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Lettera del re di Persia al nob. Alvise Sagredo.
Giunta che sarà al glorioso, nella religion del Messia, Alvise Sagredo gentiluomo del Consiglio dell'Ecc. Signoria di Venezia, questa nostra regia lettera, sia noto come dal canto nostro regio gli desideriamo ogni onore, e che le nobilissime sue azioni sieno sempre sublimate; e che sono capitate nell'Eccellentissima nostra Corte molte sue lettere scritte al padre Taddeo, dalle quali siamo stati ragguagliati dell'allegrezza da lei sentita per le nostre gloriosissime vittorie, avvisategli da Alvise Parente uomo grande fra i suoi pari: il che ha fatto maggiore la nostra benevolenza verso di lui.
Quello che scrive poi circa al mandar detto Parente in questo nostro[258] regno, per comprar le nostre sede e per trattar con noi importantissimi interessi, gli dicemo che non può far se non bene, perchè finora tutti quelli che sono venuti nelli nostri paesi, così li uomini come le mercanzie, espediti che hanno li suoi affari se ne ritornano contenti alle patrie loro, e potendo ognuno venire ed andare a suo piacimento, tanto maggiormente potranno farlo li agenti suoi, li quali così nelle compere come nelle vendite saranno sempre protetti e favoriti, nè mai riceveranno molestia alcuna. Scriveressimo volentieri nostre lettere all'Eccellentissimo ed Eminentissimo Principe di Venezia, signore dei popoli cristiani, ma non avendo noi sentita nuova alcuna di Sua Serenità stimiamo superfluo il farlo; speriamo però in Dio Altissimo di doverne ricevere, ed allora poi non mancheremo di corrispondere a quella Repubblica in conformità della buona amicizia che tenemo seco, ed è quanto si conviene.
Già molto tempo Riza agà, uomo delli grandi della nostra Corte, ha mandato a quella volta con i suoi agenti 30 in 40 some di sete delle nostre regie entrate, e quelle ivi giunte sono state vendute, come dalle lettere del console veneto in Aleppo siamo avvisati, e che anco per il buon governo di quella città sono stati custoditi li retratti nella zecca dove tuttavia s'attrovano. Pertanto è convenevole che giunto che sarà in quella città Mehemet Alì servitore del gran ministro sopradetto abbi lui cura in conformità della buona amicizia che tiene con la nostra regia persona di farli aver il tratto a esse nostre sete, procurando che il detto Mehemet con li agenti e servitori predetti, pervenghino sani e salvi con la sopradetta facoltà nella nostra eccelsa Corte. Del resto se lei potesse venirsene con licenza dei suoi superiori in questo nostro regno, proverà favori tali che maggiori non saprà desiderarne, e tratteressimo negozi di gran rilievo per servizio di ambe le parti. Venga dunque allegramente che sarà sempre ben veduto e trattato e farà esperienza dell'amore che le portiamo.
Data nel mese di settembre 1627.
Archivio Cicogna, codice MDCCXCVI.
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