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XI.
Finiti i funerali, il signor Nicola ci annunziò che le donne ci aspettavano tutti a pranzo in casa sua, per suggellare la pace fra i bicchieri. Don Vincenzo Liserio venne invitato a seguirci, e avendogli comunicato il motivo del nostro ritrovo ne rimase tanto sbalordito, che continuò per tutta la strada a trattenerci colle sue interrogazioni, colle sue sorprese, co' suoi fremiti e co' suoi applausi.
La comitiva raccoglieva i personaggi principali della mia tragedia, e mi pareva d'essere un capocomico che conduce al teatro la sua compagnia. E infatti dovevamo assistere ad una commedia o ad una farsa in casa Bruni.
La commedia incominciò al nostro ingresso. Isabella Fieschi, che attendeva ansiosamente il marito, per dimostrargli la gioia che sentiva rivedendolo incolume, si gettò fra le braccia del suo Lucchino Visconti riconquistato, con attitudini degne d'un quadro storico.
Ugolino Gonzaga, trovando quell'entusiasmo esagerato, si mordeva le labbra, e pareva quasi pentito d'aver cooperato a salvare il tiranno. Uguccione della Fagiuola, al quale nulla sfuggiva, mi accennava con due occhiacci stralunati, e con un sogghigno sardonico quel marito soddisfatto, quella moglie affettuosa e quell'amico malcontento; indicandomi in pari tempo la beata fisonomia dell'arcivescovo Giovanni, che ammirava in quegli amplessi la santità del matrimonio.
Francesco Pusterla congiurava come al solito, apparecchiando una serie di bottiglie, destinate, come la macchina infernale di Fieschi, a far saltare in aria o cadere in terra la comitiva, Uguccione della Fagiuola, all'aspetto di quegli apparecchi, rasserenava il volto, mostrava uno sguardo benigno, dal quale traspariva un'intima soddisfazione, piena di promesse per darsi un contegno conveniente: egli andava lustrando coll'avambraccio il suo lungo e speluccato cappello a cilindro, il quale, partecipando dell'indole testereccia del cervello che proteggeva dalle intemperie, si mostrava ribelle ad ogni pulitura e si conservava a strapelo.
Il tiranno aveva assunto l'aspetto dignitoso dell'uomo importante; la moglie, rassicurata sulla vita del marito, temeva di avere oltrepassato i limiti dell'entusiasmo, e procurava di riprendere il terreno perduto sbirciando i più teneri sguardi verso Ugolino Gonzaga, che trovandoli irresistibili, deponeva il sussiego della illegittima gelosia, per corrispondere degnamente al nuovo invito.
Infatti pareva che tutto si disponesse a rientrare nell'ordine.... o nel disordine normale, quando un improvviso fracasso proveniente dalla cucina venne ad annunziarci un nuovo avvenimento. Finita la commedia, incominciava la farsa.
Attirati dal rumore siamo corsi tutti in cucina, e vedemmo una finestra caduta in frantumi, una damigiana rovesciata, un lago di vino sul pavimento, la Menica colle mani nei capelli, Martino che fuggiva per evitare il primo impeto del padrone. Che cosa era avvenuto per causare tanti disordini?... Una piccolissima causa aveva prodotto quei terribili effetti, proprio come molte questioni di duelli. Ogni momento che passava ci portava il suo insegnamento. Ecco il fatto. Un sorcio era entrato in cucina, la Menica aveva chiamato Martino in aiuto, ed esso, armato d'un bastone, pieno d'ardore contro il nemico, s'era slanciato nella lotta con un colpo decisivo.... che gettò in terra la damigiana, facendola in pezzi, poi cadde sulla finestra e ruppe quattro vetri, aprendo una larga breccia, per la quale il sorcio spaventato, ma incolume, aveva battuto la ritirata. Cosicchè tutti correvano: noi per assistere allo spettacolo correvamo sul teatro dell'avvenimento, il vino correva per la cucina, il sorcio correva pei campi, Martino correva per la corte, il signor Nicola correva dietro a Martino, la Menica correva dietro al signor Nicola, e lo raggiunse abbastanza in tempo per salvare il domestico da un colpo di bastone, che avrebbe dovuto piuttosto uccidere il sorcio.
