Guglielmo Berchet
La Repubblica di Venezia e la Persia
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DOCUMENTO XXV.

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DOCUMENTO XXV.

Serenissimo Principe, Ill.mi Signori,

A' 12 di novembre mi partii dalla corte del re di Persia, et sapendo non poter giunger in tempo di passar il mar Maggiore perchè l'inverno mi aveva sopragiunto; ed essendo informato che il Moscovita non concede il passo a niuno de per il suo paese che voglia passar in Polonia, trovandomi ben l'andar in Ormuz rispetto la lunga navigazione, ed il non esser solito di partir nave per il Portogallo prima che a mezzo marzo, resolsi fermarmi a Tauris per lasciar passare alquanto dell'inverno fin che fosse venuto tempo d'inviarmi per l'Armenia maggiore, et il paese dei Giorgiani, non potendo ritornare per la strada che io era andato, essendomi stato affermato che il bassà di Erzerum mandò dietro per me tre ciaus sino a Erivan nella Persia, li quali dimandarono a un mercante armeno se mi aveva veduto, dandogli segni dei vestimenti et persona; il qual disse non saper, ancorachè un giorno prima avesse parlato meco, mi conoscendo per cristiano, rispetto che nel passare d'Erzerum io era in[164] abito di armeno, et subito giunto ai confini di Persia mi vestii di altri panni alla turchesca, et ciò per correr manco pericolo di assassini da strada, i quali sono in quelle parti in grandissima quantità; in fine detto mercante mi trovò in Casbin, e mi raccontò come li ciaus si trattennero due giorni per aver qualche nuova, li quali dissero come un uomo che era al mio servigio si era trovato a Erzerum con alcuni suoi paesani, ed avendo bevuto più dell'ordinario, dissero alcune parole che diedero sospetto che io fossi italiano ed uomo pubblico; ma non essendo stati bene informati, facevano giudizio da per loro, et ragionando con altri di tal cosa dopo il mio partire fu riferito al subaschi, il quale li prese e condusse al bascià interrogandoli sopra quello che avevano ragionato. Negarono ogni cosa, furono posti in prigione, et con diligenza mandarono dietro per me, onde per fuggire così evidenti pericoli fui forzato passar per strade non usate e deserte, allontanandomi quanto più poteva da detti confini. Partii da Tauris alla fine di febbraio e passata l'Armenia maggiore entrai nelli confini dei Georgiani, mi trovai con gran quantità di soldati a cavallo che andavano ad Erivan, nel qual luoco essendomi pochi giorni trovato vidi che el sultan faceva gran preparation di genti da guerra per ordine del re; si sapeva così pubblicamente le cause sebben tutti dicevano esser contro Turchi.

Giunsi a Pazagan, terra dei Georgiani, nel qual loco vi era un gran moto, e si erano mezzo sollevati. Due giorni dappoi il sangiacco di Sasset sottoposto a sultan Selim mi fece chiamare e mi dimandò si sapeva in che parte l'esercito del re di Persia era per andare; io li dissi non sapere perocchè non veniva da Persia, ma dal proprio paese dei Georgiani.

Partitomi di per condurmi al mar Maggior, entrai in deserte ed asprissime montagne, nelle quali passai estremi disagi di fame, avendomi convenuto per sei giorni nutrire di alcune radici di erbe, le quali sono come cardi selvatici, essendovi acque perchè erano agghiacciate, mi bisognava disfar la neve per bevere, ed aggiunto lo andar a piedi a tanti mali, et ciò perchè sopra dette non vi può passar cavalli, sì per l'altezza ed asprezza loro, come perchè non vi saria da nutrire li animali, oltre il pericolo di leoni, orsi ed altre fiere selvatiche che in esse vi sono. Giunsi coll'aiuto di Dio alla fine di marzo in Cogna città alle rive del mar Maggiore, nel qual luogo mi fermai per non essere alcun passaggio in pronto, et intesi che li christiani Circassi erano venuti con 24 vascelli, et avevano per 300 miglia di paese a marina, abbrucciato e depredato le ville e tagliate[165] le vigne dei Turchi ed ammazzato gran quantità di loro, e che avevano portate via le donne e putti e le robbe, per il che si dubitavano che bonacciato il mare non venissero sopra detta città.

Giunsero da Trebisonda sei galere armate per la guardia di quel loco, con ordine di sultan Selim di non si partire dal porto, ma guardar solamente la terra, perchè dubitava che detti Circassi non avessero cresciuto il numero di detti vascelli. Partitomi con una barca, a marina a marina giunsi a Rissa, nel qual luoco mi abbattei in un ciaus venuto da Samsum per canevi, il quale non ne avea potuto trovare per 600 miglia di paese che avea scorso più di 130 cantari, e li aveva pagati con 200 aspri il cantaro, che prima li aveva per 80, e mi disse che non era filo da poterne far per una gomena, et avea comandamento di andare in Georgia e Circassia, ma per dubio di quelli corsari, si ritornò.

