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Relazione presentata al Consiglio dei Dieci il 24 settembre 1572 e letta l'11 ottobre da Vincenzo Alessandri, veneto legato a Thamasp re di Persia.
Dovendo io, secondo il comandamento fattomi ultimamente da Vostre Signorìe Eccellentissime, mettere in scrittura tutto quello che (oltre quanto per mie lettere ho scritto nel corso di ventun mesi passati, dal dì ch'io mi partii dai piedi di Vostra Serenità per andare in Persia, fino al mio ritorno) ho diligentemente osservato; non bisogna che s'aspettino da me, poco atto in tal professione, nè quella maniera di dire, nè quell'ordine che per avventura ricercheriano le cose che narrerò; ma che si contentino che, come meglio io potrò, e secondo che mi verranno a memoria, io le[168] esplichi in carta: essendo per dar conto delli paesi e regni che si trovano nella Persia, dell'abbondanza e mancamento di essi, della natura dei popoli, della persona del re e qualità dell'animo suo, de' suoi figliuoli, del governo, della corte, del modo ed ordinamento di consigliare e risolvere le cose di stato e d'amministrar giustizia, delle entrate e spese del regno, del numero e qualità di quei sultani, che non vuol dir altro che signori principali della milizia, ed in somma di tutto quello che mi ricorderò, o che giudicherò degno della sua notizia, rendendo certe le Signorìe Vostre Illustrissime ch'io non dirò cosa che non abbia veduta, o che da relazione di diversi uomini degni di fede non mi sia stata detta con verità.
E per cominciare dal re di Persia, Elle hanno da sapere, come questo re, nominato Tamasp, viene per linea retta da Alì, genero che fu di Maometto profeta. Fu figliolo d'Ismaele I, il padre del quale si addimandava Caider, uomo di gran bontà e dottrina, e da loro tenuto per santo, dicendo aver predetto molti anni innanzi come il figlio doveva esser re, sebbene esso Ismaele s'impadronì del regno con poco timor di Dio facendo tagliar la testa al figlio del suo re; in che sebben la fortuna gli fu favorevole e prospera, ebbe però nel corso degli anni del suo regnare molti travagli dagli imperatori Ottomani, quali al suo tempo cominciarono a metter piede nelle fortezze principali del suo regno, come fece sultano Selim padre che fu di sultano Solimano, il quale s'impadronì di Carahemit, città di grandissima importanza e abbondante di tutte le cose necessarie, popolatissima e piena di molti artefici, e posta in bellissimo sito, sì che dove prima per natura era forte, ora per industria degli Ottomani è fatta fortissima: nella quale vi si tiene un bascià di grande importanza, dependendo da detto luogo molte terre e castelli, i quali erano tutti di detto Ismaele nel paese chiamato Diarbech. Ebbe Ismaele, oltre il presente re, che fu il primogenito, tre figli, cioè Elias Mirza, Janus Mirza e Bairan Mirza. Elias fu uomo di gran valore e di grande ardire, e nel tempo che si trovò in pace col re, prese Baracan, re di Servan, e le sue città e paesi, il qual regno è grande e d'importanza, ed è alle rive del mar Caspio. Restò questo regno tutto nelle mani del re suo fratello, il qual non avendo fallo niuna grata dimostrazione per l'acquisto di tanto paese verso di lui, fu causa che se gli inimicò, e si congiunse con gli Ottomani, e con grandissimo esercito levò sultan Solimano a danni del fratello, prendendogli molti paesi e principalmente la città di Irun, allora principal fortezza di Persia, lontana da Tauris sei giornate; per la[169] qual cosa il detto re lo fece ammazzare, come fece anco di Janus Mirza, secondo fratello, dubitando che ancor egli non si sollevasse, essendo il terzo per innanzi morto di morte naturale: del quale è solo restato un figlio, il quale ha il suo stato in India; e desiderando il re dargli una delle sue figliuole, il fece chiamare; ma li popoli non vollero mai acconsentire che andasse a Casbin, dubitando che ad esso ancora non si facesse qualche dispiacere.
Li figliuoli di esso re Tamasp in tutti sono undici maschi e tre femmine, generati con diverse donne. Il primo si addimanda Codabend Mirza, di anni quarantatrè, buono, di natura quieta, nè si cura molto delle cose del mondo, contentandosi di un piccolo stato datogli dal re nel regno di Corassan; ed ha tre figli, il maggior dei quali è di età di quattordici anni, di bellissimo aspetto e di alto spirito e caramente amato dal re, sì per le sue virtù, sì per non aver dai figli altro nipote che questo. Ismael, secondo figlio, è di età di anni quaranta, di natura robusto, di altissimo animo, di gran cuore e desideroso di guerra, avendo in molte occasioni dimostrato il valor suo contro gli Ottomani, e particolarmente contra il bascià di Erzerum, poichè con poco numero di cavalli ruppe l'esercito di esso bascià, ch'era in gran numero, e se presto non si fosse ritirato, si sarebbe anco impadronito della città; e questa ritirata fu poichè Mirza Bech, primo consigliere del re, ed inimicissimo d'Ismaele, disse al re che conosceva essere nella mente di questo giovine troppo alti pensieri, avendo senza la licenza del principe radunato esercito, ed essendo entrato nel paese degli Ottomani: in tempo di pace, parendogli questi segni di poca obbedienza, mostrando anche al re alcune lettere mandate alli sultani per le provincie, invitandoli a sollevarsi alla guerra contro detti Ottomani, per il che si risolse il re, a persuasione di costui, di metterlo in castello con guardia di sultani e molti soldati, onde è già 13 anni e più che si trova prigione, e sebbene quest'anno se gli sono levate le guardie, non è però licenziato lui. Il re più volte, per gratificarlo, gli ha mandato donne bellissime, acciò che si trattenga, nè mai ha voluto assentire, dicendo che lui con pazienza sopporta l'esser prigione del principe, ma che gli saria stato di troppo gran peso vedere anco li figliuoli suoi prigioni, e che a schiavi non si convengono donne.