- Calmatevi.... - gridò Ugolino Gonzaga, - è meglio spargere il vino che il sangue....
- Non sono di questa opinione! - rispose Uguccione della Fagiuola, - e questa volta vado d'accordo col medico....
- Che cosa volete dire?... - gli chiese il dottore, offeso di trovarsi d'accordo in qualche cosa con un individuo che gli era antipatico.
- Intendo dire che voi coi vostri salassi spillate più sangue che vino, e questo va bene, perchè un eccesso di sangue può togliere la vita, quando un eccesso di vino non fa che esilararla, o tutto al più addormenta tranquillamente per alcune ore. È meglio dunque spargere il sangue.... e riservare il vino, per beverlo in buona compagnia. Per me avrei preferito che Martino avesse rotta la testa al sorcio e salvata la damigiana. Se il dottore pensa diversamente, le opinioni sono libere.... ed anche le bestie hanno diritto di difendersi.... e avvicinandosi a me, mi ripetè sottovoce guardando il dottore.... anche le bestie hanno il diritto di difendersi scambievolmente.
Il dottore non gli rispose, ma gli diede un'occhiata incendiaria che voleva dire:
- Linguaccia malefica, se ti potessi cavar sangue, te lo caverei fino all'ultima stilla!
Il signor Nicola, passato il primo impeto, ritornò tranquillamente in cucina, rimproverando la Menica d'aver chiamato Martino per uccidere un sorcio.
- È un imbecille, - egli continuava, - capace di demolire una casa per prendere una mosca....
Allora il dottore aggiunse sentenziosamente:
- Per liberarci dai nemici interni, non dobbiamo mai contare sull'intervento degli stranieri!...
- Che ne dite, Tobia?... - chiese il signor Nicola all'organista. Ed egli rispose:
- Io penso sempre il contrario di quello che pensano i medici e sto benissimo.
- Cattiva lingua.... - soggiunse il signor Nicola ridendo. Il medico finse di ridere esso pure, per mostrarsi disinvolto, ma la sua fisonomia tradiva i suoi pensieri. Esso aveva l'aspetto d'un uomo che mastica fiele e vuol far credere che gli trova il gusto dello zucchero.
Per attendere l'ora del pranzo si misero a giuocare alle carte su due tavolini: il dottore ed il parroco dirimpetto al farmacista e all'organista; la signora Pasquetta col signor Nicola a fronte della signora Giovanna e del giovane allievo del farmacista, che aveva servito di secondo padrino al dottore.
Io accompagnai l'Agata che andava in cerca di Martino fuggiasco, per annunziargli l'amnistia ottenutagli dal padre.
Desideroso di sapere come fossero passate le cose ch'io ignoravo intorno alle predisposizioni del famoso duello, gliene chiesi qualche notizia ed ella mi disse ingenuamente:
- Dopo la partenza dei testimoni dalla casa del dottore, la signora Pasquetta, spiritata, era corsa in casa Bruni.
- Presto... presto per carità... chiamatemi il signor Nicola... che ci salvi tutti... Vogliono uccidere mio marito... mio marito vuol uccidere Daniele e Tobia; domani sarà un macello, che farà inorridire il paese.
Mentre essa raccontava gli orrori e le lotte di quella sera e la sfida per l'indomani, comparvero i testimoni che erano stati da me, e che si recavano dal signor Nicola per tenere consiglio intorno alla condotta da adottarsi. La signora Pasquetta venne congedata con promessa formale di accomodamento, prima però che si fosse nulla deciso intorno al partito da prendersi, raccomandandole caldamente di evitare nuovi scandali, di lasciare che suo marito si recasse all'indomani al suo posto, ed ella confidasse in loro.
