa in questa città robe di quell'agente di S. M., che nondimeno si chiameranno i Magistrati, e da loro si prenderà informazione, ed essendovi cosa alcuna non si mancherà di dar ordine che gli sia consegnata.

E l'armeno non replicando altro prese licenzia, accompagnato a casa dal medesimo Nores che lo aveva levato ed accompagnato al palazzo.

Registro Esp. Principi, pag. 135.

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