È il detto Ismaele sopra modo amato dal principe; ma il timore è grande vedendo esser lui ardentissimamente desiderato per signore da tutto il popolo, ancorchè li sultani mostrino essi ancora di temerlo molto per la sua troppo fiera natura. Per il che si fa giudizio,[170] che succedendo al regno, egli potria riformare gran parte dei capi della milizia, e levarsi dinanzi tanto numero di fratelli, che gli hanno occupato gran parte del regno.
Sultan Caidar Mirza, terzo figlio del principe, è di età d'anni sedici, di piccola persona, ma di bellissima faccia e franco sì nel parlare come nel conversare, e nel vestire e cavalcare attillatissimo, e soprammodo amato dal padre. Si diletta di sentir ragionare di guerra, ancorchè mostri non esser molto atto a tale esercizio, per la troppo delicata e quasi femminile sua complessione. Fa prova d'ammazzare animali colle sue proprie mani, e molte volte, ancorchè le spade siano di eccellente lama, non gli può passar la pelle, avendolo io veduto a fare di simili prove e di poi restare pieno di vergogna, ed arrossire e prendere scusa, ora che le spade non tagliavano, ora che per compassione non gli ammazzava. È di buon intelletto, e per quell'età è assai grave: mostra intendere le cose di governo, e sapere come si reggono gli altri principi del mondo. Sultan Mustafà, Emirkhan, e Gemet Mirza, sono tutti tre tra li quattordici e quindici anni: sono di buona indole, e mostrano grande ingegno; gli altri sono fra li dieci e undici anni, e stanno a Corassan ad imparar lettere, da un piccolo in poi di età di quattro anni, il quale è appresso il re, per esser secondo quell'età, accorto e mollo piacevole. Le figliuole sono tutte maritate in parenti con dote di gran stati.
Il re è in età di sessantaquattro anni, e del suo imperio cinquantuno, essendo stato eletto di tredici anni. È di statura mediocre, ben formato di corpo, di faccia alquanto scura, di gran labbri e barba, ma non molto canuto, di complessione piuttosto malinconica che altrimenti, conoscendosi ciò per molti segni, ma principalmente per non essere uscito del palazzo in dieci anni pur una volta, nè a caccia, nè ad altra sorte di piaceri, il che è di molto mala soddisfazione al popolo, il quale secondo l'uso di quel paese non vedendo il suo re, non può se non con estrema difficoltà dire i suoi gravami, nè possono esser suffragati nelle cose di giustizia: per il che, giorno e notte gridano ad alta voce dinanzi alle porte del palazzo, quando cento e quando mille alla volta, che gli sia fatto giustizia, ed il re sentendo le voci comanda per l'ordinario che siano licenziati, dicendo esser nel paese li giudici deputati che faranno giustizia, non considerando che quelle querele sono contro li giudici tiranni e contro li sultani, i quali per l'ordinario stanno alla strada ad assassinare la gente, come per molti casi da me veduti e uditi mi sono accertato; e come la Serenità Vostra è per intendere.[171]
Nella città di Massinuan furono presi alcuni assassini, i quali avevano ammazzati alcuni mercanti, e toltogli le robe; i presi furono menati alla giustizia. Il giudice, venuto in luce del tradimento, si fece portare il furto, poi licenziò li delinquenti, tenendo una parte delle robe per lui, e l'altra mandando a Casbin ad alcuni sultani in presenza dei padroni di esse robe. E andando io alla corte ogni giorno, li vedevo a stracciarsi i panni, montar gridando per le mura del palazzo e dire ad alta voce al re che cosa egli faceva, e da che causavasi che egli non volesse rimediare a tanta ingiustizia. Per il che furono molte volte ben bastonati, e con le pietre fatti saltar giù dalle mura, nè mai fu loro possibile essere uditi. Oltre di questo, nella città di Tauris, sedici ladri armati con archibusi scalarono di notte il principal fondaco di quella città, il quale si chiama Kan del signore, dove vi erano da quaranta mercatanti; e sapendo i ladri che tra gli altri, Achmet celebre mercante d'Algeri si trovava buona quantità di danari contanti, ruppero le porte della camera del detto Achmet, e lo ammazzarono, pigliando trenta tomani, che fanno sei mila scudi, oltre alcune verghe d'argento e altre robe; ed essendosi mossi li mercanti per la difesa del fondaco, furono colle archibugiate fatti ritirare nelle stanze. Pochi giorni dopo, vicino alla casa dove io ero, fu dalli medesimi ladri, la notte con lanterne, assaltata la casa di un Armeno, e toltigli quattro colli di seta, e per quello si disse fu veduta la detta seta in casa del sultano di Tauris; e sebbene di tutte queste cose se ne siano fatte querele alla corte e trovati li ladri, non si è perciò proceduto per via di giustizia contra di loro, mostrando il re di non curarsene punto. Oltre