Io imbarcatomi sopra il suo caramussali, mi condusse fino a Trebisonda, dal qual intesi le espedizioni e preparazioni fatte per nuova armata; disse che nella Grecia erano stati spediti ciaussi con comandamento che si facessero galere e si lavorassero a quelle scale, conforme a quello mi aveva detto il ciaus; dal qual luoco partitomi sopra una nave di Greci, giunto a Sinope, presi porto non avendo avuto vento da buttarmi al mare per passare in Europa, smontai e vidi 6 galere pronte alla vela le quali partirono due giorni dopo per Costantinopoli, essendone la settimana innanzi partitone 24 per quanto mi fu affermato dai Greci, vi erano anche due corpi di galere grosse nelle quali si lavorava, perchè nel principio non le erano state date le debite misure; essendo tirate lunghissime e datali tanta larghezza che per gran navi sarebbe stata troppa, però aspettavano da Costantinopoli un proto sì per tirar quelle a buona forma come per farne delle altre. Le maestranze sono state licenziate fino all'invernata acciò navicassero e conducessero oltracciò a Costantinopoli ed altri luochi quello bisognava, continuandosi però con ogni diligenza a condur legnami per l'anno venturo e già ne era preparata grandissima quantità; ed essendo li conduttori stentati nelle paghe, disse uno di loro all'emir che bisognava andare a farsi pagare dalli Franchi, perchè pigliando le galere ad istanza loro si affaticavano. Io innanzi al partir, per esser loro di qualche importanza, presi un poco di disegno del sito della città e del castello, e scandagliai l'acque, perchè in tre luochi vi sono porti, sei miglia lontano l'uno dall'altro, e l'uno mezzo miglio vicino alla città, nel qual si lavora le galere,[166] e li due lontani miglia cinque e mezzo. Il medesimo feci a Trebisonda avendosi due volte la nave allargata in mare per passare alle altre rive, essendo da venti contrarii ributtata, si risolse il padrone essendo sua la nave ed il carico che era vino, senza far motto ad alcuno, di tenersi a costa di terra e con buonissimo vento in tre giorni arrivammo alla bocca di Costantinopoli; nel qual luoco per buona sorte trovai nave che stava per andar al Danubio per formento, la qual si trattenne dieci giorni innanzi il partire. Li marinari andavano ogni giorno a Costantinopoli; dai quali intesi che Ulularli capitano di mare era per partire alli primi di giugno con 12 galere per guardia delli castelli, e che non aveva voluto levar spahi giannizzeri, ma uomini marittimi tutti con archibusi da sette spanne, perchè conosceva le forze far poco effetto contro gente armata. Non si faceva altro, giorno e notte, a Costantinopoli, che buttar di detti archibusi; resterò di dire alla Serenità Vostra un effetto grandissimo ed incredibile che per causa di una voce sparsa per tutte le rive del mar Maggiore, è successo: dico che sopra la moschea di S. Sofia e sopra quella di Sultaniè alla parte di Andernopoli sono comparse due croci le quali giorno e notte si vedono, per il che li cristiani da questi luochi cominciando fin a Costantinopoli tutti universalmente tengono questo per fermo, aspettano altro che piccola occasione per levarsi. Questa nuova è passata tanto innanzi che li Turchi medesimi la credono, esser il fine dell'impero ottomano, e che loro speran che passando ai Franchi il tributo li abbiano a lasciare nel paese.

Partitomi da Costantinopoli giunsi al Danubio, ed entrato per la bocca, chiamata san Giorgio, arrivai per mezzo la Bogdania, e dallo scrivan dell'emir intesi come Bogdan vaivoda si era ribellato, e che sultan Selim avea mandato Giano vaivoda per signor di quel paese, il quale ricercava che li sangiacchi di Silistria, Bendir e di Achirman andassero in suo ajuto perchè Bogdan era per entrar nel paese dei Polacchi. Gli fu risposto che detto soccorso non gli si poteva dare, perchè il sangiacco di Silistria avea ordine di cavalcar verso Adrianopoli e li altri di guardar li loro confini. Entrato che fu nella Bogdania vidde l'esercito di quel signore il qual poteva essere di 20m. uomini a cavallo, tutti contadini disarmali d'ogni sorta di arme da difesa con spade, mannerini, e pochi con lance, li cavalli non da guerra ma ronzini.[167]

Il giorno che giunsi a Yassy terra ove il signor fa residenza fu tagliata la testa in publico a sette gentiluomini della fazion di Bogdan vaivoda, i quali volevano la notte seguente ammazzar Giano vaivoda: però vive con gran timore, rispetto che da gentiluomini dal popolo è amato, e questo per la troppa tirannide che usa ai popoli; per il che il primo signor è al presente da ognuno desiderato, il quale se bene è qui in Polonia, si trova a sua instantia in Bogdania la fortezza di Cottin, castello in detto paese nel confine della Polonia, aspetta altro per entrar di nuovo contro il detto Giano che il tempo del raccolto, convenendo li villani in detto tempo levarsi dal campo per andare a tagliare i grani e far i loro altri affari. In Leopoli si faranno preparazioni grandi di guerra, e già sono ridotti infiniti signori e gentiluomini, ne si sa per che parti; et in buona grazia della Serenità Vostra mi raccomando.

Di Cracovia a XXV luglio MDLXXII.

Di Vostra Serenità

Humilissimo servitor
Vincenzo di Alessandri.

Archivio Cicogna, cod. 1762.


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