Ma la conferenza dei testimoni che si protrasse a tarda notte non sapeva trovare uno scioglimento che appagasse ogni esigenza, quando l'Agata manifestò modestamente il suo parere.
- Impedire il duello, - disse, - mi pare impossibile; lasciare che si ammazzino è ancor peggio; o dunque perchè non dareste ai duellanti due pistole cariche a sola polvere, ond'essi ignorandolo possano provare tutte le peripezie del duello, senza subirne le terribili conseguenze? Dopo lunghe discussioni venne accettata la proposta, con giuramento solenne di conservare il segreto fino al termine dell'affare. E così fu fatto.
- In tal modo, - io dissi all'Agata, - voi avete inventato un nuovo genere di duello, che tuttavia non può aver luogo più di una volta sola.
- A me bastava salvare la vita e l'onore di due persone; al resto non ci pensavo.
- E come avete fatto a scoprire questo stratagemma?
- È stata una ispirazione, - ella soggiunse, - un'ispirazione d'un'anima santa che veglia in cielo sopra di voi. Mentre mio padre parlava concitato con Gaspare e Tobia, cercando di persuaderli ad evitare una disgrazia, io sentiva sul mio seno la medaglia di vostra madre, che pareva mi pulsasse per chiamare la mia attenzione. Allora mi parve ch'ella mi dicesse dall'alto "salvate l'onore e la vita a mio figlio" e certo i miei pensieri mi vennero infusi dalla potenza sovrumana d'una madre. - Qui, ritirando dal seno la medaglia, me la porse dicendomi:
- Datele un bacio, e un'altra volta siate più savio.
Io baciai affettuosamente la medaglia, ella se la ripose in seno, e camminammo lungamente in silenzio. Sentivo qualche cosa che mi strozzava la gola e mi toglieva la facoltà di parlare.
A mezzogiorno preciso Bitto comparve, come al solito, ad annunziare l'ora del pranzo.
La riunione intorno alla mensa ospitale fu lieta e conciliante. Il vino ingurgitato ci fece dimenticare quello perduto. E succede sempre così a questo mondo: i piaceri che consolano i nostri sensi ci fanno dimenticare i mali sofferti... dagli altri.
Alla fine del pranzo abbiamo chiamato Martino e ci siamo fatti raccontare la sua lotta col sorcio, ma nel punto più interessante, la vivacità del racconto esponendoci al rischio di veder rinnovata la catastrofe, abbiamo dovuto rimandarne la continuazione ad un altro giorno... come le appendici dei giornali.
- Tregua ai pericoli, - diss'io, - non bisogna provocare troppo la sorte. Oggi ci dovevano essere dei feriti e degli uccisi, e tutti furono salvi... uomini e bestie.
- Meno la damigiana!... - soggiunse Uguccione con rammarico, chè, quantunque saturo di vino, non ne era ancor sazio.
Quando la conversazione si fece generale, e tutti parlavano in una volta, l'Agata, che mi sedeva vicina, mi disse all'orecchio:
- Gli uomini furono salvi senza loro merito... invece la bestia dovette la salute alla propria intelligenza, evitando il pericolo con destrezza, cogliendo il momento opportuno per cavarsela dalla sola uscita possibile, schivando i colpi malaccorti d'un uomo stupido.
- L'uomo, - io le risposi, - non si fa merito di evitare i pericoli colla fuga, ma preferisce di salvar l'onore a rischio della vita.
- Ma se le bestie, - ella soggiunse, - non sentono il bisogno della riparazione delle offese, gli è perchè fra loro non corre l'uso dell'oltraggio. Vivono più concordi degli uomini, hanno il coraggio di difendersi contro i propri nemici, quando ne vedono la possibilità, ma non si espongono leggermente a tanti pericoli.
- Perchè non possono contare sull'intervento della donna, - io aggiunsi, - la quale, rappresentando la Provvidenza, trova sovente il modo di accomodare col cuore ciò che l'uomo guasta colla testa!...
Abbassò gli occhi e tacque. - Alla sera, separandoci, eravamo tutti ritornati amici... almeno in apparenza.