di questo, un mercante Turco, chiamato Kara Seraferin, usato anco a venire in Venezia, essendo in Casbin in un fondaco, ed avendo inteso i Kurdi, i quali sono quelli che guardano la persona del re, essere detto mercante ricchissimo, presero occasione di fargli un pasto, e trattenerlo tanto, che li compagni, li quali aveano tolta una bottega affitto contigua a detto fondaco, ruppero il muro, ed entrorno dentro, e gli rubarono dodici mila ducati contanti. Il detto mercante tornato alla stanza subito si avvide del fatto, ed andò alla porta del palazzo, ed avendo amicizia di molti sultani, fu introdotto dal re; e querelando i detti Kurdi che lo avevano invitato, come consapevoli di questo fatto, il re fece chiamar li Kurdi, li quali negorno; ed instando il mercante che fossero messi in prigione, e preso il loro costituto separatamente, il re disse che l'averia fatto per contentarlo, ma caso che detti colpevoli non avessero confessato,[172] avria poi fatto tagliar la testa a lui; il quale, di ciò dubitando, non volle altrimenti continuare l'espedizione della causa. Ma pochi giorni dopo, coll'occasione di un giovine avendo scoperto come detti Kurdi avevano fatto il furto, fece il mercante esaminare li testimoni per il giudice della città di Casbin, e presentò il loro detto al re con quattrocento ducati di dono, acciò fosse spedito presto da sua maestà. Il re mandò per li detti Kurdi, ai quali furono trovati li danari avendone spesi pochi, e comandò che detto denaro fosse posto nel tesoro, ordinando che il detto Cara Seraferin non gli fosse più introdotto innanzi. Questo fatto diede grandissima occasione a tutte le genti di ragionare, e di dolersi della poca giustizia del re, benchè ogni dì si veda seguire di simili effetti, curandosi egli poco di sentire i suoi sudditi per tal causa lamentarsi; ed un giorno il re disse ad un vecchio Kurdo suo buffone, quale dormiva nell'anticamera, d'aver quella notte dormito assai bene, avendolo sentito cantare; al che il buffone rispose che non sapeva che il suo canto avesse forza di addormentare sua maestà, perchè quando l'avesse saputo non averia mai aperto la bocca, acciocchè anche ella stesse svegliata a sentire li pianti e li lamenti che tutta la notte facevano li poveri suoi sudditi, per cagione degli assassinamenti fattigli per le strade e per le terre proprie, dicendo che nel libro delle querele da otto anni in qua vi eran scritte più di diecimila persone, ch'erano state ammazzate. Questo dispiacque molto al re, il quale con alterazione d'animo disse, che bisognava prima fare appiccar lui e li suoi compagni, dalli quali venivano tutti li mali, intendendo delli Kurdi; e ciò non è maraviglia perchè non gli dando le loro paghe, sono forzati andare alla strada, e fare di simili altri effetti, tanto più quanto che vedono che in materia delle cose di giustizia, come ho detto, il re non prende alcuna cura, o pensiero. Da ciò avviene che per tutto quel regno sono mal sicure le strade, e nelle case si corra anco di gran pericoli, e li giudici quasi tutti dalla forza del denaro si lasciano vincere.
Con verità si può anche dire, che mai questo re abbia avuto inclinazione alle cose della guerra, ancorchè secondo il loro termine ne discorra con eccellenza, essendo uomo di pochissimo cuore; e se pure in qualche occasione si è mostrato di entrare in campagna, non lo ha fatto perchè la natura lo invitasse, ma sforzatamente, non essendo mai stato ardito di mostrar la faccia all'inimico, anzi con infinito suo biasmo ha perso in suo tempo tanti luoghi, che fariano assai ad un gran principe. Ma quello che sopra tutto gli è piaciuto,[173] e piace al presente, sono le donne e li danari, le quali donne hanno messo tanto possesso nell'animo di questo re, che molti, non sapendo altro dire, affermano che l'abbiano affatturato, stando la maggior parte del tempo con esse ragionando, e consigliandosi con esse anche delle cose di stato, buttando figure di chiromanzia sopra le cose del mondo, scrivendo eziandio li sogni, e quando taluni vengono ad effetto, le donne gli ricordano, ch'egli è profeta di Dio; delle quali adulazioni egli ne sente grandissima contentezza, e sebbene è per natura avaro, con queste donne si può dire che sia prodigo, donandole di gioie, danari, e altre cose in gran quantità. Sogliono però esse donne, con licenza del re, alle volte uscire del serraglio, quelle però che hanno figliuoli, sotto pretesto di andarli a vedere in caso di malattia: ed io vidi uscire la madre di sultan Mustafà Mirza, il quale era alquanto indisposto, poco dopo mezzogiorno, col capo coperto con un caffetano di panno negro, cavalcando come fanno gli uomini, accompagnata da quattro schiavi e sei uomini a piedi.
Usa esso re molti elettuarj per fomentar la lussuria, ed a questo tiene gente apposta, ed a quelli che li fanno migliori dà gran premj. Suole anche dare in serbo le schiave donzelle alle sultane per non ci spendere intorno, e quando comanda che siano menate a lui, esse le ornano con gioie, ed altri ricchi ornamenti.
Ora sebbene dalle cose dette chiaramente si può conoscere l'avarizia di questo re, pure non resterò di dire alla Serenità Vostra alcuni particolari, li quali daranno maggior certezza di questo.
Manda esso re nel paese di Konducar per turbanti e boraccini, in Corassan per velluti, rasi ed altri panni di seta, ed in Aleppo per panni di lana; e di tutte queste robe fa far drappi, che dà in pagamento alli soldati, ponendogli a conto quel che vale uno, dieci. Piglia ogni sorte di presenti per piccoli che siano, nè all'incontro si cura di corrispondere; ed io vidi un vassallo del Turco venuto di Aleppo, con intenzione di farsi Persiano, il qual baciò il piede al re, e gli presentò un mulo e dodici ducati d'oro. Tolse il re li dodici ducati, e gli disse che gli restituiva il mulo, prendendo il suo nome in nota, come si suol far di quelli che vengono dal paese degli Ottomani, e mostrano tener conto de' Persi.
Di più si racconta quanto appresso: un soldato prese in tempo di guerra un figlio di un signore Usbech, uno dei maggiori nemici di questo re, il quale è di tanto seguito nei confini di Corassan, che il re è forzato di dargli quaranta tomani all'anno, che fanno ottomila ducati,[174] acciocchè non dia molestia alle carovane che vengono dalle Indie: e volendo un altro soldato donare al predetto soldato per causa di tal prigionia, un villaggio e mille ducati, che glielo desse, esso volle presentarlo al re pensando di aver maggior premio; ma egli non gli donò altro che un cavallo in ricompensa di così gran prigione.
Mostra egli è vero questo re grandissima liberalità nel dar provvisione a molti, sebbene faccia l'assegnazione in luoghi che non vengono mai pagate, se non hanno gran favori, o non fanno donativi. Libera ogni giorno per l'anima sua molte terre dalli tributi ed angarìe, ma per il più passati due o tre anni li vuol poi tutti in una volta, come ha fatto nel tempo che io mi trovava alla corte nella terra di Tulfa, abitata tutta da uomini, i quali erano stati esenti per sei anni dal tributo, ed in una volta il volse tutto del tempo passato con danno e rovina di quei poveri cristiani, oltra lo aver mandato Cariambeg maestro di casa di sultan Caidar Mirza, luogotenente del re, a riscuoter detti danari con venticinque some di drappi e scarpe da vendere: usando esso re, ogni giorno mutarsi cinque volte di vestimenti i quali sono distribuiti a quei popoli, ponendogli a conto quel che vale uno, dieci, non bisognando però che alcuno si mostri renitente a pigliare dette robe, anzi aver per grazia grande il poterne avere. Il medesimo fu fatto nel paese di Alingria, abitato tutto da Latini, sebben non usino altra lingua che turca, persiana, ed armena; i quali oggi dalli Persiani sono chiamati Franchi.
L'arcivescovo di quel luogo si chiama l'arcivescovo di Erivan, il quale due volte è venuto qui a Venezia, come dalle patenti fatteli, l'una sotto il serenissimo Girolamo Priuli di febbraio 1561, l'altra sotto il serenissimo Loredan 1569, avendole io vedute e lette per essere stato in quel luogo quarantacinque giorni, per fuggir di essere perseguitato dalli ciaussi che dal bascià di Erzerum mi furono mandati dietro.
Vende esso re spesso gioje ed altre mercanzie, comprando e vendendo con quella sottilità che faria un mediocre mercante. Egli è vero, che già sei anni egli ha fatto un effetto piuttosto magnanimo che altrimenti, avendo levato ogni sorte di dazj che si trovano nel suo regno, i quali erano i maggiori che fossero in tutto il mondo: poichè di mercanzia, od altro, di sette parti ne pigliava una, oltre quello che li ministri toglievano. Vien però affermato che di ciò furono causa alcune visioni che gli vennero in sogno, dicendo che gli[175] angioli l'avevano preso pel collo e dimandatogli se ad un re che ha nome di giusto, e che viene dalla casa di Alì, si conveniva con rovina di tante povere genti comportar dazj sì crudeli, e che però gli comandavano di liberare le genti. Si svegliò esso re pieno di paura, e comandò che per tutti li paesi del suo regno fossero levati li dazj. Ma di questo fatto si comprende chiaramente dagli effetti, che di giorno in giorno egli pare esserne pentito, e desiderare di accumular danari con mille e mille operazioni indegne di uomo, non che di re; le quali non racconterò così particolarmente alla Serenità Vostra per non l'attediare con la lunghezza loro, sapendo che le cose antecedentemente narrate, basteranno per far conoscere l'animo suo.
Passerò perciò a parlare della sua corte, la quale è divisa veramente sotto due capi; cioè il servizio del re, e il consiglio di stato.
Il servizio del re è diviso in tre sorte di gente; in donne, in figliuoli di sultani, e in schiavi comprati dal re o avuti in doni dal caramè, che così da loro è chiamato il serraglio dove stanno le donne. È da esse servito quando dorme di dentro, e sono tutte schiave circasse e georgiane; quando dorme di fuori è servito nelli servizi bassi, come nel vestirsi e dispogliarsi, dagli schiavi, de' quali ne ha da quaranta o cinquanta. Questi tengono anche all'ordine le cose di dispensa. La terza sorte di gente che lo servono, sono nobili figli di sultani, i quali non stanno nel palazzo regio, ma vengono mattina e sera dalle loro case al servizio, e sono ora più, ora meno, ma per l'ordinario sono al numero di cento. Vien servito a vicenda da loro nel dare l'acqua alle mani, nel presentargli le scarpe, e nello andargli dietro quando cammina per li giardini.
La ricompensa che il detto re dà agli schiavi che lo servono, da quindici sino all'età di venticinque in trenta anni, sempre con le barbe rase, è l'imprestar loro, a chi trenta, a chi cinquantamila ducati, al venti per cento, a chi per dieci, ed a chi per venti anni, ricercandone egli però il frutto d'anno in anno. Essi poi prestano a sessanta e ottanta per cento ai signori della corte che stanno in aspettazione di aver dal re gradi e governi, con buone cauzioni di possessioni e stabili, e caso che quelli che hanno preso il denaro nel fine dell'anno non si compongano con quelli che l'hanno dato del capitale o del prò, senza altro protesto gli vendono le case o possessioni, nè vi è altro rimedio a riaverle.
La ricompensa del servizio de' nobili sono i gradi della corte,[176] come centurioni e capitani alla guardia del re, e sultanati che s'intendono essere governi delle provincie. Questo è quanto appartiene al servizio della persona del re.
Il consiglio veramente è un solo nel quale non vi è altro presidente che esso re, con intervento di dodici sultani, uomini di esperienza e d'intelligenza nelle cose e governo di stato; sebbene questo numero è alternato da quei sultani che di tanto in tanto vengono alla corte, ed entrano tutti in consiglio ogni giorno, eccetto quando il re va al bagno e quando si taglia le unghie. L'ora del ridursi, sì l'estate, come lo inverno, è dalle ventidue ore in poi, e stanno ridotti secondo le materie che si trattano, fin tre, quattro, cinque, sei, e sette ore di notte. Siede il re sopra un divano non molto alto da terra, e dietro alle sue spalle siedono li figliuoli quando si trovano alla corte, alla quale ordinariamente interviene sultan Caidar Mirza, che è come luogotenente del re, nè si parte da esso. All'incontro della faccia di esso re, siedono li sultani consiglieri per età, e dalla parte destra e sinistra siedono li quattro grandi consiglieri da loro chiamati visiri. Il re propone le materie e sopra esse discorre, dimandando il parere dei sultani ad uno ad uno, e secondo che dicono le loro opinioni si levano dal loro luogo, e vengono appresso il re, e siedono, parlando con voce alta, di modo che possino essere intesi dagli altri sultani, e nel corso del ragionamento, il re, se sente qualche ragione che gli piaccia, la fa notare alli gran consiglieri e molte volte la nota di mano propria; e così a mano a mano secondo che il re chiami i Sultani vengono a dire le loro opinioni. Il re ora risolve le cose del primo consiglio, quando non ha dubbio delle materie che si trattano, ora si fa portare le ragioni di tutto il consiglio, e da lui le considera e poi si risolve. Nel numero di questi sultani del consiglio entra anco il capitano della guardia del re, che sebbene non è sultano, è però nobile, ed uscendo di quel grado entra sultano. Li gran consiglieri non hanno voce, nè ricordano cosa alcuna, se dal re non sian dimandati; li quali sebben sono onoratissimi e molto stimati, non possono però ascendere al grado di sultani, nè di altri servizj pertinenti alla guerra ancorchè fossero nobilmente nati. La carica veramente è piuttosto di genere virtuosa che nobile. Mentre che il consiglio sta ridotto ogni notte, vi stanno anco le guardie di trecento Kurdi armati, li quali, licenziato il consiglio, non si partono, ma dormono lì per guardia del re.
Parendomi aver sin qui detto a sufficienza della corte di questo[177] re, parlerò ora della grandezza del suo stato, e qual sia il modo del governo delle provincie e regni che in esso si trovano, considerando le metropoli, e come è amato esso re dai popoli abitanti nel suo paese. Confina il paese posseduto dal re di Persia da levante con l'India, ch'è tra il fiume Gange e Indo; da ponente col fiume Tigri, che divide la Persia della Mesopotamia, ora detta Diarbech, il qual fiume correndo sino alli confini di Babilonia, entra nell'Eufrate, ed uno istesso alveo corrono tutti due per Bassora, e sboccano nel mar Persico verso il mezzodì; da tramontana col mar Caspio e colla Tartaria del gran Khan del Catai.
Nel detto paese vi sono numero cinquantadue città, e le principali di esse sono: Tauris, metropoli di tutto il regno, Casbin, Erivan ed altre, le quali ad una ad una non nominerò, ma dirò solo che non ve n'è pur una in tutto il regno che sia murata, ma tutte sono aperte; le fabbriche sono bruttissime, e le case tutte di loto, cioè fango e paglia tagliata mescolata insieme, nè vi sono moschee nè altro che possa render vaghe dette città, ancorchè per l'ordinario i siti siano bellissimi. Le strade sono brutte per la quantità della polvere, e malamente vi si può andare, e conseguentemente l'inverno vi sono fanghi estremi.
Vi è grandissima abbondanza di grani per l'ordinario, ancorchè non piova se non rare volte; ma usano di condur l'acqua a bagnare i campi una settimana in una parte, ed una settimana in un'altra; ed a questo modo vengono a dar tant'acqua alle biade e vigne quanto basta. E nelle ascese, ed altri luoghi, dove le acque non ponno esser tirate, se ne servono di prateria. Vi è anco quantità grande di carnaggi, e sopra tutto di castrati, e di tutta grassezza, ed io ho veduto in Tauris più volte pesar le loro cosce dieci buttuarie, che sariano quaranta delle nostre libbre. Contuttociò sono assai care rispetto alla quantità grande che ve n'è incredibile, e tale che non pare che debba mai spedirsi, eppure si vende; e ciò avviene perchè non credo che sia nel mondo nazione che mangi più delli Persiani: essendo ordinario che tutti i vecchi non che li giovani, mangino quattro volte al giorno, e ciò per causa dell'acque, che essendo perfettissime, ajutano la digestione.
Sono li Persiani piuttosto genti povere che altrimenti. Nelle città e ville non usano molti adornamenti. Dorme ognuno in terra, e quelli che sono in qualche condizione usano lo stramazzo sopra tappeti, gli altri un feltro semplice. Le donne sono per l'ordinario tutte brutte, ma di bellissimi lineamenti e nobili cere, sebbene i loro[178] abiti non sono così attillati come quelli delle Turche. Usano però di vestire di seta, portando in testa il caffetano, lasciandosi veder la faccia a chi esse vogliono, e a chi non vogliono l'ascondono, e portano sopra la testa perle ed altre gioje; e di qui avviene, che le perle sono in gran prezzo anco a quelle parti, non essendo molto tempo che si sono cominciate ad usare.
La riverenza e l'amore che da tutto il popolo di questo regno vien portato al re, non ostante le cose già dette per le quali pare dovrebbe essere odiato, è incredibil cosa: perchè essi, non come un re, ma come Dio lo adorano, e ciò procede perch'egli viene dalla linea di Alì, loro santo principale; e quelli che si trovano in malattia o altra disgrazia, non chiamano tanto in ajuto il nome di Dio, quanto fanno il nome del re, facendo voti, o di portargli qualche dono o di venire a baciar la porta del suo palazzo, e si tien felice quella casa che può aver qualche drappo o scarpe di esso re, dell'acqua dove esso si è lavato le mani, usandola contro la febbre; per tacere altre infinite cose che si potriano dire in questo proposito. Dirò bene che non pure li popoli, ma li figliuoli stessi e sultani ordinariamente quando parlano con lui, parendogli non poter tenere epiteti convenienti a tanta altezza, gli dicono: tu sei la nostra fede, e in te crediamo. Così si osserva nelle città vicine sino a questo segno di riverenza; ma nelle ville e luoghi più lontani molti tengono che egli, oltre avere lo spirito profetico, risusciti i morti, e faccia di altri simili miracoli, dicendo che siccome Alì loro santo principale ebbe undici figli maschi, che così anco questo re ha avuto dalla maestà di Dio la medesima grazia di undici figli come Alì.
Vero è che nella città di Tauris non vi è tanta venerazione come negli altri luoghi, e per questo si dice ch'egli si sia partito di là e andato a stare a Casbin, vedendo di non essere secondo il genio suo stimato, per rispetto che la detta città è divisa in due parti, le quali si chiamano, una Kamitai, e l'altra Ermicai; nelle quali fazioni sono nove capi di sestieri, cinque in una e quattro nell'altra, dai quali dipendono tutti li cittadini. Queste fazioni per il passato erano molto discordi, ed ogni giorno si ammazzavano, nè bastava al re ed altri il rimediarvi, per esser fra esse parti discordia, ed odio antico di più di trecento anni, e certo si può dire che piuttosto essi capi di sestieri siano signori di detta città, che il re proprio. Ora sono in pace e uniti; ed a questo proposito non voglio lasciar di dire alla Serenità Vostra, che essendo nel principio della loro quaresima montate le carni un poco più del prezzo ordinario, andorno questi capi[179] al palazzo del sultano, ed ammazzorno tutti li ministri, e se il sultano avesse fatto moto alcuno, sarebbe anch'egli stato ammazzato, e per quei ministri che non si trovorno presenti, andorno li sollevati alle case loro, gettando le porte a terra, e gli ammazzarono e portorno le teste sopra il palazzo, non curando far questa operazione più di giorno che di notte, nè a ciò si può rimediare rispetto all'umor loro. Vero è che da essi non si è mai sentito che sia nata alcuna cosa inonesta contro il particolare; e solo per il passato hanno ammazzati delli sultani, per conservare una certa loro libertà ed alcuni loro privilegi antichi. E per esser detta città, come ho detto, metropoli di tutto il regno, parmi di dire alcuna altra cosa di essa.
È posta essa città per dir il tutto della medesima, sopra una gran pianura, poco lontana da alcuni monticelli, essendogli vicino un colle dove anticamente vi era un castello, come si vede dalle ruine che vi sono al circuito. Questa città ancorchè non abbia muraglia, è di quindici miglia e più, ed è in forma lunga, onde che da un luogo che si addimanda Nassar fino all'uscir della città verso Casbin, vi è quasi una piccola giornata di cammino e vi sono però infiniti giardini, e luoghi vacui. Le contrade sono quarantuna e per ogni contrada vi è un bazaro, di modo che si può dire che in ogni contrada vi sia una piccola terra abbondantissima, ma sopra tutto di cose magnative. L'aere è felicissimo, sì d'inverno come di estate. Li frutti superano di bontà e di bellezza quelli di qualsivoglia altro paese. La città è mercantile, concorrendo in essa le merci e caravane d'ogni parte del regno; ma ora il negozio della mercanzia patisce molto, rispetto alle cose della guerra che la Serenità Vostra ha con il Turco, perchè dove due colli di seta, della quale il paese è abbondantissimo, valevano quattrocento e più zecchini, si vendono meno di duegento. Le spezie che vengono per via di Ormuz, non vi è persona che le guardi, perchè il suo corso ordinario era in Aleppo; ora non vi essendo in che contrattarre, restano abbandonate da qualche parte in poi, che vengono condotte a Costantinopoli stessa, e di là in Bogdania, spargendosi per la Polonia, e di là in Danimarca, Svezia ed altri luoghi; ma sono tanto grandi le spese, che li guadagni riescono piccolissimi, se però non vi si perde; avendone fatta la prova alcuni Armeni ch'io vidi in Tauris; e tanto più si verranno a raffreddare tutti i negozi, quanto che un gentiluomo inglese addimandato il signore Tommaso da Londra, venuto in detta città con molte facoltà di pannina per via di Moscovia,[180] sotto nome di ambasciatore della regina, essendo venuto a morte, il sultano di Shirvan gl'intertenne tutte le robe, per il che li compagni ch'erano con lui convennero spendere gran quantità di danari per riaverle, sicchè per questa causa non si deve sperare che da quelle parti le faccende abbiano a continuare. Nel regno di Corassan si lavora di panni di seta, e specialmente di velluti, li quali possono stare al paragone delli genovesi e d'altri luoghi. Lavorano delli rasi e damaschi con quella bellezza e polizia che si sogliono fare in Italia e sono a buon mercato.
Nel detto paese di Persia non vi sono merci d'oro, nè d'argento, nè di rame, ma solamente di ferro; però quelli che conducono argenti di Turchia in Persia guadagnano venti per cento, e dell'oro da quaranta in cinquanta per cento, e delli rami, quando dieci e quando venti e più per cento. Vero è che vi sono gravi spese per esser proibito il portar dei metalli nel predetto paese.
Ora venendo alle forze di questo re, parmi considerar prima e principalmente l'entrate.
Ha questo re come cosa principale, contra l'ordinario di tutti li regni che sogliono cavar l'entrate loro dalli dazi, il costume di prendersi una parte delli frumenti, biade ed altre cose che produce la terra, e delle vigne e praterie si paga d'ogni mille, il valore di sessanta archi, che sono alcune loro misure, che dieci fariano la misura di un campo; di tasse, dalle case de' cristiani cava cinque per cento di tributo; in alcune parti cinque ducati per casa, e in alcune altre, sette e otto secondo la fertilità e bontà del paese. Degli animali, per ogni quaranta pecore quindici bisti all'anno, che sono tre ducati di nostra moneta, e per ogni vacca dieci bisti all'anno, che degli animali maschi non si paga. E questi sono li dazi del re e le sue entrate; le quali dicono al presente che ascendono alla somma di tre milioni d'oro.
Le spese poi ch'escono dal tesoro di sua maestà sono veramente pochissime per quanto si vede; perchè esso re non è in obbligo di pagare altro che cinquemila soldati, chiamati da loro Kurdi, che sono la guardia della sua persona, scelti fra la miglior gente e la più bella che sia in tutto quello stato; nè manco a questi dà paga in contante, ma in quel cambio dà loro vestimenta e anelli, ponendoli a quel prezzo che gli pare. Vero è che ha undici figliuoli come ho detto, e che ognuno di loro tien corte separata ed onorevole; ma non si sa quello dia loro.
Di sultani, come si è detto, sonvene da cinquanta, de' quali si[181] forma tutta la milizia di questo re, tenendo diviso in cinquanta parti lo stato suo, oltra quello che tiene lui e li suoi figliuoli, il quale non è sottoposto a cura di nessun altro. Detti sultani hanno in condotta da cinquecento fino a trecento uomini a cavallo per ciascuno, i quali separatamente cavano dalle regioni a loro assegnate, tanta entrata che possono mantenere dette genti e cavalli, e far fare le mostre spesse volte; sicchè in occasione di guerra non ha altro pensiero, che spedire alli sultani un corriere uno o due mesi innanzi, che, per esser sempre all'ordine, vengono senza difficoltà dove sono chiamati, e possono ascendere in tutti al numero di sessantamila, benchè la voce sia di molti più. Sono genti per l'ordinario di bello aspetto, robuste e ben formate, e di gran cuore, e desiderose di guerra.
Usano costoro per armi da difesa la corazza e la targa, e vi sono anco molti elmi, e da offesa la freccia e gli archibusi, il quale non vi è soldato che non l'usi; ed è ridotta quest'arte in tanta eccellenza, che quanto alla perfezione superano i loro archibusi quelli di ogni altro luogo, ed anco quanto alla tempra eccellente che gli danno: sono le canne di detti archibusi per l'ordinario sette spanne di lunghezza, e portano poco manco di tre oncie di palla, gli usano con tanta facilità, che non li impedisce punto la spada, la quale tengono attaccata all'arcione del cavallo per adoprarla quando bisogna. L'archibuso se lo accomodano dietro la schiena con tanta facilità, che l'una cosa non impedisce l'altra.
Li cavalli sono ridotti in tanta eccellenza di bellezza e di bontà che non han più bisogno di farne condur da altre parti, e questo dalla morte di sultan Bajazet in qua, perchè detto signore venne in Persia con bellissimi cavalli caramani, e cavalle arabe eccellenti, i quali furono donati nel passare; e di poi che dal presente re fu fatto ammazzare, gli restorno dieci mila tra cavalli e cavalle dalle quali è riuscita al presente una razza così bella, che gli Ottomani non ne hanno una tale. Restarono poi anche di detto Bajazet trenta pezzi di artiglieria, oltre li danari ed altre spoglie.
Oltre le forze dette, ha il re di Persia quella di aver fatto disertare li paesi verso li confini del Turco da ogni parte per sei e sette giornate di cammino, e rovinar quei castelli che v'erano, per assicurarsi sempre più da detti Ottomani, che non gli venga volontà d'impadronirsene e tenerseli.
Parendomi avere abbastanza detto a Vostra Serenità delle fortezze di questo re, parlerò ora delle pertinenze ed intelligenze che ha con gli altri principi vicini.[182]
Ha esso re pretensioni sopra li paesi toltigli dall'imperatore Ottomano, cominciando dal fiume Eufrate da quella banda sino a Babilonia, e verso ponente sopra il paese di Diarbek e Armenia minore. Ha esso re intelligenza, e da lui dipende un principe cristiano, signore de' Giorgiani, ed è suo tributario di venti mila ducati all'anno, ed ha il suo stato vicino al mar Caspio; il qual principe in occasione di guerra contra Ottomani potrebbe servire con dieci mila uomini a cavallo, tutta gente florida e valorosa.
Vi sono anco alcuni signorotti turchi, Kurdi, quali stanno sopra certe montagne tra l'Armenia minore (verso quella parte dei Giorgiani, che è posseduta dal Turco) e il mar Maggiore, sopra le quali montagne essendo io passato, ed avendo veduto io in Erivan preparazioni di genti, detti signori tenevano per fermo che fosse contra sultano Selim, onde mostravano di sentir grandissima contentezza, e facevano preparazioni per mettersi all'ordine alla guerra; ed essi tutti uniti potriano fare tre in quattro mila cavalli di rara bontà.
Ora non mi pare di dovere più tediare Vostra Serenità, massimamente avendole io con mie lettere dato conto di mano in mano del mio negoziato e del mio viaggio. Nel qual viaggio fui crudelmente battuto sotto la pianta dei piedi in Erzerum, e mille volte a pericolo di crudelissima morte, cercato da tre ciaussi di Alì pascià, di Erzerum, che mi aveva per spia; e dopo essere scampato dalle loro mani, corso in infiniti altri pericoli e disagi. In premio di che non addimando alla Serenità Vostra altro che la sua buona grazia, ed occasioni di poterla sempre servire.
L'originale fu di recente scoperto nell'archivio dei Frari dal signor Pasini. Colla scorta di quello si potè riscontrare la presente relazione, già pubblicata dall'Albèri, nel vol. II, serie III, Relazioni venete.